Un esperimento, un tentativo
di scrivere qualcosa di diverso dalle mie solite storie di piccincioni
in amore…un grazie ai Chimici che l’hanno ispirata. Una
scusa a Ville per aver dipinto il suo periodo più brutto.
Ce l’hai fatta, adorato
finnico secco. Siamo tutte fiere di te.
…Hand in mine, into your icy blues.
Non
è tua.
Fattene
una ragione.
Lei
lei ha una vita, lei è…e tu
guardati. Tu cosa hai? La decima lattina di birra in un ora e un pacchetto
vuoto di sigarette da quattro soldi.
Abbassai
lo sguardo, le scritte su quella lattina erano interessanti, focalizzai per
cercare di capirle ma l’unica cosa che conclusi fu di lacrimare e tossire.
Sbraitando appoggiai la testa contro la spalliera del divano di pelle e aprii un'altra lattina.
1,
2, 3. 10 Cambiava qualcosa?
No,
non sarebbe cambiato nulla.
Non
sarebbero cambiate le ore di noia uccise dall’alcool, né le migliaia di
sigarette fumate, ne le canzoni dimenticate,
ne gli amici trattati male. Stavo colando a picco e tanto valeva farlo
in grande stile.
Davanti
a me Grace parlava con pacatezza. Sfiorava il braccio di Paul. Sorrideva a Bam. E poi guardava me. Quel disprezzo lacerante mi
bruciava, come il fuoco distrugge la carta.
Non
farlo ti prego, la imploravo silenziosamente. Non buttarmi anche tu addosso il
tuo odio. Basta già il mio.
Un'altra
birra. Un bicchiere di vodka. Una sigaretta. Ricominciava il circolo.
Sarebbe
finito? Avrei mai smesso di girare intorno, di evitare ogni problema, di
dimenticare lo schifo che ero diventato?
Probabilmente
no. Volevo posarla, quel dannato cartone di latta, buttarla via e schizzare
fuori. Volevo prenderla tra le braccia senza che si scostasse per lo schifo.
Volevo troppe cose, ma quello che continuavo a fare era bere.
Complimenti
Ville. Davvero una gran persona sei diventata.
…I'm
trying, I'm trying
-Grace, io ti amo- mormorai.
-Sei
ubriaco- una voce che conoscevo mi zittì tirandomi una coperta sul corpo. –
Vattene Migè- urlai.
-
Ci sei cascato di nuovo eh?- scosse la testa e continuò a parlare ma non lo
ascoltavo più.
Tump…tump…tump
Sentivo
solo il rumore del mio cuore.
Non
batteva come doveva, aveva perso il ritmo. Anche lui cercava di dirmi qualcosa,
ma ero sordo e cieco. Non volevo sentire ed ero cosciente di ciò che stavo
facendo.
Masochista
dannato bastardo.
Non
avevo altre parole per me stesso in quel momento.
Mi
sfioravo una guancia e la mia pelle era tumida e gonfia, i vapori dell’alcool
la stavano arrossendo.
Mi
toccavo i capelli e cadevano a ciocche.
Mi
alzai, scansai Migè.
Presi
una forbice.
Zac.
Per
terra una chiazza castana, boccoli sparsi per il lucido pavimento di marmo.
Fili marroni spezzati, come tanti piccoli germogli uccisi alla nascita, come la
mia vita.
E
non avevo finito. Tagliavo senza guardare, ogni ciocca che scendeva era un
pezzo di me che andava via. Un pezzo di quello che ero stato e che non sapevo
se avrei mai ritrovato. Avevo trovato un altro modo per nascondermi, tagliando
via tutto non ero più io.
Questa cosa mi piaceva.
…To
let you know just how much you mean to me
-Devi
salire sul palco- la voce mi fece sobbalzare.
Mi
guardai allo specchio e vidi uno sconosciuto dai capelli scombinati, con gli
occhi vitrei, la pelle diafana e gonfia.
Chi
era?
Dovevo
salire su quel palco, ci sarebbero state persone che si aspettavano da me
qualcosa. Si aspettavano la mia musica.
Ma
come potevo cantare per loro quando anche il mio cuore aveva smesso di cantare
per me?
Ogni
battito era una sinfonia spezzata, quella stessa sinfonia che mi dava il ritmo
mentre cantavo, ed ora che non c’era più, la musica non aveva più un senso. Ed
io ero la mia musica.
Fai
due più due, Ville.
Se
la musica non c’è, tu non ci sei.
Triste
ma vero.
Salii
su quel quadrato di legno, presi in mano il microfono e ci provai. Giuro su
quel cazzo di microfono che ci ho provato. Ma le parole uscivano storte, ogni
suono era attutito dal battito sbagliato del mio cuore, io ascoltavo lui e lui
mi distraeva. Lui saltava e io perdevo una strofa.
E
quelle facce.
Piene
di una strana luce, come se si aspettassero qualcosa da me, come se fossi per loro
una persona speciale. Alternavo lacrime amare a rabbia. Perché voi si e lei no?
Perché
voi ci riuscite ad amarmi lo stesso, anche in questo stato e lei no?
Continuavo
a pormi questa domanda. Sapendo perfettamente che mai avrei trovato risposta.
Presi
un birra.
Click.
Avevo
un sassolino nella scarpa.
Mi
appoggiai, e me la tolsi.
Perché
mi guardate tutti? Dovevo solo togliermi un cazzo di sassolino dalla scarpa.
Ripresi
a cantare, ma era tutto così senza senso. Io li non ci dovevo stare. Volevo da
bere, volevo fumarmi una sigaretta. Volevo autodistruggermi.
La
solita storia. Volere è potere. Bella battuta.
…As days fade, and nights grow
- Grace-
Anche nel sonno il suo nome mi tormentava. Se quello
si poteva chiamare sonno. Era più un chiudere gli occhi e annegare nella puzza
d’alcool che mi avvolgeva, nel piangermi addosso dicendomi quanto facevo
schifo, nel piangere come una bambino nascosto dal resto del mondo. Nel cantare
qualche strofa.
Darling take me home
To the castle made of skulls and bones
Sing me a song to
remind me where I belong
E le notti si facevano sempre più lunghe, loro le
ricordavo perché si protraevano sibilline e voraci rubandomi quello che restava
di me. I giorni svanivano invece, poche ore di luce aranciata sfocate tra un
dormiveglia ubriaco e interviste dimenticate. Durante la notte ogni scusa
andava bene per chiedere un’altra lattina, per bere sempre di più. C’era sempre
qualcuno di nuovo disposto a farmi compagni. C’era sempre qualcuno che mi
faceva dimenticare gli sguardi di pena, qualcuno che non mi dicesse cosa stavo
facendo, perché non chiedevo aiuto.
Ero pieno di nulla. Pieno d’alcool e fumo.
Sembrava che le nuvole di catrame che sputavo dalle
mie Marlboro vivessero ora nella mia mente, i ricordi, le parole, le emozioni
tutto era intriso di sfumature grigie e monotone.
- Un'altra,
per favore- chiedevo alla barista di turno, in un locale di cui avevo già
scordato il nome.
Un altro sguardo di misericordia. Un altro volto che
mi giudicava posando davanti a me il bicchiere colmo di siero dell’oblio.
Lo bevetti.
Caracollai fuori.
E sentii che era l’ultima volta. Forse avevo
finalmente passato il limite.
…And we go cold
Freddo.
Avevo freddo.
Tremavo.
Tump…tump.
Batti cazzo, batti.
…Until the end, until this pool of blood
- Ville, svegliati, Ville-
Una voce lontana stava chiamando il mio nome.
Aprii gli occhi.
Rosso, rosso ovunque. Fiori rossi e umidi sparsi
intorno a me, appiccati sul mio corpo freddo.
Sangue. Il mio sangue. Dappertutto.
- Mamma?-
Una pezza fredda sulla mia fronte, delle mani che mi
trattenevano. Una sirena. E poi niente. .. Like a bed of roses there's
a dozen reasons in this gun
- Devi
guardare dentro di te, Ville. Devi trovare la ragione per smettere. Ma non te
la posso dare io.
Intorno a me palme e caldo. Odore di mare e vento
salato.
Pareti pulite e un divano lindo e bianco.
Smettila di sparare stronzate, volevo urlare. Io non
avevo ragioni, io non ero nessuno. Fammi bere, fammi uscire di qui.
Ma rimasi. E ascoltai.
Ascoltai che rischiavo la morte. Ascoltai che Grace
non esisteva e piansi. Ascoltai che proiettavo un futuro di speranza nella sua
figura. Ascoltai che il mio cuore non era più quello di una volta.
E non mi chiusi, come una spugna assorbii tutto. Lo
feci per quelle mani calde che mi avevano bagnato la fronte, per quelle braccia
che mi avevano sollevato, per le voci gentili che mi avevano confortato.
Il mio personale appiglio alla vita.
E smisi.
Il siero dell’oblio ora puzzava di morte, e io non
volevo più circondarmi di quell’odore.
E improvvisamente le ricordavo. Quelle note che mi
avevano sempre accompagnato. Le parole che le adornavano.
Tutto era di nuovo mio.
L’odore della
mia città che mi mancava straziandomi.
Le risate dei miei amici.
Le corde tese posate su quel legno tanto amato che
avevo quasi dimenticato.
E improvvisamente…dopo un
immemorabile tempo.
Tump…tump…tump
Era di nuovo con me. Batteva per me.
A ritmo.