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Autore: Walking_Disaster    14/08/2014    3 recensioni
Attenzione: Wincest (a cavallo tra la settima e l'ottava stagione)
Sam si trova nel mondo senza Dean, Bobby e Castiel. Non gli è rimasto nessuno e va avanti, a modo suo, ritrovandosi in un letto che non gli appartiene, insieme ad Amelia. Quel letto che diventa il sudario di quel poco che aveva provato a recuperare.
Dean è volutamente OOC poiché giustificato dal contesto.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Settima stagione, Ottava stagione
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Holy image of lies




«Ehy.»
Quella voce era incorporea. Era solo nella sua mente, eppure era così dolorosamente viva e famigliare.
Vicina. Irraggiungibile.
Sam si accigliò e si guardò intorno: era notte. Ed era in un ampio campo non coltivato, appollaiato sul cofano di un'auto. Abbassò gli occhi sulla macchina sotto di sé e la riconobbe: non era un'auto, ma era l'auto. L'Impala.
Poi ebbe la percezione di un corpo e di una bottiglia di birra ghiacciata stretta in una mano.
Si voltò verso sinistra, senza capire, perché un attimo prima era in un letto ed ora era lì. E nonostante non comprendesse come fosse arrivato a trovarsi in quel campo fin troppo conosciuto, saturo di ricordi ed elettricità, contro ogni logica si sentiva sereno. Il cuore pompava miele e l'aria profumava di casa – polvere da sparo, pini ed un lieve sentore di birra e benzina. Seppur si trovasse in un luogo che non si ricordava di aver raggiunto... be', non poteva certo lamentarsi, se c'era così tanta serenità, lì.
Sorrise tra sé e poi si voltò verso destra. E fu costretto ad immobilizzarsi, perché fu a quel punto che vide il viso di suo fratello; anche lui era accomodato sul cofano della sua Piccola, le gambe penzoloni che non toccavano terra. E lo sguardo color verde smeraldo era fisso sul viso di Sam, che non poté fare a meno che boccheggiare, confuso.
Erano passati sette mesi e quattro giorni dall'ultima volta che aveva visto quegli occhi, così verdi, color della primavera prossima a finire per lasciar posto all'estate.
«Dean?»
E sì, quel nome pronunciato con il tono di voce dall'inclinazione interrogativa lo faceva sentire stupido, davvero, ma dannazione, si trovava davanti a Dean! Dean, che era stato risucchiato con Castiel chissà dove, che con tutta probabilità era morto. E che Sam non aveva cercato, andando contro ad ogni suo desiderio, ma era stanco, Dio, così stanco...
Dean, mio Dio...
«Ciao, Sammy.»
Dean era, fisicamente, sempre il solito Dean. Aveva sempre le stesse labbra - color ciliegia, le aveva definite una volta un Sam tredicenne, provocando così il grave disappunto del maggiore. La giacca verde militare, una camicia a quadri ed i soliti jeans sdruciti. Una birra tra le mani, le sopracciglia corrugate, la pelle macchiata da pallide lentiggini che solo Sam aveva avuto l'onore di conoscere veramente.
Dean, con le iridi color verde bottiglia ed una tristezza infinita negli occhi. No, Dean non era sempre il solito Dean, e Sam ebbe paura di tutta la malinconia che poté vedere.
Una stilettata dolorosa gli tolse un attimo il fiato, ed il minore si agitò sulla porzione di lamiera che occupava, socchiudendo le labbra.
«Dean... cosa... dove siamo?»
Sam lo chiese, perché aveva riconosciuto il luogo, ma voleva risentire quella voce, voleva poterci fare l'amore, attorcigliarsela al dito al posto dell'anello che per loro non aveva mai avuto significato. Perché loro non stavano insieme, non erano niente se non fratelli. Non avevano mai voluto darsi una definizione, troppo convenzionale, troppo normale. Loro erano bravi a cacciare ed ad amarsi, nient'altro. E bastava – Dio, se bastava. Era il senso delle loro giornate.
O perlomeno, lo era stato, finché Dean non era scomparso insieme a Roman e Castiel. Ora Sam si alzava la mattina per inerzia, o qualcosa di molto simile. Gli dispiaceva solamente per Amelia, che si aggrappava a lui ed aveva la forza di continuare a credere.
La risatina bassa e finta che Dean emise riportò Sam alla realtà (o quel che era), che insisteva nel guardare il maggiore con un cipiglio ben marcato. Non capiva. In realtà voleva solo abbracciarlo, ma sapeva, in qualche modo, di non potere. Non in quel posto, né in quel momento.
«Ma come, ti è bastato così poco per dimenticarci? Ci sono le stelle, il campo, ed il cerchio di sale. Devo ricordartelo?»
Oh, sì, Dean...
Ricordarglielo. Avrebbe voluto solo questo. Cancellare con una sola passata tutto il dolore che Dean si portava dentro – lo vedeva – e poi fare l'amore in quel campo, toccarsi, ansimare, mordere le labbra, sentire le mani bruciare. In un cerchio di sale, al sicuro dai mostri, col fiato perso ad insegnare ad amare.
Sarebbe stato bello. Definitivo, totalizzante. Scrivere la parola fine col sudore e pronunciarla con sospiri corti ed accelerati.
Glielo stava ricordando davvero. Sam vedeva il cielo sopra di sé, sentiva la pelle sfrigolare, le mani callose di Dean toccare. Emise un lieve gemito senza neanche rendersene conto, un brivido che gli correva rapido sulla pelle, facendogli rizzare i peli sulle braccia.



«Oh, cazzo, Dean...»
Mi morsi le labbra e sollevai il bacino verso il suo. Le sue mani afferrarono le mie natiche, sentii le unghie affondare nella carne.
Io sorrisi tirato, felice e lui mi lasciò un morso sul collo, prima di far incastrare definitivamente i nostri corpi.
«S-Sammy... dannazione, fai schifo da quanto sei stretto!»
Le sue parole forzatamente divertite, atte a distrarmi, coprirono il mio sibilo di dolore.
E lui, al contrario delle notti passate ai motel, non mi premette la mano sulla bocca per soffocare la mia voce. Mi permise di lasciarmi andare, di gemere in maniera oscena, di imprecare e di ansimare.
'Perché mi piace quando ti faccio gemere, Sammy. E poi le stelle possono vedere, a chi vuoi che lo vadano a dire?', aveva detto con una risata.
Ed io gli avevo lanciato un'occhiata divertita, prima di sollevare gli occhi al cielo.




Gli occhi di Sam pizzicarono in modo sospetto. Sentiva lo stomaco stretto in una morsa languida e dolce, il suo corpo fremere in attesa di un impalpabile ricordo. Ed era tutto tremendamente giusto, nella sua testa, ma al contempo sbagliato, perché in realtà Dean continuava a guardarlo con quella malinconia soffocante, senza muoversi, lontani.
C'era silenzio, se si escludevano i grilli in lontananza e i respiri pesanti di Sam.
Fu quest'ultimo, un indefinibile lasso di tempo dopo, a prendere la parola: «Me lo ricordavo, Dean. L'abbiamo fatto a terra, all'interno del cerchio di sale. Io... sono stato felice quella notte.»
E lo disse annuendo tra sé, con un sorriso appena accennato sul viso, mentre lasciava vagare gli occhi grigi sul terreno secco sotto le ruote dell'Impala.
«Lo sono stato anch'io.»
Gli concesse Dean, annuendo a sua volta e distogliendo poi lo sguardo. Tirò anche lui una smorfia con le labbra, che probabilmente doveva essere un sorriso, ma risultò solamente come un ghigno scavato sui lineamenti esageratamente belli di quel ragazzo sacrificatosi troppe volte, troppo presto, per un mondo che mai ringraziava ma che sempre, puntualmente, ti fotteva. I Winchester l'avevano capito fin da subito, quando John rischiava la vita andando in giro per l'America a proteggere le persone. E le persone che il loro padre salvava li guardavano con sospetto, poco convinti di quell'uomo che si trascinava sempre dietro i figli, senza permettere a quei poveri ragazzi una casa.
La vita non faceva sconti ed era un'ingrata di prima categoria.
«Sam, ora sei felice?»
Una lieve brezza si era alzata, scompigliando i capelli dei due fratelli. I momenti di silenzio, armonici, si dilatavano. Almeno per Sam, nonostante la tristezza che proveniva da Dean, era confortevole restare lì. Nonostante quel paio di lacrime che erano riuscite a ferirgli le guance. Lacrime di rimpianto, di mancanza, di senso di colpa, di nostalgia. Lacrime che avevano tutte il solito sapore di ciò che aveva perduto: lui e suo fratello, insieme, sotto le stelle, a mischiare le salive.
Sam ci mise qualche istante a rispondere. Poi però scosse la testa, scrollando le spalle: «No. Voglio dire... siamo sempre stati insieme, Dean, come pensi che io possa essere felice, ora? Sei sparito.»
Tirò l'angolo delle labbra verso l'alto, abbozzando una smorfia che sapeva d'amaro. Lanciò uno sguardo davanti a sé, tornando poi ad osservare il viso di suo fratello con espressione ovvia, perché la semplicità della domanda era equivalente alla palesità della risposta. Anche Amelia gliel'aveva chiesto un paio di volte, durante quella loro frequentazione. Ed era stato automatico rispondere sì con un sorriso, mentre il suo cuore perdeva un battito e tentava di scacciare il viso di Dean che gli assaltava la mente. Ma quando la notte li celava ed il campo custodiva i loro segreti e Dean gli chiedeva se era felice, la risposta diventava quasi scontata e stupida – e soprattutto era sincera. La sua vita non era mai stata troppo felice, cresciuto senza genitori e con solo il fratello a prendersi cura di lui ed ad amarlo come se fosse stata la cosa più preziosa e rara del mondo. Solo che poi, col tempo, aveva imparato ad apprezzare ciò che aveva. Nei suoi anni non si era mai accontentato: aveva vissuto. Viveva, quand'era con Dean. Ed aveva scoperto che la vita, nel termine più proprio del termine, rendeva felici, a modo suo. Anche se, come avrebbe detto il maggiore, era una fottuta figlia di puttana.
Dean a quel punto scese dal cofano dell'Impala, portandosi difronte a Sam con quella camminata sicura e ciondolante che lo caratterizzava quando non era teso per una caccia.
«Sono sparito, ma non perché lo volessi o lo avessi previsto. E tu non mi hai cercato. Avevo pensato che fossimo importanti, sai? Davvero. Però ora hai trovato quella ragazza e perché no, Sammy? Non c'è tempo per attaccarsi a ciò che è passato, hai fatto bene a dimenticarti di noi. Cerca solo di non mentirmi ed ammetti di aver trovato la felicità: te la meriti.»
Aveva annuito e Sam si era sentito morire, accartocciare come una foglia secca, crepatura per crepatura. Finché il suo petto non si era frammentizzato in pezzi troppo piccoli per essere recuperati tutti.
Si ritrovò ad osservare gli occhi verdi di Dean con le labbra socchiuse, un'espressione stupita in volto, senza capire. Un'ennesima volta, senza capire. Perché Dean, per quanto lo stesse facendo con tristezza, sorrideva. E non c'era amarezza, sul suo viso, solo arrendevolezza e, forse, da qualche parte, un pizzico di delusione.
«Cosa?! Dean, ma che stai dicendo?! Io non mi sono dimenticato di te, Dio!, mi sveglio e penso che avrei dovuto pugnalare io il collo di Roman, o che sarei potuto essere più vicino a te e Cass, così, ovunque voi siate adesso, ci sarei stato anch'io!»
Alzò la voce, perché non poteva accettare il fatto che suo fratello pensasse una cosa del genere. Suo fratello, che si era sempre preso cura di lui, l'aveva cresciuto, e Sam gli era grato per mille e più motivi. E no, non poteva essere felice in un mondo senza Dean, perché per quanto Sam avesse potuto provarci gli sarebbe sempre mancato qualcosa.
Poi il maggiore gli sorrise, ed il suo sorriso era indulgente. E Sam capì definitivamente che quell'uomo non era suo fratello. Dean era tutto, ma non indulgente.
«Sam, non c'è niente di male. Sta' tranquillo.»
E Sam scuoteva il capo febbrilmente ed improvvisamente si tese, guardandosi intorno con furia, alla ricerca di Lucifero, od un'altra stronzata rimastagli addosso dalla Gabbia, perché quell'uomo aveva la voce ed il corpo di Dean, ma non era lui. Non poteva essere lui, cazzo! Non poteva pensare che per Sam fosse valso tutto così poco!
«Non sto tranquillo, Dean! C'è qualcosa che non va, maledizione!»
Ringhiò tra sé e poi si alzò in piedi di scatto, i sensi di cacciatore che, nonostante fossero rimasti sopiti per troppi mesi, automaticamente si attivavano, rendendolo pronto al dover affrontare qualunque cosa quella volta si fosse parata sulla sua strada.
E poi Dean ridacchiò, mentre sollevava una mano sulla guancia del minore, attirando così la sua attenzione. Sam non si era neanche accorto che le bottiglie di birra erano sparite, per far posto alle loro due pistole. Dean stringeva in mano la propria, quella col calcio bianco.
«Non c'è niente che non va, Sammy. Mi hai dimenticato, ora smetti di far finta di non essere felice.» Il maggiore sussurrò quelle parole, che fecero inorridire Sam, obbligandolo a retrocedere di un paio di passi. Dean lo seguì senza dar segno di essersene neanche accorto e poi fece sì che le labbra di Sam combaciassero con le sue, nell'ombra di un contatto che tempo addietro li aveva fatti tremare. Un bacio così casto, lieve e tremendamente languido e malinconico.
Poi Dean si staccò e Sam sentì il sale sulla lingua, le labbra socchiuse. Il pomo d'Adamo sussultò improvvisamente e poi si tese in avanti, per un altro bacio, ancora uno, ma Dean si stava allontanando, riposizionando la sua pistola tra la schiena e il bordo dei jeans. Gli stava già dando le spalle, e sembrava tranquillo. E Sam si fece prendere dal panico, perché non poteva vederlo andare via di nuovo, stavolta di sua volontà, con la convinzione del fatto che per Sam niente fosse importato.
«No, no, no... cazzo, no! Dean!»
Eppure non poteva muoversi, perché le suole delle scarpe erano incollate al terreno.
Lo vide andarsene mentre gridava il suo nome.



***


Le palpebre si spalancarono di scatto ed un colpo di reni gli permise ritrovarsi seduto.
Sam si guardò intorno in maniera febbrile, la fronte madida di sudore, ansimi talmente pesanti da fargli dolere il petto.
Coperte su di sé, morbido sotto i palmi delle mani e solo gli occhi di Riot a fissarlo, con il muso inclinato di lato.
Era in un letto, non seduto sull'Impala. E sopra di sé c'era un soffitto, non le stelle a proteggere lui e Dean. E Dean non c'era, perché probabilmente era morto.
Si voltò verso la sua sinistra, lasciando scivolare gli occhi in basso, temendo ciò che avrebbe visto. Ed infatti ad attenderlo c'era l'arruffata matassa di capelli corvini di Amelia, addormentata al suo fianco. Non Dean a guidare l'auto mentre cantava Higway to Hell, tanto per irritarlo ed impedendogli così di leggere o sonnecchiare. Nessun odore di polvere da sparo o birra e nessuna briciola di torta di mele in giro.
Niente, se non se stesso ed un senso di vuoto a schiacciarlo.
E poi però non ci fu più tempo per analizzare il proprio stato, perché dovette correre verso il bagno in maniera scoordinata per andare a piegarsi sul cesso, a rimettere anche l'anima, ad espellere tutto lo schifo che sentiva, che faceva, che gli era rimasto, a vivere una vita che non gli apparteneva, con un partner sbagliato, che non era Dean. E mentre eliminava tutto quanto, si ritrovò a piangere come faceva quand'era ragazzino e vomitava e nessuno lo assisteva se non Dean, che gli reggeva i capelli e tentava di calmarlo, perché vomitare lo aveva sempre spaventato e suo fratello lo sapeva.
Ed intanto che i conati andavano via via calmandosi, si ritrovò a tirare dei rabbiosi pugni al pavimento, finché non fece troppo male, i denti digrignati, i polmoni che bruciavano, le lacrime a macchiargli le guance. E faceva tutto schifo, e non era felice. E non c'era soluzione se non tirare avanti al meglio delle sue capacità, perché quando Dean diceva che la vita era una figlia di puttana ed era ingrata, Sam non ci aveva creduto. Perché aveva Dean e per quanto schifo potesse essere l'essere se stesso, aveva Dean, e tutto andava meglio.
Ora non gli era rimasto niente se non l'Impala ed il soldatino incastrato nel posacenere del sedile posteriore. E quando Amelia si era alzata dal letto, allarmata per quella confusione, e l'aveva trovato sul pavimento del bagno, sporco e gettato là, come un qualcosa di inutile, Sam si era alzato di scatto, barcollante, ed era letteralmente scappato da quella casa, che non era un motel, né un abitacolo, né un campo, senza dare ascolto ai richiami di quella sconosciuta.
E quella notte, alla fine, l'aveva passata in compagnia di alcune birre, sul cofano dell'auto, col pensiero di Dean a bruciargli le tempie. L'aveva trascorsa a lasciarsi osservare dalle stelle, nel bel mezzo di un pezzo di terra troppo arida, senza fermare la caduta delle lacrime trattenute fino a quel momento, con il ricordo del sapore della pelle del fratello. Aveva pianto senza emettere un singulto, un solo lamento, nel silenzio più totale, con solo i grilli a fargli compagnia.
E lì, Sam, aveva aspettato l'alba. E poi se n'era andato.







Walking_Disaster's corner:
Il titolo è preso dall'omonima canzone (che io amo) dei Sum41 (vi metto qui il link, per chi volesse ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=Lz42n_N8bkU ) che sono il mio gruppo preferito e le loro canzoni riescono sempre a farmi venire in mente qualcosa da scrivere. Quindi, grazie, piccoli miei.
Niente da dire se non che sono a dir poco soddisfatta di ciò che è venuto fuori, anche se alle volte mi sembra confuso. Boh, può darsi, ma sinceramente sono contenta di questa os.
Come detto nell'intro, Dean è OOC, ma lo è per ovvi motivi. Spero invece di aver reso Sam quanto più fedele all'originale possibile.
Altro da dire? Nope, se non che mentre scrivevo ho cominciato a frignare come una cogliona, tanta è la tristezza che mi ha trasmesso. In effetti tutte le wincest che ho scritto sono da sparo, ma prometto che prima o poi porterò qualcosa di demenziale e poco da taglio delle vene. Giuro. Devono divertirsi ogni tanto, questi due tesori.
E niente, e se mi lasciate una recensione fate di me una donnina felice :'3


See u soon, darlings,
WD

   
 
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