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Autore: Francesca_3107    08/08/2014    21 recensioni
Lei, un'orfana, reduce da un passato spaventoso.
Lui, bello e ricco, con un presente tormentato.
~*
-Continua pure quello che stavi per fare- si pronunciò maliziosamente, rompendo il silenzio.
-E tu chi saresti?- gli domandai, coprendomi alla bell e meglio.
-Questa è più una domanda che dovrei fare io, non credi?- mi rispose, alzando un sopracciglio.
-Non rispondermi con un'altra domanda!- dissi stizzita.
-Perché non dovrei? È lecito porti questa domanda, sei in casa mia- fece avvicinandosi.
-Oh, quindi tu devi essere Leon- realizzai.
-Indovinato. E tu saresti, di grazia?- mi sorrise.
-Violetta, il nuovo acquisto dei tuoi- risposi sprezzante.
~*
Paring : Leonetta *-*
Il resto dei personaggi sono tutti nuovi, spero vi piaccia :)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Violetta
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
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Saalve a tutti! Scusatemi per l'imperdonabile ritardo.. Ho avuto dei problemi con la linea internet negli ultimi mesi a causa del trasloco, e quei cretini della telecom ci hanno messo tutto questo tempo per ripristinarla 😩
Sono felice che nonostante tutto questo tempo continuate a farvi sentire e seguire questa storia. Grazie davvero di cuore, e scusatemi ancora tanto! Credo che aggiornerò una volta a settimana, non ci sarà un giorno stabilito però.
Appena avrò un attimo risponderò a tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato nel capitolo precedente, grazie di cuore! Adesso vi lascio al capitolo, un bacio e alla prossima :*




Correvo, correvo, correvo. Non sapevo dove stavo andando, l'unico mio pensiero era quello di allontanarmi il più possibile da lui. Ma più correvo e più mi accorgevo di non avere scampo. Era sempre lì, alle mie spalle, mi stava raggiungendo. Incespicai nei miei stessi piedi, caddi a terra. Mi voltai indietro e lo vidi a pochi passi da me. Avevo una paura fottuta. Con gli occhi sbarrati, cercai d'indietreggiare      ma la mia schiena venne a contatto con un muro, freddo. Mi aveva nuovamente in pugno. Il terrore s'impadronì di me, completamente, lacrime iniziarono a rigarmi le guance, confondendosi con la pioggia. Eccolo lì, di fronte a me. Con quel suo sadico sorriso e quegli occhi castani, divertiti dalla situazione. Si accovacciò alla mia altezza prendendomi per i capelli, avvicinando le sue labbra al mio orecchio. 
-Perché scappi da me, zuccherino? Non farlo più. Ricordati che sei mia!-


Mi svegliai di soprassalto, urlando. La fronte imperlata di sudore, il battito accelerato, il sangue che mi pulsava in testa, il respiro corto. Lacrime calde sgorgavano ancora dai miei occhi. -Ehi-. Disse una voce. Sbarrai gli occhi, spaventata. Indietreggiai dal lato del letto, opposto alla provenienza della voce. Caddi con il sedere per terra, ma terrorizzata continuai ad indietreggiare fino a ritrovarmi con la schiena contro la parete. Guardai a desta e a sinistra cercando una -Violetta, calmati.- La voce continuava ad avvicinarsi. Intravidi una figura in piedi dinnanzi a me, si accovacciò e mi mise le mani sulle spalle. Cominciai a dimenarmi, volevo allontanarlo da me. Iniziai a sferrare calci, pugni. Il ragazzo senza volto mi bloccò i polsi e parlò. -Violetta calmati, sono Leon!- Esclamò, con sforzo nella voce. Immediatamente mi bloccai e realizzai dove mi trovavo. Focalizzai il viso di Leon, chino su di me. Ma c'era ancora qualcosa che non andava. Sentivo il cuore battere violentemente contro le costole, come se stesse per frantumarmele. Portai le mani al petto, stringendomi la maglietta. Cominciai ad ansimare, non riuscivo a respirare. -Ehi, che ti prende? Sta tranquilla.- Disse lui, con un velo di preoccupazione negli occhi. Mi prese le mani tra le sue. -Non riesco a respirare.- Boccheggiai, cercando di incamerare aria. -Si che ci riesci.- Rispose, mantenendo la calma. -Morirò.- Continuai, versando lacrime. -No che non morirai. Stai tranquilla, va tutto bene.- Disse lui, prendendomi il viso tra le mani. Le sue parole iniziarono a diventare ovattate, sentivo solo il suono del mio respiro corro, guardai il soffitto come a cercare aria. Non sentivo l'ossigeno arrivare ai polmoni e così, iniziai ad ansimare sempre più forte. -Ehi ehi, guarda me. Guarda me!- La voce di Leon tornò ad attirare la mia attenzione. Spostandomi il capo con le mani, cercò di farmi tornare a guardarlo negli occhi e così feci. -Guardami, va tutto bene. Capito? Tutto bene.- Mi accarezzò una guancia per tranquillizzarmi. -Calmati e respira.- M'incitò dolcemente. Provai ad ascoltarlo. Espirai ed inspirai, espirai ed inspirai, espirai ed inspirai. Lentamente sentii l'aria riempire nuovamente i polmoni. -Brava, così.- Si complimentò, senza abbandonare il mio viso. Lentamente riuscii a regolarizzare il respiro. -Va meglio adesso?- Mi domandò. Io annuii e lo abbracciai, continuando a piangere sulla sua spalla. Poco dopo, in silenzio, mi aiutò ad alzarmi da terra e ci stendemmo sul mio letto. Con la testa sul suo petto e lui che mi carezzava la testa, ancora sconvolta, mi addormentai.

-Perché mi odi?- Domandai di getto.
Alla mia domanda, stupito, voltò il capo nella mia direzione.
-Io non ti odio.- Sospirò, tornando a guardare il soffitto.
-Mi hai lasciata sola fuori scuola.-Continuai.
-Questo non significa che ti odii.- Rispose.
-Mi sono sentita come quella volta.- Ecco che iniziai a straparlare. L'alcool non aveva mai avuto un buon effetto su di me, ecco perché evitavo di bere il più delle volte.
-Quale volta?- Domandò incuriosito.
Lo sentii girarsi a guardarmi, mentre fissavo un punto indefinito sulla parete di fronte.
-Quella volta in terza elementare. La mia madre adottiva non venne a prendermi a scuola, ed io, seduta sul marciapiede, continuavo ad aspettare.- Gli rivelai d'improvviso, tornando a guardarlo.
Avevo ancora la mente annebbiata dall'alcool. Probabilmente, se fossi stata nelle mie piene facoltà mentali, questa conversazione non avrebbe avuto luogo. 
D'improvviso mi strinse tra le sue braccia e cominciò a depositarmi dei piccoli baci tra i capelli.
-Scusami. Non lo sapevo.- Lo sentii sussurrare tra i capelli.
Sciolsi la presa dal suo collo, per circondargli la vita, e nascondere il viso nel suo petto. Inspirai il suo profumo, sapeva incredibilmente di pulito. Tenendomi stretta a sé, si allontanò quel giusto per guardarmi negli occhi, dopodiché spostò lo sguardo sulla mia guancia destra. 
Con il pollice della mano sinistra, la sfiorò delicatamente, ma subito chiusi gli occhi e non riuscii a trattenere un mugolio di dolore. Il maledetto graffio, infertomi da quella sottospecie di barbie, faceva ancora male.
-Scusa.- Sussurrò, scostando la mano dal suo viso. 
-Non preoccuparti.- Risposi, accoccolandomi sul suo petto. 


Lentamente schiusi gli occhi, infastiditi dalla luce che filtrava dall'enorme finestra. Che strano sogno che avevo fatto.. Sembrava così reale, quasi come un ricordo. Mi voltai per vedere l'ora sul mio cellulare, erano le undici passate. Dovevo assolutamente alzarmi per andare a cercare un lavoro. Mi stiracchiai e sentii un corpo caldo al mio fianco. Voltandomi, vidi Leon che dormiva. Solo allora mi tornarono alla mente gli avvenimenti di quella notte. Gli incubi erano tornati a tormentarmi. Mi sollevai a sedere, poggiandomi con la schiena al poggiatesta del letto, portai le ginocchia al petto e poggiai il mento su di esse. Era inutile, il passato mi avrebbe perseguitato per sempre. Ero convita di esserne uscita, di averlo definitivamente accantonato, ma cose del genere non possono essere dimenticate. Come potevo essere stata così ingenua.. Angosciata, voltai il capo verso Leon. Dormiva ancora, cosa gli avrei detto se mi avesse fatto delle domande? Come vorrei poter tornare a dormire come lui, così beatamente. Scivolai sul letto, tornando a stendermi, senza distogliere lo sguardo dal suo viso rilassato. I capelli spettinati, illuminati dalla luce che entrava dalla finestra, insieme a quell'accenno di barba mattutino gli conferivano un'aria ribelle, completamente diversa dal suo solito apparire perfetto. Le palpebre chiuse, contornate dalle lunghe ciglia nere che sembravano disegnare delle piccole mezzelune sui suoi zigomi, nascondevano quel verde magnifico che contraddistingueva le sue iridi. Le labbra rosse erano semi dischiuse, conferendogli l'aria di un bambino. Mi era venuta la voglia di passargli le dita tra i capelli, ma non lo feci. Corrugò leggermente la fronte mentre gli occhi gli si erano riempiti di piccole pieghette, impercettibilmente mi avvolse la vita con un braccio e mi avvicinò a sé, stringendomi tra le braccia. M'irrigidii. Mentalmente lo pregavo di lasciarmi andare.. Strinsi fortissimo gli occhi e iniziai a trattenere il respiro. Il suo s'infrangeva caldo sul mio collo. Dovevo calmarmi, era soltanto Leon. Cominciai a ripetermi intesta di respirare ed inspirare regolarmente, lentamente mi calmai e mi lasciai andare a quella specie di abbraccio. Poggiai la testa sulla sua spalla, nell'incavo del collo, aveva un odore così buono. Ecco che i miei pensieri vennero interrotti dai suoi movimenti, stava strofinando il suo viso sul mio collo, le su labbra, il suo naso, mi fecero venire la pelle d'oca. Si bloccò improvvisamente, probabilmente accortosi di ciò che stava facendo, e mi allontanò dal suo abbraccio. Sentii inspiegabilmente freddo.. -Giorno- disse con la voce impastata dal sonno, mentre si stropicciava gli occhi. -Giorno- risposi io, continuando a guardarlo. -Posso farti una domanda?- Continuai. -Inizi già di prima mattina ad essere fastidiosa?- Sospirò, alzando gli occhi al cielo. -E tu invece? Sempre così simpatico?- Ribbattei, guardandolo di sbieco. -Allora? Questa domanda?- Sospirò, mettendosi su un fianco, rivolto verso di me. -Quella sera che ero ubriaca.. Dopo che mi hai portato a letto, abbiamo parlato di qualcosa?- Gli domandai titubante. Sentivo che quello che avevo fatto non era un sogno, era fin troppo reale, avevo bisogno di una conferma. Lui sgranò gli occhi sorpreso. -No, ti ho portato in stanza e sono subito tornato nella mia stanza- esclamò, voltandosi supino a guardare il soffitto. -Ah, ok.- Risposi incerta. Ok, allora era stato un sogno. Che strano. -Adesso te la faccio io una domanda.- Continuò lui, tornando a voltarsi verso di me. Lo incitai a chiedere, facendogli un cenno con la testa. -Cosa ti è preso stanotte?- Domandò aggrottando le sopracciglia. Sgranai gli occhi per la sorpresa. Mi ero completamente dimenticata.. E adesso cosa m'inventavo? -Nulla- gli risposi, drizzandomi a sedere, per poi scendere dal letto. -Quello non mi sembrava niente.- Continuò lui, drizzandosi a sedere e virgolettando con le mani il niente. -Ho detto che non era niente! Adesso, se permetti, dovrei uscire- quasi urlai, fermandomi sulla soglia della porta e aprendola, per invitarlo ad uscire. Lui rimase seduto sul letto fissandomi scettico, alzò un sopracciglio per poi sorridere scuotendo la testa. Si alzò senza fiatare, con ancora il sorriso sulle labbra, e mi si fermò difronte. - Woha calmati! Sei in quel periodo del mese?- sussurrò, prendendomi il mento tra le dita, per poi uscire dalla stanza. Chiusi la porta alle sue spalle e mi appoggiai ad essa tirando un sospiro di sollievo. Io e quel ragazzo non saremmo mai andati d'accordo, ne ero più che sicura. Ogni occasione era buona per infastidirmi, o dire sciocchezze. Poteva anche uscire dalla stanza senza ribattere nulla, ma non era assolutamente da lui. Doveva avere sempre l'ultima dannata parola! Scossi la testa per l'esasperazione e feci velocemente una doccia e mi vestii. La casa era stranamente silenziosa, così decisi di andare in cucina. Lí c'era Clotilde, la cuoca. -Giorno- la salutai sorridendo, aprendo il frigorifero. -Giorno, signorina Violetta.- Salutò lei, riverente. -Per favore chiamami solo Violetta.- Le dissi, versandomi il succo in un bicchiere. -Certo. Bhè, vuoi qualcosa da mangiare cara?- mi domandò gentile, con un dolce sorriso. -No, grazie.- Bevvi, il contenuto del bicchiere e lo posai nel lavello. -Oggi mangio fuori, ci vediamo più tardi. Buona giornata. - L'avvisai, mentre uscivo dalla cucina. -Ah, signorina.. Ehm, Violetta!- Mi richiamò, -I signori volevano che ti dicessi, che sono usciti con la bambina. La signora voleva premiarla per il bel voto a scuola.- Mi avvertì. Annuii sorridendole per tornare sui miei passi ed uscire. Fuori faceva abbastanza freddo, eravamo in pieno novembre, quindi fui costretta chiudermi per bene il giaccone. Erano ore che camminavo, al freddo, per la città alla ricerca di un lavoro, quando entrai in una caffetteria, che si trovava in una posizione strategica della stessa, poiché circondata da abitazioni e da un parco, dove i bambini andavano a giocare. All'interno, era molto grande, c'erano deliziosi tavolini in legno antico, che davano un aspetto rustico all'ambiente, c'era una grande vetrina dove erano disposti diversi tipi di dolci, infatti nell'aria aleggiava un aroma che faceva venire l'acquolina in bocca. Come luogo era molto frequentato, principalmente da famiglie e persone anziane, ma c'era anche qualche ragazzo della mia età, che si godeva un buon caffè. Dietro il grande bancone, sulla destra, era seduto un uomo sulla settantina che batteva gli scontrini. Mi avvicinai per chiedere informazioni sul lavoro. L'uomo aveva i capelli completamente bianchi, occhietti azzurrini, nascosti da un paio di occhiali da vista, aveva un espressione esasperata sul volto, invecchiato dall'età. -Salve, sono qui per un lavoro.- Cominciai a dire, attirando la sua attenzione. -Oh, salve signorina. Lei capita a fagiolo. Il ragazzo che lavorava qui si è appena licenziato e ha lasciato me e l'altra ragazza nei guai fino al collo! Può iniziare subito il suo giorno di prova. Io sono Abram, e lei é?- Disse tutto d'un fiato, guardandomi come se fossi la madonna. -Violetta.- Gli sorrisi, stringendogli la mano. -Bene Violetta, adesso chiamo l'altra ragazza e ti fai spiegare un po' come funziona qui.- Mi sorrise e attirò l'attenzione di una ragazza dai lunghi capelli castani, legati in un'alta coda di cavallo. Al richiamo del vecchio, lei si voltò e con mio grande stupore riconobbi Sam, indossava una camicia bianca, con un gilet nero, cravatta e pantalone dello stesso colore. Anche lei rimase scioccata alla mia vista e si avvicinò, disorientata. -Tesoro, lei è Violetta. È il suo giorno di prova, da oggi lavorerà con noi. Spiegale un po' quello che deve fare e dalle la divisa.- La informò Abram sorridendole. -Certo A.- Esclamò con un sorriso a trentadue denti. Mi fece cenno di seguirla in una porta, situata in un corridoio dietro il bancone, lo spogliatoio. Mi prese i vestiti e me li porse. -Che ci fai qui?- Mi domandò, mentre mi toglievo la giacca. -Lavoro.- Risposi ovvia, - tu piuttosto- Ribattei curiosa. Non riuscivo a capire, lei non era sfondata di soldi come Leon e Stef? -Lo stesso. Vabbè, io vado altrimenti non finiremo mai, appena sei pronta raggiungimi che ti spiego come funziona il tutto.- Disse facendomi un occhiolino, prima di uscire dallo spogliatoio. Accigliata, mi spogliai velocemente e indossai la divisa. Raggiunsi Sam e iniziai il mio primo giorno. Staccammo verso le sei, poiché altri due ragazzi ci vennero a dare il cambio. Finalmente avevo trovato un lavoro, e non dovevo chiedere soldi a Tom ed Emma, sarei tornata a cavarmela da sola come sempre. Una volta fuori dalla caffetteria un vento freddo mi entrò nelle ossa, così mi strinsi forte nella giacca. -Che freddo!- Esclamai, rivolta a Sam. -Già, sta arrivando l'inverno. Vuoi venire a casa? Ci mangiamo una pizza.- Mi invitò cercando qualcosa nella borsa, probabilmente le chiavi della macchina. -Certo!- Accettai, incamminandomi con lei verso l'auto. Dopo aver preso la pizza, giungemmo a casa di sua. Era una deliziosa villetta bianca, con ampie vetrate. Tutt'attorno era circondata da un giardino, ben curato, con alberi rigogliosi. Una volta entrate, ci dirigemmo in cucina per magiare tra chiacchiere e risate. Si era fatta circa mezzanotte e mentre guardavamo un film nel salotto, comodamente sedute su un divano in pelle nera, sentimmo la porta di casa aprirsi e chiudersi con un successivo tonfo. Mi voltai impaurita verso una Sam con gli occhi sgranati, che corse subito alla porta. Titubante la seguii, stava cercando di sollevare un uomo da terra. Subito mi ci affiancai e l'aiutai. L'uomo sembrava parecchio giovane, all'incirca poteva essere coetaneo a Tom, puzzava lontano un miglio di alcool. -Sam, amore.- Parlò l'uomo strascicando le parole. -Dimmi papà.- Rispose lei, mentre con fatica avanzavamo all'interno. Rimasi shoccata, quello era il padre di Sam? -Scusami tanto.- Continuò, sembrava sull'orlo di piangere. -Papà, ma che dici. Non ti devi scusare di nulla.- Rispose lei, con voce rotta. Mi si strinse il cuore. -Si invece, sono un pessimo padre.- Esclamò. Poi sembrò accorgersi di me, -ti prenderai cura della mia bambina vero? Lei ne ha tanto bisogno, io non ne sono capace-, mi guardò supplicante, strascicando le parole. Nel frattempo stavamo salendo le scale, che evidentemente portavano alle camere da letto. -Papà, per favore.- Lo riprese lei, trattenendo un singhiozzo. Non riuscivo a rendermi capace di come un uomo che amava così infinitamente sua figlia, si fosse ridotto in questo stato. -Si, non si preoccupi. Ci penserò io a Sam- dissi rivolgendogli un sorriso rassicurante. Lui ricambiò il sorriso e tornò a guardare a terra. Mi voltai verso Sam che, con le guance rigare dalle lacrime, mi fece un cenno di riconoscenza. Arrivammo in una camera matrimoniale e portammo il padre nel letto. Sam gli rimboccò le coperte e gli diede un bacio sulla fronte, lui era caduto addormentato. Uscimmo dalla stanza e tornammo sul divano. Sam era ancora scossa, guardava a terra, così le strinsi una delle mani che aveva posate sulle gambe. Al mio tocco sembrò riscuotersi e mi guardò negli occhi. -Da quando mia madre se ne è andata è così tutti i giorni. Non riesce proprio a farsene una ragione. Questo è il motivo per cui lavoro, lui ha perso il suo. È sempre per bar a bere. Certo, abbiamo il patrimonio di famiglia ma.. I soldi prima o poi finiranno e quindi c'è bisogno di qualcuno che lavori.- Mentre parlava, continuava a torturarsi le mani. -Leon e Stefan sanno di tutto questo?- Sospirai, incapace di trattenermi. Alla mia domanda sgranò gli occhi e si asciugò velocemente le lacrime con le mani. -No, e non devono saperlo!- scattò, portandosi le mani tra i capelli. -Sam, è questo il motivo del tuo allontanamento?- continuai, fingendo che non avesse detto nulla. -In parte.- Sospirò amareggiata. -Ma perché! Loro ti sarebbero potuti stare vicino, non ti saresti trovata ad affrontare tutto questo da sola!- Niente, più mi sforzavo più non riuscivo a capire. -Leon aveva appena perso sua madre. Non potevo chiedergli di farmi da baby sitter.- Mi rivelò, sconsolata, guardando un punto indefinito sulla parete difronte. -E Stefan?- Le chiesi aggrottando le sopracciglia, sforzandomi di capire. -Leon aveva bisogno di lui.- Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire una lacrima, che subito asciugò. -Sono passati anni, perché non gliene parli! Perché non gli dici il vero motivo.- Volevo convincerla, non poteva continuare così. Scosse lentamente il capo, continuando a guardare sulla parete difronte. -Qualunque sia la ragione non mi perdoneranno mai.- Affermò convinta. -Non è vero e lo sai anche tu. C'è qualcos'altro vero? Qualcosa che non mi hai detto-. Ne ero convinta. Leon e Stefan sarebbero stati felicissimi di perdonarla, si vedeva quanto soffrissero entrambi per la sua lontananza. Si voltò a guardarmi ed annuì con il capo, per poi passarsi le mani tra i capelli. -Si, ma non chiedermelo- supplicò in un sussurro. Rilasciai un sospiro e le strinsi una mano tra le mie. -Non te lo chiederò. Ma sappi che se me ne vorrai mai parlare, sarò felice di ascoltarti- -Grazie- sforzò un sorriso e mi abbracciò stretta. Le accarezzai la schiena per darle coraggio. -Per qualunque cosa io ci sono- Le dissi infine. Si allontanò dall'abbraccio e annuì con il capo, sorridendomi. Dopo poco si offrì di riaccompagnarmi a casa, nonostante i miei continui rifiuti, la salutai dicendole che ci saremmo riviste l'indomani a scuola. Non ero riuscita a parlarle di Josh. Entrai in casa cercando di fare il minimo rumore possibile, quando mi accorsi della luce accesa nel salotto. Mi venne in contro Emma, tutta assonnata e.. preoccupata? -Non ti rendi conto di che ore sono? Non hai avvisato, il telefono non era rintracciabile, mi hai fatto stare in pensiero! - Esclamò abbracciandomi. -Scusa. Ero con Sam e il cellulare si è scaricato- Mi giustificai accigliata. Non ero abituata a qualcuno che si preoccupasse così tanto per me. -Non preoccuparti, ma la prossima volta avvisa- disse dolcemente, con la fronte ancora aggrottata dalla preoccupazione, districandosi dall'abbraccio. Annuii e mi diressi sulle scale per giungere nella mia stanza. Arrivata alla porta, mi sentii prendere per un braccio e sbattere contro il muro. -È l'una passata, dove sei stata?- chiese, Leon, nervoso, posando le mani sul muro ai lati della mia testa. -Ehi sta' calmo. Comunque non penso siano affari che ti riguardino- dissi indignata per il suo atteggiamento, posandogli le mani sul petto per allontanarlo. -Stavi con quel cretino del tuo amichetto vero?- continuò, imperterrito, prendendomi i polsi e sbattendoli contro il muro ai lati della mia testa. Il suo sguardo non presagiva nulla di buono, il verde dei suoi occhi era diventato più scuro del solito. Dei brividi di paura cominciarono a salirmi lungo la spina dorsale, il battito del mio cuore stava accelerando. -Lasciami- Cercai di dire con un filo di voce. Le mie parole non lo dissuasero, anzi, aumentò la stretta sui miei polsi. Sbarrai gli occhi incredula, ero terrorizzata. Si avvicinò sempre di più al mio viso fino a posare le sue labbra sulle mie, che iniziò a muovere freneticamente. Vi picchiettò sopra con la lingua, cercando di dividerle, ma le serrai più forte negandogli l'accesso. Provai a divincolarmi, ma la presa sui miei polsi faceva sempre più male così, decisi di lasciarlo fare. Prese possesso della mia bocca, mentre io ancora rabbrividivo, e calde lacrime cominciarono a bagnarmi il viso. No! Perché mi stava facendo questo? Cosa gli avevo fatto di male?! Sembrò accorgersi del fatto che stavo piangendo e si scostò da me. Il suo sguardo non era più quello di prima, il verde delle sue iridi tornò al suo colore naturale. Come scottato, lasciò la presa sui miei polsi. Nei suoi occhi riuscivo a leggere smarrimento, provò ad aprir bocca ma io scappai sconvolta nella mi stanza, massaggiandomi i polsi doloranti. Mi buttai sul letto dando sfogo a tutte le mie lacrime. Cosa gli era preso? Perché Leon lo aveva fatto? Non potevo rivivere tutto di nuovo. Mi ero allontanata da Lui, da quei suoi occhi neri, bellissimi ma crudeli allo stesso tempo, proprio per evitare di continuare a vivere una situazione del genere. Adesso avevo paura che tutto ricominciasse, questa volta con protagonista Leon.

*

Il sole era alto nel cielo, dopo tre anni di reclusione potevo sentire nuovamente il calore dei suoi raggi sulla mia pelle, l'aria fredda di novembre mi scompigliava i capelli.  
Finalmente ero uscito dal carcere, una macchina mi aspettava dall'altra parte della strada. Mi affrettai a raggiungerla e salii dallo sportello del passeggero.
-Bentornato tra noi Connor- Mi salutò Jay, uno dei miei ragazzi.
-Dov'è lei- 
Avevo bisogno di saperlo. Il suo viso mi aveva tormentato tutte le notti, l'unica cosa alla quale mi ero aggrappato in questi ultimi tre anni.
-Dopo che sei andato in prigione i genitori adottivi l'hanno scaricata in un orfanotrofio. Da qualche mese è stata adottata legalmente da una famiglia di ricconi, i Vargas..-
-È ancora qui a Buenos Aires?- Lo interruppi. 
-Si- Mi confermò.
-Bene. Torniamo a Fuerte Apache, poi mi porterai da lei- 
Lui annuì e partì, lasciando alle nostre spalle la mia prigione.
-Mia dolce Violetta, a breve verrò a prenderti- sussurrai, un ghigno si fece largo sulle mie labbra. Pregustavo il momento in cui l'avrei riavuta con me.


  
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