SEGUITO DI GINNASTICA PREPARTO.
La sua lettura però non è subordinata alla comprensione di questa one shot.
-Si può sapere a che diavolo ti servivo? Per quale motivo mi hai
fatto rapire dall’ambulatorio?-
John è ormai certo che quando Sherlock tiri fuori quella faccia, quella
annoiata, quella che fa sentire chiunque un pezzo di ignorante, quella che fa
girare la testa alle femminucce del suo fan club, solo quando non sa cosa dire
e cerca di cavarsi di impiccio senza aprire bocca.
-Allora?- lo incalza John diviso fra il desiderio di infilargli una testata in
bocca e di ringraziarlo per avergli evitato la signora Pierce o come la
chiamano tutti i medici del poliambulatorio, la malata immaginaria.
-Sto aspettando.-
Gli occhi chiari di Sherlock si sollevano oltre la sua testa e John dopo un
momento lo segue. Non sta guardando la neve che cade e che ha coperto le strade di Londra di una spessa
patina di neve -Che c'è?- lo incalza e Sherlock, dopo
essersi preso tutto il suo tempo come al solito, torna a guardarlo -C’è
qualcuno in casa.-
John avrebbe preferito che fosse un sicario russo ad aspettarli
in casa, Mycroft incazzato nero per l’ennesimo furto di
Sherlock dei suoi tesserini, avrebbe preferito tutto e tutti a sua moglie.
Cerca di farsi il più piccolo possibile mentre gli occhi azzurri di Mary si
fissano su di lui.
La bambina tarda a nascere e ogni ora che passa senza il travaglio inizi, rende
Mary sempre più furiosa. John si scopre tremante mentre la moglie si alza a
fatica dal divano e raggiunge il centro della stanza a braccia conserte.
Ha mentito a tutti dicendo di esser caduto sul marciapiede ghiacciato di fronte
al piccolo bar dove è solito fare
colazione tutte le mattine, ma in realtà
quel bozzo che gli ha chiuso leggermente un occhio è stato la sua dolce metà a
farglielo, tirandogli una padella addosso.
Poi come al solito ha pianto e si è scusata, ma il danno era fatto e lui a
fatica a vederci quando sta al computer.
-Mary…-
Mary tira indietro le spalle e la pioggia di insulti che investe sia lui che Sherlock ha il potere di
zittire e far scattare entrambi sull’attenti.
Se non fosse anche John è spaventato a morte, se la riderebbe a vedere Sherlock ghiacciato
dalla furia di Mary.
-Mi…Mi dispiace…- tenta John - Non è stata colpa mia. È stato Lestrade a rapirmi. Non volevo stare fuori così tanto senza
avvisarti, ma non mi ha fatto prendere nemmeno il cellulare.-
Gli occhi blu di Mary si piazzano sul viso di Sherlock - È vero. È vero. È
colpa di Lestrade, io mica gli avevo detto nulla.-
Tu guarda che bugiardo impunito…
pensa John guardandolo con la coda dell’occhio.
-NON MENTIRMI SHERLOCK HOLMES!-
John chiude gli occhi, Mary è un rilevatore umano di bugie e entrambi tendono a
dimenticarselo. Dondolando come un anatra per via del pancione ormai così
grosso e pesante da essere un vero impiccio, Mary punta verso di loro e spalancando le braccia,
li spinge contro i battenti della porta per passare.
John è convinto di avere almeno tre costole andate a farsi fottere mentre
scivola in casa, così come Sherlock, che si massaggia un fianco con una
smorfia.
-Mary.-
Mary si volta fumando di rabbia.
-Credo che sia meglio che tu rientri in casa.-
Perché vuoi il secondo round? è il pensiero
che attraversa la mente di John.
-Stai per partorire.-
Tecnicamente John Watson, capitano dei fucilieri, dovrebbe
considerare il parto come una inezia visto quanto ha visto in guerra e subito e
invece è semplicemente terrorizzato. Mary ansima di dolore sul divano mentre
lui, senza sapere che fare, come aiutarla, e probabilmente come avvicinarla
senza rischiare di venire azzannato ad un braccio, gira in tondo alla sua
poltrona.
L’espressione sul viso di Mary mentre lo fissa in quello stato confusionale
passa dalla dolcezza all’odio assoluto a seconda si trovi in contrazione o la
stia attendendo.
-Ho chiamato l’ambulanza.-
-Ottimo fra quando arrivano?-
-Venti minuti.-
John si blocca tenendo le braccia lungo i fianchi mentre Mary sbotta in un -Mi
prendi per il culo?- con una voce che
non è la sua.
Sembra una scena dell’Esorcista! pensa
John guardandola allibito.
-La neve.-
-Non è possibile! Non è possibile! Siamo una delle nazioni più
grandi del mondo, non possiamo farci bloccare da venti centimetri di neve!-
John sa che piangere segnerebbe la sua fine, perché Mary lo ucciderebbe e se
non lo facesse in un eccesso di pietà, Sherlock lo prenderebbe in giro per
tutta la vita, ma è sicuro che quello che gli chiude la gola sia un magone e
non un molto più virile attacco di panico.
Mary lo strattona per il maglione e John si ritrova ad appoggiare le ginocchia
sul bordo del divano - John, sei un dottore, no? Puoi aiutarmi tu fino a quando
non arrivano i soccorsi.-
John deglutisce a vuoto -Non penso di poterlo fare.-
-PERCHÈ NO? ERI UN MALEDETTO MEDICO MILITARE!- si lamenta Mary inarcando la
schiena di quel poco che la pancia le permette. John si sente morire per l’empatia,
le poggia una mano sul pancione e lo massaggia piano.
-Perché qui si parla di mia moglie e mia figlia.-
In un altro momento, John è certo, Mary si sarebbe dimostrata comprensiva con
lui. Lo vede nel lampo che le passa sul viso, dal modo in cui allenta per un
momento la presa sul suo maglione, ma poi il dolore torna a farsi sentire, e il
demone che la possiede, prende di nuovo il suo posto.
-SEI UN PUSILLANIME! PENSA A ME CHE STO SENTENDO QUALCOSA GROSSO COME UN
PALLONE SCENDERE LUNGO …- John ha avuto un chiaro caso di sordità selettiva, perché
Mary continua a gridare, ma lui non sente più nulla. Solleva le maniche del
maglione mentre si alza e si porta fra
le sue gambe piegate.
Infila le mani sotto il suo vestito di velluto rosso e tira collant e slip
verso le caviglie. Le toglie le scarpe e alla fine, con le mani sulle sue
ginocchia prende fiato. Abbassa la testa tenendo sollevato un lembo del vestito
e poi la rialza subito.
-Cosa?- gli chiede Mary.
-Questo è il tuo primo parto, vero?-
-CERTO!-
Sherlock alle spalle di John, solleva clinicamente
un sopracciglio mentre osserva in basso -Succede fra le donne di una certa età
di non avvedersi delle prime contrazioni del travaglio. Per questo avevo
suggerito a Mary un ricovero preventivo. È probabile che sia in travaglio da
questa mattina e che abbia scambiato i dolori delle contrazioni per semplici
spinte del bambino.-
Una parte di John sa che può capitare a donne sopra i quarant’anni che hanno
figli per la prima volta, l’altra si chiede da quando Sherlock si intenda di
parti e gravidanze.
-Si può sapere che succede?- strepita Mary.
-Vedo la testa.-
John è serenamente certo che non riuscirà mai più a fare sesso
con sua moglie dopo aver visto una cosa del genere. Posiziona le mani come gli
è stato insegnato tanto tempo fa alla scuola di medicina e quando Mary spinge come gli dice, sente il peso caldo della
testa di sua figlia premergli contro il palmo della mano.
-Ci siamo quasi.- è calmo, sembra calmo, in realtà è certo di essersi appena
pisciato addosso - Ancora, spingi ancora, con tutte le tue forze. È quasi
fatta.-
Mary si aggrappa alla spalliera del divano a Sherlock che le ha legnosamente
teso una mano e finalmente la bambina è fuori. John se la ritrova fra le mani
in un fiotto di sangue e liquido e quando alza gli sa, di stare piangendo.
Mary cerca di vederla alzando un po’ la testa, ma è solo grazie a Sherlock che
le sostiene le spalle con un braccio se riesce a scorgere quella minuscola
cosina che si agita debolmente fra le mani di John.
-È bellissima.-
John la solleva, ha un ciuffetto di capelli biondi sulla testa, manine piccole
e deliziose e un musetto imbronciato. John vorrebbe fare qualcosa oltre che
guardarla, ma ora che il picco di adrenalina che l’ha sostenuto durante il
parto è passato, è tornato nello stato di confusione di poco prima.
-Sherlock che fai?-
Sherlock non risponde mentre gira attorno alla bambina, senza togliergliela
dalle mani, qualcosa di blu e liscio. La sua amata vestaglia
-Grazie.-
I paramedici sono costernati quando entrando nell’appartamento
trovano la mamma con la bambina fra le braccia. Si scusano in tutti i modi e
tirano un sospiro di sollievo quando scoprono che John è un medico.
-Vuole venire anche lei?- chiede uno dei due e John scrolla la testa.
-Mi do’ una ripulita prima.-
Bacia la fronte di sua moglie e di sua figlia e le guarda sparire oltre le scale.
Sherlock è dietro di lui quando il conato di vomito gli risale dallo stomaco e
gli riempie la bocca e nonostante gli stia vomitando addosso oltre che in mezzo
all’appartamento, Sherlock gli tiene la fronte con una mano e lo sostiene con
un braccio attorno alla vita per
impedirgli di finire sul pavimento di
faccia.
-John…-
-Cosa?-
-Dopo posso analizzarlo?-
I primi sei mesi di vita di Shirley Watson (nome fortemente
voluto da Mary) sono paradisiaci. John esce di casa la mattina con il sorriso
sulle labbra e torna a la sera dal lavoro è contento di poter passare
finalmente del tempo con la sua famiglia.
È per questa ragione che non riesce a capire cosa accade quando, rientrando,
trova tutte le luci di casa spente e il freddo a dargli il benvenuto.
Si ferma sulla porta con le chiavi a
penzolare dalle dita mentre l’orrore si fa strada nella sua vita perfetta.
Scende a rompicollo i gradini di ingresso e si attacca al campanello della
vicina.
Il sollievo quando la vede apparire con Shirley in braccio è così forte da
fargli girare la testa. La bambina lo accoglie con un gridolino gioioso e le braccine spalancate e
John le bacia i capelli e le guancie sopraffatto mentre la stringe a sè.
Somiglia a lui, sia per il colore degli occhi, che per quello dei capelli.
- Dov’è mia moglie?- chiede con il cuore in gola.
La signora gli allunga un biglietto ignara della catastrofe di cui si è fatta
messaggera. John strappa la busta con i denti e tira fuori un biglietto.
Cinque parole:
“Mi
chiamo Andrea non Mary.”
Mycroft riesce a seguire gli spostamenti di Mary
(Andrea) fino in Bielorussia e poi lì la perde. John non riesce a crederci che
lo abbia lasciato che li abbia lasciati per tornare a vestire la sua vecchia
pelle. Osserva quel biglietto con quelle cinque parole che sono ognuno un chiodo di bara sul suo
amore e sul suo matrimonio, sentendo il dolore serrargli la gola.
-Mi dispiace John.-
John annuisce scioccato mentre si alza.
Almeno Mary non gli ha tolto la bambina.
John è tornato a vivere al 221b.
Quando è a lavoro Shirley sta con la signora Hudson, e quando non è a lavoro, John la porta
con sé in giro per Londra. Sia perché a star fermo in quella che ormai considerava la vecchia vita è preso da continue ondate di
nausea, sia perché a Sherlock da fastidio avere la bambina in mezzo ai piedi
quando lavora ad un caso.
O almeno così credeva.
È notte quando svegliandosi dal solito incubo che lo vede cadere per quelle che
gli sembrano ore, John si rende conto che Shirley non è nella culla. Si lancia
fuori dalla sua camera da letto, scende le scale a rompicollo e si ferma,
stupefatto, sulla porta.
Sherlock è seduto sul divano con Shirley seduta sulle ginocchia e sta leggendo ad alta voce i dettagli del caso che Mycroft
gli ha affidato dalla cartellina che ha fatto recapitare da Anthea
nel pomeriggio.
Se non fosse per quest’ultimo dettaglio, la situazione sarebbe fra le più
tenere e carina che John ha mai visto in tutta la sua vita.
-John vuoi restare a lungo sulla porta o vuoi sapere cosa mio fratello vuole che
facciamo?-
John entra cauto mentre guarda la bambina che succhia beata dal suo biberon. Sherlock
le ha preparato il latte? Davvero?
-Non l’ho trovata nella culla , mi sono preoccupato.-
-L’ho sentita lamentarsi da quel coso che dimentichi dappertutto.-
-Il baby monitor.-
Sherlock fa un gesto con una mano come a dire che non è rilevante sapere come
si chiama quell’aggeggio - E l’ho presa prima che ti svegliasse. Aveva solo fame.-
Shirley gli sorride da sopra il suo biberon e John sente il cuore scaldarsi un poco -
Pensavo che ti desse fastidio averla per casa.-
-È tua figlia.-
John corruga la fronte mentre Sherlock continua a spaginare la cartellina sulle
sue ginocchia, attirando l’attenzione della bambina, che ci schiaffa sopra una
manina.
- E allora?-
-Nulla di te mi da’ fastidio, avresti dovuto capirlo molto tempo fa ormai.-