Serie TV > Teen Wolf
Ricorda la storia  |      
Autore: Nemainn    14/08/2014    6 recensioni
Il Nogitsune sembra un capitolo dimenticato, ma non sempre ciò che ci si è lasciati alle spalle cessa, per questo, di avere conseguenze.
Stiles lo scopre e, con lui, Derek
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





 

 

Nel guardare Derek camminare davanti a lui mentre tornavano nel bosco per un sopralluogo la mente di Stiles tornò alla sera prima, alla maglietta sporca di terra e sangue raggrumato che scivolava via dal corpo di Derek, mentre lui si lasciava sfuggire un gemito di dolore, trattenuto dietro i denti stretti.
“Sei ferito?” La domanda era stata burbera, diretta, mentre quegli occhi penetranti lo studiavano, seduto al suolo, con la schiena contro l’albero e le ginocchia tirate la petto.
“No, niente di peggio di qualche livido.” Gli occhi di Stiles erano scivolati sulla schiena del licantropo nuovamente voltato, che bagnava i resti di quella maglia nel ruscello pulendo le ferite che si stavano già rimarginando. “Perché il triskel?” Aveva chiesto senza poter più trattenere la sua curiosità.
“Che ne sai tu di triskel?” Sibilò con voce dura l’uomo, continuando a dare le spalle al ragazzo, impegnato a tamponare una ferita particolarmente profonda sul petto.
“So che è un simbolo che usavano i druidi. Ma non so che vuol dire.” Aveva risposto. ‘
Ma sopratutto non so perché lo usi tu.’  L’ultima parte della frase era però rimasta chiusa nella testa del ragazzo, serrata nella sua mente dove l’altro non avrebbe potuto mai sentirla.
Tornò al presente con un mezzo sospiro, guardandosi attorno.
“Perché hai così tanta fretta di tornare lì?” chiese distrattamente, arrancando dietro al passo svelto di Derek, mentre la sua mente tornava a fatti da poco conclusi.
Avevano sconfitto da poco il Nogitsune, ma la sera prima qualcos’altro era arrivato a Beacon Hills. Dopo quell’incontro che aveva quasi ucciso Derek, che casualmente era nel bosco e aveva sentito il più giovane invocare aiuto, inseguito da quella forma nera che pareva uscita dalla terra stessa, avevano deciso di andare a fare un controllo. O meglio: Derek era comparso in camera sua dicendogli di andare con lui.
La sera precedente, Stiles era andato là, al tramonto, per stare solo.
Da quando si erano liberati del Nogitsune nulla era lo stesso, per lui, qualcosa di quell’oscurità gli era rimasta dentro e nonostante sul suo volto lo stesso sorriso strafottente di sempre danzasse, la sua anima era pesante. Aveva sentito il bisogno di solitudine, voleva essere libero di sfogarsi e urlare o piangere, se necessario, e si era trovato a parcheggiare la sua jeep ai bordi della strada, scendere e inoltrarsi tra gli alberi a passo lento, ascoltando quella quiete e sperando entrasse in lui, calmando quel tumulto.
Poi lo aveva sentito.
Freddo, gelo, ghiaccio che gli entrava nella schiena e fermava il suo sangue e poi quella forma nera. Così aveva cominciato a correre, inseguito, fino a quando dal nulla era apparso Derek a fronteggiare quella
cosa.
“... ma mi stai ascoltando?”
“Scusa... sì, no. Cosa?” Stiles aveva alzato di scatto la testa, non aveva dato peso al fatto che l’altro gli stesse parlando.
“Se fai una domanda ascolta la risposta.” Derek continuò a camminare nel bosco, verso quel punto dove la sera prima aveva messo in fuga quell’essere.
“Stavo guardandomi attorno, non vorrei quella cosa fosse rimasta qua ad aspettarci.” Disse in tono nervoso, girando lo sguardo in ogni direzione, esplorando con gli occhi lo spazio tra i tronchi.
“Non c’è più il suo odore.” Derek si era fermato e il ragazzo gli andò a sbattere contro la schiena, lo sguardo del licantropo si puntò su di lui, irritato. “Non mi ascolti, non guardi dove vai... cos’è, la gita della scuola, questa?”
L’uomo scosse il capo, scocciato, mentre si accucciava a terra cercando alla luce del tardo pomeriggio qualche prova, qualcosa che fosse rimasta sul terreno della strana creatura che aveva attaccato il ragazzo la sera prima. Lo aveva sentito da lontano e lo aveva seguito stando a una certa distanza, chiedendosi cosa ci facesse lì da solo, poi aveva visto il suo viso.
Un concentrato quasi disperato, triste, così diverso dal solito da fargli capire all’improvviso come quel sorriso fosse solo una maschera, una corazza. Lo aveva seguito, curioso e un po’ preoccupato, chiedendosi perché avesse scelto di camminare in solitudine invece che cercare l’aiuto o il sostegno di Scott, ma poi era arrivata quella forma nera. Quando l’aveva affrontata le sue mani avevano fatto fatica ad afferrare quell’essere, sfuggente come fumo sembrava un grosso felino, ma i contorni erano indistinti, non identificabili, come se non fosse stata veramente lì.
“Derek, aspettiamo a dire a tutti di questa cosa, magari non è niente…”
“Non è niente? A me sembrava qualcosa, Stiles. Da quand’è che hai paura?” Chiese alzandosi dalla posizione accucciata e voltandosi verso il suo interlocutore, trovandovi per un momento un’espressione che non riuscì a decifrare.
“Non vorrai mica che arrivino tutti di corsa nel bosco a vedere… cosa poi? Non c’è più niente, Derek.” Il ragazzo si appoggiò al tronco, lo stesso contro cui la creatura lo aveva praticamente lanciato, indicando con la mano il punto davanti a loro dove Derek e quell’essere si erano affrontati. Nulla, solo erba schiacciata e foglie smosse. Il licantropo non trovava piste, non vedeva impronte… arrivato dal nulla, sparito nel nulla.
“Sembravi essere te la sua preda. Potrebbe essere un caso, oppure cercava proprio te. Cosa ci facevi qua l’altra sera?”
“Camminavo. E tu cosa ci facevi?”
“Le domande le faccio io, Stiles.” Burbero, l’uomo riprese a osservare la zona, attendendo una risposta, mentre il ragazzo lo fissava. Il più giovane chiuse gli occhi, escludendo dalla mente pensieri che con quello che stava accadendo non c’entravano nulla. L’immagine di Derek mezzo nudo venne scacciata con forza e Stiles riportò la sua attenzione sulla domanda.
“Pensavo. Volevo stare da solo.”
“Evita di stare da solo allora. Pensa in mezzo alla gente, non in mezzo al bosco.” Stiles fissò per un attimo il licantropo, osservandolo incredulo. “Hai capito Stiles?” Quello sguardo fece indietreggiare di un mezzo passo il ragazzo, che alzò le mani davanti a sé.
“Sì, capito. Certo, nessun problema, in mezzo alla gente. Sì. Come vuoi tu, Derek.”
“Respiri mai tu, o parli solo?”
“No, respiro. Anche. A volte. Spesso, anzi, quasi sempre direi…” L’occhiata feroce che l’uomo gli diede, finalmente, zittì il ragazzo, che cominciò a seguirlo fuori dal bosco, in direzione della jeep finalmente in silenzio, mentre arrancava dietro al passo decisamente spedito dell’altro.
Lo vide salire sul lato passeggero, fissandolo gelido.
“Oh, vieni con me?”
“Sì.”
“Ma sei sicuro? No perché sono abbastanza certo che…”
“Stiles!” Il ragazzo sobbalzò appena e senza dire altro salì, mise in moto e guardò più volte il licantropo con la coda dell’occhio, interdetto ma silenzioso nonostante il nervosismo che lo portava a battere ripetutamente le mani sul volante, muoversi, mangiare e spargere per tutta la jeep le noccioline che teneva nel cruscotto, il tutto mentre guidava con una certa scarsa cura nella serata autunnale che era calata su Beacon Hills.
Al limite della sopportazione, ad un certo punto, Derek cominciò a fissare con ferocia il giovane che, sotto quello sguardo, cominciò di nuovo a chiacchierare, mentre si agitava. Sempre di più.
Possibile che quel ragazzo non fosse capace di stare fermo e tranquillo, in silenzio?
Sempre più vicino al confine della civile sopportazione il licantropo strinse i pugni, chiedendosi esattamente perché ci tenesse così tanto a quel ragazzetto iperattivo. Accantonò però la domanda che, improvvisamente, era diventata scomoda e trattenne a stento un ruggito.
“Stiles! Se non stai zitto ti tolgo le corde vocali con questi!” Gli artigli del licantropo, a una spanna dal viso del ragazzo, furono abbastanza convincenti: Stiles chiuse la bocca, gli occhi leggermente sgranati.
In pochi minuti raggiunsero casa Stilinski, buia e vuota. Lo sceriffo, il padre di Stiles, era probabilmente in centrale e la jeep si fermò nel viale sotto casa.
“Beh io sono a casa, Derek, grazie. Sono vivo direi che ci salutiamo qua, va bene?” Ma l’altro non sembrava condividere quel punto di vista, annusava attento l’aria, gli occhi che baluginavano alla luce dei lampioni, mentre nella strada deserta qualche refolo di vento strappava suoni sinistri ai rami carichi di foglie che andavano seccandosi.
“Derek?”
L’imperativo cenno che chiedeva silenzio fu recepito dal ragazzo che chiuse la bocca, guardandosi attorno sempre più nervoso, tirando fuori la mazza da baseball da dietro il sedile e dirigendosi, affiancato dal licantropo, alla porta d’ingresso.
La mano di Stiles riuscì al secondo tentativo, cosa di cui si complimentò tra sé e sé, a infilare la chiave nella serratura e aprire la porta, accendendo poi la luce al fianco del battente.
Immediatamente l’entrata venne illuminata e il ragazzo si sentì subito più tranquillo.
Per circa cinque secondi.
Poi arrivarono i felini.
Neri, furtivi ed eleganti, simili a enormi gatti o a grosse pantere erano alti quasi quanto un uomo.  I contorni della loro figura erano imprecisi, sembravano svanire, dando loro quasi una specie di impronta irreale, come se non appartenessero alla stessa dimensione che lui stava calcando.
“Derek…”
Un ringhio e l’altro si frappose tra il ragazzo e uno dei felini, ma la presa passò attraverso quel corpo, causando minuscoli vortici neri come se fossero fatti di nebbia, ma gli artigli erano fin troppo reali. Quattro solchi paralleli comparvero sul petto del licantropo, mentre il ragazzo arretrava verso la porta lasciata aperta.
Derek cercava di tenere lontano le bestie d’ombra, la mente che cercava una soluzione per quella lotta impossibile da vincere: come si abbatteva un avversario che non potevi colpire ma che poteva ferire te?
Il licantropo ruggì la sua ira, fino a quando un pensiero gli balenò in mente: lo studio di Deaton. Era protetto dall’intrusione di moltissime forme di vita soprannaturali, se un posto sicuro c’era, era probabilmente quello.
“Stiles!” Ruggì al ragazzo dietro di lui che sventolava la mazza da baseball con il viso pallido e le labbra stirate. “Sali in auto! Deaton!” Immediatamente la comprensione si affacciò sul volto del ragazzo, che driblò il cofano lanciandosi dentro la jeep, cercando nelle tasche dei jeans con foga per trovare le chiavi e mettere in moto il motore.
“Sali!” Non avrebbe lasciato lì Derek.
No.
Perché no? Il licantropo poteva cavarsela decisamente meglio di lui…

Perché no e basta.
Si disse con decisione.
“Derek!” Chiamò, aprendogli la portiera e cominciando a muovere il mezzo, per poi sgommare quando l’altro afferrò la portiera, seminando nella luce irregolare dei lampioni quelle ombre dalle zanne affilate.
Senza una parola, probabilmente collezionando una lista ragguardevole di infrazioni al codice stradale, il giovane li portò entrambi allo studio veterinario dove Deaton stava chiudendo. Nel vedere la jeep fermarsi all’entrata con un acuto stridio di pneumatici si immobilizzò, aprendo la porta appena chiusa e facendo cenno ai due di entrare. Aveva intravisto, verso il fondo della strada, delle ombre in movimento e a Beacon Hills non dovevi mai fare affidamento sulla probabilità più logica e scientifica, quando vedevi qualcosa di strano.
I due si infilarono di corsa nello studio e Deaton chiuse la porta a doppia mandata guidandoli verso l’ambulatorio sul retro, la zona più sicura.
“Cosa è successo?”
“Gatti, grossi e…” Ma la frase rimase in sospeso, la luce venne per un attimo a mancare e, quando tornò, non più di un paio di secondi dopo, da sotto la porta cominciava a filtrare una nebbia scura, densa e vorticante.
La stanza cominciò a farsi gelida mentre Deaton, afferrata una scatola da sotto un ripiano, prendeva a rovistare freneticamente in essa, estraendo infine una provetta con all’interno quelli che sembravano petali di un colore simile al viola. Se ne mise una manciatina sul palmo e soffiò in modo da dirigerli verso quella nebbia, che a contatto con quell’erba si ritirò appena oltre il punto dove l’ultimo petalo era arrivato.
Senza perdere tempo li soffiò su di loro e i tentacoli scuri fatti di nebbia cominciarono a prendere forma.
“Cos’è?”  Derek accennò a quello che gli era stato soffiato addosso, mentre si stringeva contro Stiles e Deaton.
“Petali di Artiglio del Diavolo. L’unica cosa che potrebbe funzionare… anche se non sto capendo bene che cosa sono queste… cose.”
I tentacoli scuri assunsero la forma felina che li aveva inseguiti e, come veri gatti, frustarono con la coda l’aria, insoddisfatti e nervosi.
“Cose?” La voce di Stiles era strozzata, un paio di toni più alta del solito. “Cioè non sai cosa sono?”
“Gatti.” Derek ringhiò appena, le ferite che si stavano rimarginando. “Grossi e fumosi gatti.”
“Sì, Derek, grazie, pensa, credevo fossero elefan…”
“Zitti!” Deaton indicò loro la porta. Un’ombra umana si delineò oltre il vetro e poi la maniglia si mosse, cedendo come se non fosse stata chiusa, facendo entrare una figura indistinta ma molto più solida di quei felini grigi che iniziarono a raccogliersi attorno a essa, strofinandosi su di lei, domestici e quasi…  teneri.
“Avete fatto una cosa che non dovevate.” I tre si scambiarono uno sguardo, riportando poi l’attenzione su quella figura grigia, come coperta da capo a piedi da veli polverosi e stinti che parevano sfumarsi con l’aria. “Ci sono cose che devono rimanere al loro posto. Quando una trama è tessuta, quando un filo passa oltre l’arcolaio, quando la forbice taglia… tutto è già deciso, eppure avete ingannato il fato stesso e io sono qua per sistemare le cose.” Bassa, eppure innegabilmente femminile, la voce sembrò ipnotizzare i tre.
“Chi sei?” La voce di Derek, il primo a riprendersi, cupa e senza tremori pose la domanda.
“Ho tanti nomi. Mi avete chiamato Erinni, Norne, Parche, Destino, Fato… Chiamatemi Nemesi*, se volete. Il mio nome poco può fare per voi ormai.” Una risata bassa, sibilante, li raggiunse. “Sì, credo che Nemesi sia il nome adatto, questa volta. Ti sei innalzato oltre il tuo destino, mortale. Questo va punito.” Una mano grigia si alzò, puntandosi contro Stiles.
Bianco, cadaverico, il giovane fece un passo indietro urtando il tavolo veterinario, deglutendo vistosamente. “Avresti dovuto incarnare il Nogitsune, hai rifiutato il tuo destino e questo ha un prezzo. Tutto ha un prezzo. Hai alterato la trama della realtà, ed essa dovrà tornare al suo posto.” Con un ringhio Derek si lanciò contro la figura ma un gesto appena accennato, distratto, di quelle dita lo immobilizzarono. “Pensi davvero di potere qualcosa conto una divinità, cane?”
“Nemesi… cosa posiamo fare per placare la tua ira?” Deaton si era frapposto tra la dea e il licantropo. Sapeva che non era uno scherzo, quella era
davvero Nemesi.
“Lui. Ha cambiato questa realtà, non ne fa più parte.”
Il tempo parve stirarsi in un immenso, unico, lungo attimo in cui la mano della dea si spostò, sfiorando la spalla di Stiles.
Derek fissava quell’arto sottile, quasi delicato, cercando disperatamente di bloccarlo ma, per quanto fosse veloce, quell’attimo cristallino scolpito nel tempo sembrava eterno, non poté evitare che Stiles venisse toccato però, in quello stesso istante, anche lui toccò la Dea, sentendone la voce.

“Bisogna mantenere l’ordine universale. È infatti necessario che ogni individuo rimanga relegato alla posizione che gli è stata assegnata nel mondo, ovvero che come ingranaggio dell’ordine totale assolva la funzione per cui è stato creato, per non mettere a repentaglio il buon funzionamento di tutto ciò che lo circonda.
Tu sei stato manchevole in questo, Stiles, e io ti condanno. La tua morte non riporterebbe l’equilibrio, ma la tua assenza sì. Mancherai dalla tua realtà, sarai esule, dimenticato da tutti nel tempo, mentre la convinzione di ciò che avrebbe dovuto essere realtà prenderà posto nei loro cuori.
Quando tutti crederanno fermamente alla verità che avrebbe dovuto essere, essa si avvererà e tu sarai ciò che avresti dovuto essere.”

Quelle parole rimbombarono nella mente di Stiles, mentre tutto attorno a lui si sfocava e la dea, invece, diventava sempre più solida e reale.
Vide la disperazione sul volto di Derek.
Lo vide gridare il suo nome cercando di afferrarlo, ma ora era lui stesso ad essere foschia, immateriale come prima lo erano quelle bestie.
Sentì le lacrime scivolargli silenziose lungo il volto, la sua mano tendersi verso Derek, per un solo attimo sentì quella presa, il calore, invocò il suo nome ma nessun suono uscì dalle sue labbra.
Essere dimenticato da Derek.
Dimenticare.
Guardò la disperazione sul volto del licantropo, la stessa che lui stesso provava.

Dimenticare era morire.

 

*Nemesi: come le Erinni punisce il crimine, ma più precisamente personifica la Vendetta
divina (dal greco némesis, vendetta) contro ogni eccesso umano e quindi si occupa di ridimensionare tutto ciò che si innalza, ma che sprofonda anche al di sotto, della sua condizione (l’hybris, la dismisura).
È una figura della
mitologia greca, secondo alcuni figlia di Zeus, secondo altri figlia di Oceano e Notte e poi posseduta dallo stesso Zeus nel tempio di Ramnunte.
Fu il nome della dea "distribuzione della giustizia"
(la giustizia intesa come codice giuridico era invece attribuita alla dea Diche).
Nemesi provvedeva soprattutto a metter giustizia ai delitti irrisolti o impuniti, distribuendo e irrorando gioia o dolore a seconda di quanto era giusto, perseguitando soprattutto i malvagi e gli ingrati alla sorte.



Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, è la prima che scrivo su di loro e, se vi piace, fatemelo sapere!
Fa bene alla mia autostima!


La mia pagina di autrice di FB, se volete venite a trovarmi!
Le Storie di Nemainn

 

.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Nemainn