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Autore: RuboLaVitaDentroDiMe    13/08/2014    1 recensioni
Momenti di delirio di onnipotenza letteraria notturna.
Una serie di storie un po' arrabattate, messe insieme con i pezzi di ricambio di auto rottamate. Poco senso, forse nullo. Tanto caffé. Ragnatela in panico. E la paura di vedere il sole che sorge dalla finestra, o che qualche demone entri e mandi a quel paese tutto il tuo lavoro.
Tre parole da infilare da qualche parte e boh... un po' di sano odio che non fa mai male.
1. Foto di gruppo con fantasmi [castello; album di foto; epoche]
"Dove ti sei venuta a nascondere, Anja?"
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Foto di gruppo con fantasmi

 

 

 

Quando vedevo un gatto morto, in mezzo alla strada, pensavo a lei.
Pensavo a lei quando mi ubriacavo e finivo a piangere come un poppante.
Pensavo a lei ogni volta che succedeva qualcosa di brutto, perché, cazzo, sapevo che l'avrebbe adorato, anche se non voleva mai ammetterlo.

Mi impegnavo anche, a far capitare cose terribili, ed ero convinto per davvero che se l'avessi fatta abbastanza grossa mi sarebbe comparsa davanti quella roba timida e perversa che sembrava un sorriso e mi faceva venire sempre voglia.
E, te lo giuro, porca troia, di notte mi pareva di sentirmela addosso, con la sua mano che andava su e giù, veloce come piace a me, che mi sussurrava all'orecchio qualcosa che non so.
Poi la mattina mi chiedevo sempre “Dove cazzo sei? Ho un sacco di cose da dirti, Tàta, ho bisogno di dirti tutto quello che mi passa per la testa e anche di scoparti un po'. Vieni fuori o giuro su Dio che quando ti prendo ti ammazzo di botte.”
Daniil D. Sidorov
“Drunk Russian Blues”

 

 

Il sentiero era sterrato, sotto le suole di gomma delle sue infradito.
Flic! Flop! schioccavano allegre contro i suoi talloni screpolati, alzando piccole nuvole di polvere ad ogni passo, nel silenzio che si spargeva come un'eco tutto intorno.
Sembrava notte, ma non era semplice da dire, perché in quel posto il cielo era solo, la luna e le stelle lo avevano abbandonato e il sole le aveva seguite come sempre, portandosi le nuvole a tracolla.
Però non era buio, Dima pensava che sarebbe stato troppo facile, altrimenti. C'erano cerchi di luce ai lati della strada, a distanza sorprendentemente regolare, per un mondo senza leggi e senza fisica.
Dimitri alzò la testa per salutare il ghigno dei lampioni, come faceva sempre sotto il cono illuminato, un po' per educazione e un po' per scherno, e si senti imbrogliato quando non li trovò.
Un mondo con un cielo cieco, senza regole e ora anche senza lampioni... dove ti sei venuta a nascondere, Anja?
Le sue occhiaie e le sue ginocchia erano le uniche rimaste in grado di proiettare un'ombra sulla terra nuda. Ondeggiavano e tremolavano fra i sassi, continuando a trascinarsi in avanti. Ansimavano, eccitate, tanto che quando Dima si fermava a scrollarsi la polvere di dosso nemmeno lo aspettavano e lo costringevano ad accelerare il passo per non rimanere indietro e perdersi.
La foresta di ombre – ombre vere, non le pallide imitazioni che annusavano come segugi la pista, davanti a lui – lo fissava camminare lentamente, con le mani nelle tasche dei bermuda e le sopracciglia raggomitolate in posizione fetale. Sapeva di non dover uscire dal sentiero, sapeva che sarebbe annegato nel buio, se lo avesse fatto, sapeva di dover trovare Anjia e sapeva che in un certo senso non gli importava poi molto, ma un richiamo lontano gli diceva che lei poteva essere proprio lì dentro, che poteva giacere sul fondo del Vuoto con i polmoni pieni di Nulla.
Ma le occhiaie e le ginocchia continuavano a correre e allora si disse che si sarebbe concesso di fermarsi a piangere solo se le avesse viste abbaiare, sporgendosi oltre il ciglio.
Dima era stanco. Aveva sonno, in un modo quasi infantile, quasi tenero. I riccioli rossi cadevano uno dietro l'altro, alle sue spalle, e all'ultima curva si era accorto di aver perso anche l'indice della mano destra, che era il suo preferito perché era storto come un rametto spezzato. Non era sicuro di avere ancora la cartilagine morbida delle orecchie e mancavano all'appello anche un paio di denti. Forse doveva sbrigarsi.
Era stanco davvero, stanco da morire, si sarebbe quasi fermato a riposare un po', con la guancia poggiata sulle pietre, se non fosse stato certo che poi non si sarebbe svegliato più. O che forse avrebbe aperto le palpebre e si sarebbe accorto di non avere più niente di vero tranne gli occhi.
Cominciavano a cadere persino le ciglia.
Era successo tutto qualche eone prima, o forse, anzi decisamente, dopo, quando era scattato a sedere sul suo letto perché il grido agonizzante di Anja lo aveva strappato dal suo sogno, quello ricorrente, quello in cui scuoiava Morfeo e si divertiva a guardarlo morire come un patetico uomo.
Anja non chiede mai aiuto, Anja non chiede. Anja neanche esiste più.
Era vero, maledizione, era più che vero, ma forse Anja era scappata in un universo in cui il vero non esisteva e persino lei aveva il permesso di essere debole come tutti gli altri. Forse... forse...
Dima era tornato a dormire, comunque. Dima era tornato a ghignare di fronte a un Morfeo tremante. Dima era stato svegliato di nuovo, sempre da lei.
Te ne sei andata tu, Anja. Tu sei venuta e tu te ne sei andata. Perchè dovrei venire a salvarti, ora?
Ma la paura gli aveva ormai arpionato le rotule e gli zigomi e lo aveva trascinato via.

 

easy come, easy go
a little high, little low

 

Le ginocchia e le occhiaie arrancavano più avanti, spalmandosi e allungandosi sulla salita di un piccolo dosso, mentre Dima si era bloccato, le infradito affondate nella terra fino alle caviglie, a guardare in alto con la lingua fra i denti, dolorosamente concentrato.
Anja avrebbe scelto una tana abbandonata, un buco vuoto nel terreno, all'ombra di burrone, e ci si sarebbe raggomitolata dentro. Avrebbe potuto scavare una caverna sul fianco di una montagna, anche fino a farsi sanguinare le unghie. Anja avrebbe tremato sulla cima della cuspide di Notre Dame, pur di nascondersi, ma non avrebbe mai scelto un castello. Neppure uno in rovina, con le torri collassate nei fossati morti di sete, con le finestre violentate e i portoni scardinati.

Ma l'aria si arricciava in spire e boccoli contro le pareti, e tornava indietro. La luce franava in mille pezzi e veniva risucchiata dalle grondaie per essere portata chissà dove. Persino l'oscurità era riflessa.
E Dimitri sapeva, che non era colpa del castello, no. Quello era semplicemente il modo in cui tutti i mondi reagivano a Lei.
Le ginocchia e le occhiaie non si erano fermate, ma a lui non importava. Che gli si strappassero le gambe, che gli si strappasse tutta la faccia. Anja era lì dentro perché di sì.
E così entrò.
Non seppe mai come ci fosse arrivato: aveva attraversato un corridoio con la carta da parati che si inchinava al suo passaggio, staccandosi dai muri in piccole striscioline, aveva tentato di aprire qualche porta, ma erano tutte chiuse, aveva sceso delle scale... ed era arrivato in cima.
Lei era lì.

 

E perché? chiederà qualcuno.

 

Anja aveva gli occhi chiusi e Dima lo sentiva, come sentiva comunque il suo sguardo che abbracciava ogni cosa, che ammiccava all'oscurità infinita al di là dei bastioni, quel nero profondo tagliato in due da un filo chiaro, quasi dorato, quasi iridescente, quello che prima sembrava una strada e ora solo un capello biondo.
«Benvenuto nella mia Oz degli orrori» sussurrò la Ragazza più Troia di Tutti i Tempi e le parole rimbombarono tutto attorno in una cacofonia di urla, facendo tremare le pareti.
Forse era l'Anja sbagliata, pensò Dima, mentre abbracciava forte le proprie costole, pregando Dio che il vento non portasse via il poco che rimaneva del suo corpo. Forse le sue ginocchia e le sue occhiaie avrebbero trovato da sole quella giusta e l'avrebbero stretta forte per lui.
Quella Anja era seduta sul ciglio delle mura, con le gambe sottili dalle articolazioni scardinate abbandonate nel vuoto, così magra che al prossimo battito delle sue palpebre, quella palpebre che già cominciavano a sgretolarsi, Dima era sicuro l'avrebbe persa, e avrebbe dovuto ricominciare a cercarla da capo. La camicia da notte gonfia, piena di fiocchi, nastrini e pizzi, svolazzava tutto intorno; le Nike gialle avevano i lacci slegati e un piccolo fiato di buio già era riuscito a saltare tanto in alto da avvolgerglisi contro, tirandoli giù e facendole dondolare dolcemente i piedi; lo chignon vittoriano di capelli scuri, che portava da sempre alto sulla testa, era pericolante, sghembo e un po' miope; il cappellino con le piume era assicurato alla sua nuca con delle forcine che affondavano dritte fino al ponte di Varolio e persino alle sue spalle, in quel mondo – senza leggi e senza fisica, senza leggi e senza fisica, si ripeteva come un mantra – gli occhi di Dima erano ovunque e potevano sbirciare appena il suo volto da Madonna Addolorata, con il mascara che le colava in un delta ramificato sulle guance e il rossetto color fragola disteso mollemente sulle sue labbra da puttana, senza uscire di un solo millimetro dai contorni.
Rimase in silenzio, urlando nella sua testa Dio, Dio, è quella sbagliata! È davvero quella sbagliata!
Ma era Anja comunque e tanto bastava per volerle correre alle spalle e spingerla giù e allo stesso tempo affondarle le mani nella gola per strapparle i polmoni e ancora abbracciarla fino a star male e magari piangere un po'.
Dio, è quella sbagliata, ma è comunque lei.
«Non ti aspettavo, Dima» disse di nuovo la Ragazza più Vera di Tutti i Tempi e questa volta tutto rimase immobile, in attesa.
«Non avevo in programma di venire. Ma tu hai chiamato» rispose a quel punto lui, accarezzando ogni parola prima di lasciarla andare. Attraverso le fessure lasciate dai suoi denti caduti l'aria entrava ed usciva e la voce di Dima suonava come un risucchio, quando l'unica cosa che lui voleva fare era gettare fuori tutto quanto.
«Io?» chiese Anja con un gorgoglio deliziato «Io non ho chiamato nessuno».
«Allora immagino fosse colpa degli incubi che si svegliavano dalla tua vita. Non riuscivo a dormire» mormorò ancora, continuando a risucchiare.
Anja era tutta intera, si rese conto in quel momento. Non c'era nulla fuori posto.
Dima era abituato a vederla armeggiare con qualche braccio caduto, farsi aria con una mano strappata. Dima di tanto in tanto trovava i suoi piedi lasciati in giro e li chiudeva in una scatola da scarpe, per ridarglieli quando se ne sarebbe accorta. Anja aveva sempre la testa sotto braccio, perché era troppo pesante, per stare in equilibrio da sola.
Ma adesso vederla così legata, di una perfezione sublime e velenosa, faceva paura, da cagarsi nelle mutande e anche oltre.
La sua spina dorsale ebbe uno scatto lamentoso, ondeggiando, mentre anche la prima vertebra scivolava via.
Occhio per occhio... ora quello in pezzi sono io.
«Sembra che la cosa ti dia fastidio. Sembra che tu non volessi venire. Sembra che tu ti sia quasi dimenticato di me» cantilenò lei, picchiettandosi le guance incavate con le dita laccate di un colore che Dima non aveva mai visto.
«Anjchka...» rispose solo, come se volesse dire tutto, anche quando non voleva dire niente. Ma che altro avrebbe potuto dire? Non volevo venire? Mi dà fastidio? Tu chi sei?
«Nessuno mi chiama più così da tanto tempo» singhiozzò la Ragazza più Triste di Tutti i Tempi e poi tutto precipitò nel silenzio.

 

Lie still, bag of bones

 

«Te lo ricordi quando eri solo?» chiese dopo un'eternità la Ragazza più Magra di Tutti i Tempi «Di quando eri convinto che per te non ci fosse più niente da fare? Certo che te lo ricordi, sì? È stata quella volta che mi hai chiamata, sì? Anche se non sapevi di averlo fatto, anche se io ero lontana migliaia di chilometri, anche se ero lontana millenni e anche universi. Io sono venuta, sì? Ho attraverso epoche, Dima, intere epoche per venire da te. Mi sono incastrata in un posto che non era il mio, per salvarti. Io, nel tuo mondo, non esistevo. Non puoi nemmeno pensare di fare altrettanto? Di mandare tutto a puttane per me, si?»
«L'ho fatto, Anjchka... che Dio mi aiuti, se non è così. Te lo giuro. Ho attraversato mille epoche diverse anch'io, per cercarti, prima di capire che eri lontana solo un secondo da casa» cigolò attraverso la mascella arrugginita.

La vide rabbrividire, con tutto il corpo, la vide inarcarsi come un'onda e poi tornare indietro con la risacca.
«Volevo renderti le cose più facili, sì? Ma non sei mai venuto» canticchiò, mentre Dima vedeva le lacrime mescolarsi al mascara sul viso della Ragazza più Sbavata di Tutti i Tempi.
Aprì la bocca, forse per dire qualcosa, mentre all'improvviso l'intestino si staccava e gli scivolava lungo l'interno delle cosce e il dolore fu così grande che nulla fu reale per qualche secondo. Forse in quel momento si scusò, forse urlò soltanto, forse pregò di nuovo, ma quando tornò a vedere qualcosa i denti rimasti battevano fra di loro per lo shock e la Ragazza più Stronza di Tutti i Tempi ridacchiava, continuando a piangere.
«Tu te ne sei andata» biascicò a fatica Dimitri «Perché l'hai fatto?»
Questa volta fu il turno di Anja. Pronunciò solo il suo nome, per intero, con i tre puntini di sospensione finali ben udibili nell'eco sorda della sua voce.
E poi si voltò verso di lui, gli occhi ancora chiusi – le palpebre fuse fra di loro, capì all'improvviso – e gli tese la mano, sorridendo, il Suo sorriso, quello storto, color fragola, che si stiracchiava e precipitava tutto obliquo nella guancia destra, lasciando vuota l'altra.
Fu in quel momento, guardando la mano sottile che lo chiamava a sé e il viso bellissimo e spaventoso di Anja, così inaspettatamente fragile, che Dima capì.
Lo spazio la realtà il mondo l'universo... non esistevano – Dio, aiuto – erano solo illusioni.
Il tempo, il Tempo, quello era reale per davvero. I secondi, i minuti, i secoli, le epoche, in particolare, avevano un peso, una massa, un volume, un colore di capelli. E in quel momento, in quel mondo – senza leggi, senza fisica, senza leggi, senza fisica, senza leggi, senza fisica – riusciva a vederli che ballavano attorno a loro, inarrestabili nella loro danza mortale.
E la mano di Anja lo chiamava a sé.
«Perché. Te. Ne. Sei. Andata» scandì di nuovo Dima, scuotendo la testa.
La Ragazza più Pericolosa di Tutti i Tempi sospirò, tornando a voltarsi e portando di nuovo la mano in grembo, alzando bruscamente la gamba – che si mosse come se qualcuno le avesse fracassato le caviglie – per liberarsi dal nastro di oscurità che la tirava verso il basso.
«Quello non era il mio posto, Dima, già te l'ho detto, sì? Io lì non sarei dovuta esistere. Continuavo a perdere pezzi... Stavo... stavo marcendo. La puzza teneva lontano perfino te, sì? E allora...» scrollò le spalle, esitando.
«E allora?» incalzò Dimitri, scrollando a sua volta le spalle, fintantoché le aveva ancora.
«E allora me ne sono andata a cercare Dio».
Un esplosione di silenzio attonito, mentre le spalle della Ragazza più Folle di Tutti i Tempi erano scosse da lampi e tuoni di ilarità.
«Volevo solo dirgli di lasciarmi in pace, di farmi vivere la mia esistenza con te senza scassare i coglioni. L'avevo già maledetto migliaia di volte, una in più non avrebbe fatto alcuna differenza, sì? Poi l'ho trovato, Dima. E le maledizioni non bastavano più. L'ho ucciso».
Oh, Dio... Dio. Come sanguina, un Dio? Con che angolo si piega il suo collo spezzato? Dove lo seppelliscono un Dio morto?
«Era l'istinto primordiale, Dima. Difendersi. Uccidere. E l'ho fatto, sì? Accidenti a me, tutti sono animali. Siamo animali più di quanto tu possa immaginare, mio piccolo incubo. E quando uccidi il capobranco devi prenderne il posto, Dima, sì? È la regola».
Una nuova preghiera sorda si fece strada sulla bocca del suo corpo in demolizione.
Anja, Anja, Anja....
«Alla fine mi sono dovuta rinchiudere qui, capisci? Le mura sono abbastanza spesse da attutire il rumore di tutte le preghiere. Altrimenti sarei impazzita molto più in fretta di quanto ci ho messo per davvero, sì? Riesco a ignorarle quasi tutte, sì? Tutte meno che le tue. Preghi con una tale disperazione che hai rotto persino le mie finestre. Quello scempio lì fuori è solo opera tua, Dima. E anche dei tuoi sogni, sì? Morfeo viene a piangere da me, di tanto in tanto, mio piccolo e crudele amore».
Ancora dolore. I testicoli, la prostata, il suo cazzo, tiravano in direzioni diverse, lacerandolo, mutilandolo ancora. Questa volta fu sicuro di aver urlato, di aver rivolto una preghiera a un Dio morto, una ad Anja, una a qualcosa che non esisteva ancora...
La vide sussultare appena, mentre lui stava disteso a terra, cercando di rimettersi in piedi, e lei si guardava lo smalto scheggiato sul pollice.
«Te la ricordi quella volta, sì? Quella volta che sono salita sulla balcone del tuo appartamento e ho avuto uno scoppio di riso isterico mentre balbettavo 'Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi'? Quando poi ho tentato di buttarmi giù e tu mi hai riacciuffata per i capelli, sì?»
«Sì» ansimò l'altro, instabile sulle gambe, avvicinandosi per potersi sorreggere al parapetto, non molto distante da dove stava la Ragazza più Odiosa di Tutti i Tempi.
«Beh, ho provato a rifarlo, qualche volta, sì? Ma qui non c'era mai nessuno che mi salvasse all'ultimo secondo, quindi non mi sono mai buttata».
Dima annuì mentre il naso cominciava a sanguinare, un rivolo sottile che colava sui mattoni polverosi. Capiva, in qualche strano modo. Poteva capire davvero, ma non era certo una sorpresa. Lui capiva sempre.
«Ecco, sì? Mi sei mancato molto, Dimitri Miroslavich Bogdanov».
E Dima e la Ragazza più Sola di Tutti i Tempi risero insieme.

 

Chi sono quando sento?
Che cosa muoio quando sono?

 

«Torniamo a casa, Anjchka» sussurrò Dima stancamente, porgendole i palmi aperti, le mani a cui mancava ormai la metà delle dita e quelle rimaste avevano perso le unghie o avevano solo dei mozziconi nerastri. La pregò, invece che chiederlo. Si sarebbe anche inginocchiato, le avrebbe baciato i piedi in adorazione, se solo fosse stato convinto che potesse servire.
Questa volta fu lei a rifiutarlo, con un cenno sprezzante e un sorriso derisorio.
«A casa, Dima, sì? Non essere ridicolo».
«Perché, Anjchka? Perché?»
«Perché io sono immortale. Io sono eterna, sì? E tu sei solo un misero umano, Dima. Riesco a vedere la corruzione della tua anima anche senza guardarla. La sento nella mia bocca, ha lo stesso sapore amaro della coca, quella anestetizzante, quella tagliata con la lidocaina per fotterti e farti credere che sia roba buona. E non potrei fare altro che guardarti morire, sì? Perché è questo che fa Dio con gli uomini. Se ne sbatte. Qui invece è il mio mondo, il mio castello, la mia fortezza. Posso essere, fare e fingermi debole quanto voglio».
Così, mentre anche le dita dei piedi si piegavano su se stesse e cadevano giù come prugne secche, Dima capì che quella era l'Anja giusta, ma non la sua Anja.
«Lo capisci, Dima, sì? Lo capisci che non posso, sì?»
Annuì piano, abbandonando di schianto la testa in avanti, quando svanì anche qualche vertebra cervicale.
«Ma tutto questo silenzio... come fai a sopportarlo?»
«Silenzio?» rise forte la Ragazza più Crudele di Tutti i Tempi, mentre si alzava sul cornicione e guardava in basso, verso l'immenso gorgo nero sotto di loro «Questo non è silenzio, amore mio. Questa è la mia foresta di demoni e incubi, Dima, e quello che tu chiami silenzio è il frastuono delle loro urla. Li tengo sempre affamati, sì? È così che diventano grandi e forti. Il buio, quando è nutrito a dovere, è grande quanto un granello di polvere, sì? Ma se ha fame, se è arrabbiato... La mia Oz degli orrori è una oscurità in continua espansione».
I reni, questa volta. I reni e il terrore, forse anche il fegato e qualcos'altro. Riuscì a serrare i denti e a non piangere, a non pregare sulle ginocchia martoriate che Anja lo facesse smettere. Ma tutto si tingeva di orrore, mentre raccoglieva le ultime forse che gli rimanevano.
«E non odi stare qui da sola? Questo enorme spazio vuoto, solo per il tuo corpo tanto magro» balbettò tentando di convincerla, sentendo tutti i muscoli di braccia e gambe irrigidirsi, prima di sciogliersi e farlo accasciare contro il muro, il naso a un millimetro dal vuoto.
«Non sono proprio sola, sì? E non abito io, tutto questo spazio. Io sto nei sotterranei, assieme a qualche topo d'ombra che ancora sopravvive» fischiettò, percorrendo il filo del rasoio con la grazia scortese di una Primavera in arrivo.
«E chi occupa il resto del castello?» chiese Dima mugolando, mentre le ossa del suo corpo si riducevano in briciole una dietro l'altra.
«Tu».
«I-io?»
«Tu, sì? Te li ricordi i nostri album di foto, sì? Tantissimi, inutili, con un sacco di scatti sfocati. Li ho rubati tutti, quando me ne sono andata. Scommetto che non te ne sei neanche accorto, sì? Li ho portati qui con me e li ho usati per riempirci la mia vita. Posso fare qualunque cosa, ora, compreso dare vita a milioni di copie di te. A volte usavo le foto, a volte mi mettevo due dita in gola e vomitavo ricordi. Ma avevo bisogno di vederti, di guardare di nuovo i gesti stupidi che fai tutti i giorni, quelle cose da umano che mi mancano tanto. Però non sei tu, sì? Ho provato a crearti tante volte, ma non ci sono mai riuscita bene. Riesco a gonfiare solo memorie, tu fai sempre gli stessi gesti e non mi guardi e non mi parli, o guardi e parli al ricordo di me. E io... te l'ho detto, mi sei mancato. Per questo i mie incubi ti hanno portato qui» mormorò la Ragazza più Innamorata di Tutti i Tempi.
«Torniamo a casa, Anjchka» ripeté Dima, mentre tutto il lato destro della faccia si abbandonava su se stesso, rendendo le sue parole quasi incomprensibili.
«Ti ho già detto che non posso, sì? E anche se potessi sarebbe impossibile, Dima. Abbiamo viaggiato troppe volte attraverso il tempo, io e te e tutti. Abbiamo lacerato tante volte le sue arterie che non ci lascerebbe mai passare. È finita, piccolo mio. È finita, sì? È tutto finito».
«N-no... n-noi...»
«Oh, Dima! Ma devo spiegarti proprio tutto, sì? Mi manchi e voglio averti qui con me. Ti ho portato qui per restare, si?»
La faccia di Dima traballò pericolosamente, nella metà sinistra ancora intatta, e si stirò in un sorriso, che dopo un paio di secondi si appiattì al suolo.
Boom.
Il.
Cuore.
Era.
Esploso.
Boom.
Era stato un dolore talmente grande che Dimitri non aveva potuto fare o dire niente ed era rimasto immobile. Seppe solo che poi, niente aveva senso. 
«No» disse tranquillamente, mordendosi da solo lingua e labbra, facendole sanguinare senza nemmeno accorgersene.
«No?» ripeté incerta la Ragazza più Sorpresa di Tutti i Tempi.
«No» confermò duro Dima «Tu sei pazza. Io me ne vado».
«Tu... tu... Tu non puoi!» gli gridò contro, allungando un dito verso di lui, la camicia da notte che si agitava tanto quanto il suo corpo, lì sotto «Io ho solo bisogno di te! Le epoche, sì... le epoche non si apriranno mai, non ti permetteranno di farlo di nuovo!»
«So come convincerle» sorrise, con metà della faccia, mentre l'altra metà fissava la Ragazza più Sconvolta di Tutti i Tempi con molle comprensione.
«NO! Puoi rimanere con me per l'eternità, Dimitri! Puoi smettere di invecchiare! Credi... credi che io non abbia notato che stai morendo più in fretta, in questo posto che non ti appartiene, sì? Credi che non abbia notato quanto ti fa male? Credi che non mi sia divertita, sapendolo, sì? Posso fermarlo, Dima. Posso... posso...»
Serrava gli occhi più forte di quanto non fossero già cuciti assieme, mentre Dima scuoteva la testa.
«No. Non puoi».
Anja lasciò andare in avanti le spalle, cominciando a singhiozzare forte, senza risate, senza sorrisi, senza la capricciosa testardaggine da bambina che era sempre stata sua e di nessun altro.
Solo un dolore tanto forte quanto lo era quello di Dima, o di quel che di Dima rimaneva.
«Vuoi lasciarmi sola, sì?» constatò, disperatamente.
«Sì».
«Per favore...»
«Hai i tuoi album di fotografie, no? Sei sopravvissuta fino ad ora senza di me e io senza di te. Puoi continuare a farlo. Abbraccia Morfeo e consola i miei ricordi».
«Perché, Dima? Perché?»
«Perché te ne sei andata tu. Ora tocca a me. E tu non sei la mia Anja» disse solo e la vide capire, la vide capire persino troppo, persino più di quel che il suo cervello voleva.
«Non te la lascio, l'ultima parola, Dima. Non te la lascio, sì?» scosse la testa.
E Dima capì di nuovo, lo capì nel modo in cui le Nike strisciarono contro i mattoni, dal modo in cui le sue gambe disarticolate tremarono, dalla dolcezza con cui le sue mani svolazzanti declamarono 'Prendete e bevetene tutti, questo è il mio sangue, offerto in sacrificio per voi'.
«Ti auguro tutto il male del mondo» ruggì Anja, la Ragazza più Bella di Tutti i Tempi, la ragazza più Vuota di Tutti i Tempi, la Ragazza più Assurda di Tutti i Tempi. Anja che aveva ucciso Dio e che Dio era stata.
È così che sorride Dio, quando capisce che il mondo che ha creato non ha più bisogno di lui?
E poi, sorridente, si lasciò cadere nel vuoto, nel buio, negli incubi, nell'oscurità. Nella sua Oz degli orrori che la accolse ridendo e l'abbracciò.
Dima trattenne il respiro, cercando di sporgersi per vederla. Per gridarle di no, ti amo, torna su, possiamo essere tutto, ti bacerò i piedi fino alla fine del mondo, ricorderemo assieme tutto quello che è passato e non tornerà più, romperemo le dita a Morfeo, baceremo Dioniso sulle labbra, uccideremo ogni Apollo e saremo solo io e te, torna su, non posso più aspettarti...
Scapparono anche i polmoni e non ci fu bisogno di trattenere niente.
No, no, no, no, nonononono....
Anche se il cuore non c'era, anche se non c'erano i polmoni, anche se tutto il suo corpo stava morendo, Dima riuscì a trovare la forza di piangere, finché non capì di nuovo.
Era colpa sua. Anja lo aveva raggiunto e salvato. Anja lo aveva amato e baciato milioni di volte. Anja era scappata. Anja era impazzita. E ora Anja si era buttata per lui.
L'aveva uccisa lui.
L'aveva uccisa lui come tante volte aveva avuto voglia di fare, senza mai trovare un motivo, o il coraggio.
L'aveva uccisa lui.
E quando lo capì si sentì Dio.

 

Amen.

 



Non è che ci sia davvero molto da dire. Scrivere di notte fa nascere nella mia testa storie dell'orrore.
Scritta un po' per gioco con tre parole da inserire in qualche modo all'interno del vortice (questa volta castello, album di foto ed epoche), in collaborazione con la ditta Gatto Magro s.p.a e appena lo avrò aggiungerò il link del suo tentativo che non ho dubbi sarà più riuscito del mio.
Vorrei che nessuno si sentisse offeso, da questa cosa, anche se qualcuno potrebbe esserlo, ma davvero non era mia intenzione, né del mio caffé.
Le citazioni che bucano il testo (di cui non ho inserito la fonte perchè spezzava troppo) sono, in ordine tratte da: 1) Bohemian rapsody, Queen 2) Niente in particolare, ma scritta sfogliando L'egoio alla follia di Erasmo da Rotterman, perciò sembra gentile citarlo 3) Stephen King, non so bene dove... 4) ll libro dell'inquietudine di Pessoa
Anja e Dima vi fanno ciao con me
Ragnatela

p.s. aggiornamenti dell'ultimo momento: anche Gatto ha pubblicato il suo tentativo e, come già pronosticato, è decisamente migliore del mio. Lo potete trovare qui
  
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