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Autore: DreamerCris    13/08/2014    1 recensioni
Una notte di pura follia, un gioco erotico fatto di sguardi, di silenzi, di parole, trasgressione e sussurri dell'anima. Il donarsi è totale in quella danza senza ipocrisia. Parlano i silenzi ballano i SENSI. In una solo una notte dove tutto è lecito senza inibizioni. (...) Una forte stretta uno struggente abbraccio l'uno dell'altro. Prima di riprenderci i corpi e andarcene via così.... con un addio.
Io eternamente parte di te
Tu eternamente parte di me.
- Silvana Stremiz
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Beau Brooks, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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YEAR 2012

- Per quanto continuerà a piovere così?! – chiese mia madre esasperata mentre mio padre continuava a guidare. 
I tergicristalli si muovevano a destra e a sinistra a velocità elevata ed io non riuscivo a fare a meno di guardarli, annoiata com’ero da quella situazione.
- Spero che smetta almeno un po’, non riesco nemmeno a vedere la strada! – rispose mio padre strizzando gli occhi.
- Abbiamo scelto proprio il periodo adatto per andare al mare! – dissi sarcastica, una cuffietta nell’orecchio e la smorfia di chi vuole sempre avere ragione.
- Whitney, siamo in pieno agosto, come potevamo prevedere che sarebbe scoppiato il diluvio universale! Tesoro, so bene che l’idea di andare in vacanza con mamma e papà non ti alletta particolarmente, ma fidati, sarà divertente! – disse mia madre con la testa leggermente girata a guardarmi.
Io sbuffai, divertente diceva, che cosa poteva esserci di divertente nel restarsene per una settimana al mare con i propri genitori senza neanche avere la sicurezza di riuscire a trovarsi degli amici? Assolutamente niente.
E intanto pioveva ancora, l’acqua picchiettava sui finestrini e sul tettuccio dell’auto producendo un fortissimo rumore che quasi mi impediva di riuscire a sentire la musica.
Come se non bastasse, al disagio della pioggia si aggiunse quello di un incidente, che costrinse tutte le auto a fermarsi e ad ordinarsi in una lunga coda.
- Cazzo, non ci voleva! – imprecò mio padre, come suo solito – Non arriveremo mai in quel fottutissimo albergo! -.
Scoppiai a ridere, mi aveva sempre divertito vederlo sbottare a causa del traffico.
- Dai George, non cominciare! Che sarà mai, una piccola interruzione nella nostra avventura famigliare!-  mia madre era l’unica esaltata per questa vacanza di famiglia.
Mio padre sospirò e poi impostò la guida automatica, prese la copia del Times che teneva nel cassetto dell’auto e iniziò a leggere.
Sbuffai per la seconda volta e mi resi conto che non era neanche iniziata la vacanza e già mi stavo annoiando tantissimo.
Nessuno a parte mia madre voleva partire per questa “avventura famigliare”: mio padre aveva il lavoro e le partite di golf, io avevo i miei amici e la mia passione per i concerti.
Ultimamente la nostra famiglia aveva subito molti colpi: mia madre era rimasta incinta, ma aveva perso il bambino al quarto mese e dopo neanche due settimane mia nonna era morta. La nonna era una figura importantissima per noi, era sempre a casa nostra e ci aiutava in tutto, e da quando non c’era più la casa non era più la stessa. Avevamo iniziato ad andare da una terapista per famiglie dopo l’aborto ed era stata proprio lei, la dottoressa Andrews, a consigliarci di fare una vacanza tutti insieme per recuperare i bei momenti che sembravano ormai seppelliti.
Guardai fuori dal finestrino con entrambe le cuffiette nelle orecchie, riuscivo a mala pena a distinguere il nero dell’asfalto con il nero del cielo che continuava a sputarci addosso acqua, eravamo completamente fermi e riuscivo a tratti a vedere le persone dentro l’automobile accanto alla nostra.
Riuscii a scorgere un ragazzo alla guida, aveva un cappellino con la visiera piatta e una canottiera grigia, ma la pioggia era troppo forte per riuscire a vedere altro; passai al sedile posteriore, c’erano tre ragazzi forse della mia età, 16 anni, uno di loro si girò proprio nel momento esatto in cui lo stavo guardando e mi fece la linguaccia. Io arrossii immediatamente e abbassai lo sguardo, era carino, scoppiai a ridere e mia madre se ne accorse:
- Perché ridi? – chiese con voce sospetta.
- Ehm – farfugliai – E’ partita una canzone sull’iPhone che mi ricorda una cosa divertente che ho fatto con … Herrietta -.
Mia madre ci credette ed io tornai a guardare fuori, nella macchina di quei quattro ragazzi, no aspetta, erano cinque! Stavano cantando e registrando un video in quel momento, da quello che riuscivo a vedere. Stare nella loro auto doveva essere mille volte più divertente di stare nella mia, pensai mentre mi tiravo su il cappuccio della felpa stando attenta a non rovinarmi la pettinatura.
Erano passati circa tre quarti d’ora quando un poliziotto completamente zuppo d’acqua venne a bussare al nostro finestrino, mio padre abbassò il vetro per sentire che cosa aveva da dire:
- Agente, mi dica –.
Il poliziotto iniziò a parlare mentre la manica sinistra di mio padre si inzuppava d’acqua:
- La strada non si libererà prima di domattina, vi conviene cercarvi un posto dove passare la notte. So che c’è un motel a cento metri da qui, potete lasciare l’auto e andare a ripararvi lì – detto questo si spostò all’auto di fianco alla nostra.
- Porca troia! Non ci bastava la pioggia e l’ora sprecata in fila, ora dobbiamo anche andare a dormire in uno squallido motel vista autostrada! Bello schifo! – mio padre iniziò a sbraitare e mia madre, come sempre, a tranquillizzarlo, ma io ero troppo distratta per ascoltare.
Il ragazzo alla guida dell’auto di fianco alla nostra aveva appena tirato giù il finestrino per parlare con il poliziotto ed io ero riuscita a vederlo in faccia, era molto, molto, molto bello.
- Whitney? – mia madre mi costrinse a tornare alla realtà – Hai sentito quello che abbiamo detto? – continuò lei ed io scossi il capo.
- Adesso scendiamo, prendiamo le valigie e corriamo al motel, quindi metti via il cellulare e le cuffiette e muoviti! – mi istruì ed io non potei fare a meno di fare come mi aveva detto.
Misi tutto in tasca, contai fino a tre e spalancai la portiera dell’auto lasciandomi inondare d’acqua, iniziai ad urlare e notai che i cinque ragazzi mi stavano guardando e stavano ridendo di me.
Continuavo a strillare come una deficiente, e ripetevo le stesse cose velocemente:
- Freddo, freddo, freddo, cazzo, cazzo, cazzo! -.
Aprii il portabagagli, presi la mia valigia e iniziai a fare lo slalom fra le auto, maledicendomi per aver portato così tanti vestiti. Sentii delle portiere aprirsi e gente urlare, avevamo dato via ad una vera e propria fuga verso il motel.
Non vedevo niente, la pioggia colpiva il mio viso con forza ed i miei capelli erano appiccicati alla fronte; con la mano libera li spostavo in continuazione, sentivo la tinta colarmi sui vestiti zuppi.
- Il poliziotto aveva detto cento metri, giusto? – urlai ai miei genitori.
- Sì, aspetta, mi sembra di vedere una scritta rossa, forse è quello! – gridò mia madre di rimando, mio padre era troppo incazzato per riuscire a parlare.
Mi strizzai gli occhi e tentai di riconoscere le lettere della scritta in rosso:
M O T E L.
- Ci siamo! – dissi e continuai a correre sul ciglio della strada trascinando la mia valigia.
Il motel era proprio come me l’ero immaginata: parecchio fatiscente, vuoto e sporco. La scritta rossa pendeva storta da un ramo e le scale per salire alle stanze erano esterne.
Io ed i miei genitori varcammo la soglia della hall, ma nessuno ci venne in contro per darci il benvenuto.
- C’è nessuno? – chiese mia madre guardandosi in giro.
All’improvviso un uomo sulla settantina si alzò da sotto il bancone, sbadigliò senza mettersi la mano davanti alla bocca e poi disse, con un forte accento texano:
- Ha bisogno? -.
- Sì, vorremmo una stanza per tre, una notte – disse mia madre.
- Quante ore? – chiese lui ed i miei genitori si guardarono spalancando gli occhi – Sì, qui le stanze si prendono a ore – disse l’uomo.
Fantastico, eravamo finiti in un motel per incontri di sesso a pagamento, bello schifo.
- Ehm, faccia 24 ore e non se ne parla più - disse mio padre allungandogli la carta di credito, che quello prese immediatamente.
Una volta effettuato il pagamento ci diede le chiavi e ci indirizzò verso la camera; per raggiungerla dovevamo prendere la scala all’esterno del motel.
Eravamo sulla scala quando sentii delle risate provenire dalla strada poco più in là, mi girai incuriosita e riconobbi i cinque ragazzi dell’auto accanto alla nostra: stavano entrando nel motel. Non sapevo perché, ma questa cosa mi aveva fatto sorridere; ero contenta che avremmo dormito nello stesso posto, non che avessi mai pensato che sarebbe potuto accadere qualcosa di particolare fra me e loro.
Il ragazzo che un’ora prima mi aveva fatto la linguaccia si accorse che li stavo guardando e mi salutò, io ero ancora più imbarazzata di prima, alzai una mano e lo salutai senza neanche guardarlo negli occhi.
Era abbastanza alto, capelli neri, cappellino e una faccia simpatica.
- Whitney, entra in camera, devi cambiarti o ti prenderai una polmonite! – mia madre mi chiamava, così entrai nella stanza mentre quei cinque ragazzi continuavano a salutarmi e a cercare di attirare la mia attenzione.
Entrai in quel tugurio che chiamavano stanza e quasi mi venne da vomitare: c’era un odore terribile.
Mia madre prese il suo deodorante e lo spruzzò ovunque, mio padre si mise a sedere sul letto e sospirò:
- Speriamo di non prenderci qualche malattia – detto questo si sdraiò e si mise a dormire.
- Sono le otto di sera, non ho voglia di dormire, ho fame! – dissi a mia madre mentre rimanevo in piedi nel centro della stanza a gocciolare.
- Tesoro, tuo padre era molto stanco, non si è neanche cambiato i vestiti bagnati prima di addormentarsi. Se vuoi possiamo andare a vedere che cosa ci danno di buono da mangiare – mia madre era una scocciatura, ma certe volte sapeva essere dolce quanto bastava per trasformare una situazione terribile in un’esperienza carina.
Io annuii e lei mi sorrise.
- Però prima cambiati! – disse ed io seguii il suo consiglio.
Mi guardai nel lungo specchio appannato che stava dentro l’armadio: trucco sbavato, capelli piatti, felpa e pantaloni completamente bagnati, avevo proprio bisogno di sistemarmi.
Scelsi una maglietta nera a maniche corte che faceva risaltare i miei capelli azzurro cielo, dei jeans leggermente strappati ed il mio paio preferito di Supra; cambiai il piercing all’orecchio destro e mi truccai leggermente. Fortunatamente avevamo portato un phon, quindi mi diedi una sistemata ai capelli, pettinandoli come al solito, tutti in piedi; la fortuna di avere i capelli corti era che potevo asciugarli in tempo record, senza perderci intere serate.
Intanto mia madre si era asciugata e cambiata, prendemmo due ombrellini che ci eravamo portate dietro in caso di evenienza e uscimmo per raggiungere la hall.
- Ho notato che ci sono dei ragazzi della tua età – disse mia madre riferendosi ai cinque dell’auto accanto alla nostra.
Arrossii leggermente, non ero mai stata brava nel parlare a mia madre di ragazzi: quando mi piaceva qualcuno tendevo a nasconderglielo. Avevo avuto in tutto un ragazzo alle scuole medie, ma non era stato niente di straordinario, semplicemente mi aveva baciata al ballo della scuola e poi era sparito per tutta l’estate. Poi ero andata al liceo e lì tutto era diverso, io e le mie quattro migliori amiche facevamo parte delle poche ragazze ancora vergini dell’istituto e avevamo tutte solo sedici anni.
- Sì, ho visto anche io – mugugnai mentre entravamo nella stanza adibita a sala da pranzo.
Ci sedemmo ad un tavolo e ordinammo da mangiare sperando di non morire avvelenate.
Chiacchierammo del più e del meno come non facevamo da molto tempo ormai, fino a quando non vedemmo arrivare un gruppo di ragazzi e ragazze che si sedettero al tavolo accanto al nostro.
C’erano anche i cinque dell’auto accanto alla nostra.
Mi soffermai a guardarli uno per uno, due erano gemelli, il più grande doveva essere quello con gli occhi verdi; erano in compagnia di due ragazze molto carine, dovevano averle conosciute nel motel perché non erano con loro prima.
Uno dei due gemelli vide che li stavo guardando e mi sorrise facendomi cenno di avvicinarmi, mia madre se ne accorse e mi sorrise:
- Vuoi andare da loro? – chiese salvandomi dall’imbarazzo di chiederle se potevo andare.
Annuii sospirando.
- Sicura che non è un problema per te? – domandai preoccupata, ma lei scosse la testa.
- Abbiamo una settimana intera per passare del tempo insieme, và pure! – disse ed io le fui infinitamente grata.
Mi alzai dal tavolo e rischiai di inciampare nella mia stessa sedia, i ragazzi e le ragazze soffocarono una risatina; quando fui abbastanza vicina al loro tavolo mi presentai:
- Ciao, io sono Whitney -.
Tutti mi sorrisero e poi iniziarono a dirmi i loro nomi: il ragazzo che mi aveva fatto la linguaccia si chiamava Daniel, poi c’erano i due gemelli Luke e Jai, il più alto e un po’ cicciottello era James, il ragazzo che stava alla guida Beau e le due ragazze Kendall e Helena.
Mi sedetti insieme a loro e poco dopo mia madre lasciò la sala e mi salutò dicendomi:
- All’una devi essere in camera, ti voglio bene -.
Tutti scoppiarono a ridere.
- All’una a nanna piccolina! – mi prese in giro Beau.
- Penso che me ne andrò via prima – dissi con ironia – Non siete alla mia altezza! – risi e loro con me.
- Ma sentila! – disse Helena.
Quest’ultima era una ragazza stupenda: era bionda, aveva i capelli lunghi e mossi, gli occhi marroni e un piercing al naso.
- Di dove siete? – chiese Kendall, che messa a confronto con la sua amica era un po’ più insignificante.
- Australia! – urlarono tutti insieme i ragazzi e iniziarono a fare versi stupidi.
- E tu? – mi chiese Jai.
- Los Angeles – risposi sorridendo.
- Sti cazzi! – fece Beau.
- E come mai sei qui in Texas? C’è un clima migliore ad L.A, o sbaglio? – chiese James, ma io non avevo voglia di raccontargli la storia della mia vita, così risposi solo:
- Vacanza -.
- E voi ragazze di dove siete? – domandai a Kendall e a Helena.
- Houston, stiamo tornando a casa da un viaggio di famiglia – mi rispose la bionda sorridendo.
Restammo un po’ al tavolo a cazzeggiare, ordinammo degli hot - dog, patatine fritte e della coca-cola.
- Quanti anni avete? – chiesi io e le ragazze mi risposero subito.
Kendall aveva quattordici anni ed Helena 18.
- Io, Luke e Daniel abbiamo diciassette anni – disse Jai – E James ne ha sedici, mentre Beau … - fu interrotto.
- Quanti anni mi dai? – mi chiese Beau ed io arrossii.
- Non sono brava con l’età delle persone – farfugliai facendoli ridere.
- Va bene, ho diciannove anni – notai che Helena stava sorridendo.
- Tu quanti anni hai?- mi chiese James.
- Sedici – dissi guardando prima Beau e poi Helena, c’era qualcosa che non mi convinceva in lei.
Eravamo dentro quella sala da un’oretta ormai, quando il proprietario ci venne a dire che dovevamo andarcene, ma erano solo le nove e mezza e nessuno di noi era stanco.
- Se volete potete venire in una delle nostre due stanza – disse Luke sorridendo e noi non ce lo facemmo ripetere due volte.
Entrammo nella stanza, era identica alla mia e aveva persino lo stesso odore terribile.
Ci sedemmo un po’ sul letto matrimoniale un po’ sul letto singolo che vi stava affianco e tornammo a parlare di cazzate.
- Normalmente non lo farei – disse Helena alzandosi in piedi – Ma mi state simpatici quindi, perché no! Vi andrebbe di fumare un po’? – chiese e tutti la guardarono sorridendo.
Fumare con delle persone appena conosciute, in un motel dove normalmente si portano delle prostitute, questo era il genere di cose che una brava ragazza non dovrebbe fare.
- Perché no – dissi.
Helena uscì dalla stanza e vi ritornò dopo pochi minuti con un sacchetto in mano.
Non avevo mai fumato una canna in vita mia e probabilmente ero l’unica in quella stanza, persino Kendall sembrava un’esperta.
Ero seduta sul letto matrimoniale, appoggiata alla testata, con accanto un bellissimo ragazzo australiano di diciannove anni che mi stava rollando una canna. Restai ad osservare le sue mani che maneggiavano con sicurezza la cartina:erano belle, con le dita affusolate e le unghie curate, ma non esageratamente. Mentre lo stavo ancora guardando alzò lo sguardo e incrociò il mio, mi sorrise e continuò il suo lavoro.
- Fatto – disse ammiccando e mi passò la canna, la presi e mi feci dare l’accendino da Daniel.
Tentai di accenderla senza metterla in bocca, non sapendo che era impossibile; Beau mi vide e scoppiò a ridere.
- Così non ci riuscirai mai – disse e me la strappò di mano – Mettila in bocca – nonostante il comando suonasse strano, feci come mi aveva detto.
- Adesso devi tirare – mi disse mentre accendeva la canna, tirai e sentii immediatamente il fumo raggiungermi la gola.
Iniziai a tossire violentemente e tutti i ragazzi della stanza si girarono a guardarmi e scoppiarono a ridere.
- Prima canna? – chiese Helena ed io annuii – Fiera di avertela offerta allora! – disse.
Risi e poi restai a guardare come facevano gli altri, non mi andava di chiedere ancora aiuto a Beau; capii più o meno come si faceva e dopo neanche dieci minuti ero già su di giri.
Beau mi guardava e continuava a ridere, i suoi occhi erano diventati rossissimi e forse anche i miei.
Avevo il cervello annebbiato, me ne stavo sdraiata accanto a lui senza dire niente, Jai e Luke erano sdraiati ai nostri piedi con la testa appoggiata su di noi, era una situazione piuttosto imbarazzante, ma nessuno se ne curava perché eravamo tutti fatti.
Daniel e James stavano ballando  insieme alle altre due ragazze, ma io non avevo neanche la forza di alzami in piedi; tutto quello che volevo fare era poggiare la mia testa sul petto di Beau per sentire se era una bella sensazione, non sapevo come mai volevo farlo, ma era il mio desiderio più grande in quel momento. Così, dopo un po’ di titubanza, mi avvicinai a lui e poggiai la testa sul suo petto, non mi ricordo molto di quel momento, ma una cosa la ricordo.
- Sei molto bello – gli dissi e lui scoppiò a ridere.
- Lo so – disse e poi bisbigliò – E tu sei sexy -.
In quel momento ero troppo poco lucida per capire, ma se fossi stata cosciente penso che avrei sentito un formicolio all’altezza dello stomaco e sarei arrossita, mentre risposi:
- Oh, grazie! –.
Restammo abbracciati per circa dieci minuti, poi lui si alzò di fretta come se fosse successo qualcosa di grave e mi spinse via.
- Voglio ubriacarmi – disse e tirò fuori dallo zaino di Jai una bottiglia di vodka e una di malibù.
Iniziò a bere e finì la prima bottiglia, per poi bere anche un po’ della seconda. Helena si unì a lui ed io, nonostante fossi ancora sotto l’effetto della marijuana, mi sentii incredibilmente invidiosa di loro due insieme. Non volevo bere, ero già abbastanza messa male così, quindi mi limitai a guardare gli altri ubriacarsi.
- La piccoletta è stesa – disse Helena a Beau indicandomi.
Lui sorrise:
- E’ normale, era la prima, è sempre così – biascicò e quasi cadde a terra cercando di sedersi sul letto.
James, Jai e Daniel si erano già addormentati per terra, Kendall e Luke stavano limonando ormai da un po’, io ero sdraiata sul letto matrimoniale con la mente ancora leggermente annebbiata, Beau era seduto accanto a me e faticava a stare in piedi, mentre Helena stava ancora bevendo.
Mi sentivo un po’ come il terzo incomodo, ma non avevo intenzione di lasciarli da soli, era entrato in gioco una specie di orgoglio personale; dopo tutto conoscevo Beau solo da poche ore eppure non volevo che Helena lo baciasse o peggio, ci facesse altro.
Ogni volta che le mie palpebre minacciavano di chiudersi le riaprivo e mi costringevo a restare sveglia: dovevo rimanere lucida per impedire a quella bionda mozza fiato di andare a letto con Beau.
Concentrai tutte le mie forze nell’alzarmi a sedere e dopo svariati tentativi ci riuscii, la mia mente era più lucida, mentre quella della bionda non lo era più molto.
Beau si alzò improvvisamente e corse in bagno, Helena prese il suo posto sul letto e crollò addormentata.
Sentii dei versi provenire dal bagno e preoccupata mi alzai per andare a controllare che cosa stesse succedendo.
- Beau! – bussai alla porta – Stai bene? -.
Nessuna risposta, solo altri conati di vomito.
Decisi di entrare e lo trovai in piedi davanti al gabinetto, si sorreggeva tenendo una mano sul muro e cercava di vomitare.
Si girò un attimo e mi salutò:
- Ehi, come va? – disse poco prima di rimettere.
- Io bene, ma tu non credo – feci io ridendo e lui rise con me – Vuoi una mano? – chiesi e lui annuì, sembrava un bambino indifeso.
- Portami nella mia stanza per favore – disse ed io annuii.
Si appoggiò a me e con molta fatica riuscimmo ad uscire dalla stanza degli amici per raggiungere la sua.
Aprii la porta mentre lui era seduto per terra, continuava a rimettere e per poco non cadde nel suo stesso vomito; lo tirai su ed entrammo nella sua camera. Si lanciò subito sul letto e per fortuna non vomitò più da quel momento.
Era tutto sporco, così tirai fuori dalla borsa un fazzoletto e tentai di ripulirlo.
- Beau ti devi girare a pancia in su – gli dissi e lui scoppiò in una risata isterica.
- Mi vuoi stuprare? – chiese ed io gli diedi uno schiaffetto.
- No, volevo pulirti la faccia dal vomito – detto questo lui si girò ed io iniziai dal viso.
Continuava a ridere e non capivo il perché, forse non c’era neanche un perché.
Ad un certo punto mi afferrò il volto fra le mani e lo avvicinò al suo, sentii il sangue schizzarmi al cervello, i suoi occhi verdi erano troppo vicini ai miei color nocciola.
- Whitney – sussurrò lui ed io ero ancora più eccitata – Devo sboccare ancora – disse e tutta la mia eccitazione di qualche istante prima svanì.
Mi divincolai dalla sua presa.
- No Beau, non di nuovo – lo trascinai giù dal letto e lo portai in bagno, dove vomitò ancora ed io lo ripulii ancora una volta.
- C’è un modo per non farti vomitare in continuazione? – gli chiesi e lui annuì.
- Sì, di solito i ragazzi mi fanno parlare molto, fammi delle domande – disse ed io cominciai a chiedergli di tutto.
E lui parlava, mi raccontò molte cose della sua vita: il suo rapporto con gli altri ragazzi, le cadute migliori della sua infanzia, mi mostrò le cicatrici di queste ultime, della sua prima ragazza, della sua prima volta, della sua prima canna. E durante i suoi discorsi faceva apprezzamenti su di me; era un porco, ma uno di quelli che ti fanno sentire desiderata e bella.
Ormai era l’una e lui era completamente sobrio, solo con un grande mal di testa; io dovevo tornare in camera da mia madre così lo salutai.
- Beau io ora devo andare – sussurrai e lui sembrò dispiaciuto.
- Fottitene e resta qua – disse ridendo.
- Non posso, davvero – ribattei io, nonostante ogni centimetro del mio corpo desiderasse restare in quella stanza insieme a lui.
- Perché no? – chiese lui.
- Mia madre mi ucciderebbe – dissi.
Cercò di convincermi a restare per almeno un quarto d’ora, ma non potevo davvero, quindi si alzò dal letto e venne ad aprirmi la porta.
Prima che potessi rendermene conto mi stava baciando e nonostante avesse da poco finito di vomitare, quel bacio fu uno dei più belli della mia vita.
In quel momento non avrei voluto lasciarlo per niente al mondo, le sue mani appoggiate ai miei fianchi e le mie al suo petto, ma non potevo restare; così quando il baciò terminò, lo salutai ancora e tornai nella mia stanza.
- Ciao Beau – sussurrai.
Avevo le lacrime agli occhi, tutto questo non aveva senso, perché stavo quasi per piangere?
Bussai alla porta della mia stanza e mia madre mi aprì subito.
- Ti sei divertita? – mi chiese ed io annuii.
Omisi che era stata forse la serata più eccitante di tutta la mia vita, eccitante in tutti i sensi.
Mi misi velocemente il pigiama che avevo comprato anni prima a Parigi insieme ad una delle mie amiche e mi infilai nel letto con l’intento di dormire. Intento che fu totalmente inutile, non riuscivo a togliermi dalla testa Beau, ed il pensiero che fosse a sole poche stanze di distanza dalla mia mi faceva diventare pazza.
Così compii forse il gesto più rischioso che avessi mai compiuto prima di allora: mi alzai dal letto accertandomi che mia madre stesse ancora dormendo, mi guardai allo specchio dandomi una sistemata veloce, aggiustai il pigiama parigino ringraziando di aver portato questo e non quello con le mucche, presi la chiave ed uscii dalla stanza.
Camminavo lentamente sul terreno bagnato, ancora diluviava; arrivai davanti alla stanza di Beau e lì mi bloccai, un moto di paura mi avvolse, non sapevo se bussare o tornarmene a letto. Poi notai che la porta era socchiusa e non resistetti all’idea di entrare: la spinsi leggermente e sgusciai dentro.
Beau non era sul letto, sentivo l’acqua della doccia che scorreva e immaginai che fosse lì.
Non sapevo ancora una volta come comportarmi; il ragazzo più bello che avessi mai visto era nella doccia ed io ero nella sua camera d’hotel senza che lui lo sapesse, che dovevo fare?
All’improvviso la porta si aprì e mi trovai davanti Beau a petto nudo con solo l’asciugamano bianco stretto in vita: era bellissimo, la pelle leggermente scura risaltava a confronto con il candido colore del panno che lo ricopriva. Era sorpreso di vedermi e prima che potesse farlo lui, mi avvicinai e lo baciai.
Mi strinse a sé con forza e mi fece appoggiare la schiena contro il muro, continuava a baciarmi con foga, poi si fermò un attimo a guardarmi, il suo viso a un centimetro dal mio. Passai i miei occhi dai suoi alla sua bocca e infine di nuovo ai suoi e lui sorrise.
- Perché sei tornata? – mi chiese.
- Non potevo lasciarmi scappare uno come te – dissi – E in più fuori piove ed avevo freddo – risi e lui con me.
La mia schiena era ancora attaccata al muro e le sue mani strette ai miei fianchi; prese a baciarmi il collo e scese leggermente con le labbra sul mio seno, spostando il collo della mia maglietta. I vestiti cominciavano a starmi stretti, così, grazie anche al suo aiuto, mi sbarazzai prima della maglia del pigiama, lasciandola cadere ai miei piedi e poco dopo dei pantaloncini.
Sentivo il suo cuore battere forte sul mio petto, il mio respiro era affannoso; ero nuova in questo tipo cose, mentre lui sembrava conoscerne tutti i segreti.
Mi prese in braccio, mi mise a sedere su di un comodino sbilenco e si abbassò leggermente prendendo a baciarmi il ventre, mentre le mie mani gli accarezzavano i capelli; non sapevo cosa fare, ero completamente spaesata, quando improvvisamente sentii come un brivido percorrermi tutto il corpo.
I baci di Beau si erano spostati verso il mio basso ventre e una scarica di piacere mi pervase tutta; gemetti tentando di nasconderlo, ma lui mi sentì lo stesso e si lasciò sfuggire una risatina.
Quando tornò a guardarmi negli occhi mi sorrise, ma non disse niente; lo baciai, scesi dal comodino e lo presi per l’asciugamano tirandolo verso il letto. Notai che stava socchiudendo gli occhi, mi prese per i fianchi giocando con la mia biancheria intima, che poco prima aveva solo spostato e mi spinse sul letto.
Scese piano su di me, sorrisi e lo baciai ancora, mentre con le mani cercavo di liberarlo dall’ingombro dell’asciugamano che aveva ancora addosso e quando ci riuscii lui lo prese e lo lanciò lontano.
Passò freneticamente le mani dai miei fianchi al mio fondoschiena e mi sfilò la biancheria intima lasciandola sul letto; ricominciò a baciarmi prima il collo e poi il seno, mi slacciai il reggiseno e lo buttai a terra; mi diede un morso sul seno destro, poi sulla pancia e infine sulle braccia. Provai un misto di piacere, eccitazione e leggero dolore.
Dopo il terzo succhiotto decisi che era arrivato il momento di dare piacere anche a lui, nonostante non avessi la benché minima esperienza in queste cose; feci in modo di farlo sdraiare e mi misi a cavalcioni su di lui. Quando terminai quella che doveva essere stata la più brutta performance di petting della storia, lui tornò sopra di me ridendo: era preso dall’eccitazione, ricominciò a baciarmi e poi mi guardò.
Ne dedussi che era il momento giusto per chiedergli se avesse un preservativo, così iniziai a parlare:
- Beau, hai un … ehm … - le parole mi si fermarono in gola, ero troppo imbarazzata.
Lui soffocò una risatina, ma annuì.
- E’ la tua prima volta? – mi chiese sussurrandomelo ad un orecchio e questo lo rese ancora più erotico.
- Sì – dissi più gemendo che parlando.
Sorrise e si alzò, frugò nelle tasche dei pantaloni che aveva lasciato su una sedia, tirò fuori il portafoglio e da lì un preservativo. Quando finalmente fu pronto tornò a sdraiarmi su di me, riprese a baciarmi l’interno coscia ed io strinsi la sua testa fra le gambe; poco prima di penetrare in me mi guardò negli occhi, mi fece un grande sorriso ed io, ormai persa nei suoi occhi verdi, trattenni il fiato per qualche secondo fino a che quel momento passò.
Iniziò a muoversi lentamente, io tenevo le mie mani sulla sua schiena; poi il ritmo aumentò, sentivo il fiato farsi corto mentre emettevo dei terribili lamenti che non riuscivo a controllare. Lui era comunque sexy ed i suoi versi mi facevano eccitare ancora di più.
Lo lasciavo fare, nonostante il dolore che stessi provando fosse molto alto; gemevo di piacere insieme a lui mentre mi mordeva e mi baciava. E poco dopo essere venuto lui, venni anche io; ci sdraiammo l’uno accanto all’altra, mi circondò con un braccio ed io mi strinsi a lui.
Restammo qualche ora abbracciati ad ascoltare il ticchettio della pioggia che si infrangeva sulla strada, forse lui si addormentò, ma io restai sveglia. Fissavo il soffitto e ascoltavo il suo respiro regolare, con la testa appoggiata sul suo petto che faceva su e giù: era rilassante.
Verso le sei di mattina mi risvegliai dai miei pensieri, ricordandomi che se mia madre si fosse svegliata senza trovarmi nel mio letto mi avrebbe uccisa; quindi mi alzai, stando attenta a non svegliare Beau e mi rivestii. Mi sarebbe dispiaciuto non salutare lui e i ragazzi, così gli scrissi un messaggio su un fazzoletto:
“Devo scappare, altrimenti mia madre mi uccide. Ci vediamo a colazione, voglio salutarti! Un bacio, Whitney”
Lo lasciai sul comodino dove poche ore prima mi aveva fatto sedere e mentre stavo per uscire dalla stanza gli occhi mi caddero sulla canottiera che Beau indossava prima di farsi la doccia; non so nemmeno perché la presi, forse dentro di me sapevo che non lo avrei rivisto mai più dopo quella sera.
Mi chiusi la porta della stanza alle spalle e tornai nella mia, dove fortunatamente i miei ancora dormivano; misi via la “maglia rubata” all’interno della mia valigia e mi infilai sotto le coperte.
Fui svegliata dopo un’ora da mio padre.
Non facemmo colazione, partimmo immediatamente dopo esserci preparati. 
 

YEAR 2014

- E questa è la storia di come ho perso la verginità – dissi mentre tutte le persone attorno al falò erano rimaste a bocca aperta.
  
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