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Autore: Shetani Bonaparte    08/08/2014    3 recensioni
Avete mai sognato di essere sulla USS Enterprise NCC-1701? Di incontrare Kirk e compagni?
Shetani sì.
Ma il suo, forse, non è solo un sogno...
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock, Un po' tutti | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTA DELL’AUTRICE:
Ciauz, gente.
Lo so, non mi conoscete, però… il fatto che voi leggiate volentieri le mie storie, che facciate commenti e critiche costruttive – a differenza dei miei genitori, che di mio non vogliono mai leggere niente, fanfiction o meno che sia – mi ha portata a fidarmi di voi.
Lo so, può risultare strano, e forse lo è.
Penso che possiate comprendere e apprezzare questa storia come nessun altro.
Questa storia è tratta da un mio sogno e contiene una piccola, grande parte di me, mi sembra ingiusto lasciarla marcire nella mia chiavetta USB, quindi l’ho ripresa in mano, correggendo la grammatica e approfondendo le mie emozioni. Probabilmente alcuni personaggi, in certi punti, potrebbero essere OOC, spero comunque non troppo, specie nella mia ‘prima’ conversazione con Spock, però era così che, secondo me, doveva andare.
La storia sarebbe una OS, però sarebbe stata troooooooooppooooo lunga, quindi l’ho frammentata.
Vi prego di trattarla con riguardo, questa mia storia, di non credermi una pazza – anche se un po’ lo sono, ma in fondo ognuno lo è un po’… ^^
Vi faccio un piccolo spoiler: non sono mai andata in coma, né ho mai avuto un incidente, era solo un pretesto per far durare di più il ‘sogno’.
Spero che vi piaccia perché, davvero, ci ho messo il cuore.
Un bacione,
Shetani
 
 
 
 
 
 
Mi accontento di sognare…
 
 
Capitolo I°
Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere.
[J.K. Rowling – Albus Silente in ‘Harry Potter e la Pietra Filosofale]
 
Si svegliò col corpo indolenzito e la vista offuscata.
Pian piano mise a fuoco il soffitto mentre udiva, sempre più distintamente, un lieve vociare e il ‘bip’ del bio-scanner.
Uhm.
Il soffitto non era quello di camera sua. E nemmeno quello di un luogo di sua conoscenza. Un luogo reale, per intenderci.
Si alzò e lo fece troppo in fretta, dato che ebbe un terribile capogiro e la voglia di vomitare.
Gli sembrava di essere ubriaca, eppure aveva solo diciassette anni e, beh, se non beveva acqua al massimo beveva succo di frutta o Coca Cola.
“Dannazione…” sospirò, guardandosi attorno.
L’Infermeria era vuota, ma sentiva della gente parlare in una stanza vicina.
Mi hanno drogata, pensò, oppure sono impazzita.
Si tastò il corpo e soffocò un urletto di dolore quando sfiorò le costole spezzate. Fortunatamente, guardando il bio-scanner, era quasi totalmente guarita.
Bene, si disse mentalmente, ora devo solo sapere come mai mi ritrovo qui.
“…dannazione, Jim! Quel dannato smista-molecole ci ha portato una ragazzina con gravi contusioni e fratture!”
“Ma tu l’hai guarita perfettamente!”
“Prima o poi ci scapperà il morto!”
“Il teletrasporto è cento volte più sicuro di ogni altro mezzo di trasport…”
“Non abbastanza!”
La ragazza non sapeva se esser lieta o meno della presenza di quei due individui da lei riconosciuti come il CMO Leonard Horatio McCoy e il Capitano James Tiberius Kirk. Di certo era felice di non esser sola e che ci fossero loro invece che dei totali sconosciuti, ma allo stesso tempo concretizzavano la sua idea di esser stata drogata o di esser impazzita.
Pensò che la cosa più logica da fare fosse far buon viso a ‘cattivo’ gioco e di indagare su quella situazione, sperando che quello fosse solo un sogno.
“Signorina! Stia giù, deve riposare per guarire perfettamente!” le ordinò secco McCoy ricacciandola sotto le coperte e prendendo subito nota dei suoi miglioramenti.
“Suvvia, Bones, più garbato!” lo riprese sorridendo il Capitano. “Signorina, sa dove si trova?”
Oh, che domande! Era ovvio che lo sapesse!
“Sulla USS Enterprise NCC-1701, una nave esplorativa della Flotta Stellare impegnata in una missione quinquennale, Capitano Kirk”
“Bene… è qui di sua spontanea volontà?”
“No. Non so perché io mi ritrovi qui, né che mi sia successo”
Era sempre stato il suo sogno da nerd, quello di incontrare l’equipaggio dell’Enterprise, ma ora parlava in maniera pratica, fredda, senza inutili espressioni di meraviglia. Era quasi impassibile, forse perché temeva che quello non fosse solo un fottuto sogno.
“Da come parla, non si direbbe che lei sia umana” commentò il CMO. Lei, capendo l’allusione, rispose con un semplice “Grazie”.
Gli occhi azzurri di lei si appuntarono sul dottore, setacciandone il viso, cercando qualsiasi cosa fosse fuori dall’ordinario – anche se lo era già l’aver davanti quel soggetto.
Niente di strano, era chi doveva essere.
“Come sono arrivata qui?”
“Non lo sappiamo di preciso, ma è stato uno strano errore del teletrasporto” rispose Kirk.
“Oh, perdonatemi la maleducazione, signori, il mio nome è Shetani Bonaparte!”
“James Kirk”
“Piacere, Leonard McCoy”
La stretta di mano del dottore era decisamente più salda e frettolosa di quella leggermente delicata del Capitano, ma entrambe diedero alla ragazza un senso di realtà terribile e magnifico allo steso tempo.
Si sentiva quasi smarrita, persa, si sentiva estranea in quel mondo che conosceva così bene, che amava più del proprio. Eppure si sentiva stranamente a casa, in famiglia.
Perché?
Perché passava il suo tempo libero a guardarsi le puntate della TOS? Perché questo fandom l’aveva catturata sin dal primo istante? Perché la mente visionaria di Roddenberry aveva creato questo luogo dove avrebbe potuto essere se stessa, totalmente, senza paura?
Peccato che questo sia solo un sogno e loro non siano mai veramente esistiti, pensò.
Già… peccato.
Avrebbe tanto voluto piangere, Shetani.
Perché suo padre la criticava pesantemente per le sue passioni, la prendeva in giro per i suoi numerosi fandom, perché si entusiasmava troppo per una scoperta scientifica. Perché ci aveva messo ben quattro anni ad ammettere a se stessa e agli altri di essere nerd, per fregarsene delle già pesanti prese in giro, per andarne fiera, in barba ai pregiudizi, ed era stato grazie a Star Trek.
Perché sin dalla prima media aveva finto delle cotte per dei ragazzi, perché solo ora aveva ammesso di essersi sempre infatuata di ragazze, aveva ammesso di amare da ben due anni la propria migliore amica. Perché quel suo Amore non era corrisposto.
Perché si rendeva conto di essere una storia triste: non avrebbe mai potuto parlarne con qualcuno liberamente, all’infuori dell’Enterprise, e l’Enterprise era solo un sogno.
Da quando la fantasia è più vivibile della realtà? Ecco la domanda che le si stagliò in mente, di soppiatto, crudelmente. E altrettanto atrocemente le sovvenne la risposta: da sempre.
Si impose di distogliersi da quei pensieri, di godersi quel sogno lucido, quell’avventura che, chissà, forse l’avrebbe fatta star meglio.
“Tutto bene?” le chiese il Capitano.
“Sì”
Ma il biondo conosceva quella menzogna, la conosceva perfettamente, e con dolorosa astuzia intravide un’ombra, in quegli occhi azzurri, l’ombra di un Amore non corrisposto.
Le carezzò i corti e castani capelli, le sorrise dolcemente e poi fu richiamato in plancia.
Poco dopo fu lasciata sola.
E guardò quel fumetto di Deadpool, quel fumetto che la sua amata le aveva regalato.
Per proteggerlo aveva privato della propria busta un fumetto vintage degli anni ’50 e questo significava che ci teneva davvero tanto. Ma lei non lo avrebbe mai saputo, mai.
E così quel suo Amore non corrisposto sarebbe rimasto intatto come quel fumetto, chiuso tristemente in una busta, nella sua personale collezione di cocenti dolori…
 
Avrebbe dovuto esser felice, avrebbe dovuto godersi quel semplice sogno.
Ma le ore passavano e il pessimo umore con il quale s’era svegliata prima di trovarsi lì non accennava a passare, anzi.
E la convinzione che quello fosse un sogno le scivolava via come sabbia tra le dita, perché no, dannazione, nei sogni non si dovrebbero avere quei tristi pensieri, non si dovrebbe star male, non si dovrebbe aver paura di svegliarsi e di ritrovarsi nella solita, orrenda, realtà.
Avrebbe dovuto parlarne, probabilmente, ma non era nella sua natura farlo.
Non era nella sua natura… o forse non aveva mai trovato qualcuno con cui farlo?
Forse erano entrambe le cose.
Forse era lei che s’illudeva, che fuggiva dai problemi senza ritegno. ‘Se cominci a scappare, non ti fermi più’ aveva detto Steve Rogers in Capitan America – il Primo Vendicatore.
Beh, lei aveva cominciato anni prima.
Forse avrebbe dovuto mollare tutto, abbandonare quei mondi, quei personaggi, forse avrebbe dovuto dimenticare i loro insegnamenti e andare avanti imparando da sola. Forse avrebbe dovuto sopportare le pene dell’Inferno a vita, ma almeno avrebbe imparato a vivere per davvero.
Sì, forse avrebbe dovuto.
Ma le sovvenne alla mente una frase di Penny di The Big Bang Theory: ‘È ciò che ami che ti rende chi sei’.
Avrebbe dunque dovuto smetter di essere se stessa?
Probabile.
Seduta nella Sala d’Osservazione, ammirò l’Universo, lo Spazio Profondo, ed era così maledettamente vicino, a ricordarle le sue notti in bianco, a piangere, a cercare Asgard tra le stelle, sognando sul suo Dio preferito, il bugiardo Loki.
Non ne aveva mai avuto il desiderio, ma ora la tentazione di farsi una bevuta con Scotty e magari Bones la sfiorò. Ma no, non lo avrebbe mai fatto, non si sarebbe ridotta come si riduceva suo padre anni prima, rovinandole l’infanzia, obbligandola a difendersi attaccandosi con disperazione a fumetti, cartoni, manga, anime e serie tv.
Ma che cazzo di pensieri faccio? si disse, dovrei smetterla.
Meditabonda com’era, non si accorse dell’uomo al suo fianco.
Sinceramente parlando, Spock era sorpreso di trovare la Sala d’Osservazione così vuota ma ciò gli offrì l’opportunità di soddisfare la propria curiosità.
Quella giovane donna lo incuriosiva come pochi umani sapevano fare: da dove veniva? Come mai il bio-scanner diceva che era nata il diciotto maggio del 1997? Come era possibile? Che venisse da un universo parallelo?
Questa ipotesi sembrava la più valida, dato che qualche periodo prima il Capitano, Uhura, Scotty e McCoy si erano ritrovati in quello che avevano battezzato come ‘Universo Specchio’.
Ma era solo una teoria, e lui voleva delle prove a riguardo.
“La disturbo, signorina Bonaparte?”
Lei si voltò di scatto, obbligandosi a sorridere.
“No, signor Spock, e la prego, mi chiami Shetani”
Il vulcaniano si sedette al tavolino con lei notando i suoi pochi effetti personali: un fumetto imbustato di un certo Deadpool, un astuccio e un quadernetto di fogli da disegno.
Quest’ultimo attirò la sua attenzione.
“Posso?”
“Faccia pure”
Il Primo Ufficiale sfogliò le pagine una ad una ed esse eran colme di disegni.
Disegni di draghi, di creature mitologiche d’ogni tipo, specialmente nordiche, di svariati cartoni animati, vi eran pagine di schizzi in bianco e nero dall’aria tetra e triste, altri macabri, disegni su creepypasta e zombie, di paesaggi meravigliosi, occhi piangenti, qualche appunto sulla lingua vulcaniana e sull’alfabeto klingoniano, disegni su svariati personaggi di fantasia appartenenti, ad esempio, al The Lion Kingi, Harry Potter e molti altri, rappresentazioni di personaggi di opere classiche come Il Barone Rampante di Calvino o Narciso e Boccadoro di Hesse, spesso sulla Divina Commedia di Dante, supereroi Marvel, specialmente Deadpool e Spider-man.
In quel quadernetto v’erano i mondi in cui si destreggiava la fantasia di Shetani e in particolar modo balzavano agli occhi di Spock i disegni che riguardavano lui e il resto dell’equipaggio dell’Enterprise e l’Enterprise stessa, riprodotti con fedeltà e dedizione.
“Le faccio i miei complimenti, sono disegni alquanto gradevoli”
“La ringrazio, signor Spock”
Calò un silenzio di tomba finché Spock non terminò di guardare quei disegni, poi parlò.
“Potrei chiederle alcune informazioni sulle sue origini?”
“Sì. Io vengo dalla Terra, da quanto ricordo, prima di trovarmi qui era il primo agosto 2014, stavo andando a cena con i miei genitori, mi sono addormentata e… ed eccomi qui”
“Teorizzo che tu venga da un universo parallelo”
“Dopo aver scartato la teoria del sogno, lo penso anche io: dalle mie parti, lei e gli altri fate parte di una serie televisiva degli anni sessanta intitolata Star Trek”
“Come mai ha scartato l’idea del sogno?”
“Beh…” disse lei; sembrava in difficoltà. “So che è illogico rispondere ad una domanda con un'altra domanda ma… come si sente lei, figlio di due mondi, se posso permettermi?”
“Non è nella mia natura parlarne”
“Lo so. Siamo sulla stessa barca: non è nemmeno nella mia natura perché mi sento come si sente lei”
Già.
Divisa a metà. Discriminata per uno ‘svantaggio’ che in realtà svantaggio non era. Inacettata.
“Capisco”
“Lei è l’unico a poterlo fare, temo, tranne forse…”
“Tranne forse il Capitano”
“Esatto”
Tacquero, meditabondi, mentre dinanzi a loro sfrecciava lo Spazio Profondo.
“Sa, se questo è per davvero un sogno, vorrei viverci…”
“In caso sia un suo sogno, le dico che è illogico viverci in quanto la realtà, prima o poi, va affrontata. In caso contrario, invece, io non le posso offrire un aiuto, ma il Capitano sarà lieto di farlo”
“Sempre pronto a dedicarsi agli altri, eh?” sorrise Shetani.
Poi tutto tacque.
  
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