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Autore: NightWatcher96    15/08/2014    5 recensioni
-Tanto vale farmi morire, allora-.
Splinter guardò il bambino che aveva parlato: quegli occhi freddi, la voce fredda, letale e rassegnata in quel corpo debole e magrissimo. Michelangelo non batteva ciglio, fissando semplicemente il medico stupito alla scrivania.
-Mikey, ma cosa dici?- lo riprese Donnie.
-Sono assurdità- replicò deciso Leonardo.
Raphael solo non disse nulla, facendo un passo indietro, affogando nel dolore. Che cosa aveva creato! Michelangelo ne pagava le conseguenze, annegando in un oblio solitario e oscuro.
-Raph, ti prego, fammi morire-.
Il focoso alzò lo sguardo spalancato, così lucido da riflettere un raggio di tramonto dalla finestra alla sua destra. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre la sua voce moriva nella gola. Aveva capito bene. Mikey lo guardava con aria decisa e si stava anche spingendo davanti a lui e implorarlo meglio.
-Ti prego-.
-N... no-.
-Non ha più senso che viva. Se prima ero un peso, almeno potevo contribuire in questa famiglia ma adesso sono totalmente un onere. Quindi, ti prego di darmi il tuo consenso-.
One-Shot scritta per un mio carissimo amico.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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-Allora, D... qual è la diagnosi?-.
Mikey era seduto sul lettino del laboratorio, con una spessa fasciatura dal polso destro fino sotto al gomito. Donnie lo guardò con un sorriso e gli diede un piccolo buffetto dietro la nuca.
-No, Mikey. Solo una slogatura-.
-Allora, come sta?!- chiese frenetico Raphael, entrando in quel momento.
I suoi occhi resi ciechi dalla maschera rossa che indossava si rifiutavano di guardare il fratellino sghignazzante. Era stato lui la causa della caduta sul fratello.
Aveva lo stramaledetto vizio di chiamarlo all’improvviso, facendolo tremare. E guarda caso, Mikey stava consegnando una scodella con dell’acqua a Klunk quando per lo spavento rovesciò tutto in terra, scivolando giusto sul braccio destro.
-Una slogatura- ripeté Don, poggiandogli la mano sulla spalla. -Ma la prossima volta cerca di attirare l’attenzione di Michelangelo usando qualche altro stratagemma. Un giorno o l’altro finirai per fargli davvero male, lo sai?-.
Il focoso sapeva che il fratello avesse grande ragione ma preferì sbuffare e schiaffeggiando la mano di Don, si rivolse al fratellino che era già in piedi, muovendo il braccio fasciato.
-Vacci piano o te lo romperai sul serio, cialtrone- derise.
Mikey gli fece la linguaccia e si fece legare una garza al collo per poter sistemare il braccio in una posizione a 90 gradi, in modo che non ciondolasse troppo. E causare più dolore del dovuto.
-Grazie, Donnie!-.
-Figurati. Vuoi che ti dia qualche antidolorifico?-.
-No, no! Sai che le medicine mi fanno un buco allo stomaco che mi dura tre-quattro giorni! Preferisco andare a guardarmi un po’ di tv-.
-Guarda che c’è Leo che si sta guardando un documentario sulle katana- ricordò Raph, con voce atona oltre che scocciata.
Mikey che stava camminando fuori dal laboratorio con un atteggiamento fiero e felice, si fermò, sgonfiandosi e guardò i due fratelli diciassettenni con occhi da cucciolo.
-Non è che posso prendermi il pc?-.
Il genio spalancò enormemente gli occhi, scuotendo vigorosamente la testa in un diniego.
-Per carità, no!- esclamò inviperito. -L’ultima volta mi hai corrotto tutti i dati beccando un virus difficile da rimuovere e tutto nell’arco di tre minuti!-.
-Calmati, Don- appianò il focoso, con un tono scherzoso. -Sai bene quanto me che alla testa di legno non si può dare nulla-.
-Ehi! Guarda che nemmeno su di te si può fare affidamento!-.
Il rosso avvampò, avvicinandosi minacciosamente. Restrinse gli occhi, mentre Mikey non batteva ciglio, per nulla intimorito da una cupezza tale.
-Ah, sì? Allora, su! Delucidami!-.
-Beh... quando ti ho chiesto di aiutarmi a perfezionare una mossa di forza, hai detto che mi avresti dedicato tempo e invece non lo hai fatto! Poi, quando mi sono rotto la gamba tu non hai messo un dito per aiutarmi! E quando ho avuto la febbre alta, non mi hai nemmeno dato dell’acqua!-.
Raph, ringhiando come un animale feroce, lo zittì con un sonoro schiaffo sulla guancia, spintonandolo contro il muro, sotto gli occhi di Don e quelli di Leo, che stava giusto entrando nel laboratorio per chiedere di Mikey.
-Queste cose le tiri da sotto terra? Sei un miserabile bugiardo!-.
-Sai bene quanto me che non sto mentendo! Ti chiesi di nutrire Klunk mentre io ero con Donnie alla discarica e quel povero micetto è rimasto a pancia vuota per cinque ore! Se non era per me, sarebbe morto di fame!-.
-Chiudi il becco! Me lo ero scordato, ok?!- ringhiò Raph, sempre con meno pazienza.
-Ah, già! Vero!- sbuffò Mikey, picchiettandogli l’indice sul pettorale. -Perché ogni cosa che ti chiedo di fare tu lo dimentichi. E vuoi sapere perché? Tu non ci tieni a me e non ci hai mai tenuto! Sono un fratello inesistente per te! Io... io...-.
La rabbia di Mikey aveva raggiunto il culmine. Adesso il familiare pizzicare nel naso gli stava gonfiando delle lacrime calde che non esitarono a colare lungo le guance fiammeggianti. Raphael indietreggiò neanche fosse stato colpito, scioccato dalla reazione del fratello quindicenne.
Quelle di Michelangelo non erano lacrime di coccodrillo. Erano vere e dolevano più di una ferita profonda dal tuo peggior nemico.
Mikey non era riuscito a smettere di piangere e si sentiva umiliato oltre che debole: per lui, piangere davanti alla sua famiglia era una debolezza ma ora non poteva farne a meno.
-Tu... tu mi hai sempre odiato...- continuò con voce incrinata. -E questo braccio slogato indica che se mi ferirei seriamente, per te non sarebbe un dispiacere...-.
Fuggì dal laboratorio, continuando a singhiozzare e sbatté rumorosamente la porta, gettandosi a peso morto sul letto, incurante dell’invio di una scarica di dolore al braccio.
Raphael era rimasto di stucco, ancora a fissare la porta del laboratorio con occhi spalancati. Che diavolo aveva fatto! Sospirando pesantemente, chinò il capo, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche. Mikey  aveva ragione. Non aveva mai mosso un dito veramente per aiutarlo anche nelle piccole cose.
Però su una cosa il fratellino aveva sbagliato: lui gli voleva molto bene, solo che non era così aperto a dimostrarglielo come Don o Leo.
-Credo che sia utile lasciarlo sfogare un po’- profferì morbidamente Donnie. -Per il momento, non gli andare vicino, ok, Raph?-.
Il rosso non rispose e lasciò il laboratorio, guardando la porta chiusa della stanza del suo fratellino. Si avvicinò cautamente, premendo l’orecchio sul legno. I singhiozzi di Mikey si sentivano chiaramente.
“Mi dispiace...”.
 
....
 
2 Settimane dopo...
 
-Il tuo braccio è guarito molto bene, fratellino- sorrise Donnie, muovendolo.
Mikey annuì raggiante e scese dal lettino con un balzo. Finalmente aveva tolto quell’odiosa fasciatura e poteva sentirsi libero oltre che di nuovo un ninja.
-Figliolo, sono molto contento che tu sia guarito- espresse anche il sensei.
-Anch’io! E per festeggiare ho in mente di cucinare qualcosa di speciale-.
-Tipo cosa?- chiese Donnie, molto curioso.
Mikey ci pensò su, battendo l’indice al mento messo leggermente in ombra dalla lingua penzolante fuori dal labbro. Poi s’illuminò. Sarebbe stata una bella sorpresa!
-Qualcosa che piace a tutti voi. E non è la pizza-.
-Nemmeno un indizio? Sai che sono bravo con gli indovinelli!- si lamentò giocosamente Donnie.
-None!- rispose Mikey, ridendo, mentre usciva dal laboratorio, dirigendosi direttamente in cucina.
Intravide Raphael seduto sul divano con le braccia piegate sul petto; aveva un’espressione torva e non sembrava seguire il film delle 19:40.
Mikey trasformò il sorriso in un’espressione triste. Non aveva parlato più con suo fratello maggiore in questi quattordici giorni e lo aveva evitato il più possibile, non troppo sicuro di tenere a bada qualche altra crisi di pianto.
Klunk miagolò felicemente dal divano. Mikey non si era accorto del micetto accanto al fratello e sorrise dolcemente alla testolina arancione del micio puntata verso di lui. Con un rapido balzo, gli venne incontro, strofinandosi con adorabili fusa ai suoi polpacci.
Raph lo guardò intensamente, con occhi spalancati, come se volesse dire qualcosa. Ma vedendo l’indifferenza del fratellino, rilassò le spalle tese, tornando al film con un dolore pulsante nel petto. Gli mancava suo fratello. Voleva riallacciare il legame rotto con lui più di ogni altra cosa al mondo.
Mikey cominciò, intanto, a preparare da mangiare per una cena speciale. Riempì varie pentole e si diresse al frigorifero, strofinandosi il mento con fare pensieroso.
C’erano verdure, insaccati, uova, qualche pezzo di pizza avanzato e formaggi.
-Potrei fare una bella torta salata che piace a tutta la famiglia!- sorrise Mikey, estraendo gli ingredienti. -Mi servono uova, latte, formaggio, un po’ di prezzemolo, prosciutto... e sale...!-.
Era così felice di avere a disposizione di nuovo due braccia e maggiormente di poter cucinare! Gli era mancata la sua bella cucina rustica!
Cominciò a rompere le uova, sbattendole in una terrina, poi prese la farina e aggiunse acqua calda, cominciando a impastare con insuperabile maestria.
-Ehi, Mikey!-.
L’arancione si piazzò davanti all’impasto informe, proteggendolo con il suo corpo e ringhiò fintamente a Donnie, spingendolo fuori dalla cucina.
-Non devi entrare fino a quando non si mangerà!-.
-Aspetta, non spingermi così! Volevo solo... parlare con te-.
Mikey restrinse gli occhi e sospirò, notando che Raph non era più sul divano ma c’era solo Klunky.
-Di Raph, no?-.
-Acuto. Sì. Di lui. Mi state preoccupando tutti e due. Tu sei diventato lunatico mentre Raph sembra un relitto pronto a versare lacrime. Tu gli manchi e se non fai tu il primo passo, questo ghiaccio tra voi non si romperà mai-.
Mikey aveva ascoltato abbastanza. Quindi era colpa sua, adesso? Era Raph ad aver cominciato e lui a concludere. Perché doveva essere lui a porgere le scuse?!
-Lasciami in pace!- gridò, rintanandosi in cucina e chiudendo rumorosamente la porta.
Donnie sospirò e si incrociò con Leo che aveva assistito a tutta la scena dalla zona notte, senza farsi vedere e anche il lieve singhiozzo sfuggito dalle labbra di Raph non gli era piaciuto.
Insomma, il focoso non piangeva mai!
-Nulla- bisbigliò sconsolato.
Il leader annuì e svanì in bagno, mentre Donatello si rinchiuse nel laboratorio.
In cucina, Mikey stava affogando la sua rabbia nell’impasto, colpendolo con una forza tale da far tremare il povero tavolo e non si preoccupava delle lacrime salate contro il suo viso. Non era colpa sua! Era Raph a dover mettere da parte l’orgoglio e porgere le scuse!
-Devo... aggiungere il sale...- biascicò fra un singhiozzo e l’altro. -E un pizzico di pepe-.
Mikey guardò sul tavolo: fra la farina e gli ingredienti, mancavano le spezie. Non le aveva prese ancora e per di più erano state messe a un ripiano un po’ troppo alto della credenza.
Mikey si rizzò in punta di piedi per prendere i due contenitori ma essendo troppo basso non ci arrivò; però non si arrese e salì sul tavolo... ma ancora non fu capace di arrivarci!
-Ho un’idea- disse.
Prese la sedia e scostando l’impasto, la mise sul tavolo e ci salì sopra, raggiungendo non solo i due contenitori ma prese anche una teglia molto larga posta in cima alla credenza.
-Sì! Grande me!-.
La sedia stava iniziando a spostarsi, essendo capitata su alcune tracce oleose di burro e uova... Mikey traballava troppo, nel tentativo di scendere.
-Mikey! Dobbiamo parlare!- tuonò una voce, sbattendo la porta.
L’arancione cacciò un grido di terrore e tutto accadde molto velocemente.
Il quindicenne  fece un movimento brusco e uno dei piedi della sedia si sbilanciò oltre il bordo del tavolo, precipitando rovinosamente. Mikey cadde pesantemente in terra, con le grida di Raph di sottofondo e perse i sensi all’istante, mentre sale, pepe e la teglia gli si rovesciarono addosso, nell’impatto.
-MIKEY!- urlò a gran voce il focoso.
Lo aveva fatto di nuovo! Si era introdotto così violentemente nella cucina da far prendere uno spavento al suo fratellino! E adesso, mentre gli si inginocchiava accanto, non sapeva che fare.
-Mikey, apri gli occhi, ti prego!- gridò, senza nemmeno toccarlo con le mani tremanti.
-Che sta succeden... Michelangelo!- si aggiunse un’altra voce terrorizzata, seguita da richiami multipli di tonalità differenti di voce.
Splinter, Leo e Don erano lì.
-Mikey è caduto!- spiegò terrorizzato il rosso, mentre Leo lo aiutava a rimettersi in piedi, lasciando a Donnie il compito si visitare il fratellino.
Raphael iniziò a raccontare ciò che aveva provocato fra un eccesso di singhiozzi strazianti e il genio raggiunse un’agghiacciante soluzione. Aveva, infatti, voltato leggermente il capo di Mikey, ritrovando il collo snodato più del normale.
-P... potrebbe essersi rotto il collo...- pronunciò.
-Portiamolo sul Nexus! Al Padiglione Medico lo sapranno aiutare!- aggiunse Leonardo...
 
....
 
Le ore trascorrevano lentamente nel corridoio ospedaliero, dove Splinter, Leo, Don e Raphie sedevano su delle panchine rosse, attendendo qualcuno che li delucidasse sulla situazione di Mikey, in terapia intensiva.
E per fortuna, le loro silenziose preghiere furono accolte.
Un dottore dai capelli neri e il volto nascosto dietro a una maschera bianca, con striature corvine uscì proprio dalla stanza del minore, avvicinandosi al resto degli Hamato.
-Siamo la famiglia di Michelangelo- introdusse subito Splinter. -Come sta il mio bambino?-.
-Il collo è lesionato. Rischia la paralisi o il coma. Per ora verrà trasportato in neurologia-.
-P... paralisi...- ripeté Donnie, in un fil di voce. -Il suo collo è danneggiato... come ho visto io...-.
Un tonfo alle loro spalle. Un corpo in terra, premuto sul pavimento di marmo lucido.
-RAPHAEL!- fu il richiamo generale.
Il medico poggiò due dita sul collo del focoso: il suo battito era accelerato e questo svenimento era stato causato dallo shock sulla notizia di Mikey.
“Poveri fratelli miei...” pensò Leonardo, guardando il medico e Donnie mettere il focoso su una barella per farlo riposare...
 
....
 
3 mesi dopo...
 
-Ricordi quando mi hai detto che per me tu eri l’ultima ruota del carro o che eri un fratello inesistente? Beh, ti sei sbagliato. Ho deciso di dimostrarti quanto tu conti per me, Otouto-.
Dodici settimane erano passate dall’incidente di Mikey e Raph aveva preferito rimanere al fianco del fratellino in coma, con un collare di sostegno al collo e fili attaccati al suo corpicino pallido e scarno.
-Se tu potessi riaprire gli occhi, potremmo parlare- continuò il rosso, accarezzandogli la mano. -Perché non sono quel genere di fratello strafottente che hai sempre creduto. Vorrei farti capire che per me, le parole affettuose sono un bel cruccio-.
Mikey era così fragile nel lettino della stanza verde acqua e solitaria del reparto neurologia. Sembrava semplicemente a riposo e che avrebbe potuto svegliarsi da un momento all’altro.
-Avrei dovuto porgerti le mie scuse quando ne avevo l’occasione. Hai ragione, in tutti questi anni ti ho sempre trattato male... me ne sono fregato di te e qualsiasi cosa mi dicevi l’ho passata in secondo piano. Ma ora ho capito che ho sbagliato e... hai presente quando dicono che il valore delle persone si capisce a un passo dal perderle? Beh... oggi ho capito che senza di te, la mia vita è troppo vuota e io non sono io se tu non sei a rompermi ogni maledetto giorno-.
Una piccola risatina umida. Raphie stava trattenendo a fatica le lacrime. Vedere Mikey in quelle condizioni gli alimentava giornalmente il senso di colpa. Perché non aveva ascoltato Donnie? Perché non si era mai dimostrato un fratello migliore?!
-Mikey io ti voglio bene- disse.
Calò la testa, incontrando la mano tiepida di Mikey e dopo un respiro tremante, iniziò a singhiozzare, stringendo il piumone azzurro del lettino.
-Mi manchi... voglio vedere i tuoi occhi vividi! Voglio ancora parlare con te...! Mikey, per favore, perdonami! Dicono che una persona in coma può svegliarsi se guidata da una voce amica e io ti sto parlando da mesi, ormai! Forse è vero che mi odi e che non vuoi più avere a che fare con me... ma noi siamo fratelli e questo non cambierà mai!-.
Splinter aveva fermato Leo e Don, vedendo la reazione del secondogenito. Guardavano dall’ampia affacciata dal corridoio sulla stanza dove Mikey era stato messo. I loro cuori spremevano nel dolore.
-Ti prego... svegliati...! Per favore...!- implorò, tossendo e respirando affannosamente, a rischio collasso.
Mikey era immobile.
-Se non ti svegli, io mi ucciderò! Almeno pagherò per ciò che ti ho provocato!-.
Una leggerissima contrazione della fronte. Raphael spalancò gli occhi, incredulo. Aveva sognato? O la disperazione gli aveva falsato la realtà?
-Mikey... voglio essere un fratello migliore per te! Dai, apri gli occhi! ORA!-.
Il minore schiuse gli occhi, finalmente! Guidato dalla voce insistente del fratello, fissava assente il vuoto, senza muovere un muscolo.
-Mikey?- richiamò il rosso, incerto di quel momento apparentemente felice.
Il focoso bussò un campanello per richiamare i medici e notò la sua famiglia premuta contro il vetro: fece loro segno di entrare e gli Hamato accerchiarono Michelangelo, più felici che mai.
-Ma perché non batte ciglio?- chiese subito Leonardo.
-Non lo so... forse è solo un riflesso del corpo- mormorò Donnie, sentendosi sempre più triste. -Mikey? Riesci a sentirmi?-.
Due medici entrarono in quel momento e frettolosamente intervennero. Uno di loro illuminò le iridi della tartaruga con una pila, notando una dilatazione e un restringimento delle pupille, mentre l’altro dottore controllò i parametri vitali e quelli celebrali.
-E’ fuori dal coma. E risponde bene agli impulsi base-.
Donnie sorrise e guardò Mikey che stava chiudendo e riaprendo gli occhi, senza spostarsi di un millimetro dalla posizione supina in cui era stato per tre mesi, ormai.
-Mikey?- chiamò il rosso, in un sussurro.
-R... Raphie...-.
Il suo nome... Mikey aveva risposto con il suo nome! Raphael era felicissimo e non si preoccupò di nascondere le sue lacrime. Era troppo raggiante... ma i medici erano pronti per una prova fondamentale.
-Michelangelo, ben svegliato- disse il primo.
-Gr... grazie...-.
-Sei pronto per una prova? Puoi muovere le dita delle mani?-.
Scoprirono il corpicino pallido e magro, focalizzando sulle mani che, si contrassero un po’, spostandosi molto lentamente dalla loro posizione.
-Bene. E ora, le dita dei piedi, per favore-.
Mikey era fiducioso. Si era svegliato dal coma, spostato le dita delle mani e ora doveva solo provare con quelle dei piedi. Ci provò.
Ma il terrore  arrivò subito, gelando l’aria apparentemente felice in quel momento.  I due dottori si scurirono in volto e uno di loro afferrò dolcemente le caviglie del giovane, alzando una gamba dopo l’altra, in un ritmo lento.
L’altro medico batté un martelletto sulle rotule, non riscontrando alcuna azione riflessa dei nervi sottocutanei.
-Non è un buon segno, vero?- mormorò Mikey.
-Non senti proprio niente?-.
-No, nulla. Le braccia sì. Le gambe no-.
Un grugnito. Un rivolo scarlatto lungo il labbro. Raph stava piangendo in silenzio, mordendosi così ferocemente il labbro inferiore da assaporare il sangue caldo e vivido.
-Non è colpa tua. Solo mia. Ti ho sentito ultimamente- mormorò Mikey, afflitto. -Sono stato anch’io uno sciocco testardo. Avrei dovuto provare a parlare con te...-.
-No... Donnie aveva ragione! Un giorno o l’altro ti avrei fatto del male ed ora eccoti qui! Senza poter usare le gambe!-.
-E’ permanente, dottore?- interruppe il genio.
-Sì. A meno che con la fisioterapia non vi si trovino impulsi nervosi da poter sfruttare-.
-Quando tornerò a casa?- chiese Mikey. -Sono qui da tanto, vero?-.
-Fra un mese, giovanotto. Hai bisogno ancora di riposo-...
 
....
 
1 mese dopo...
 
-Te l’ho detto, Raphie... ti perdono. E’ anche tutta colpa mia, però!-.
-Ma Mikey... non avrei dovuto spaventarti in quel modo!-.
Un abbraccio tenero nella notte. Un sorriso. Lacrime.
-Sei il mio eroe. Ancora e per sempre-.
-Otouto...-....
 
-Buongiorno!-.
Leo, Don e Splinter salutarono Raph che spingeva la sedia a rotelle con su Michelangelo. Entrambi sembravano molto più sereni e andavano molto d’accordo. Del ghiaccio che aveva contrassegnato la loro vita almeno quattro mesi fa, si era definitivamente mutato in un legame forte.
-Raph, te l’ho detto! Potevo spingermi anche da solo-.
-Per le scale? No, io non credo- ricordò solenne l’altro, guardando la scodella di latte e cereali dinanzi a sé.
Tutte le mattine, Raph andava a svegliare il suo fratellino alle 08:00 precise per aiutarlo a lavarsi e a scendere al piano inferiore, tutto in stile sposa. La carrozzella ingombrante aspettava sempre il padroncino in basso, per precisare.
Mikey si arrese alla cocciutaggine del fratello dalla maschera rossa e iniziò a mangiare tre semplici fette biscottate con la scodella di latte, per poi uscire dalla cucina. Ora che sapeva che mai più avrebbe potuto camminare, aveva ridotto drasticamente la quantità di cibo da ingerire per evitare di ingrassare.
Meno delle calorie del fabbisogno giornaliero.
E non eccedeva nel peso. Ingrassare era una delle sue peggiori paure.
-Mikey!- richiamò il focoso, accovacciandoglisi davanti. -Non hai finito la tua colazione!-.
-Ho mangiato già troppo... adesso, potrei tornare al mio banco da lavoro? Dovrei finire un disegno-.
Il focoso sospirò e lo lasciò andare verso un tavolo che Don aveva costruito apposta per lui, vicino al divano, per disegnare in santa pace.
“Non credo proprio che hai mangiato troppo. Hai preso almeno 70 calorie, considerando le 40 del latte e le 10 per tre fette biscottate” pensò acidamente.
Dovevano riuscire a risollevargli il morale. Mikey era depresso, anche se cercava in tutti i modi di nasconderlo.
L’arancione continuava a fissare distrattamente il trofeo piramidale sul televisore del salotto con aria triste; aveva le guance appoggiate nelle mani, con una matita ciondolante fra le dita. Era piuttosto infelice.
E noi eravamo tristi con lui, vedendolo dalla cucina.
-Pensa al Nexus- mormorò piano Donnie..
-Ai bei tempi, direi- corresse Leo, con la fame completamente andata.
-Come possiamo fare per fargli tornare un sorriso?- chiese Raph, senza staccare gli occhi di dosso al suo fratellino...
 
Nei giorni seguenti provarono di tutto: videogiochi, risate, barzellette, disegni, racconti d’infanzia, pallavolo, imitazioni buffe o semplici serate in compagnia di April e Casey... ma nulla da fare. Michelangelo aveva costruito un viso felice fatto di porcellana che si incrinava durante la notte.
Era disperato, in realtà. Lui era un ninja e aveva bisogno delle gambe più di ogni altra cosa.
Aveva cercato di ovviare il problema focalizzandosi sulle braccia ma non era la stessa cosa; Donnie aveva anche voluto costruirgli una sedia a rotelle particolare, con un motore a propulsione per farlo muovere... e magari anche volare ma Mikey non l’aveva voluta.
O camminava sulle sue gambe o niente.
E lacrime cadevano lungo il suo viso, pesanti dal troppo dolore al petto...
 
....
 
2 Mesi dopo...
 
Mikey aveva smesso di parlare adesso. Aveva perso quasi venticinque chili ed era costantemente di cattivo umore, tanto da incutere paura nei suoi fratelli. Era così magro che le ossa forzavano la pelle sottile, premendo per strapparla senza pietà e i suoi occhi avevano perso la lucentezza bambinesca che li distingueva dai suoi fratelli.
-Mi dispiace. Ma... io e i miei colleghi siamo arrivati alla conclusione che ormai Michelangelo sia costretto a restare su una sedie a rotelle per il resto della sua vita- concluse un medico sulla cinquantina.
Erano nel suo studio poco illuminato, guardandolo in silenzio con grande sconforto.
Mikey era in mezzo alla sua famiglia, con un’espressione vuota, perso a fissare il vuoto, mentre stringeva un lembo di una coperta gialla sulle sue gambe.
-Nessuna miglioria, allora?- sibilò Donnie.
-No- rispose l’umano, aprendo alcune cartelle cliniche di Mikey. -Dai dati qui presenti, i nervi situati nella regione lombare sono ormai lesionati irreversibilmente-.
-Tanto vale farmi morire, allora-.
Splinter guardò il bambino che aveva parlato: quegli occhi freddi, la voce fredda, letale e rassegnata in quel corpo debole e magrissimo. Michelangelo non batteva ciglio, fissando semplicemente il medico stupito alla scrivania.
-Mikey, ma cosa dici?- lo riprese Donnie.
-Sono assurdità- replicò deciso Leonardo.
Raphael solo non disse nulla, facendo un passo indietro, affogando nel dolore. Che cosa aveva creato! Michelangelo ne pagava le conseguenze, annegando in un oblio solitario e oscuro.
-Raph, ti prego, fammi morire-.
Il focoso alzò lo sguardo spalancato, così lucido da riflettere un raggio di tramonto dalla finestra alla sua destra. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre la sua voce moriva nella gola. Aveva capito bene. Mikey lo guardava con aria decisa e si stava anche spingendo davanti a lui e implorarlo meglio.
-Ti prego-.
-N... no-.
-Non ha più senso che viva. Se prima ero un peso, almeno potevo contribuire in questa famiglia ma adesso sono totalmente un onere. Quindi, ti prego di darmi il tuo consenso-.
Raphael si leccò le labbra, stordito. Gli si inginocchiò davanti, stringendogli le mani.
-Perché chiedi il mio permesso, Otouto?-.
-Perché tu sei sempre il mio fratello eroe. So che quando mi serve una spalla forte posso contare su di te. Tu prego, aiutami a far capire che non ha più senso che viva. Voi avete la vostra vita. Io no. Io sono finito-.
-MAI!- urlò Donatello, scrollandolo per le spalle. -Vuoi capirlo che mai e poi mai acconsentiremo qualcosa di così... stupido?! Mikey, sei il nostro fratellino!-.
-Sono stanco della mia vita- tuonò il minore.
Due lacrime caddero lungo le sue guance smorte: Mikey rise semplicemente con freddezza e approfittando che l’attenzione fosse ricaduta su Splinter che, per spezzare l’atmosfera irritante, aveva preferito ricominciare a parlare con il dottore, cominciò a indietreggiare, voltandosi verso la porta.
Se non volevano farlo morire, ci avrebbe pensato da solo.
Aveva bisogno di trovare qualche medicinale mortale, un coltello, magari una finestra. Ma su quel corridoio verde acqua e vuoto c’erano solo scale.
Mikey sbuffò e si sistemò sul bordo del primo gradino marmoreo, fissando la lunga rampa di scale: una sola spintarella e si sarebbe rotto il collo, morendo sul colpo.
-Sì. E’ la mia opportunità- mormorò con un piccolo sorriso vuoto.
I suoi occhi lucidi e umidi erano spalancati, con le iridi azzurre ristrette: finalmente poteva alleviare il dolore nella sua vita. Si guardò un’ultima volta indietro e cominciò a spingersi per poter ruzzolare nelle braccia della morte.
-Addio. Vi voglio tutti bene. Vi ho sempre amato. Potrò proteggervi meglio da lassù- sussurrò.
Fu come un lampo: un riflesso rosso veloce, un grido.
-MIKEY! NON FARLO!-.
Ma la tartaruga non ascoltava. Adesso le ruote erano ben sbilanciate e per un breve lasso di tempo si ritrovò a volare leggiadro nell’aria, prima che il dolore martoriasse il suo povero corpo. Era appena caduto sui gradini, massacrato dalla pesante sedia che continuava a rotolare rumorosamente.
Un sapore di sangue in bocca e poi il dolce buio definitivo...
 
....
 
1 anno dopo...
 
Macchie grigie. Il buio si stava allontanando sempre più, avvolgendo la piccola anima sperduta in un freddo bozzolo di solitudine.
Protendeva inutilmente le mani. Non poteva fermare le spire che scomparivano una ad una, troppo spaventate dalla forza bianca di luce, con strane voci vagamente familiari.
Si era sporto nello spiraglio a forma d’occhio, guardando movimenti sconnessi e brillanti sfumature di colori differenti in due mini sfere, incorniciate da striature di tonalità differenti.
Lui ci pensò su. Restare in quel bozzolo non sarebbe stato piacevole. Voleva solo scoprire cosa celasse lo stesso spiraglio che esplose in luce bianca silenziosa quando vi immerse la mano trasparente in esso...
 
-Guardate! Si sta svegliando!-.
-Quasi non riesco a crederci!-.
-Finalmente! Dopo dodici mesi!-.
-Ehi, Otouto, riesci a sentirmi?-.
 
Occhi azzurri si schiusero lentamente, abituandosi al leggero verde acqua nella stanza in cui era, dove tende svolazzavano sulla brezza del condizionatore posto sotto al bianco soffitto. Era il tramonto. Chissà di che anno e di che giorno ed ora!
-Fratellino!-.
Quella voce burbera, dolce e spaventata alla sua destra. Occhi dorati, maschera rossa. Lacrime impresse nel cotone della stoffa sul viso. Un’altra tartaruga. E altre due lo affiancavano. Una indossava una maschera azzurra e l’altra viola.
C’era un topo a chiacchierare con un coccodrillo.
Ricordava, adesso. Tutto. Il suo dolore, la sua voglia di morire. Di farla finita.
Il coccodrillo gli sorrise calorosamente, togliendogli il tubo dalla bocca e gli fece una piccola carezza sul capo. Lui si rilassò all’istante e chiuse gli occhi, sospirando piacevolmente. Ma la mano sulla sua spalla lo richiamò ancora. Non poteva dormire di nuovo.
-Mikey?-.
Era lui. Raphael. E c’erano Leonardo, Donatello, Splinter e Leatheread. Tutti.
-R... Rap... Raphie-.
Il rosso annuì, non preoccupandosi di asciugarsi una lacrima e guardò Michelangelo che, al contrario, lo fissava con aria interrogativa, volendo finalmente risposte.
Leat gli alzò una caviglia dopo l’altra, facendogli un movimento verticale; poi gli batté dei martelletti sulle ginocchia e ricevette una piccola scarica di nervi. Le gambe avevano tremato involontariamente.
-Buon segno! Buon segno!- esultò Donnie, baciando la fronte di Mikey. -Ci hai davvero spaventati cadendo da quella rampa di trentacinque gradini, ma credo sia stata una mossa abbastanza buona. Sei stato in coma per dodici mesi di fila ma l’urto ti ha ristabilito una connessione con...-.
-Donnie, dacci un taglio!- protestò giocosamente il rosso. -Mikey si è svegliato da poco!-.
L’arancione allargò uno stanco respiro.
-In pratica, mio caro amico, potrai tornare a camminare. La fisioterapia di aiuterà- ridacchiò Leat.
Mikey spalancò gli occhi, incredulo...
 
....
 
Il respiro di Michelangelo era rapido, di stanchezza e sudore nella palestra, mentre continuava a muovere le gambe, aiutandosi con le due sbarre d’acciaio. Un’altra lezione di fisioterapia con ottimi risultati.
-Molto, molto bene, Michelangelo- sorrise Leat, annotando il tutto su un taccuino.
Saputo delle gravi condizioni dell’arancione, il coccodrillo aveva speso tempo e anima pur di contribuire a salvargli la vita. La caduta gli aveva spaccato la testa e dislocato una spalla, ma la buona notizia era che l’urto aveva creato una connessione con i nervi lombari, permettendo impulsi al cervello per far muovere e sentire gli arti inferiori.
-Bevi, Mikey-.
L’arancione accettò la bottiglia d’acqua del fratello, mentre Leonardo gli consegnava le stampelle. Zoppicava con la gamba sinistra, non tornata esattamente efficiente come l’altra e dato che si stancava molto facilmente, le stampelle gli erano necessarie e la sedia a rotelle no.
Il focoso gli mise un asciugamano sulla testa, facendogli una carezza sul viso e lo aiutò a sedersi su una panchina, mentre Leonardo iniziava a massaggiargli i muscoli un po’ indolenziti dei polpacci, con dolci massaggi con una lozione speciale.
-Posso annunciarti che, tra due settimane potrai tornare a camminare normalmente, anche se... dovrai non spingerti troppo. L’arto sinistro presenta ancora punti nervosi lesionati e disconnessi. L’handicap con la leggera forma di zoppia ti seguirà in eterno, amico mio- spiegò il coccodrillo.
-Beh, non importa. Almeno posso di nuovo camminare e questo mi entusiasma- rispose Mikey, abbracciando fortemente Raph. -Grazie per non avermi permesso di uccidermi. Lo volevo perché la mia vita era finita ma... ora mi rendo conto di essere stato uno sciocco-.
-No, fratello- rispose Leo, cupo. -Nessuno di noi poteva capire il tuo dolore. Perdere l’uso delle gambe era un vero incubo. E solo vedendoti in coma abbiamo compreso quanto solo tu sia stato-.
-Ma almeno sono vivo-.
-E sai una cosa?- ridacchiò Raph, prendendolo in stile sposa. -L’importante che tu sia non solo con noi, ma in grado di muoverti, nonostante tutto. Avevamo paura di perderti. Quando sei finito in coma, il 98 per cento delle diagnosi ti dava per vegetale. Non ti saresti mai più risvegliato-.
-Ma Raph non si è arreso: ti è stato così vicino... anzi incollato, a parlarti, leggerti storie e fumetti o a piangere nelle notti silenziose che abbiamo quasi dovuto trascinarlo fuori dalla tua stanza quando lo abbiamo trovato in una crisi di pianto incontrollata- raccontò Donnie. -E’ stato il più vicino, Mikey. Non ti ha mai abbandonato, nemmeno quando hai avuto tre arresti cardiaci-.
Mikey fischiò. -Certo che ne ho passate tante e tutto senza che lo sapessi-.
Avvolse le braccia intorno al collo di Raph, stringendolo forte e richiamò anche i fratelli che crearono un abbraccio di gruppo dolce. Splinter sorrideva come Leaddy, strofinandosi una lacrima randagia dai peli sulla guancia. La sua bella famiglia era tornata!
-Non sarai mai più da solo, Otouto- mormorò Raphael, dolcemente.
-Promessa?-.
-Promessa!-.
 
Mikey migliorò di giorno in giorno. Le stampelle lo abbandonarono dopo un mese intero di sacrifici. Era tornato il ninja di solito: scherzoso, amabile e carino. Non aveva più preso il suo peso, ma aveva recuperato dodici chili. Era felice e nonostante zoppicasse, era ancora lui.
Michelangelo!
 
The End
 
 
Angolo dell'Autrice

Sono stata in compagnia di un mio carissimo amico sulla sedia. Ha avuto lo stesso incidente e quando mi ha raccontato la storia, ho scritto questa storia e gli è piaciuta moltissimo. Beh... spero vi piaccia!
Buon Ferragosto!
  
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