Holy image of lies
«Ehy.»
Quella voce era incorporea. Era solo nella sua mente, eppure era
così dolorosamente viva e famigliare.
Vicina. Irraggiungibile.
Sam si accigliò e si guardò intorno: era notte.
Ed era in un
ampio campo non coltivato, appollaiato sul cofano di un'auto.
Abbassò
gli occhi sulla macchina sotto di sé e la riconobbe: non era
un'auto, ma era l'auto. L'Impala.
Poi ebbe la percezione
di un corpo e di una bottiglia di birra ghiacciata stretta in una
mano.
Si voltò verso sinistra, senza capire, perché un
attimo
prima era in un letto ed ora era lì. E nonostante non
comprendesse
come fosse arrivato a trovarsi in quel campo fin troppo conosciuto,
saturo di ricordi ed elettricità, contro ogni logica si
sentiva
sereno. Il cuore pompava miele e l'aria profumava di casa –
polvere
da sparo, pini ed un lieve sentore di birra e benzina. Seppur si
trovasse in un luogo che non si ricordava di aver raggiunto... be',
non poteva certo lamentarsi, se c'era così tanta
serenità, lì.
Sorrise tra sé e poi si voltò verso destra. E fu
costretto ad
immobilizzarsi, perché fu a quel punto che vide il viso di
suo
fratello; anche lui era accomodato sul cofano della sua Piccola, le
gambe penzoloni che non toccavano terra. E lo sguardo color verde
smeraldo era fisso sul viso di Sam, che non poté fare a meno
che
boccheggiare, confuso.
Erano passati sette mesi e quattro giorni
dall'ultima volta che aveva visto quegli occhi, così verdi,
color
della primavera prossima a finire per lasciar posto
all'estate.
«Dean?»
E sì, quel nome pronunciato con il tono
di voce dall'inclinazione interrogativa lo faceva sentire stupido,
davvero, ma dannazione, si trovava davanti a Dean! Dean, che era
stato risucchiato con Castiel chissà dove, che con tutta
probabilità
era morto. E che Sam non aveva cercato, andando contro ad ogni suo
desiderio, ma era stanco, Dio, così stanco...
Dean, mio
Dio...
«Ciao,
Sammy.»
Dean
era, fisicamente, sempre il solito Dean. Aveva sempre le stesse
labbra - color ciliegia, le aveva definite una volta un Sam
tredicenne, provocando così il grave disappunto del
maggiore. La
giacca verde militare, una camicia a quadri ed i soliti jeans
sdruciti. Una birra tra le mani, le sopracciglia corrugate, la pelle
macchiata da pallide lentiggini che solo Sam aveva avuto l'onore di
conoscere veramente.
Dean, con le iridi color verde bottiglia ed
una tristezza infinita negli occhi. No, Dean non era sempre il solito
Dean, e Sam ebbe paura di tutta la malinconia che poté
vedere.
Una
stilettata dolorosa gli tolse un attimo il fiato, ed il minore si
agitò sulla porzione di lamiera che occupava, socchiudendo
le
labbra.
«Dean... cosa... dove siamo?»
Sam lo chiese, perché
aveva riconosciuto il luogo, ma voleva risentire quella voce, voleva
poterci fare l'amore, attorcigliarsela al dito al posto dell'anello
che per loro non aveva mai avuto significato. Perché loro
non
stavano insieme, non erano niente se non fratelli. Non avevano mai
voluto darsi una definizione, troppo convenzionale, troppo normale.
Loro erano bravi a cacciare ed ad amarsi, nient'altro. E bastava
–
Dio, se bastava. Era il senso delle loro giornate.
O perlomeno,
lo era stato, finché Dean non era scomparso insieme a Roman
e
Castiel. Ora Sam si alzava la mattina per inerzia, o qualcosa di
molto simile. Gli dispiaceva solamente per Amelia, che si aggrappava
a lui ed aveva la forza di continuare a credere.
La risatina bassa
e finta che Dean emise riportò Sam alla realtà (o
quel che era),
che insisteva nel guardare il maggiore con un cipiglio ben marcato.
Non capiva. In realtà voleva solo abbracciarlo, ma sapeva,
in
qualche modo, di non potere. Non in quel posto, né in quel
momento.
«Ma come, ti è bastato così poco per
dimenticarci? Ci
sono le stelle, il campo, ed il cerchio di sale. Devo
ricordartelo?»
Oh, sì, Dean...
Ricordarglielo.
Avrebbe voluto solo questo. Cancellare con una sola passata tutto il
dolore che Dean si portava dentro – lo vedeva – e
poi fare
l'amore in quel campo, toccarsi, ansimare, mordere le labbra, sentire
le mani bruciare. In un cerchio di sale, al sicuro dai mostri, col
fiato perso ad insegnare ad amare.
Sarebbe stato bello.
Definitivo, totalizzante. Scrivere la parola fine col sudore e
pronunciarla con sospiri corti ed accelerati.
Glielo stava
ricordando davvero. Sam vedeva il cielo sopra di sé, sentiva
la
pelle sfrigolare, le mani callose di Dean toccare. Emise un lieve
gemito senza neanche rendersene conto, un brivido che gli correva
rapido sulla pelle, facendogli rizzare i peli sulle braccia.
«Oh,
cazzo, Dean...»
Mi morsi le labbra e sollevai il bacino verso il
suo. Le sue mani afferrarono le mie natiche, sentii le unghie
affondare nella carne.
Io sorrisi tirato, felice e lui mi lasciò
un morso sul collo, prima di far incastrare definitivamente i nostri
corpi.
«S-Sammy... dannazione, fai schifo da quanto sei
stretto!»
Le sue parole forzatamente divertite, atte a distrarmi,
coprirono il mio sibilo di dolore.
E lui, al contrario delle notti
passate ai motel, non mi premette la mano sulla bocca per soffocare
la mia voce. Mi permise di lasciarmi andare, di gemere in maniera
oscena, di imprecare e di ansimare.
'Perché mi piace quando ti
faccio gemere, Sammy. E poi le stelle possono vedere, a chi vuoi che
lo vadano a dire?', aveva detto con una risata.
Ed
io gli avevo lanciato un'occhiata divertita, prima di sollevare gli
occhi al cielo.
Gli
occhi di Sam pizzicarono in modo sospetto. Sentiva lo stomaco stretto
in una morsa languida e dolce, il suo corpo fremere in attesa di un
impalpabile ricordo. Ed era tutto tremendamente giusto, nella sua
testa, ma al contempo sbagliato, perché in realtà
Dean continuava a
guardarlo con quella malinconia soffocante, senza muoversi,
lontani.
C'era silenzio, se si escludevano i grilli in lontananza
e i respiri pesanti di Sam.
Fu quest'ultimo, un indefinibile lasso
di tempo dopo, a prendere la parola: «Me lo ricordavo, Dean.
L'abbiamo fatto a terra, all'interno del cerchio di sale. Io... sono
stato felice quella notte.»
E lo disse annuendo tra sé, con un
sorriso appena accennato sul viso, mentre lasciava vagare gli occhi
grigi sul terreno secco sotto le ruote dell'Impala.
«Lo sono
stato anch'io.»
Gli concesse Dean, annuendo a sua volta e
distogliendo poi lo sguardo. Tirò anche lui una smorfia con
le
labbra, che probabilmente doveva essere un sorriso, ma
risultò
solamente come un ghigno scavato sui lineamenti esageratamente belli
di quel ragazzo sacrificatosi troppe volte, troppo presto, per un
mondo che mai ringraziava ma che sempre, puntualmente, ti fotteva. I
Winchester l'avevano capito fin da subito, quando John rischiava la
vita andando in giro per l'America a proteggere le persone. E le
persone che il loro padre salvava li guardavano con sospetto, poco
convinti di quell'uomo che si trascinava sempre dietro i figli, senza
permettere a quei poveri ragazzi una casa.
La vita non faceva
sconti ed era un'ingrata di prima categoria.
«Sam, ora sei
felice?»
Una lieve brezza si era alzata, scompigliando i capelli
dei due fratelli. I momenti di silenzio, armonici, si dilatavano.
Almeno per Sam, nonostante la tristezza che proveniva da Dean, era
confortevole restare lì. Nonostante quel paio di lacrime che
erano
riuscite a ferirgli le guance. Lacrime di rimpianto, di mancanza, di
senso di colpa, di nostalgia. Lacrime che avevano tutte il solito
sapore di ciò che aveva perduto: lui e suo fratello,
insieme, sotto
le stelle, a mischiare le salive.
Sam ci mise qualche istante a
rispondere. Poi però scosse la testa, scrollando le spalle:
«No.
Voglio dire... siamo sempre stati insieme, Dean, come pensi che io
possa essere felice, ora? Sei sparito.»
Tirò l'angolo delle
labbra verso l'alto, abbozzando una smorfia che sapeva d'amaro.
Lanciò uno sguardo davanti a sé, tornando poi ad
osservare il viso
di suo fratello con espressione ovvia, perché la
semplicità della
domanda era equivalente alla palesità della risposta. Anche
Amelia
gliel'aveva chiesto un paio di volte, durante quella loro
frequentazione. Ed era stato automatico rispondere sì con un
sorriso, mentre il suo cuore perdeva un battito e tentava di
scacciare il viso di Dean che gli assaltava la mente. Ma quando la
notte li celava ed il campo custodiva i loro segreti e Dean gli
chiedeva se era felice, la risposta diventava quasi scontata e
stupida – e soprattutto era sincera. La sua vita non era mai
stata
troppo felice, cresciuto senza genitori e con solo il fratello a
prendersi cura di lui ed ad amarlo come se fosse stata la cosa
più
preziosa e rara del mondo. Solo che poi, col tempo, aveva imparato ad
apprezzare ciò che aveva. Nei suoi anni non si era mai
accontentato:
aveva vissuto. Viveva, quand'era con Dean. Ed aveva
scoperto
che la vita, nel termine più proprio del termine, rendeva
felici, a
modo suo. Anche se, come avrebbe detto il maggiore, era una fottuta
figlia di puttana.
Dean a quel punto scese dal cofano dell'Impala,
portandosi difronte a Sam con quella camminata sicura e ciondolante
che lo caratterizzava quando non era teso per una caccia.
«Sono
sparito, ma non perché lo volessi o lo avessi previsto. E tu
non mi
hai cercato. Avevo pensato che fossimo importanti, sai? Davvero.
Però
ora hai trovato quella ragazza e perché no, Sammy? Non
c'è tempo
per attaccarsi a ciò che è passato, hai fatto
bene a dimenticarti
di noi. Cerca solo di non mentirmi ed ammetti di aver trovato la
felicità: te la meriti.»
Aveva annuito e Sam si era sentito
morire, accartocciare come una foglia secca, crepatura per crepatura.
Finché il suo petto non si era frammentizzato in pezzi
troppo
piccoli per essere recuperati tutti.
Si ritrovò ad osservare gli
occhi verdi di Dean con le labbra socchiuse, un'espressione stupita
in volto, senza capire. Un'ennesima volta, senza capire.
Perché
Dean, per quanto lo stesse facendo con tristezza, sorrideva. E non
c'era amarezza, sul suo viso, solo arrendevolezza e, forse, da
qualche parte, un pizzico di delusione.
«Cosa?! Dean, ma che stai
dicendo?! Io non mi sono dimenticato di te, Dio!, mi sveglio e penso
che avrei dovuto pugnalare io il collo di Roman, o che sarei potuto
essere più vicino a te e Cass, così, ovunque voi
siate adesso, ci
sarei stato anch'io!»
Alzò la voce, perché non poteva
accettare il fatto che suo fratello pensasse una cosa del genere. Suo
fratello, che si era sempre preso cura di lui, l'aveva cresciuto, e
Sam gli era grato per mille e più motivi. E no, non poteva
essere felice in un mondo senza Dean, perché per quanto Sam
avesse
potuto provarci gli sarebbe sempre mancato qualcosa.
Poi il
maggiore gli sorrise, ed il suo sorriso era indulgente. E Sam
capì
definitivamente che quell'uomo non era suo fratello. Dean era tutto,
ma non indulgente.
«Sam, non c'è niente di male. Sta'
tranquillo.»
E Sam scuoteva il capo febbrilmente ed
improvvisamente si tese, guardandosi intorno con furia, alla ricerca
di Lucifero, od un'altra stronzata rimastagli addosso dalla Gabbia,
perché quell'uomo aveva la voce ed il corpo di Dean, ma non
era lui.
Non poteva essere lui, cazzo! Non poteva pensare che per Sam fosse
valso tutto così poco!
«Non sto tranquillo, Dean! C'è qualcosa
che non va, maledizione!»
Ringhiò tra sé e poi si alzò in
piedi di scatto, i sensi di cacciatore che, nonostante fossero
rimasti sopiti per troppi mesi, automaticamente si attivavano,
rendendolo pronto al dover affrontare qualunque cosa quella volta si
fosse parata sulla sua strada.
E poi Dean ridacchiò, mentre
sollevava una mano sulla guancia del minore, attirando così
la sua
attenzione. Sam non si era neanche accorto che le bottiglie di birra
erano sparite, per far posto alle loro due pistole. Dean stringeva in
mano la propria, quella col calcio bianco.
«Non c'è niente che
non va, Sammy. Mi hai dimenticato, ora smetti di far finta di non
essere felice.» Il maggiore sussurrò quelle
parole, che fecero
inorridire Sam, obbligandolo a retrocedere di un paio di passi. Dean
lo seguì senza dar segno di essersene neanche accorto e poi
fece sì
che le labbra di Sam combaciassero con le sue, nell'ombra di un
contatto che tempo addietro li aveva fatti tremare. Un bacio
così
casto, lieve e tremendamente languido e malinconico.
Poi Dean si
staccò e Sam sentì il sale sulla lingua, le
labbra socchiuse. Il
pomo d'Adamo sussultò improvvisamente e poi si tese in
avanti, per
un altro bacio, ancora uno, ma Dean si stava allontanando,
riposizionando la sua pistola tra la schiena e il bordo dei jeans.
Gli stava già dando le spalle, e sembrava tranquillo. E Sam
si fece
prendere dal panico, perché non poteva vederlo andare via di
nuovo,
stavolta di sua volontà, con la convinzione del fatto che
per Sam
niente fosse importato.
«No, no, no... cazzo, no! Dean!»
Eppure
non poteva muoversi, perché le suole delle scarpe erano
incollate al
terreno.
Lo vide andarsene mentre gridava il suo nome.
***
Le
palpebre si spalancarono di scatto ed un colpo di reni gli permise
ritrovarsi seduto.
Sam
si guardò intorno in maniera febbrile, la
fronte madida di sudore, ansimi talmente pesanti da fargli dolere il
petto.
Coperte
su di sé, morbido sotto i palmi delle mani e solo
gli occhi di Riot a fissarlo, con il muso inclinato di lato.
Era
in un letto, non seduto sull'Impala. E sopra di sé c'era un
soffitto, non le stelle a proteggere lui e Dean. E Dean non c'era,
perché probabilmente era morto.
Si
voltò verso la sua sinistra,
lasciando scivolare gli occhi in basso, temendo ciò che
avrebbe
visto. Ed infatti ad attenderlo c'era l'arruffata matassa di capelli
corvini di Amelia, addormentata al suo fianco. Non Dean a guidare
l'auto mentre cantava Higway to Hell, tanto per irritarlo ed
impedendogli così di leggere o sonnecchiare. Nessun odore di
polvere
da sparo o birra e nessuna briciola di torta di mele in giro.
Niente,
se non se stesso ed un senso di vuoto a schiacciarlo.
E
poi però non ci fu più tempo per analizzare il
proprio stato,
perché dovette correre verso il bagno in maniera scoordinata
per
andare a piegarsi sul cesso, a rimettere anche l'anima, ad espellere
tutto lo schifo che sentiva, che faceva, che gli era rimasto, a
vivere una vita che non gli apparteneva, con un partner sbagliato,
che non era Dean. E mentre eliminava tutto quanto, si
ritrovò a
piangere come faceva quand'era ragazzino e vomitava e nessuno lo
assisteva se non Dean, che gli reggeva i capelli e tentava di
calmarlo, perché vomitare lo aveva sempre spaventato e suo
fratello
lo sapeva.
Ed
intanto che i conati andavano via via calmandosi,
si ritrovò a tirare dei rabbiosi pugni al pavimento,
finché non
fece troppo male, i denti digrignati, i polmoni che bruciavano, le
lacrime a macchiargli le guance. E faceva tutto schifo, e non era
felice. E non c'era soluzione se non tirare avanti al meglio delle
sue capacità, perché quando Dean diceva che la
vita era una figlia
di puttana ed era ingrata, Sam non ci aveva creduto. Perché
aveva
Dean e per quanto schifo potesse essere l'essere se stesso, aveva
Dean, e tutto andava meglio.
Ora
non gli era rimasto niente se
non l'Impala ed il soldatino incastrato nel posacenere del sedile
posteriore. E quando Amelia si era alzata dal letto, allarmata per
quella confusione, e l'aveva trovato sul pavimento del bagno, sporco
e gettato là, come un qualcosa di inutile, Sam si era alzato
di
scatto, barcollante, ed era letteralmente scappato da quella casa,
che non era un motel, né un abitacolo, né un
campo, senza dare
ascolto ai richiami di quella sconosciuta.
E
quella notte, alla
fine, l'aveva passata in compagnia di alcune birre, sul cofano
dell'auto, col pensiero di Dean a bruciargli le tempie. L'aveva
trascorsa a lasciarsi osservare dalle stelle, nel bel mezzo di un
pezzo di terra troppo arida, senza fermare la caduta delle lacrime
trattenute fino a quel momento, con il ricordo del sapore della pelle
del fratello. Aveva pianto senza emettere un singulto, un solo
lamento, nel silenzio più totale, con solo i grilli a fargli
compagnia.
E
lì, Sam, aveva aspettato l'alba. E poi se n'era
andato.
Walking_Disaster's
corner:
Il titolo è preso dall'omonima canzone (che io
amo) dei Sum41 (vi metto qui il link, per chi volesse ascoltarla:
https://www.youtube.com/watch?v=Lz42n_N8bkU
) che sono il mio gruppo preferito e le loro canzoni riescono sempre
a farmi venire in mente qualcosa da scrivere. Quindi, grazie, piccoli
miei.
Niente da dire se non che sono a dir poco soddisfatta di
ciò che è venuto fuori, anche se alle volte mi
sembra confuso. Boh,
può darsi, ma sinceramente sono contenta di questa os.
Come
detto nell'intro, Dean è OOC, ma lo è per ovvi
motivi. Spero invece
di aver reso Sam quanto più fedele all'originale possibile.
Altro
da dire? Nope, se non che mentre scrivevo ho cominciato a frignare
come una cogliona, tanta è la tristezza che mi ha trasmesso.
In
effetti tutte le wincest che ho scritto sono da sparo, ma prometto
che prima o poi porterò qualcosa di demenziale e poco da
taglio
delle vene. Giuro. Devono divertirsi ogni tanto, questi due tesori.
E
niente, e se mi lasciate una recensione fate di me una donnina felice
:'3
See
u soon, darlings,
WD