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Autore: Kaho    14/09/2008    9 recensioni
« Voglio solo scappare! Questo posto non mi piace… non è il mio. » spiegò con una logica strabiliante e il tono più serio e meno capriccioso con cui si fosse mai espressa, a memoria della bambinaia. « C’è qualcosa di diverso per me, là fuori. E io voglio trovarlo. »
Takumi e Reira. Piccoli episodi alla ricerca del proprio mondo... più vicino di quello che pensano. Sulle note di "Winter Sleep" di Olivia.
[ Reira x Takumi ] [ one-side? ] [ SPOILER ]
Scritta per il concorso Multifando "Dall'immagine alla storia" indetto da lisachan.
Genere: Romantico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Reira Serizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: NANA appartiene Ai Yazawa. Purtroppo, anche Naoki! ;__;

Winter Sleep” è cantata da Olivia, alias Reira *_*

 

 

 

Roads crashed into the ocean

 

 

It keeps coming back to me
I remember this pain
It spreads across my eyes
Everything is dull

 

Erano poche le cose che Takumi amava; c’era la chitarra, la giacchetta di pelle di suo padre, l’odore d’arancio, e di tanto in tanto qualche passione passeggera. In là con gli anni, avrebbe amato anche le sigarette.

Solitamente trovava in ogni cosa un pregio e un difetto, mantenendo perfettamente bilanciato l’affetto che vi metteva. Una di queste cose, ad esempio, era l’oceano, quella grande, immensa distesa di acqua verdastra che si estendeva per chilometri a pochi minuti da casa sua: incostante e capriccioso, con regole proprie che andavano al di là della immaginazione del ragazzino.  

Però doveva ammettere che aveva un fascino tutto suo; bagnato e salmastro, attirava l’attenzione di tutti sebbene non facesse che bagnare placidamente qualsiasi spazio toccasse.

Questo pensava, fissando la superficie frastagliata che faceva da sfondo alla corsa spericolata e ridente di Reira.

La bambina si volse indietro, regalandogli un gran sorriso, fermando un attimo il suo volteggiare sulla sabbia, già rovinata da decine di impronte che si mischiavano l’una sull’altra, in un’accozzaglia informe e priva di significato.

Proprio come quel piccolo paese; piccolo, monotono, insignificante.

Takumi aveva dieci anni e sognava di fuggire da quel mondo fatto di famiglie borghesi, sorrisi di cortesia e negozi d’alimentari in cui, di tanto in tanto, si trovava qualche novità della metropoli, quei dolci colorati ed super-zuccherati che si scioglievano sulla lingua, facendogli percepire quel qualcosa di spaventoso, ma irresistibile, che si nascondeva al di là delle strade del suo quartiere.

Forse, a fargli nascere quel pensiero così estraneo alla mentalità dei compaesani era stato proprio l’oceano, con le sue promesse di città lontane e viaggi che non aveva mai fatto, se non nei racconti malinconici che strappava di bocca a Reira.

Reira era, per lui, l’icona di quel mondo distante.

Vedeva qualcosa di irresistibile nella piega della sua bocca – un po’ smaliziata, un po’ innamorata – nei suoi boccoli biondi – così fini, che tra le sue dita erano inconsistenti come fantasmi – e negli occhi caldi, scintillanti come le mille luci di una metropoli.

Era un mondo estraneo e affascinante, quello che aveva portato Reira.

Gli era bastato difenderla da un gruppo di monelli e lei lo aveva accolto con il cuore aperto, sincero, e Takumi sapeva che sarebbe stato così per tutta la vita – calda ed effimera.

Semplicemente, Reira lo amava. E l’amava anche lui, in un modo contorto e ben lontano da qualsiasi cosa avesse mai sperimentato, lontano, anche, dagli amori che avrebbe avuto in futuro.

Ma il bambino Takumi ancora non sapeva della gelosia, del desiderio, del possesso.

Takumi al momento si limitava a sorridere, in quel modo gentile, appena accennato, che la bambina trovava irresistibile, mentre osservava i lunghi capelli di Reira che si confondevano con il moto impetuoso delle onde alle loro spalle, con l’acqua che ricadeva pesantemente sul bagnasciuga, sommergendo i piccoli piedi scalzi della bambina.

 

*

Everyone’s smiling, they’re smiling
It pushes me far, far away
I can’t understand
Everything is blue

Can you hear me out there?

Reira era raggomitolata su se stessa, le ginocchia strette sul petto e la testa boccolosa appoggiata sul pavimento.

Tirò sul col naso, respirando forte per fermare i singhiozzi e non farsi scoprire dai camerieri che, sicuramente, sua madre aveva mandato in giro per la villa a cercarla.

Un’altra delle noiosissime feste della mamma.

Ormai erano così frequenti che Reira poteva prevederne una a distanza di una decina di giorni: il lavoro nelle cucine raddoppiava, iniziavano i preparativi per il salone, le pulizie generali, e lei veniva vestita, truccata, acconciata come una bambolina, senza che avesse diritto di scelta nonostante avesse undici anni. I complimenti per la sua bellezza, ormai, non servivano più a rabbonirla, e le cameriere impazzivano per cercarla in tutta la casa, come ora.

Provò un po’ di pena per le servienti, ma fu qualcosa di passeggero, che svanì non appena gli arrivò all’orecchio il rumore di passi.

Si strinse nel suo cantuccio, nascosta nel capanno degli attrezzi del giardino sotto ad un grosso tavolo.

Premette le mani sulla bocca, nel caso le scappasse un grido, e mosse gli occhi irrequieta alla ricerca dei possibili aggressori.

Ma non vide in tempo l’ombra di Kyoko-san la bambinaia che, lesta, la prese per il polso e la trascinò a forza fuori dal nascondiglio.

« Signorinella, cosa le è saltato in mente?! Lo sa che sua madre…! »

« …si arrabbierà. Appunto per questo scappo! » rispose irrispettosa Reira, tirando il braccio verso di sé, sperando di riuscire a fuggire.

Kyoko-san sospirò e la mise in piedi, sistemandole velocemente il vestito coi merletti, che le creavano prurito le braccia, e i lunghi capelli ricci che si erano aggrovigliati disordinatamente sopra la fronte alta.

« Signorina, » gemette la cameriera, con tono disperato. « Rischiamo il posto ad ogni sua uscita, lo sa? Perché non più essere più indulgente? »

Reira sbuffò, ma non tentò di scappare quando Kyoko la liberò dal proprio abbraccio.

« L’ho già fatto milioni di volte. Ma prima c’era papà per cui farlo. » In lei c’era ancora la sincerità dolorosa dei bambini, e la loro testardaggine. Kyoko sospirò pesantemente.

« Ma signorina… »

« Voglio solo scappare! Questo posto non mi piace… non è il mio. » spiegò con una logica strabiliante e il tono più serio e meno capriccioso con cui si fosse mai espressa, a memoria della bambinaia. « C’è qualcosa di diverso per me, fuori. E io voglio trovarlo. »

Reira respirò a fondo, chiudendo le palpebre leggermente argentate.

Cercò di concentrarsi su quello che le piaceva, ma c’era una parte così larga di mondo che non sapeva decidere; poi, nelle orecchie, il rumore placido del mare e di una chitarra, che accompagnava la sua voce. Reira sorrise, nelle narici la salsedine.

« Ok, Kyoko, io vado a quel noioso party, però voglio che tu mi faccia un favore. »

Kyoko annuì, rassegnata e agitata, guardandosi intorno con circospezione. « Non è una cosa che farà arrabbiare Madame, vero? »

Reira alzò le spalle, con un sorrisino. « Qualsiasi cosa mi renda felice la farà arrabbiare, per cui sì. » Kyoko la guardò severamente.

« Non dovreste dire–  »

« Non vuoi sapere cosa dovresti fare? Il tempo scorre, sa, Kyoko-san? »

La bambinaia si irrigidì e rimase in silenzio, per ascoltare gli ordini della padroncina. Reira si avvicinò al suo orecchio, sussurrò qualcosa, e poi scappò nel giardino verso la villa, lasciando la cameriera perplessa nel capanno.

 

Sua madre si arrabbiò, come previsto, ma non osò dirle nulla, per via degli ospiti che ancora gremivano le sale.

Vedere il viso rosso di rabbia, visibile nonostante il fondotinta pesante, della madre, le causò una scarica di adrenalina che la fece ridacchiare, mentre trotterellava verso il portone.

« Ehi, benvenuto! » esclamò allegra, ignorando i borbotti alle sue spalle.

Takumi fissò gelidamente la folla che chiacchierava e gli lanciava occhiate incuriosite, e le offrì il braccio, che Reira accettò ridendo, radiante come una stella.

Lei sarebbe stata La Stella, quella sera, a dispetto di sua madre.

« I tuoi hanno avuto qualcosa da ridire? »

Takumi alzò leggermente le spalle, facendosi spazio tra la folla con un’austerità che lo faceva sembrare molto più adulto della sua effettiva età.

« Mio padre è ambizioso, ne è stato solo felice. » rispose laconicamente, avvicinandosi verso il buffet.

« E… tu? » chiese esitante, stringendo il braccio che le aveva offerto.

Takumi piegò le labbra in un accenno di sorriso, posando gli occhi cobalto scuro su di lei. « Sono qui, no? »

Reira rise, appoggiando la testa sulla spalla di Takumi.

 

*

 

Will you hold me now (Hold me now)

My frozen heart
I'm gazing from the distance and
I feel everything pass through me
I can’t be alone right now

« Reeeiraaa~! »

« Takeeeruuu~! »

Due ragazzi si abbracciarono stretti, ridendo l’uno sulle spalle dell’altra, e viceversa. Le lattine di birra tra le loro mani si scontrarono, e un rumore metallico sfondò il suono della chitarra che suonava ininterrotta dalle nove di quella sera, animando la festa in spiaggia organizzata dal Consiglio Studentesco.

« E Yasu dove lo hai lasciato, bellissima? » ridacchiò Takeru Ayase, masticando un po’ la frase, la bocca impastata da qualche alcolico di troppo.

Reira accarezzò la base del collo di Takeru, imbronciata. « Quel cattivone del mio ragazzo se n’è andato non so dove! » sbuffò, premendo la guancia contro il petto del compagno di classe.

« Ma non sa che un fiore così bello viene sciupato se trascurato? » il ragazzo le prese il viso tra le mani, osservandola con un mezzo ghigno distorto dalla luce del falò. « È un vero peccato, sai Reira? »

Lei, che ancora rideva per il paragone col fiore, si tranquillizzò un po’ e cominciò a prendere coscienza della situazione in cui si trovava, racchiusa nei palmi di un ragazzo di cui non voleva conoscere nulla se non quale cibo preferisse. Un amico, insomma. Anche se del suo migliore amico lei desiderava anche sapere se la trovava minimamente attraente perché lei – oddio, era così sbagliato pensare in quel momento a Takumi!

C’era Yasu. Y-A-S-U.

…a dire la verità, sopra di lei, in quel momento c’era solo Takeru che si faceva più vicino.

« Oh my God! » saltò in piedi di colpo, e il cervello cominciò a ronzare per colpa dello spostamento troppo brusco, in confronto con il precario equilibrio del suo corpo intorpidito dall’alcol. « Takeru! Sono fidanzata, per l’amor di– ! »

Takeru arricciò le labbra, e si sdraiò sulla sabbia, sospirando. « Beh, ci ho provato. Sai Reira… » si fermò, indugiando a guardare le stelle, quella sera stranamente scintillanti. « Credo di essermi innamorato di te da molto tempo e non sono l’unico, sai? »

Reira si mosse a disagio, ma decise di risedersi accanto a Takeru, confidando nelle sue buone intenzioni. « Perché mi dici questo? » sussurrò, gli occhi nascosti dalla lunga frangia.

Takeru sorrise. « Forse perché a me farebbe piacere sapere di essere amata, di tanto in tanto. Scommetto che né Yasu né Takumi siano granché affettuosi. »

Reira arrossì e voltò il capo verso destra, prendendo nella mano destra un pugno di sabbia.

« Perché hai parlato proprio di Takumi? »

« Non è ovvio? »

Non c’era scherno nella voce di Takeru, solo una tristezza strana, pungente come il freddo della notte. Reira rabbrividì, e seguì il fuoriuscire lento della sabbia dalle dita. Si sentì, improvvisamente, vuota.

Non è qui con me.

« Oh! » si tirò in piedi, l’espressione stupefatta. « Takumi si è allontanato! E io con chi vado a casa?! » cominciò a piagnucolare, entrando in un panico semi-isterico che strappò una risatina a Takeru.

« Dai, ti accompagno a cercarlo. »

Reira sorrise. « Arigato. »

 

Lo trovarono in un angolo lontano dalla festa, con la mano sotto la gonna di una ragazza che Reira non riconobbe al buio (ma nemmeno le interessava sapere chi fosse).

Reira sentì le gambe cederle per un attimo, e una sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco, come quando andava sulle montagne russe e c’era quell’attimo di panico proprio prima della lunga e ripida discesa.

Improvvisamente divenne apatica; era insensibile alla musica, che le risuonava nelle orecchie come un ronzio, ai soffocati sospiri della ragazza, al tocco confortante di Takeru, che le sbarrò la vista premendola sul petto contro di sé, con una forza che avrebbe potuto schiacciarla.

Reira non avvertiva nulla se non un antipatico, fastidioso torpore.

Di sottofondo, lontano da tutte quelle immagini che si articolavano nella sua mente, di colpe e speranze spezzate, l’oceano quietamente continuava ad infrangersi sulla costa con la stessa indifferenza di Takumi verso mille, migliaia di cose – anche lei stessa, forse. Non l’aveva mai capito. Però sapeva che lei era esattamente il contrario, appassionata al mondo, ai dolci, alle poesie (null’altro che parole, no? parole, parole, parole e basta).

Reira tirò su col naso e abbracciò forte Takeru, pregandolo di riportarla a casa.

Il ragazzo annuì, senza far commenti; la sorresse finché giunsero a una vecchia auto un po’ ammaccata, e la fece accomodare nel sedile del passeggero, dove rimasse immobile fino a casa sua, fissando con aria assorta il paesaggio al di là del vetro e canticchiando silenziosamente (nient’altro che suoni, no? e parole).

Quasi si addormentò sulle piccole poltrone di pelle color panna, che sapevano di cuoio e tabacco, e di salsedine, un odore stagnante che permeava tutta la città.

« È stata una serata piacevole. »

Reira non poté evitare un’espressione sorpresa, a quell’osservazione. Sapevano entrambi che era una bugia formale, senza spessore, che non avrebbe fatto altro che inaridire l’atmosfera già di per sé smorta.

Ma Takeru aveva fatto lo sforzo di rompere il silenzio.

Non si voltò a guardarlo.

« Lo avviso che sono sana e salva. »

Si ritrovò a sorridere tristemente, con le lacrime agli occhi, osservando la mascella indurita di Takeru.

« Sì. »

Avvisò Takumi via messaggio, ringraziò Takeru quando posteggiò l’auto e, tornata a casa, si buttò sul letto, fissando con sguardo piatto il soffitto.

Pensò a Yasu, a Takeru, ma non sentì nessun conforto nell’essere amata.

Oh, era così meschina, lei!

Un bussare prepotente al suo vetro le fece voltare la testa. Takumi la fissava da dietro al vetro, i capelli lunghi spettinati e la camicia sbottonata.

Reira sorrise – anche se gli occhi bruciavano – perché sapeva sin dall’inizio che Takumi sarebbe arrivato subito a controllare come stava, ad accettarsi che Takeru non le avesse torto un capello.

Oh, come era viziata, lei!

L’ho usato.

Promise di portare un bento a Takeru mentre apriva la porta-finestra a Takumi.

 

 

*

But it gets me, but it gets me
I wish I could understand how I
Could make it disappear, make it disappear

Anyone out there hear me now?

« Cosa vuoi veramente? »

Reira premette la fronte nel cuscino, strofinandovi il volto, per tentare di soffocare le parole di Yasu che le riecheggiavano nella testa, provocatrici.

Ci siamo lasciati, ragionò tentando di essere razionale, normalmente una ragazza in questo caso dovrebbe piangere e accusare di qualcosa il suo fidanzato – cioè, ex-fidanzato.

Si convinse che fosse la cosa più giusta da fare, e cominciò a elencare tutti i difetti di Yasu, in ordine alfabetico (doveva essere un momento difficile per lei, no?).

A come… come… apatico. B come… come…

Partiamo dalla P, che è più facile. P come Pelato. Q come… che razza di aggettivo trovo che inizia per Q?!

Sbuffò scoraggiata e si voltò di lato, fissando la copertina di una rivista posata sul comodino.

Non riusciva a star male come vorrebbe. Non che desiderasse morire di dolore – non era masochista! – ma non soffriva come le succedeva quando ascoltava una musica particolarmente struggente.

…giusto!

Un lampo di realizzazione la fece scattare in piedi, correre verso il lungo scaffale ripieno di CD e afferrarne uno con un gesto sicuro. In pochi minuti nella stanza risuonava vigoroso il suono della chitarra, e la voce piena e vibrante di Eric Clapton.

Reira sospirò ributtandosi sul letto, mentre lunghe lacrime finalmente le scendevano dalle guance.

Così il senso di colpa si sarebbe attenuato, almeno un po’.

Però non riusciva proprio a capire se stessa. A lei piaceva seriamente Yasu, le era piaciuto dalla prima sera in cui avevano parlato e lui l’aveva baciata, piano, dolcemente.

Era stato Yasu a mostrarle una parte di mondo che Takumi – involontariamente – le aveva sempre negato; le aveva insegnato il calore di due mani intrecciate, il brivido di un bacio inaspettato.

Eppure… eppure non sentiva nulla. Non era triste, leggermente un po’ mesta per il peso del senso di colpa, ma nulla di più.

Dov’era il pianto che smozzava il petto? E i flashback malinconici, la mancanza dei suoi abbracci?

Nulla. Assolutamente nulla.

Aggrottò le sopracciglia, palesemente irritata, e si sedette sul materasso, asciugandosi affrettatamente gli occhi.

Era proprio stupida.

Cosa voleva ottenere riducendosi volontariamente come uno straccio?! Nessuna ragazza l’avrebbe voluto, anzi! Perché ostinarsi se il suo ‘Io’ non si addolorava della perdita?

…il suo Io.

« Cosa vuoi veramente? »

Già… cosa voleva, veramente?

Si morse le labbra, meditando silenziosamente, quando sentì un rumore alla finestra. Alzò gli occhi arrossati e vide Takumi che finiva placidamente la sua sigaretta, spegnendola sul cornicione di pietra poco dopo.

Si alzò cauta e camminò scalza fino alla porta-finestra, aprendola.

« Ciao. » la salute lui, incolore.

Reira alzò le sopracciglia, azzardando un’occhiata sospettosa in sua direzione. « Perchè sei qui? » domandò, piuttosto seccata.

Takumi alzò le spalle con noncuranza. « Pensavo avessi bisogno di me. »

« Non ho bisogno di te ogni volta che sto male! » ribatté, piccata, richiudendo la porta con un piccolo tonfo.

« Signorina? » la voce che veniva dal fuori la irritò maggiormente. « Sta bene? »

« . » sbottò seccamente. « Vai a letto Kyoko, sarai stanca. » Il tono non fu cortese come avrebbe voluto, ma la cameriera se ne andò senza aprire. Forse aveva troppo sonno per controllare.

Takumi intanto si era disteso al suo posto sulle lenzuola rosa antico, e i capelli neri, tenuti lunghi, macchiavano di nero il tessuto infantile. Stonava lì sopra, decise Reira.

Si accorse che lui la stava fissando intensamente. Si mosse a disagio e prese una sedia, sedendosi di fronte a lui.

« Dovresti darmi il mio letto per sedermi. » gli fece notare, tentando di tergiversare.

Takumi chiuse gli occhi, senza risponderle.

« E NON TI ADDORMENTARE QUI! »

« Dio, come sei noiosa. » Takumi aprì lentamente i piccoli occhi color mare, e Reira si sentì rincuorata dal suo sguardo dolce. Era come un abbraccio che le scivolava lungo il corpo.

« Posso rimanere qui? »

« Come si dice? »

Takumi sbuffò. « Per favore? »

« Meglio. » accettò riluttante la ragazza, accucciandosi sopra la seggiola con le gambe rannicchiate e il mento sulle ginocchia. « Che ci fai qui? Sei venuta davvero per me? »

« In realtà di avevo portato gli spartiti delle ultime canzoni, le dovremo guardare prima della partenza per Tokio. »

Reira storse le labbra, contrariata. « Sempre lavoro, tu! »

« Ti porto nel mondo fatto per te. » Takumi prese tra le mani la sua sveglia a forma di gatto, osservandola divertito. « Sei proprio una bambina Reira! »

Arrossì, ma ebbe la prontezza di voltare il viso per nasconderlo. « Non è vero! Io e Yasu abbiamo– » si interruppe, capendo che aveva toccata un tasto dolente – per lei.

Takumi e Yasu non erano migliori amici, ma si stimavano e avevano parecchie cose in comune. Ad esempio la terribile tendenza a toccarle i suoi adorati capelli o a farla andare di matto. Che cosa ne avrebbe pensato Takumi? Sarebbe stato indispettito? Indifferente? …felice?

« Tu e Yasu? » la esortò Takumi, fissandola intensamente.

Reira abbassò il viso e sospirò. « Non ora, ok? Concentriamoci sul lavoro. »

« Reira, tu stai male. »

Rise amaramente, colpita dall’ironia della frase. « No, davvero, sto anche troppo bene. Pensiamo alle canzoni, ok? Ho bisogno di scappare da mia madre e da tuttoquesto. »

« …pensavo ti piacesse questo mondo. »

Reira abbozzò un sorrisetto. « Il mio mondo è… » esitò un attimo di troppo. « Lontano da qui, al momento. Ma ora, ti prego, mostrami i testi! »

Senza domande, lui tirò fuori dalla tasca dei jeans sgualciti dei fogli spiegazzati. Reira li guardò attentamente, e cominciò a canticchiare. Con la coda nell’occhio, lo vide rilassarsi impercettibilmente.

« Va bene così? »

« Più bassa sulle note iniziali. »

« Ok. »

Mentre cantava, Reira si sentiva miracolosamente bene.

Il suo posto era .

« Cosa vuoi veramente? »

 


*

Will you hold me now (Hold me now)

My frozen heart
I’m lost in a deep winter sleep
I can’t seem to find my way out alone
Can you wake me?

 

La trovò che canticchiava sulla riva del mare, accanto ad una vecchia Mustang di cui Takumi non osava immaginare la provenienza, con addosso uno di quei vestiti larghi e bianchi che si indossano solitamente a primavera. Era come se lei avesse anticipato i tempi, usurpando il posto delle Ninfe di risvegliare la natura con il canto.

Le si avvicinò cautamente. Gli stivali di pelle affondavano leggermente nella sabbia biancastra della spiaggia, e il vento del nord portava qualche granello e l’odore pesante, quasi fastidioso di salsedine. Eppure, così famigliare.

« Pensavo fossi da tua madre. »

La video sobbalzare appena, e ruotare la testa verso di lui. « Ci sono stata. Sai quanto ami avermi a casa per potermi mostrare agli amici! » scherzò, ridacchiando rocamente.

Takumi si accorse che Reira aveva gli occhi stanchi.

« Sei scappata. »

Non c’era accusa nel tono, ma Reira capì ugualmente la sua irritazione perché abbassò per un attimo gli occhi, colpevole.

« Avevo bisogno di staccare. »

« Potevi dirmelo. »

Lei scosse la testa, e i capelli ricci si mossero ad onde sul capo. « Naah, dopo mi avresti seguito! Sono stati due giorni intensi, sai? Sono andata a trovare tutti quelli che conoscevamo! Dovevi vedere le loro facce! Ho incontrato Takeru, quello in classe con me, ti ricordi? » Reira fissava l’oceano, sorridendo malinconicamente. « È diventato proprio un bel ragazzo. È fidanzato e ha un lavoro con cui guadagna bene… ma abita ancora con i suoi, è stato facile riconoscerlo. Poi, sai, mi ha fatto vedere questa! » A questo punto, indicò la Mustang vivace su cui era appoggiata. « È la stessa che aveva da ragazzo! L’ha conservata benissimo per ricordo. » Reira sorrise. « Non è incredibile? Me l’ha anche prestata per venire qui, fidandosi di me. Ha detto che così varrà di più, se l’ho guidata Reira dei Trapnest! » ridacchiò, scoprendo la fila di denti bianchissimi al sole pallido d’inverno.

Takumi spalancò gli occhi e cominciò a ispezionare velocemente la macchina. Reira sbatté le palpebre, stupita.

« Che stai facendo? »

« Quel cretino di Takeru! » imprecò Takumi, finendo di gironzolare attorno alla vettura e tornando davanti alla ragazza, che inclinò il volto, incuriosita. « Reira ricordi che giri ancora col foglio rosa, vero?! » ruggì lui, arrabbiato. « Cosa sarebbe successo se fossi andata fuoristrada?! Ci pensi a quello che fai?! »

Reira alzò le spalle. « Al ritorno guidi tu, no problem! »

« Ma… tu! » Takumi si portò la mano sulla fronte, digrignando i denti. « Lasciamo perdere. »

Si buttò accanto a lei, appoggiando le spalle contro la portiera arrugginita, incurante. Reira rabbrividì, ma tenne lo sguardo fisso all’orizzonte.

L’odore della sigaretta appena accesa si sommò a quello del mare. Reira ne inalò una buona boccata.

« Sai, Takumi… »

« Mmh? »

Reira tremò, ma per nasconderlo chiuse le gambe verso di sé, appoggiando il volto sulle ginocchia.

« In realtà sono venuta qui perchè… mi mancava il mare. »

Takumi inarcò le sopracciglia, perplesso. « Credevo odiassi questo posto. »

Lei scosse la testa. « Non questa spiaggia! Seduta qui mi sembra di ripercorrere tutta la mia vita. È strano, ma associo al mare tutto. Ho attraversato l’oceano per venire in Giappone, qui ho imparato a nuotare, ho costruito il mio primo castello di sabbia… sa di salsedine tutto ciò che amo di più al mondo. » Gli sorrise timidamente. « Anzi, odora di salsedine il mio mondo. »

« Stupidaggini romantiche da ragazzina. » la liquidò lui masticando la cicca della sigaretta e incrociando le braccia dietro alla testa.

Reira allargò gli occhi, umidi, ma si morse il labbro e non rispose. Takumi l’osservava, incerto su cosa fare.

« Perché dici così? Per me è importante. Da quando mi sono trasferita ho sempre cercato un posto mio, dove stessi bene. E finalmente l’ho capito grazie a te. »

Takumi alzò le sopracciglia, sorpreso. « A me? »

Lei annuì con la testa. « Già. Quando ti sei sposato con Hachiko, sai… » Takumi si irrigidì. « No, non ti preoccupare, non voglio più essere la tua amante! Solo… lasciami finire… quando ti sei sposato con Hachiko non capivo cosa lei avesse in più di me. Davvero, non lo sapevo. Ma poi… » Reira prese un bel respiro. « Ho pensato che una relazione tra di noi creerebbe un disquilibrio, e probabilmente la fine dei Trapnest. Sì, siamo già in cattive acque ma… se tra di noi ci fosse qualcosa… il mondo dei Trapnest crollerebbe definitivamente. » gli lanciò un sorriso pallido. « Non voglio che il tuo mondo cada a pezzi, Takumi. Per cui ho deciso che mi occuperò delle altre cose che sanno di salsedine. »

« Reira… »

« Ssh. Lasciami ascoltare le onde. »

Rimasero lì, in silenzio, appoggiati ad una macchina che non apparteneva a loro, dove le impronte si mischiano e l’acqua cancella, nascondendo lo struggimento con visi di plastica.

 

« Reira…  »

« Uhm?  »

« …ti sei accorta che siamo sommersi dall’acqua?!  »

« CHEEE?! È impossibile!  »

« Altamarea, cretina! Ho tutti i vestiti bagnati!  »

« Oddio, Takumi, scusami, io… - oddio, l’acqua sta ribaltando la Mustang!  »

« COSA?! Spostati cretina! »

« Ma è di Takeru! Perché mi hai spostata?! »

« Umph. » Uno sbuffo di sigaretta. « Reira… »

« Cosa ancora!? »

« La tua voce per me sa di salsedine. »

 

 

Will you hold me now (Hold me now)

My frozen heart
Kiss my lips and maybe you can take me to your world for now
I can’t be alone right now
Will you hold me now (Hold me now)

My frozen heart
Please make it all go away
Am I ever gonna feel myself again?
I hope I will

 

 

 

 

 

 

 

 

*                      *                      *                     *

 

 

 

Due noticelle: Questa fanfic partecipa al concorso multifandom indetto da Lisachan, “Dall’immagine alla storia.” L’immagine da cui prende spunto è un album dei Placebo.

 

Ma non è altrettanto lineare la fanfic; forse è un po’ più complessa del mio solito, molte cose le ho lasciate celate, alcune somiglianze con gli episodi precedenti – tutti pre-Trapnest – ma spero che il succo si sia capito. È volutamente velata, perché credo che tra Reira e Takumi non ci sia un’esplicitazione dell’amore che li unisce; un amore che mi intriga tantissimo, e penso sia diverso dai soliti. Vi spiego: per me Takumi non protegge Reira dal mondo, ma da lui stesso. È un amore che non ha a che fare con matrimonio, sesso (anche se il manga…), è più… qualcosa di empatico. Boh. non so come spiegare, non è chiaro manco a me! Ò_ò

 

Un, due possibili contraddizioni nella fanfic che, spero, non pesino. Primo: so perfettamente che l’alfabeto giapponese non è come il nostro, ma Reira è Americana, quindi può darsi che ragioni con il nostro alfabeto. Altra cosa, non sono sicura che “la patente” in Giappone funzioni come da noi. questa è, uhm, una licenza da fanwriter! XD Ecco!

 

E poi volevo anche puntare sull’importanza della musica, per entrambi. Ecco. ^^

 

Descriverli è stato un vero piacere. È la mia coppia preferita. (L)

 

Complimenti a tutti voi che siete arrivati sani e salvi alla fine della fan fiction, so che non è stato facile! :)

 

Che ne direste di lasciami un parere? Mi fareste molto felice! *_*

 

 

 

Bye,

Kaho

 

 

 

PS= la storia è stata ispirata da un bellissimo video di YouTube sulla coppia. Vi lascio il link, ma siete avvisati: contiente spoiler! ù_ù Guardatelo, è bellissimo! *_*

à http://it.youtube.com/watch?v=i1A98a98tjc

  
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