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Autore: LondonRiver16    19/08/2014    3 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Grazie a chi recensisce e a chi segue. Sono noiosa nei ringraziamenti, lo so, ma vi amo tutte <3

Buona lettura, e ricordate che mi farebbe piacere sentire le vostre adorabili vocine nelle recensioni anche in caso vogliano sparare insulti!

Tanto amore,


a.


P.S. Ah, dimenticavo! Se siete curiose, questo fanciullo è il nostro KEVIN <3






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 “And I don't believe in the existence of angels

But looking at you I wonder if that's true

But if I did I would summon them together

And ask them to watch over you”

(Into My Arms, Nick Cave)

 

 

 


Il mondo attorno e oltre Adam tornò a lui lentamente. La sua coscienza riprese a schiudersi timidamente al tocco della sua mente che si risvegliava, la realtà gli si riaffacciò un brandello alla volta, senza alcuna fretta, dopo quella notte trascorsa col calore del corpo di Tommy così vicino all’unico che il suo potesse vantare, quello indotto dalle macchine.

Cominciò con un unico frammento. Una piccola, insignificante macchia di colore che da sola riuscì a lacerare l’oscurità impenetrabile nella quale il coma lo aveva segregato, dando così il via a tutto: una pioggia di scintille che dal nulla, dopo tanto attendere, gli scoppiò davanti agli occhi, sotto alle palpebre, finché finalmente quei due macigni non acconsentirono ad alzarsi di qualche millimetro.

Vide che era mattina, forse addirittura prima delle nove. Attraverso la fessura degli occhi semi-aperti poteva scorgere una finestra schermata da tapparelle alla sua destra, veneziane che lasciavano entrare spiragli di luce in quella che aveva tutto l’aspetto di una camera d’ospedale e li proiettava sul pavimento di fòrmica pressata. Il suo corpo ancora addormentato occupava l’unico letto presente e, da quel che poteva vedere, era provvisto di un camicione da malato e del collegamento con diversi tubicini che, terminando ognuno in un ago, gli erano stati infilati sottopelle e lì erano rimasti, molto probabilmente per occuparsi della sua nutrizione via flebo.

Provò a muovere mani e piedi, ma le prime furono le uniche a rispondergli con quello che somigliava a un movimento voluto. Quando provò a girare lentamente il capo verso sinistra fu come se avesse lasciato cadere un cerino acceso direttamente all’interno della testa, ma un secondo dopo, quando l’improvvisa fitta di dolore fu scemata e i suoi occhi accettarono di riaprirsi, quella sofferenza venne subito messa da parte. C’era qualcuno nella stanza assieme a lui, qualcuno che conosceva. Qualcuno era lì a provargli che quella era effettivamente la realtà, che era tornato in un mondo dove poteva riconoscere le persone, che non era più solo in mezzo a tutto quel buio, impossibilitato a muoversi, a parlare, a opporre resistenza in qualsiasi modo gli potesse venire in mente.

Kevin era in piedi di spalle a poco più di due metri da lui, intento ad analizzare con occhio ignorante un macchinario spento. Il suo migliore amico era di nuovo accanto a lui e Adam si sentì morire di sollievo nel sapere che era tornato, appena tornato tra i vivi.

Non curandosi del fatto che le labbra fossero così secche da spaccarglisi all’istante, aprì la bocca per parlare. Avrebbe tanto voluto esordire con un “ehi, bel fusto, pensi di girarti o devo continuare ad ammirare il panorama?”, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe arrivato nemmeno a metà frase prima di perdere completamente la voce in un accesso di tosse, quindi si accontentò del primo mugolio che gli uscì di bocca.

- Kev…

Il ventottenne trasalì così forte che Adam temette di vederlo scivolare e cadere a terra ancora prima che i loro occhi s’incrociassero. Fece un salto, questo è certo, e si voltò di scatto verso il letto con una mano sul petto e gli occhi fuori dalle orbite.

- Adam!

Corse da lui, aggrappandosi alle sponde del materasso, e per un paio di secondi non poté combinare altro che rimanere impietrito a fissarlo, le labbra socchiuse in un continuo tentativo di dare adito a una fila di parole che suonasse come qualcosa di più di un tramestio di balbettii. Fu in quel momento, quando Kevin era ancora preda alla confusione legata alla primissima incredulità, che Adam si sorprese a sorridere. In realtà il suo fu più un tirare stanco delle labbra, debilitato com’era, ma non c’erano dubbi che dentro il ragazzo se la stesse ridendo. Dio, non avrebbe saputo spiegare perché, ma il verde cupo degli occhi di Kevin gli era mancato così tanto e se ne rendeva conto solo ora che li aveva a poche decine di centimetri dal viso.

Era ancora intento ad affondare in quegli occhi, a contemplarli come la prova fino ad allora più vivida del suo ritorno a casa, quando all’improvviso li vide inumidirsi di lacrime, mentre la mano di Kevin saliva verso la sua guancia per carezzarla con tocco ruvido, come se il più grande avesse voluto accertarsi della sua effettiva presenza lì. – Come ti senti? Da quanto tempo sei sveglio?

Il ventiduenne sorrise ancora prima di prendere un respiro profondo. – Il tempo sufficiente per… - Un nodo in gola gli impedì di proseguire e dovette interrompersi per tossire via l’ostacolo, respirare ancora e ricominciare con voce roca, la nuca abbandonata sul cuscino. - Per farti una panoramica al culo. Palestrato del cazzo.

La sua voce premuta contro le pareti del respiratore artificiale suonava smorzata, contraffatta e appiccicata a forza su quel complimento distorto, ma riuscì lo stesso a far sorridere il riccio e quei suoi occhi lucidi. – Se non altro sei ancora in te.

- In merito al come mi sento, invece, temo che l’unica buona notizia sia che sono sveglio, visto quanto sei entusiasta – esalò Adam, tornando a chiudere gli occhi mentre il dolore alla tempia e sotto il costato si faceva martellante. – Cazzo, un attimo fa non faceva così male.

- Chiamo l’assistenza – decise allora Kevin, sbrigandosi ad allungare un braccio verso la parete, così da poter pigiare il pulsante rosso immediatamente a lato della testata del letto. Il bottone si illuminò un attimo dopo e il ventottenne tornò all’amico, questa volta dando retta all’istinto e prendendogli la mano. - Non preoccuparti. Dev’essere perché in questi giorni non hanno potuto darti troppi anestetici a causa del coma, rimedieranno in un secondo.

Coma.

Quella parola riecheggiò per un momento nella mente di Adam, subito prima che la ferita lo riportasse all’urgenza immediata del dolore. Quindi era quello il nome che doveva dare a tutto quel buio, all’oscurità in cui gli era parso di navigare per dieci vite intere ma che si era annullata completamente nel momento in cui aveva riaperto le palpebre. Coma. Pian piano avrebbe iniziato a ricordare ciò che era successo prima che le tenebre calassero su di lui, ne aveva la sensazione ed era fiducioso a proposito, ma non in quel momento, non mentre aspettava che un goccio di morfina gli restituisse la gioia di essere sopravvissuto.

- Quanto ci sono rimasto? – domandò per provare a distrarsi nell’attesa. – In coma, quanto ci sono rimasto?

- Questo sarebbe stato il settimo giorno – rispose Kevin con prontezza, stringendogli la mano con più energia per donargli conforto. – Oggi è il 2 maggio, venerdì.

- E come sono messo? – seguitò Adam, sempre ad occhi serrati. – Sappi che se non risponderai entro tre secondi mi preoccuperò a morte. E che voglio saperlo da te, non dai medici. Non mi fido dei medici da quando non si accorsero che quel figlio di puttana di Sanders…

- Lo so. E so che non puoi superare questa cosa adesso – lo interruppe Kevin in un soffio, carezzandogli la testa. – Ma ti fidi di me, giusto? E io ti dico che ti stanno curando bene. Sei stato ferito all’addome e alla testa, ma sei in via di guarigione e ti riprenderai completamente. Il coma era il problema più grande, ma ti sei svegliato e ora devi solo dare al tuo corpo il tempo di recuperare. Mi credi, Adam, non è vero?

- Ti credo, ti credo – ansimò il più giovane. – Vorrei solo che qualcuno si muovesse a darmi un antidolorifico, perché questa cosa mi sta spaccando la testa.

Proprio in quel momento un capannello formato da tre persone, infermieri di entrambi i sessi, entrò di corsa nella stanza e si raggruppò attorno a lui. Esprimendo con un sorriso e qualche frase d’incoraggiamento la propria soddisfazione per il fatto che il paziente si fosse ripreso, una di loro si premurò di controllare i tabulati dei macchinari mentre l’unico maschio si affrettava ad aggiungere un poco di analgesico alla sacca collegata alla flebo nel braccio del ventiduenne e l’altra ragazza cominciava a occuparsi degli esami medici di base.

- Dovrebbe uscire mentre lo visitiamo – disse l’infermiere, allontanando Kevin dal letto con ferma gentilezza per condurlo verso la porta. - Ci vorrà solo una decina di minuti, un quarto d’ora al massimo.

A quel punto Adam, che era già stato accerchiato dalle due infermiere e dalle loro premure, sentì una necessità premergli sul fondo della gola, quasi unita al cuore che aveva iniziato a martellargli forte in petto, e malgrado il calmante che gli avevano somministrato si stesse rivelando abbastanza potente da annebbiargli la vista, si sporse un poco verso destra per ritrovare la figura del ventottenne prima che l’uomo in divisa bianca lo conducesse oltre l’angolo.

- Aspettate… aspettate solo un attimo, per favore… Kevin…

Batté le palpebre una volta e subito se lo ritrovò accanto. - Sono qui, dimmi.

- Tommy… Tommy sta bene? – rantolò, e rivedere un sorriso allargarsi sul volto del ventottenne lo riempì di sollievo.

- A parte il colpo al cuore che gli verrà quando gli dirò che sei di nuovo qui? Sta bene, Ad, e starà alla grande quando saprà che ti sei svegliato – Detto ciò si chinò a baciarlo sulla testa, sovrastato dall’emozione, quindi lo rassicurò con una stretta al braccio e indietreggiò verso la porta per fare spazio ai medici, un sorriso tremolante ma semplicemente radioso che gli illuminava il volto mentre alzava il cellulare in aria. – Vado a chiamarlo e torno, d’accordo? Intanto non molestare le signorine!

Ad Adam scappò un sorriso per la battuta, che nella sua piccolezza gli permise di rilassarsi abbastanza da consentire alla troupe di infermieri di procedere con ogni misurazione e fargli tutti i test di cui avevano bisogno. Chiuse gli occhi per un secondo, respirò profondamente e li lasciò fare, obbedendo a ogni loro richiesta al meglio delle proprie possibilità, concentrandosi sull’immagine che aveva ripreso a farla da padrone nella sua testa, che era anche l’unica che gli permise di stare tranquillo durante l’intera durata della visita malgrado il disagio che aveva sempre provato dinnanzi a qualsiasi medico dopo i tredici anni.

Tommy, fa’ presto.

 

Una mezz’ora dopo si ritrovarono nella stessa situazione che aveva sorpreso entrambi al risveglio del più giovane, Adam a letto e Kevin seduto lì accanto a intrattenerlo con le ultime novità e a controllare che non accusasse ricadute o sintomi da denunciare al dottor Larson. Il medico se n’era andato da poco, subito dopo aver controllato che gli infermieri avessero portato a termine il proprio lavoro, aver visitato sommariamente Adam, prescritto altri esami da svolgere nell’arco di pochi giorni e aver sparso un po’ ovunque le sue felicitazioni per il ritorno del ragazzo dal mondo delle ombre.

Ora ad Adam non restava che attendere l’arrivo della famiglia O’Reilly, che prontamente avvisata da Kevin si era messa subito in marcia verso la città e l’ospedale, e certo non si aspettava che quell’assurda attesa potesse venir resa più leggera dalla presenza del ventottenne. Dopotutto, nonostante sentisse la stanchezza ancorarlo al materasso, rivedere Tommy era appena diventata la sua priorità, e non avrebbe mai chiesto al suo migliore amico di distrarlo dal pensiero della persona che regnava nel suo cuore. Eppure fu allora che, ancora una volta, Kevin riuscì a stupirlo.

- Ho fatto i compiti, sai? – annunciò dopo pochi minuti da quando erano rimasti soli, rivolgendogli un sorrisetto saccente.

Adam aggrottò le sopracciglia, confuso. - Cosa?

- Ho fatto i compiti – ribadì allora il più grande, a stento trattenendo una risatina. - Mi sono trovato un ragazzo.

- Cosa? – ripeté Adam con una faccia scioccata. - Mi stai prendendo in giro?

Colpito, Kevin assunse un‘espressione fintamente offesa, portandosi una mano aperta al petto e spalancando la bocca. - Oh, tante grazie per la considerazione! Se credi di essere l’unico che riesce a rimorchiare faresti meglio a rivedere i tuoi canoni, bellezza, perché non sono esattamente malvisto sulla piazza, anzi.

Il ventiduenne alzò gli occhi al cielo. - Non volevo dire che…

- Dai, scemo, scherzavo! – lo interruppe però il maggiore con una risata, prima di cominciare a torturarsi le unghie, forse senza accorgersene nemmeno. - Ci siamo incontrati lunedì. Visto che eri al mare con il tuo bello e quindi non disponibile per il solito aperitivo, sono andato a un concerto. Da solo, era la cantante ad attirarmi. La voce della cantante – si premurò di specificare quando intercettò l’occhiata storta di Adam. Poi si prese una pausa e sospirò. - E lì l’ho visto. Era solo, aveva notato che lo stavo guardando e non sembrava essere infastidito dalla cosa, quindi mi sono avvicinato. Abbiamo iniziato a parlare, bevuto qualcosa assieme, cantato assieme. E poi… ricordi quella canzone che parla di afferrare uno e baciarlo?

Adam alzò le sopracciglia fino all’inverosimile a quell’imboccata. Per qualche strano motivo non riusciva a smettere di sorridere, come contagiato dall’eccitazione che sentiva fremere sotto la falsa pacatezza delle parole di Kevin. - E lui lo ha fatto con te?

- In realtà l’ho fatto io con lui – confessò Kevin rialzando lo sguardo, e quando il più giovane spalancò la bocca per la sorpresa e scoppiò a ridere, sbigottito, lui diede in una risatina e scosse la testa, lo sguardo al soffitto e gli occhi lucidi di felicità, come se l’emozione preponderante in lui fosse ancora la meraviglia per essere stato l’interprete di quel gesto. - Oddio, Ad, è stato… non so cos’è stato a spingermi a farlo, so solo che non me ne sono ancora pentito. Finora per una cosa o per l’altra ci siamo visti tutti i giorni, per pranzo, cena o l’uno a casa dell’altro ed è surreale, lo so, ma stiamo bene. Non c’è molto imbarazzo e credo sia semplicemente perché nessuno di noi due ha la sensazione che quello che stiamo facendo sia sbagliato, pur conoscendoci da così poco. Non so come spiegartelo, non provavo una cosa del genere da anni, da… da quando non avevo occhi che per te, in effetti.

Adam scosse la testa, comprensivo. – Non serve che me lo spieghi – In effetti non aveva difficoltà a comprendere come si sentiva l’amico, dato che da come lo aveva descritto quel sentimento era del tutto simile a ciò che lui provava per Tommy. - Be’, mi dirai come si chiama il fortunato o devo far avviare un’indagine?

Quando Kevin sfoggiò quel sorriso, Adam dovette mordersi la lingua per trattenersi dal dargli della bambolina innamorata.

- Drew. Voglio dire, Andrew, si chiama Andrew – rispose il ragazzo, serrando gli occhi per la vergogna e portandosi una mano alla nuca quando si rese conto che si era trovato a un passo dal tartagliare come una ragazzina infatuata del compagno di banco. - Cristo, non credevo sarebbe stato così imbarazzante parlarne con il mio migliore amico. Come lo dico a mia madre?

- Con l’aiuto del tuo ragazzo – lo confortò il ventiduenne con un sorriso sincero, nascondendo ogni traccia di malizia. - Lo voglio conoscere, sia chiaro. Al più presto. Non ho intenzione di lasciarti andare in giro con ragazzacci che non abbiano ricevuto la mia approvazione, soprattutto se si tratta di una cosa seria.

Kevin rise e annuì, accennando un inchino. - Ma è ovvio, sire. Comunque anche lui sarà contento di vederti sveglio, ha assorbito tutta la mia ansia in questi giorni – gli confidò a mezza voce, lo sguardo che velocemente correva verso il pavimento per poi tornare agli occhi di Adam cambiato, con una vena di tristezza che neppure la vivacità datagli dalla sua nuova fiamma fu in grado di celare. - È stato tremendo, Ad. Sentire Tommy al telefono, sentire che non riusciva a finire la frase, venire a sapere cosa ti era capitato, correre qui e vederti in questo letto, immobile… tremendo.

Vedendo che le mani avevano cominciato a tremargli, in un primo momento il ventiduenne si spaventò. Non ricordava di aver mai visto Kevin così scosso. Turbato e schifato quando Adam gli aveva raccontato ogni macabro particolare del proprio passato, certo, furioso quando lo aveva deluso buttandosi sulle droghe pesanti, senza dubbio, ma mai sull’orlo del pianto come lo vide in quel momento. E sebbene sapesse di essere lui il malato, sebbene capisse quando dovesse essere stato terribile sentirsi dire dai medici che una delle persone a cui teneva di più avrebbe potuto morire o rimanere in stato vegetativo per tutta la vita, scosse la testa per bloccare il suo pianto sul nascere. Non sapeva se avrebbe retto a una visione del genere, Kevin che piangeva per lui come mai lo aveva visto fare, e non voleva nemmeno scoprire quanto male si sarebbe sentito se ciò fosse accaduto proprio in quel momento, quando era completamente inerme.

- Oh no, dai, Kev – cercò di risollevarlo con voce morbida. – Va tutto bene adesso. Dai, abbracciami – lo incoraggiò, e quando il ventottenne obbedì, ghermendolo con la disperazione di chi temeva ancora di vederselo scivolare via dalle dita, gli carezzò la schiena. - Va tutto bene, tutto bene.

Sentì Kevin stringere nel pugno chiuso la stoffa della sua tunica grossolana con così tanta energia che fino all’ultimo attese di udire il rumore del tessuto che si strappava.

- Non sai quanta paura ho avuto di non vederti riaprire gli occhi. Sei mio fratello, cazzo…

Sentì un singhiozzo scuotere il torace pressato contro il suo e serrò gli occhi con violenza per impedirsi di piangere a sua volta, o sarebbe stata la fine.

- Sono qui – si limitò a sussurrargli all’orecchio in risposta. Non ebbe neppure il tempo di accorgersi che quel poco sembrava essere bastato per calmare il maggiore che si ritrovò i suoi due occhi infuocati fissi nei propri.

- Non avrò pace finché non troveranno chi ti ha fatto questo. Lo giuro, Ad, non avrò pace finché non vedrò quei figli di puttana dietro le sbarre.

Adam annuì, quindi sorrise e gli carezzò una spalla, ancora troppo spossato per provare della rabbia vera. Dopotutto aveva fiducia di poter ottenere giustizia e l’ultima cosa che voleva era che chi gli stava accanto e gli donava il suo affetto avesse da rodersi il fegato per colpe che avrebbero finito per essere punite presto o tardi, in un modo o nell’altro. Ciò che Kevin non sapeva, perché Adam non ne aveva ancora parlato, era che ricordava le corporature, le mani, tratti dei volti delle due persone che l’avevano aggredito, prove che a un esame di riconoscimento non avrebbero concesso ai colpevoli alcuna possibilità di scampo. Ma la priorità, ora, era calmare il suo migliore amico.

- D’accordo, ma vedi di non agitarti troppo. Se Drew è davvero così fantastico non vorrai farlo scappare, dico bene? – lo provocò affettuosamente prima di posargli le mani sulle spalle e guardarlo dritto negli occhi. – Per la miseria, hai gli occhi che brillano ogni volta che pronunci o senti il suo nome, sei senza speranza.

La risata gioiosa di Kevin non si era ancora esaurita quando una voce femminile dai toni gentili richiamò l’attenzione di entrambi.

- Scusate – Un’infermiera dai capelli castani sorrise loro dal principio del breve corridoio che conduceva alla porta. - È arrivata la famiglia e…

In quello stesso istante il rumore della porta che si spalancava alle sue spalle le mangiò il resto delle parole, facendola voltare appena in tempo per scorgere il ragazzino che la superò di corsa. Tommy si arrestò ai piedi del letto per un tempo a malapena sufficiente a che Adam socchiudesse le labbra sull’orlo di un mormorio, trafitto al cuore da quegli occhi scuri gonfi di lacrime, poi fu solo un attimo prima che il diciassettenne raggiungesse il lato del letto e lo travolgesse in un abbraccio da togliere il fiato anche a un individuo sano.

In mezzo a tutto quel parapiglia, mentre non poteva fare a meno di stringersi al petto la persona che dopo tanto tempo aveva dimostrato di saperlo sconvolgere ancora con un’entrata in scena, Adam fece fatica anche solo a notare lo scambio di sguardi fra Kevin e l’assistente medico.

- Un visitatore alla volta – ricordò la ragazza, quasi come se si stesse scusando per l’esistenza stessa di quella regola.

A quel punto il ventottenne annuì coscienzioso prima di lasciare la sedia e rivolgere uno sguardo colmo d’affetto all’abbraccio inscindibile che si stava consumando silenziosamente sotto i suoi occhi. Prima di vedere l’amico uscire dietro all’infermiera, Adam sentì il suo palmo bollente premere sul dorso della propria mano, quella che teneva stretta la maglia di Tommy in cima alla sua schiena, e consapevole del peso di quella benedizione chiuse gli occhi e baciò la tempia tremante del suo ragazzo. Nessuno dei due aveva ancora detto una parola.

Per qualche ragione fu lo scatto del battente che si richiudeva, lasciandoli soli, a spronare il più grande a cacciarsi fuori di gola le prime parole.

- Tommy, amore, attento agli aghi…

Per tutta risposta Tommy allentò la presa attorno al suo busto, ma di poco, e con una mano gli cinse invece la nuca, passando le dita fra i suoi capelli in un movimento che anche da solo sembrava dargli sicurezza.

- Sei vivo – soffiò, incerto, caracollando fra le parole come un balbuziente. – Grazie a Dio o a chiunque sia, sei vivo.

- Sì, sono vivo – assentì allora Adam con la voce fioca con la quale ormai aveva familiarizzato, sfiorandogli la testa. - E tutto grazie al mio fratellino.

Solo allora Tommy acconsentì a sciogliere l’abbraccio, indietreggiando di un passo e tenendo gli occhi fissi sui propri piedi mentre scuoteva il capo, in imbarazzo.

- Che dici, sono stati i dottori. È merito loro.

- No – lo corresse subito il ventiduenne, poggiandogli due dita sotto il mento e insistendo affinché il giovane portasse lo sguardo all’altezza del suo prima di concludere la frase in un bisbiglio: - È merito del mio fratello devoto.

Solo per un attimo il diciassettenne apparve confuso, come se fare quel collegamento richiedesse più lucidità di quella di cui era provvisto al momento, poi un lampo attraversò i suoi occhi tersi, le sue labbra si schiusero senza che ne uscisse più di un respiro e Adam ebbe la certezza che aveva ricordato. Compiaciuto, gli sorrise dolcemente, ruotando la mano così da potergli accarezzare la gota con il pollice.

- Credevi non potessi sentirti, eh? Dubito che sarei riuscito a svegliarmi senza il suono della tua voce – ammise senza alcuna vergogna, quindi fece in modo di abbassare ancora di più il tono di voce, trasformandolo in qualcosa che sorprendentemente, a dispetto delle sue condizioni di salute, riuscì a suonare addirittura suadente. – Perciò grazie di avermi asfissiato con le tue chiacchiere, micetto. Non sarei qui se non fossi così insopportabilmente logorroico.

Come il maggiore aveva previsto accadesse, Tommy abbandonò immediatamente la malinconia per assumere un’espressione indignata e aprì la bocca per ribattere a tono, ma Adam non gliene diede il tempo. Sforzandosi sicuramente più di quanto medico e infermieri avrebbero approvato e meno di quanto lui stesso avrebbe desiderato per raggiungere un risultato ottimale, fece scivolare la mano sulla nuca del biondo e lo tirò a sé, sporgendosi al contempo il più possibile verso il ciglio del materasso con la fermissima intenzione di ignorare il tirare di fili e tubicini.

Le loro labbra collisero prima che Tommy potesse anche solo rendersi conto che stavano per riunirsi, tanta era stata la rapidità di Adam, ma ciò contribuì a smorzare almeno in parte lo svantaggio fisico del ventiduenne. Il maggiore riuscì infatti a imporsi in quel bacio come in quasi tutti quelli che i due si erano scambiati, ponendosene a capo, modellando le intemperanze di Tommy a quelle che sapeva essere le esigenze di entrambi, regolando il ritmo e rendendolo comune. Era ciò di cui si era sempre occupato Adam, dopotutto, donare salvezza, protezione e sicurezza a Tommy e stabilità a ogni minima parte della loro relazione.

E d’un tratto i sorrisi a cui diedero vita l’uno sulle labbra dell’altro e le lacrime che li bagnarono smisero di avere importanza, smisero di avere importanza le dita affondate con possessività nella pelle dell’altro. Con quel bacio di ricongiungimento si ripresero ciò che il mondo aveva rubato loro senza badare ad altro, riassaporando ogni minima sfumatura della bocca e del respiro corto dell’altro, trovando così un nuovo equilibrio. Si sarebbero fatti bastare quel primo bacio successivo alla morte, quell’attimo rubato al gelo dell’ospedale per iniziare a scrivere una nuova vita assieme.



   
 
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