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Autore: Ninnina90    07/08/2014    4 recensioni
One shot dedicata alla mia otp: SanSan
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sansa si trovava nella gremitissima Sala Grande, in piedi poco distante dalla Porta della Luna. Stringeva nervosamente un lembo della sua gonna, mentre lo sguardo era cristallizzato sull’androne d’entrata: Arya era giunta a Delta delle Acque, e qualcuno l’aveva portata lì per chiedere un ingente riscatto. Lì per lì la notizia l’aveva talmente atterrita, tanto da non riuscire a distinguere il sottile confine tra la gioia dell’abbracciare la sorella e il timore di venire a conoscenza di tutto ciò che le poteva essere accaduto nel tempo della loro separazione. Per quanto non sia mai andata d’accordo con Arya, ora si aggrappava al pensiero di quel ricongiungimento con ogni fibra del suo essere. Sperava che non le avessero fatto del male, che l’uomo che l’aveva condotta fin lì non avesse abusato di lei, che non le fosse capitato ciò che lei aveva vissuto sulla sua pelle ad Approdo del Re. Finalmente nell’androne comparsero due figure, così antitetiche e distanti tra loro: una piccola e minuta, l’altra enorme e possente. La luce ancora non ne aveva rivelato l’identità ma Sansa continuava a trattenere il respiro febbricitante, allungando il sottile collo leggermente in avanti per cogliere per prima l’immagine della sorella. Voleva che fossero i suoi i primi occhi amici a posarsi sulla piccola Arya.
 
Quando finalmente si avvicinarono e giunsero al centro della sala,  Robin Arryn balzò in piedi dal trono dove era seduto, alzando le braccia al cielo e aprendo la bocca in un sorriso infondatamente gaio. “Benvenuta cugina!”. La sua voce echeggiò nel silenzio della sala, ma Sansa adesso aveva di fronte il Mastino e la sua piccola sorellina, l’uno accanto all’altro, e l’aura che li circondava era quella di due entità completamente affini, nonostante la loro stazza fosse così divergente. Percepiva un legame, qualcosa di cupo ombreggiava su entrambi.  Avrebbe voluto correre e abbracciarla, avrebbe voluto dire qualcosa al Mastino; non sapeva bene cosa: se un semplice saluto, un abbozzo di ringraziamento, anche solo un mezzo sorriso. L’unica persona della sua famiglia secondo lei ancora in vita era stata fortuitamente condotta a Delta delle Acque dall’unica persona che ad Approdo del Re avesse mai dimostrato un minimo di umanità verso di lei. Poi Robin la distolse dai suo pensieri: “bene, adesso entrambe le mie cugine sono qui. Faremo tantissimi giochi insieme, vero Petyr?”. Petyr, il quale non aveva minimamente valutato la possibilità che le due Stark potessero ritrovarsi per volere del fato, asserì con un sorriso vagamente compiaciuto, poi disse: “Sansa mia cara, non sei felice di incontrare nuovamente la tua amata sorella?”. A quel punto Arya, fin’ora ignara di tutto, si voltò e incontrò lo sguardo di Sansa. La felicità di entrambe era palpabile, anche se Arya aveva imparato a mascherare così bene le sue emozioni che la sua reazione parve comunque inappropriata rispetto a ciò che trapelava dagli azzurrissimi occhi sgranati di Sansa, che per pochi attimi incrociarono anche quelli di Sandor. Per un solo lontanissimo istante, il pavimento le parve tremare. Allora Lord Baelish riprese la parola: “Dovrete essere stremati dal lungo viaggio, Sansa che ne dici di mostrare loro le stanze dove riposeranno stanotte? Dopo serviremo la cena e sono sicuro che avrete molto di cui parlare”. Rivolse una rapida e gelida occhiata al Mastino, per lasciargli intendere che la questione economica sarebbe stata trattata a quattr'occhi solo più tardi. Sansa percepì le parole di Lord Beilish con un leggero ritardo, tanto che Robin incalzò la giovane: “dai Sansa, fagli vedere le nostre bellissime stanze!” , e aveva ancora quel sorrisetto idiota che la infastidiva fin nel midollo. Lo riteneva un povero inetto, probabilmente non si rendeva neanche conto di ciò che era successo a sua madre. La compassione si impadronì di lei e con un lieve inchino si avvicinò alla sorella. Arya era ancora in silenzio, ma i suoi lineamenti ora erano più dolci e un accenno di sollievo le contornò i lineamenti. Imbarazzo, gioia, apprensione. Sansa si diresse verso l’uscita della sala, seguita da Arya e il Mastino.
 
Poco dopo camminavano tutti e tre vicini e senza proferir parola per i corridoi del castello. Sansa si fermò davanti a una porta enorme, la aprì e si rivolse alla sorella: “Ecco, tu potrai stare qui”. Fece una pausa, serrò le labbrà e cadde in ginocchio, gettando le braccia intorno al collo di Arya: “sono così felice che tu sia qui”. Il tonfo delle ginocchia di Sansa echeggiò nel castello e riempì ogni cosa, come un pesante fardello che finalmente viene lasciato a terra dopo un lungo cammino. Arya, probabilmente sorpresa da quel gesto così inusuale rispetto a ciò a cui era un tempo abituata, riuscì solo a fare un lieve cenno di assenso: provò un piacevole calore che la avvolse dalla testa ai piedi, come quel calore che provava quando da piccola Catelyn le accarezzava i capelli prima di farla addormentare. Sansa si alzò composta, si asciugò gli occhi lucidi e dopo aver abbozzato un sorriso congedò la sorella. Il Mastino era rimasto in disparte, ma non per questo indifferente alla scena. Lui era lì, insieme a quelle due ragazze così diverse tra loro.
 
Perché? Ringhiava dentro, perché?
 
Quando Sansa gli si avvicinò, trasalì. I due non si erano ancora rivolti parola,  e il ricordo dell’ultima volta in cui si erano lasciati durante la Battaglia delle Acque Nere ingombrava scomodamente i loro pensieri. Sansa gli camminava davanti, e lui la seguiva placidamente. Adesso il Mastino poteva osservare come il suo uccellino fosse cambiato: c’era qualcosa di così profondamente diverso nelle movenze e nello sguardo, poteva persino sembrare un’altra persona. Una donna. Con le ultime luci del giorno che filtravano dalle finestre e accarezzavano la pelle bianca, Sansa ora era una donna. Seguiva con lo sguardo il moto ondulatorio e ipnotico della lunga gonna del suo vestito blu.

E’ il colore delle notti senza luna, delle notti in cui puoi perderti per sempre.
Due lunghi spacchi le andavano dai fianchi alle caviglie, ma non un centimetro di pelle si scorgeva tra le pieghe. Un improvviso senso di repulsione gli attanagliò l’addome, come se l’accarezzare quel pensiero fosse troppo per lui. Un cane bastardo.
Sansa teneva lo sguardo basso, ma sentiva quello di Sandor su di lei: lo percepiva scendere lungo ogni singola vertebra della schiena, arrivare fino alle natiche e giù per le cosce, prepotente. Voleva dire qualcosa, qualsiasi così per rompere quel silenzio di pietra, eppure continuava a camminare con le mani giunte sulla gonna. Le emozioni di quella sera erano troppe ed erano giunte tutte assieme. Poi, dal nulla, si fermò: Sandor fece lo stesso ma, colto di sorpresa, finì per trovarsi a un paio di passi da lei. Sansa si voltò e lo guardò fissa, sforzandosi di non distogliere lo sguardo altrove, come aveva fatto altre volte in passato. Fece per schiuderele labbra, e per un attimo le sembrò fosse davvero uscito qualche suono, il petto le si gonfiò appena ma giusto un secondo dopo, Sandor l’aveva afferrata per i polsi e l’aveva spintonata vicino ad una finestra. Sansa gemette per la troppa forza che lui mise nella presa. I suoi polsi sottili le parvero spezzarsi sotto la presa vigorosa del Mastino: “fermati, cosa stai facendo! Lasciami andare!”. La voce roca faticava ad uscire. Ma il Mastino non allentava la presa, e non lo fece neanche quando finalmente cominciò a abbaiarle contro: “Lo sai che ho rischiato di morire? Hai capito bene uccelletto, io Sandor Clegane stavo per essere mandato all’altro mondo per un fottutissimo morso sul collo e una maledetta cagna bionda!”. Sansa smise di dimenarsi per qualche secondo, aggrottò appena le sopracciglia e scrutò nel profondo gli occhi di lui. La lotta subì un brusco arresto, provocando la sorpresa di Sandor senza tuttavia cancellare il grugno minaccioso dal suo volto. Poi apostrofò con ancora più rabbia, velata da una sottile ironia: “Sai qual è stato il mio ultimo pensiero prima di capire che stava arrivando la mia ora?” Sansa continuava a scrutarlo. Le sue pupille erano dilatate e furenti, sembravano bruciargli dentro le orbite, colpite da un raggio si sole aranciato che proveniva dall’esterno. “Ho pensato che avrei dovuto scoparti  prima di andarmene da Approdo del Re. Avrei dovuto scoparti tutta la notte, proprio lì nella tua stanza. Questo ho pensato Sansa!”.
Sansa. Era così strano sentire il suo nome uscire dalle labbra di Sandor Clegane. Quelle labbra piegate dall’odio e dalla ripugnanza, dalla sofferenza e dalla rassegnazione. La voce sembrò bloccarglisi in fondo alla gola tanta era la sua concitazione. Voleva punirla. Punirla per la sua stessa esistenza, per quegli occhi limpidi come l’acqua del fiume al mattino, per le gote accese appena di un calore maturo, per le labbra rosse. Voleva sfogarsi su qualcuno che non poteva opporre resistenza, che avrebbe capitolato inerme sotto il suo assedio di rancore.
 
Ora stringeva i polsi di Sansa ancora più forte, profocandole una smorfia di dolore e un leggero gemito tra le labbra serrate. Un brivido gli rizzò i peli delle braccia e gli arrivò al cervello. Poi il tono della voce si abbassò a poco più di un sussurro, “Almeno sarei morto con un ricordo felice”.
 
A quelle parole, rallentò la presa: se avesse voluto, Sansa avrebbe potuto liberarsi e scappare via. Per sempre. Eppure qualcos’altro la bloccava, nelle parole e nei movimenti. Poteva sentire chiaramente quell’ odore familiare di alchool, di sudore e di sangue, così saldamente ancorato a tutto il suo essere. Un battito di palpebre: quando i pensieri smisero di fare un rumore assordante, entrambi percepirono che il respiro dell’altro era accelerato, affannoso. Forse Sandor si aspettava uno schiaffo in pieno viso, forse era lui stesso a desiderarlo. E invece Sansa si sporse in avanti e premette se sue labbra su quelle sgraziate del Mastino. Non era un bacio innocente: era un bacio sporco, Sansa ne era consapevole. Sandor non si rese conto che le sue mani avevano già lasciato i polsi per serrare i fianchi di lei, mentre ancora le loro bocche rimanevano l’una avviluppata all’altra. Per un attimo Sansa vide davanti a sé il bacio tra lei e Joffrey, quello stupido e finto bacio che suggellò il declino della sua esistenza.
 
Non ero io, non ero io.
 
Quel pensiero fu spinto via dal peso del corpo del Mastino che quasi schiacciava la sottile figura di Sansa, tanto che senza rendersene conto quest’ultima si era ritrovata contro il muro in punta di piedi. Sandor continuava a baciarla voracemente come un cane affamato si getta sulla cena dopo giorni di digiuno, gli occhi chiusi nell’attesa di ricevere un colpo nello stomaco, un graffio o anche un altro morso sul collo.
 
Fallo, avanti! Colpiscimi!
 
Invece percepì che la mano di lei si muoveva per sciogliere qualcosa sul suo petto: si fermò appena un attimo per abbassare lo sguardo: Sansa si stava allentando le stringhe del bustino, le sue dita aggrovigliate tra quei nastrini si muovevano a stento ma con foga, mentre con l’altro braccio era saldamente ancorata alla spalla di lui. La ferita sul collo era dolorante, ma probabilmente si trattava solo di un fantasma. Il resto, invece, era vero. Ogni cosa: le labbra umide, le mani ruvide segnate dalla morte che stringevano i soffici drappi della gonna, ammassati sui candidi fianchi; Il suo odore acre che diventava tutt’uno con quello di Sansa, simile alla rugiada estiva.

Con un gesto istintivo Sandor sollevò Sansa per le cosce e fece per cercare un davanzale, un qualsiasi appiglio con cui sostenerla. Ormai Sansa aveva deciso: aveva scelto di non scappare, di restare intrappolata nella salda presa del Mastino. Allora la ragazza prese fiato e sussurrò appena all’orecchio di lui
 
In fondo al corridoio…
 
Tutto le sembrava come ovattato, come se l’aria avesse cambiato densità da un momento all’altro e più nella testa si ripeteva di fermarsi, di porre fine a quella situazione disdicevole, più si aggrappava alle spalle del Mastino con rinnovata forza. La repulsione si era dissolta nel nulla? Il disprezzo, la rabbia, il dolore, cosa ne era stato?
Il pesante tonfo di una porta che si apre e si richiude velocemente la tramortì nei pensieri.
 
Lord Baelish. Il bacio nel cortile. L’omicidio di Lysa. Capì che era colpa sua, lui l’aveva cambiata per sempre: aveva insinuato in lei un dolce nettare velenoso che aveva ucciso l’uccellino indifeso, l’aveva resa una fenice che rinasce dalle proprie ceneri. L’uccisione di Joffrey era stata l’ultima ferita.
 
Quando tornò in sè, Sandor la stava adagiando sul letto. Lo osservava nel tentativo di liberarsi freneticamente dell’armatura e tutto il resto, con le gambe leggermente schiuse verso di lui e le mani all’altezza delle spalle.
 

Non devo scappare, non voglio scappare, voglio...
 
Quando il Mastino si privò di ogni indumento, Sansa ebbe modo di ammirare ancora di più la sua stazza: era davvero l’uomo più enorme che avesse mai visto, dopo la Montagna. Come avrebbe potuto un corpicino come il suo unirsi a lui? Lo scompenso la scurì in volto. Sospirò e disse solo: “sono ancora…”. Vergine. Quella parola non uscì mai dalla sua bocca, ma il Mastino sapeva. Sapeva, si, ma non aveva realizzato fino a quel preciso istante. D'un tratto gli vennero in mente decine di parolacce ed espressioni scurrili, avrebbe voluto aprire la finestra e urlare con tutta la forza del corpo, era impietrito davanti a quell’esile figura che gli giaceva seminuda davanti. Poi distolse lo sguardo da lei in cerca di qualcosa: l’apprensione che comunicava era un evento completamente estraneo a quell’uomo. Il Mastino. Sansa. Il Mastino e Sansa. Si allungò sul letto e prese un cuscino, sollevò le gambe di lei e lo posizionò sotto il suo bacino. Sansa tornò in sé, si commosse e non sapeva neppure il motivo.
 
Con gli occhi ancora fissi su Sandor, afferrò il lembo davanti della gonna e lo sollevò lentamente, fino a quando la pancia fu scoperta e Sandor potè ammirare il dolce frutto vermiglio che decorava il basso ventre del suo uccellino. Aveva gli occhi lucidi e lui se n’era accorto.
 

Stai per piangere uccellino?
 
Si voltò per allontanarsi. Sansa però lo afferrò per il braccio e lo trascinò sopra di lei con uno strattone che Sandor non aveva previsto. Adesso gli occhietti azzurri di Sansa erano contornati da un’ingenua speranza.
 

Tu non mi farai del male, vero? 
No, mai.
 

Respira, adesso respira.
 
Ormai era difficile porre un freno alla situazione e Sandor si tuffò di nuovo in un lunghissimo bacio, mentre piano piano cercava di farsi spazio tra le sue cosce. Lei lo aveva scelto, lo stava per accettare dentro di sè. La delicatezza con cui la penetrò non poteva camuffare la forza delle mani irsute che stringevano quei fianchi sodi, chiaro segno dell’enorme sforzo che stava sopportando il Mastino.
 
Nella sua testa voleva solo affondare i colpi. Ancora. Ancora. Ancora. Farla diventare sua, completamente. Voleva vederla cedere secondo dopo secondo e possederla fino alla morte.
 
Ma era tutto nella sua testa. La verità era che i muscoli erano tesi e ogni movimento lentissimo. Sansa capì che Sandor non si era mai trovato in una situazione del genere. Così era, in effetti: di puttane ne aveva avute tante, aveva guduto e aveva fatto godere donne sempre diverse, sempre ignobili. Provò una grande tenerezza per entrambi, e forse le venne davvero da piangere. Sandor teneva ora il volto immerso in quei capelli rossi, nel vano tentativo di soffocare e morire lì, in quel preciso istante, con l’unica persona che forse poteva dire di amare. Poi Sansa sobbalzò e si irrigidì, e il Mastino la osservò terrorizzato credendo di averle fatto male. Invece Sansa gli prese il viso tra le mani e portò la fronte a toccare la sua.
 

Va tutto bene, continuava a rassicurarlo, va tutto bene. Voci che tremano.
 
 
Ricaccia il dolore, lasciati andare.
A quel punto se sue piccole mani scivolarono sui fianchi pelosi del Mastino e con rinnovato ardore cominciò a guidarne i movimenti. Entrambi chiusero gli occhi in quella danza silenziosa, ma poi Sandor si eresse dritto tenendo ancora saldamente le gambe di Sansa: voleva fermarsi un attimo a osservarla, ogni centimetro del suo corpo, mentre sentiva il ventre implodergli dentro. Osservò ogni curva di quella giovane figura, violata per la prima volta, un fiore bellissimo che lui aveva avuto il privilegio di cogliere, e gli sembrò di essere nato una seconda volta. Sansa teneva ancora gli occhi chiusi e le labbra appena distanti in cerca di maggior respiro, maggior amore. Quasi senza rendersi conto ora aveva inarcato la schiena e stringeva più forte con le gambe i fianchi del Mastino, e questo non potè non provocargli un gemito di piacere. Quando capì che non poteva più trattenersi, face per allontanarsi da lei; senonchè, con suo grande stupore, lei lo trattenne e con occhi sgranati gli disse solo “Aspetta”, deglutì e riprese fiato.

Fino alla fine.
Avrebbero potuto morire la settimana successiva, il giorno successivo, quella sera stessa. Mille erano le minacce, mille e più i nemici che li volevano vedere su una picca. Così si chino ancora su quel corpicino, la baciò con tutto il sentimento di cui era capace e si liberò di ogni freno. Con un braccio la stringeva al suo petto, e col l’altro le sollevava le gambe per sentirla di più.Sempre di più.
 

Sei mia.
Sono tua.
 

Gemetterò forte all’unisono, i muscoli contratti da spasmi di piacere.
 
Rimasero stesi l’uno accanto all’altra per molto tempo, non avrebbero saputo dire quanto. Non una parola si udì in quella stanza, lui la teneva stretta al suo petto e tanto gli bastava. Sansa era lì stesa, abbandonata. Una donna, una fenice.
In qulche modo entrambi sapevano che quello era l’unico posto dove dovevano essere.
   
 
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