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Autore: LuckyStriker    11/08/2014    1 recensioni
Angelica, c'è ben poco da dire su di lei, a raccontare di lei sarà la sua storia; dopo la morte di sua madre, un biglietto dal passato gli cambierà per sempre la sua vita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non volevo entrare in quella stanza. Entrarci voleva dire andare in contro alla realtà e, la realtà, non mi piaceva.
La puzza di ammoniaca e disinfettante mi bruciava nelle narici. Attorcigliavo, nervosa, l’indice della mano destra con l’estremità del mio vestito. Nero. A quei tempi credevo fosse il colore che mi si addicesse di più.

Appena il tempo di dare l’ultimo  morso al mio labbro inferiore, che l’infermiere uscì dalla stanza e con cortesia ci fece cenno di entrare. Così io e mio nonno lasciammo quel corridoio freddo e bianco che chiamavano ‘ sala d’attesa’.
La stanza era luminosa, piena di rose ed era di colore arancione. Le rose erano i suoi fiori preferiti. Lei stessa profumava di rose, infatti, credetti fino ad una certa età che loro profumassero di lei e non viceversa. Davanti a me c’era un piccolo divano e, alla mia destra, una scrivania con poggiato sopra la televisione. Quest ultima era accesa su un programma di musica. Di fronte ad questa, quindi, un letto lungo e ingombrante, da cui partiva un filo che conduceva ad un telecomando, per regolare la postura dello schienale. Accanto al lettone c’era un piccolo comodino su cui era posto un libro.
Stavo appositamente evitando di alzare lo sguardo. Mi illudevo che finche non avrei visto con i miei occhi la verità, essa non si sarebbe manifestata.

Ma ormai era inutile cercare di sfuggirle.

 Alzai lo sguardo e con quei suoi occhi da cerbiatto, neri come la pece, mi disse – Ciao micetta come stai? – e mi sorrise con quei suoi denti bianchi e dritti che avevo sempre invidiato. Repressi immediatamente una lacrima e gli sorrisi – abbastanza bene mamma. E tu? -.
-Me la cavo - e mi sorrise di nuovo. Non te la stai cavando pensai. Era dimagrita molto: gli si vedevano le vene, aveva perso quel colorito bronzeo di cui si faceva sempre vanto per lasciare posto a un bianco scarlatto e la sua folta, lunga, chioma nera era stata sostituita da piccoli pelucchi grigi che sarebbero cascati da li a poco.
- e tu papà?- rivolgendosi, gentile, al nonno. Lui era distrutto, ma faceva del suo meglio per non darlo a vedere – sto bene tesoro. La mamma ti porta tanti saluti. Non… - e si interruppe lasciando aleggiare nell’aria il resto della frase. Sapevamo entrambe cosa stava per dire il nonno: la nonna aveva provato a venire due o tre volte ma, quando entrava cadeva in un pianto isterico che cessava solo quando era ora di andare. – non preoccuparti papà, mandale un bacio-.
Mi accorsi che l’infermiere che c’aveva fatto entrare non era piu’ presente quando un dottore fece il suo ingresso nella stanza. – Buon giorno a tutti, buon giorno Monica, come ti senti oggi? – si rivolse alla paziente, cordiale.
-Sto bene, grazie- gli sorrise mia madre.

Il dottore prese la cartella clinica inserita sul bordo del letto, si schiari la voce – come già sapete, Monica ha un tumore primario, un Glioma. Esso si sviluppa dalle cellule di supporto per il sistema nervoso centrale deputate a svolgere importanti funzioni, come per esempio produrre la mielina, la sostanza bianca che riveste i nervi permettendo che l'impulso nervoso si trasmetta.  Esso si è esteso ricoprendo gran parte del cervello  …potremmo continuare con la terapia e fare tutto il necessario perché tu possa vivere il piu’ a lungo possibile…- mia madre alzò la mano, per zittirlo, a essa era attaccata una flebo. Trasformò il suo dolce sguardo in un velo di serietà e consapevolezza – quanto mi rimane, nel caso io decidessi di cessare le cure? –. Il dottore abbassò lo sguardo e lo rivolse a noi – con le cure, un mese, forse poco piu’. Senza cure, due settimane- concluse. Mio nonno cercò il divano per non svenire. Strinsi i pugni fino a sentire il lieve fastidio delle unghie conficcate nel palmo. – Come sarebbe rifiutare le cure?- Ero incredula. Mia madre si era sempre attaccata alla vita come una mosca su una lecca-lecca. Lei mi volse il uno sguardo accigliato – come pensi che vivrei con le cure? Passerei il resto dei mie giorni nell’ospedale -.
-si ma vivresti piu’ a lungo – risposi determinata.
- E per cosa? Posso vedervi solo per poche ore al giorno, la tv avrà al massimo 7 canali e, le infermiere, mi guardano sempre con gran compassione, cosa che odio. Mi rimangono comunque poche settimane. Preferisco farmi due settimane con la mia gente, invece di passare i miei ultimi giorni rinchiusa qui -.
La mamma aveva ragione e, il nonno dietro di me, cupo, l’aveva capito. Non mi arresi, tentai un ultima volta – io e il nonno potremmo dormire qui ogni tanto e la nonna… - mi interruppe – Mi dispiace, Angelica, ormai ho deciso così.
 
--
 
Le due settimane passarono in un soffio, forse perché mi illusi che il giorno non sarebbe mai arrivato. Me ne resi conto quando, un sera, dopo essere tornati a casa dei nonni, mia madre si sdraio sul letto matrimoniale e non si svegliò piu’.
Il funerale fu’ la parte peggiore. Parenti, amici, nemici pentiti si sono riuniti intorno alla bara di mia madre quel giorno. Le condoglianze furono molte e mi domandai se fosse davvero cortese ricordarti minuto per minuto che tua madre è morta. No, non lo era. Mi ripromisi che non avrei piu’ fatto le condoglianze.
 
 
 3 anni piu’ tardi...
 
Il beep beep insopportabile della sveglia suonò puntale e, con uno scatto mi alzai per dare una manata sull’ orologio. Mi strofinai gli occhi mentre giravo le gambe verso il bordo del letto piu’ vicino alla porta. Sbadigliai e mi alzai.
Feci un quarto di giro e mi specchiai: i calzettoni bianchi mi facevano i piedi enormi e i capelli biondi, arruffati non ne volevano sapere di andare a scuola.
Sbuffai e mi diressi verso la cucina dove la nonna aveva lasciato la colazione. Ogni mattina, si alzava, la preparava e ritornava a dormire, innumerevoli sono le volte in cui gli ho detto che potevo benissimo prepararla con le mie mani. Lei mi sorrideva gentile e mi diceva – e allora a cosa serve una nonna? -. Credo che in realtà si senta in colpa per non esserci stata quando doveva e, quindi cerchi di rimediare ‘ a rate ‘.
Mangiai in fretta un cornetto con la nutella e un caffè latte e mi diressi su in bagno a lavarmi.
 Pronta per uscire guardai la cassetta della posta e trovai una lettera strana dalle solite. Era gialla, sembrava vecchia ed era stropicciata. La presi, era ruvida. Era quadrata e piegata in due. La aprii e i miei occhi si spalancarono oltre il normale, la pupille mi si dilatavano.

 Quel giorno non sarei andata a scuola. 
   
 
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