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Autore: Black_in_Pain    07/08/2014    2 recensioni
"Improvvisamente, mentre ci guardiamo con sorrisi incerti, persi nei reciproci piaceri, accetto che non c’è nulla di più sensato e legittimo di questo. Niente di più opportuno e sconveniente.
Perché cosa vuoi che mi importi adesso, avvolto dalle braccia che amo, delle telecamere e dagli amici più intimi?"
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di lasciarvi alla lettura, volevo ringraziare in anticipo chi legge e deciderà di recensire per farmi sapere cosa pensa del mio lavoro. Ogni critica costruttiva, parere o consiglio, sarà utile per migliorarmi, quindi non fatevi problemi.
Finisco dicendo che dedico questa Bennoda senza pretese, alla mia cara Lily777, che mi ha sostenuta e incoraggiata ogni secondo. Grazie piccola, ti voglio bene.
Vi auguro una buona lettura, sperando risulti piacevole e sensata.
Un bacio, Pain.


 
Like Glass
 
“Tutto quello che ho sempre voluto
erano i segreti che mantenevi
Tutto quello che hai sempre voluto
era la verità che non riuscivo a dire
Perché non riesco a vedere perdono
e tu non riesci a vedere il crimine
E entrambi continuiamo ad aspettare

qualcosa che ci siamo lasciati indietro.”

 
Mi sento un vagabondo inesperto, che si perde nella sua stessa città. Non riesco a trovare un titolo adatto a questa situazione disarmante, perché il solo impegno non basta. Le strade affollate, quasi soffocanti, somigliano vagamente al rumore dei miei stessi pensieri, strepitanti e chiassosi come auto che si scontrano.
Ascolto le voci dei passanti fondesi al caos del mio subconscio, provato e instabile. L’affiorare di una leggera emicrania mi scaturisce la tipica irritazione a cui ormai sono abituato, ma che comunque non tollero. Cosa stride nella mia testa? E cosa invece viene dall’esterno?
Controllo ancora una volta lo schermo del mio cellulare, notando senza  stupore che l’orario del nostro appuntamento è già passato da un pezzo. La cosa non mi sorprende affatto e continuo a bere l’acqua ordinata in questo anonimo bar, seppur contro voglia.
Osservo il liquido limpido tremolare nel bicchiere, trasparente e fragile. Per gioco, provo ad associarmi a uno di questi elementi  – l’acqua o il vetro –  per trovare quale mi somigli di più. Nell’immediato, avverto l’orgoglio suggerire di non abbassarmi a scegliere tra due figure tanto patetiche, se pur mi rappresentino alla perfezione.
Entrambe appaiono deboli, instabili, e io non voglio essere così misero. Ho la mia dignità. Il mio valore.
Io sono fuoco, non legno che brucia. Io sono tempesta, non nuvole passeggere. Io sono un uomo, non un ragazzo confuso.
Per un secondo, immagino come sarebbe la mia vita se fossi davvero ciò che dico di essere. Se avessi il coraggio, la forza e il potere su quest’esistenza e su chi la circonda. Però, non mi riesce proprio di visualizzare una tale visione del mondo, visto quando sia lontana dal mio reale modo di vivere.
La cameriera che mi ha servito, mi lancia occhiate interrogative, probabilmente chiedendosi quanto tempo ancora resterò seduto a questo maledetto tavolino, senza consumare qualcosa di più consistente.
Ha ragione, io non sono il cento di ogni cosa, ma non posso andarmene. Davvero.
O invece potrei ?
Arrivare fin qui, aver raccontato bugie, disdetto appuntamenti,  essere rimasto bloccato nel traffico… Tutto per incontrare una sedia vuota, carica di intenzioni non mantenute. La stessa sedia su cui sono seduto io adesso, e che ho il forte istinto di abbandonare.
Eppure, lui capirebbe.
Sedendosi nel mio posto vuoto, impregnato dall’odore del codardo che sono, accederebbe una sigaretta, sorridendo al fatto che questo risvolto era abbastanza prevedibile. Io ne uscirei privo di colpe. Più candido di un bambino che rompe il vetro del vicino e scappa, senza lasciare tracce.
Perché ci perdoniamo a vicenda, scordando di assolvere noi stessi per primi.
Ma ho deciso che sarò uomo. E un uomo non scappa davanti al pericolo, seppur tardi ad arrivare, pretenzioso e deciso a dilungare il tempo che precede l’impatto del nostro incontro. Forse è una buona mossa: ho a disposizione manciate di minuti infiniti per riflettere e prepararmi un discorso sensato, duro e ragionevole, a cui neppure lui saprà trovare scappatoie.
 Sarò chiaro, coinciso, freddo. Esporrò le ragioni che mi hanno portato ad una simile decisione. Concluderò quello che ho creato, stanco di lasciare ed esser lasciato, per poi iniziare qualcosa che sarebbe dovuto esistere già molti anni prima, ma che è stato interpretato e vissuto male. In modo sbagliato, da entrambi.
Non so chi soffrirà di più, chi sarà il primo a cedere, a urlare. Quale radioso nuovo capitolo potremo mai scrivere dopo un simile salto nel vuoto.  Non voglio pensarci, non voglio perdere in partenza. Costruirò un volto di pietra, a cui non gli sarà permesso entrare. Non ancora. Non stavolta
Mi perdo un attimo nell’esaminare le coppie che si tendono la mano, spinte ad andare avanti nonostante il freddo pungente, e comincio a ricordare che siamo in pieno inverno, e che io sono l’unico ad essere seduto sotto le intemperie del mese di dicembre. Infatti, alla vista di me che occupo uno dei tavoli riservati alla stagione estiva, qualcuno ride, qualcuno invece mi guarda stranito. Eppure, non sento il minimo brivido.
Le fiamme mi divorano, partendo dai polsi, fino a tutto il resto del corpo. Fitte allo stomaco rischiano di farmi rigurgitare la colazione scarsa, divorata in fretta e furia circa un’ora fa. Ricaccio la saliva in gola, stringendo forte le dita avvolte nei guanti. 
Sono debole, come l’acqua. Intangibile e stagnante.
Poi, lo vedo. E’ simile alla luce che sbaraglia le tenebre. Ad una folata di vento che spazza via la sabbia. E’ la pioggia in un mese di siccità: salvezza.
Si avvicina lentamente, muovendo gli occhi in varie direzioni, intenzionato a trovarmi. Forse sbaglio, ma quando non individua il mio viso famigliare tra la folla, la sua espressione viene divorata dall’ansia. Dura pochissimo, eppure questo suo comportamento mi sconvolge. Mi spaventa.
Volevo davvero andarmene?
«Ehi… » ora anche lui vede me.
In un secondo, con una voce, una misera parola, mi solidifico, diventando più fragile che mai.
Ogni progetto, promessa o intento, viene disintegrato da quel suo sorriso. Un sorriso caldo, rincuorato, che fa sembrare tutti gli altri sorrisi del mondo dei piccoli e insignificanti ghigni.
Eh, no. Non sono acqua. Ho fatto male i miei calcoli. La verità è che incarno l’immagine del  vetro, poiché mi sono appena infranto in mille pezzi contro il pavimento della realtà.
Faccio per sollevarmi, ma mi blocca repentinamente con un gesto della mano. Intuisco che non vuole scomodarmi e che ci penserà lui a venire accanto a me. Così, mentre è intento ad afferrare una delle tante sedie disponibili, rimango immobile ad osservare il suo corpo asciutto e leggero. Siamo uno di fronte all’altro, il tavolo resta l’unica cosa a separarci. Ho paura di allungare le gambe e ritrovarmi a contatto con le sue. Sto ascoltando il mio respiro, accorgendomi che, da quando è arrivato, ho trattenuto il fiato.
«Scusa il ritardo. Ho avuto un contrattempo» mormora evitando i miei occhi. «E’ molto che aspetti?»
Sì, Chaz. Quasi un’ ora.
«No, sono qui da poco. Ho dovuto portare Anna da sua madre.»
Annuisce. Stiamo mentendo entrambi, in parte.
Cala una sorta di silenzio imbarazzante, in cui le parole non dette aleggiano sopra le nostre teste, spingendoci a pronunciarle. Sceglierle è impossibile, allora, senza idee, mi fisso su di lui, cogliendo i particolari che già conosco alla perfezione.
Quando porta le lenti a contatto e gli abiti attillati, pare forte, invincibile. Il suo essere assume un aspetto sensuale e attraente, a cui nessuno sa resistere. Ora invece, con gli occhiali da vista, la giacca spessa e un’anonima sciarpa –  di quelle scelte a caso nella fretta di un mattino d’inverno – sembra tutto tranne che potente. Questa immagine è dolce, innocente.  Io amo questo Chester.  Amo questo suo lato umano.
Posiziona i gomiti sulla superficie liscia e solida, appoggiando il mento tra le mani. Sistema la montatura sottile, lanciandomi un’occhiata ambigua.
Lo hai fatto apposta, vero? Sai che ho un debole per quegli occhiali.
Con questa posizione, non comprendo cosa voglia scaturire in me. Forse tenerezza, forse eccitazione. In ogni caso, riesce nell’intento, qualunque esso sia.
Finalmente, sento che stiamo per cominciare. Ha assunto la sua posa difensiva, quella con cui spera di proteggersi. Di non essere ferito.
Sinceramente, non trovo comunque la forza di fargli del male. Il solo pensiero mi toglie la grinta e il coraggio racimolati nell’attesa del suo arrivo. Desideravo esporgli i miei dubbi, le mie ansie, il mio rifiuto. 
Però, con questa tua espressione, caro Chaz, come posso dirti che non possiamo più volerci nel modo in cui ci vogliamo ora?
«Eri strano ieri sera, quando mi hai chiamato» inizia, rompendo l’oblio . «E’ successo qualcosa?»
Nella voce non ha il minimo segno di sfrontatezza,  perché sicuramente percepisce una reale tensione. 
Quando vede che non rispondo, la calma apparente si spezza, e nelle sue iridi scatta un lampo luminoso.
«Anna…  E’ successo qualcosa con Anna?»
Spalanco gli occhi, prima chiusi in due strette fessure, e direziono i miei pensieri su quelli di Chester. Ciò a cui allude non è una semplice lite, una malattia o una qualche incomprensione tra me e mia moglie. Ho letto la sua mente. So di cosa si sta preoccupando.
«Con lei è tutto normale. Non ha scoperto niente, se è questo che intendi.»
Sospira di sollievo, ringraziando il Dio a cui entrambi crediamo, seppur in maniera diversa. Ma non c’è nulla di cui essere sollevati. Almeno per me.
«Di cosa volevi parlare allora?» chiede, i lineamenti calmi e sereni di chi ha appena scampato un pericolo.
Lancio un ultimo sguardo hai passanti, rincuorandomi che nessuno ci abbia ancora riconosciuto – portiamo una maschera da persone per bene, coperti da strati di abiti e normalità – poi torno definitivamente su di lui.
«Proprio di questo» sussurro. «Non va bene, non funziona…»
Appena sto per pronunciare le esatte parole che avevo sperato uscissero dalla mia bocca, invece di liberarmi e lasciarle andare, il mondo crolla. Lui crolla. Ed io crollo insieme a loro.
I suoi occhi, neri come la pece, avvolti dalle tenebre di una vita passata e resi luminosi da un nuovo stile di vita, tornano ad essere spenti e persi nel vuoto. Peggio di come li ho trovati la prima volta che mi ci sono immerso.
Ho davvero questo tipo di potere, di effetto su di te? Posso veramente distruggere tutto con una sola frase?
Ho pregato, ho scongiurato, di non dover più assistere al crollo di occhi tanto amati e temuti al tempo stesso. E alla fine, mi ritrovo ad essere io la causa di questo ennesimo decadimento. Se è un incubo, vi prego, svegliatemi.
«Sono un problema per te, Mike? Sto diventando un peso?»
Rotture, rotture ovunque. Ma non comprendo come sia possibile, visto che sono già in mille pezzi.
«Dio, no. Certo che no. » Come potresti? Balbetto, ormai catturato dalla mia stessa trappola. Mi stringo la testa fra le mani, accecato dalla frustrazione. Sono debole. Lui è debole. Tanto vale esserlo insieme.
Allunga le gambe sotto il tavolo e sfiora le mie con delicatezza, chiedendo il permesso. Naturalmente acconsento, mandando al diavolo tutte le aspettative di una vita dignitosa e giusta, visto che di dignitoso e giusto non ho proprio niente.
Ci osserviamo, mettendo  in chiaro che neanche questa volta saremo in grado di abbandonarci.  Non serve spiegare il motivo della nostra presenza qui, né del mio discorso iniziato e mai concluso.
E’ come se ci stessimo già baciando.
Afferra il  bicchiere accanto a me, si bagna le labbra sottili. Abbiamo bisogno di consolarci e, con la mente, siamo precocemente proiettati verso la strada più breve per raggiungere la sua auto.
La mia verrò a riprenderla dopo.
Passa una frazione di secondo, o magari un’ora, ma mi ritrovo già con le mani impegnate a toccare parti che appartengono ad altre dita e zone promesse ad un’alta bocca.
Sapevo sarebbe finita così. Lo volevo con tutto me stesso. E’ un vizio.
Le scomode sedie di quel bar sgangherato, si sono trasformate in un comodo letto scricchiolante, che sostiene abilmente il nostro peso – più mio che suo. I guanti e le sciarpe pesanti, sono stati rimpiazzati da lembi di pelle e sudore. Il freddo invernale è  completamente sostituito dal calore del sangue che scorre nelle vene.
E spingo e ansimo e… non lo so. Rifletto sul giusto. Sul sacro. Sui peccati che sto commettendo e su chi sto tradendo. Stringo forte, tutto e niente. Desidero piangere, urlare. Ridere, scherzare. Eppure, resto bloccato tra un paio di labbra e un paio di gambe, inerme.
Improvvisamente, mentre ci guardiamo con sorrisi incerti, persi nei reciproci piaceri, accetto che non c’è nulla di più sensato e legittimo di questo. Niente di più opportuno e sconveniente. Perché cosa vuoi che mi importi adesso,  avvolto dalle braccia che amo, delle telecamere e dagli amici più intimi?
Non sono ancora capace di dire addio, di abbandonare i sensi di colpa. Mi sento così stupido.
Però, ogni carezza, ogni lingua che si intreccia, ogni tratto di noi, mi fa accogliere questa mia natura. Questo nostro segreto, che tale deve rimanere.
E’ vero, amore, sono come il vetro. Ma tu, caro Chester, sai raccogliere i cocci del mio essere, riunendoli più solidi e forti di prima. Chissà, forse un giorno sarai in grado di trasformare il vetro in cristallo, rendendolo indistruttibile.
Mi auguro arrivi in fretta, quel giorno.
«E’ tardi. Più tardi del solito» ammette, sollevandosi dal mio corpo stanco .
Lo trattengo, afferrandogli la schiena con le unghie. Mi riconnetto a lui ancora una volta, facendo sussultare i nostri bacini. Le voglie si appagano e le scuse cedono. Gemo, accarezzando i suoi capelli corti, che mi solleticano le dita. Ha una struttura così semplice e intrigante. Tende ad appoggiare la fronte sulla mia spalla, nascondendosi al mio sguardo. E’ imbarazzo? O un modo per sentirsi sicuro?
Per quanto mi ci impegni, c’è sempre qualcosa che mi sfugge.
«E’ okay» concedo. Mi serve tempo per comprenderlo meglio.
Sorride storto, inclinando la testa: non crede a ciò che sente, a quello che vede. Spero non ci faccia l’abitudine.
Senza opporre resistenza, ritorna a sfiorarmi le labbra, per poi scendere in luoghi privati e accessibili solo a lui. Arrivo alla conclusione che, infondo, tutto ciò che volevamo, era apprendere le reciproche debolezze:  io sognavo di farti vedere il crimine, e tu il perdono. Tu chiedevi  la chiave che sbloccava i miei sentimenti, ed io il macigno per sopprimerli.
Ero cieco, probabilmente lo sarò sempre.
La sveglia luminosa, posizionata sul comodino, indica che è il momento di tornare a casa. Alle famiglie, alle compagne e hai nostri doveri. Agli uomini che abbiamo lasciato fuori da questa stanza, e che possiedono i nostri stessi nomi. Ecco, ora sì che è veramente tardi.   
Ma noi, per una volta, rimaniamo fermi dove siamo.



Eccoci qui, spero che questo ibrido uscito dalla mia testa possa essere in qualche modo leggibile. Mi ci sono impegnata molto e prima di pubblicare ho letto e riletto, cercando sempre errori e frasi errate. Perdonatemi se trovere qualcosa che non va. Potete farmelo sapere tranquillamente, così che possa correggere e sistemare il tutto. Grazie di cuore a chi è arrivato fin qui e deciderà di darmi un parere. Incrocio le dita.
Pain.
  
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