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Autore: Ambaraba    21/08/2014    6 recensioni
Magnus e la sindrome dell'arredatore schizzato... E un povero Alec che subisce! :)
||Con la partecipazione straordinaria del Presidente Miao||
"Alec si strinse nelle spalle. Era seduto sulla sponda del letto - che era cambiato almeno una ventina di volte nel giro di dieci minuti -, ancora con i capelli leggermente arruffati e l'espressione un po' confusa di chi si è appena svegliato.
(...) Magnus voleva Alec, lo voleva sempre. Voleva leggerlo e viverlo e respirarlo. Voleva colorarsi del suo rosso, del suo bianco, del suo nero e del suo blu.
Magnus si rese conto che poteva descriverlo in quattro colori, e decise di usarli per dirgli che lo amava. A modo suo."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Presidente Miao
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EXTREME MAKEOVER MAGNUS BANE EDITION Brooklyn, Casa di Magnus Bane. Ore 09.45 am.

- ...Allora, ti piace o no?
- Veramente non saprei...
Alec si strinse nelle spalle. Era seduto sulla sponda del letto - che era cambiato almeno una ventina di volte nel giro di dieci minuti -, ancora con i capelli leggermente arruffati e l'espressione un po' confusa di chi si è appena svegliato. Quella mattina, Magnus era stato preso dalla febbre dell'arredatore. Si era svegliato blaterando qualcosa sul fatto che, dal momento che il suo appartamento lo avrebbe condiviso con il cacciatore, doveva assolutamente cambiarlo per fare in modo che piacesse a entrambi, e non soltanto a lui. Così, aveva provato e riprovato, e la stanza aveva cambiato aspetto una quantità incredibile di volte, nonostante Alec cercasse di spiegargli che non gli importava, che andava bene così com'era. Tutto inutile. Magnus continuava a schioccare le dita e Alec si trovava a sobbalzare perché, ogni volta, cambiava anche il letto sotto di lui. Fu per sfuggire alla follia del suo padrone che il Presidente Miao trovò che la mossa più intelligente da fare fosse rifugiarsi in grembo ad Alec; da lì, si limitò a soffiare ogni tanto, quando la combinazione di colori proprio gli faceva schifo. Alec, che subiva impotente le bizze dello stregone, si chiese se quel gatto avesse effettivamente delle ragioni, per esprimere il suo dissenso. Ma non poté soffermarsi troppo sul micione, perché subito dopo Magnus ricominciò.
- Così?
- Non lo so...
- E così?
- Magnus, davvero, non serve... - Era come essere intrappolati in un catalogo che girava pagina alla velocità della luce.
- E questo? Che ne dici? - lo stregone schioccò di nuovo le dita, e la stanza mutò nuovamente. Ora le tinte dominanti erano il giallo, il nero e il viola, con una punta di rosso da qualche parte. Chairman Mieow sembrò miagolare di disappunto, artigliandosi alla maglietta di Alec. Probabilmente, quella combinazione non doveva piacergli molto.
- Be', è... È strano, - disse Alec, cercando di non sbilanciarsi troppo. Percepì qualcosa di peloso sotto i piedi nudi, e quando abbassò gli occhi vide che era comparsa quella che sembrava una orrenda pelle di zebra.
Viola. E glitterata.
- E poi non credo che esistano... Le zebre viola, intendo - commentò, leggermente in imbarazzo. Quella cosa sdraiata per terra era a dir poco riprovevole; dovette ammettere però che era piacevole al tatto.
Magnus sbuffò, i capelli sparati per aria, e gli puntò contro un dito inanellato:
- Tu, ora, Alexander Gideon Lightwood, mi dici esattamente cosa vuoi e troviamo un compromesso, - tuonò. Anche se tutti i brillantini che gli luccicavano addosso non lo rendavano molto... Credibile.
L'interpellato si limitò ad alzare lo sguardo sullo stregone - che indossava una vestaglia verde evidenziatore, un paio di boxer gialli e delle infradito dorate, - e a ripetere il gesto che aveva compiuto poco prima, mentre accarezzava il Presidente Miao. Si strinse nelle spalle, e guardò con aperta sincerità l'uomo che aveva davanti. L'uomo che amava.
- Magnus, a me non importa niente della stanza, davvero. Non devi cambiare tutto solo perché sono arrivato io. Dico sul serio. Il mio standard di arredamento, per una camera da letto, è una branda e un comodino, cosa vuoi che me ne importi? - Un gorgoglio di apprezzamento uscì dal muso del Presidente Miao, appallottolato sulle sue gambe. - A volte neanche me ne accorgo, se hai cambiato qualcosa, - ammise il cacciatore, abbassando lo sguardo. - Non mi accorgo se hai fatto le pareti verdi o se hai messo delle statue indiane nel bagno, perché sono troppo occupato a... - Si interruppe, improvvisamente consapevole di quello che stava per dire e di quanto si sarebbe sentito imbarazzato nel dirlo. Ma era la verità. - ... A guardare te.
Ecco, lo aveva detto, e ora si sentiva andare a fuoco. Il colore che si accese sulla sua pelle di latte, insieme alla sua confessione, ebbe il potere di placare per un attimo il Sommo Stregone di Brooklyn, che lo guardò intenerito. Si avvicinò a grandi passi al giovane Nephilim, per guardare più da vicino quel rossore che adorava.
Si sentiva un privilegiato. Nella sua vita da stregone - lunga, lunghissima vita - aveva visto ogni tipo di creatura, ogni tipo di prodigio, era entrato in contatto con dimensioni e mondi che la fantasia terrena non poteva neanche lontanamente immaginare. Eppure, gli sembrava che il vero miracolo fosse quello che era lì, in quel momento, davanti a lui. Pensò a quante condizioni erano dovute verificarsi, quante variabili, quante coincidenze erano dovute accadere affinché quel ragazzo con gli occhi blu venisse al mondo, e fosse esattamente così com'era. Non riusciva a capacitarsi di come fosse stato possibile che un giorno, su questo pianeta, fosse comparso il germoglio di un'anima bellissima, sincera, buona. Ogni volta che lo guardava, desiderava ringraziare Dio - se esisteva - per averlo messo al mondo e per averlo fatto incontrare proprio a lui.
Lui, altrimenti destinato a crogiolarsi nell'inedia per l'eternità.
Posò entrambe le mani sul viso di Alec, lo guardò con dolcezza negli occhi. Troppo direttamente, forse, perché il ragazzo arrossì di nuovo.
- Ma lo sai che quella che hai detto è una cosa bellissima? - gli disse, accarezzandogli la guancia. Adorava le sue forme, i suoi colori. Gli piaceva la tinta pallida della sua pelle, il contrasto con i suoi capelli scuri - carta e inchiostro, aveva pensato, una volta - e il blu vivo dei suoi occhi. Gli piacevano anche le rune che aveva sparse sul corpo, quel corpo che avrebbe voluto accarezzare per sempre. A volte lo spogliava soltanto per leggerle, quelle rune, anche se non glielo aveva mai detto. Perché magari, guardandolo, si ritrovava a seguire con gli occhi i contorni dinamici e marcati di una delle sue rune permanenti, quella sul collo, che spariva sotto il bordo della maglietta, e gli veniva voglia di vederle tutte. Era un desiderio naturale, come cominciare a leggere un libro e poi desiderare di finirlo. Spontaneo.
Voleva Alec, lo voleva sempre. Voleva leggerlo e viverlo e respirarlo. Voleva colorarsi del suo rosso, del suo bianco, del suo nero e del suo blu.
Magnus si rese conto che poteva descriverlo in quattro colori, e decise di usarli per dirgli che lo amava. A modo suo.
- Ma è la verità, - rispose, semplicemente, il cacciatore. Vide lo stregone sorridere, e sentì un calore splendido spanderglisi dentro. E no, non c'entrava nulla il Presidente Miao che gli stava raggomitolato sullo stomaco. Era un altro tipo di calore.
- Vediamo se così ti piace, - disse ancora una volta Magnus, ed era sicuro che quella fosse la scelta giusta. Schioccò le dita, e finalmente apparve quella che poteva sembrare la camera da letto di due persone normali, e non di un cacciatore timido e di un mago daltonico. Alec si guardò attorno. Era semplice, e non lo metteva a disagio come le precedenti - si era sentito sprofondare quando Magnus aveva foderato le pareti con della pelliccia rosa e verde. E poi, i colori erano belli, avevano qualcosa di familiare, stavano bene insieme. Bianco, nero, celeste e un pochino di rosso.
Magnus vide la curiosità nei suoi occhi chiari, che reclamavano silenziosamente ancora qualche ora di sonno - e magari di coccole. Il Presidente Miao miagolò in segno di approvazione, e si distese sulla coscia di Alec facendo le fusa. Il giudizio del micione chiuse definitivamente la questione: fine degli esperimenti.
- È carina, - disse stavolta il cacciatore, e accennò un sorriso disteso. Si sentì sollevato all'idea che non sarebbe di nuovo caduto di peso su un futon, senza preavviso. Magnus ebbe la sensazione che un milione di palloncini lo stessero sollevando in aria, tanta era la tenerezza che gli suscitava l'espressione sul volto di Alec. Gli prese le mani, si sporse verso di lui, e dolcemente lo baciò.
- Sto cercando di rendere questa casa il posto dove non vedi l'ora di tornare quando torni da qualche caccia, il posto che ti accoglie e in cui ti piace stare, - spiegò lo stregone. Alec gli mise le braccia al collo, l'espressione improvvisamente allarmata, e quasi non gli diede tempo di finire la frase che subito ribatté: - Ma lo è già! - Era così concitato che i suoi occhi blu si accesero. - È già il posto in cui non vedo l'ora di tornare! Anzi, a dire la verità no, non è il posto... Voglio dire, cioè, ecco, non è il posto in sé... - Si stava bloccando, e stava arrossendo di nuovo, ma ci teneva a fargli sapere cosa aveva dentro. - Quando penso a "casa", non penso a un posto in particolare. Cioè, non penso proprio un luogo. Né all'Istituto, né a questo appartamento... - Prese un respiro, cercando di controllarsi. - ... Quando penso alla parola "casa", mi viene in mente il tuo volto. - Respira, Alec, respira, si ripeté mentalmente. Stavano cominciando a sudargli le mani. - Quello che ti voglio dire è che per me, "casa" potrebbe essere dovunque, basta che sia con te-- - le ultime parole gli uscirono più alte di un'ottava, ma l'agitazione gli aveva sottratto il controllo del proprio diaframma e non poteva farci niente. Stava per chiedersi se aveva appena fatto la figura dello stupido che non sa mettere in fila due parole, quando sentì Magnus abbracciarlo così forte da togliergli il fiato; così forte da costringere il Presidente Miao a saltare giù dalle gambe di Alec per non finire schiacciato.
Il giovane Nephilim ricambiò la stretta, inspirando a fondo il profumo dello stregone, del tutto incurante del fatto che si sarebbe ritrovato pieno di glitter senza volerlo.
- A... Aku cinta kamu - disse, dapprima esitante e poi più sicuro, ripetendo quelle parole che erano diventate il loro modo speciale per dirsi che si amavano. Magnus si separò da lui quel poco che bastava per deliziarsi gli occhi del volto che amava e per baciare di nuovo le labbra di Alec, che lo accolse chiudendo gli occhi.
- Aku cinta kamu, fiorellino, - gli rispose lo stregone, leggermente commosso - e si sentì uno stupido, per questo, ma non poteva farci niente: era il suo fiorellino, il suo bellissimo, spontaneo, dolce, sincero fiorellino -  e poi accarezzò delicatamente i capelli color liquerizia di Alec, prima di baciarlo di nuovo, un bacio leggero come un soffio.
- Aku cinta kamu, - ripeté.
  
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