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Autore: Fenio394Sparrow    21/08/2014    3 recensioni
{ BilboxArya!Friendship - Arya!Centric - Bilbo!Centric - Pontelagolungo, Pre!Ingresso Montagna Solitaria }
{ Arya poteva quasi vederla, la Contea, tante volte e tanto minuziosamente lui gliela aveva descritta. Soffice erba verde scompigliata dalla quieta brezza estiva, cielo terso e azzurro, più azzurro degli occhi di Thorin, il canto festoso degli uccelli, le risate dei bambini, e l’alto albero che dominava tutto dalla collina. La Contea è un bel posto da poter chiamare casa }
Spin off su "Winter is Coming". Non sono riuscita ad aggiornare in tempo, leggibile anche se non si segue la mia storia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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«A cosa pensi, Bilbo?» chiese Arya andando a sedersi accanto a lui, i piedi penzoloni sull’acqua. Doveva essere noioso vivere a Pontelagolungo, una città lacustre caratteristica, certo, ad un primo impatto avrebbe anche potuto sembrare  bella, ma alla lunga ci si sarebbe stancati a vivere su una città fatta interamente di palafitte instabili ai piedi della dimora di un drago. Non un drago qualsiasi, Smaug Il Terribile.

«A casa.» rispose semplicemente lui guardandola.

Arya poteva quasi vederla, la Contea, tante volte e tanto minuziosamente lui gliela aveva descritta. Soffice erba verde scompigliata dalla quieta brezza estiva, cielo terso e azzurro, più azzurro degli occhi di Thorin, il canto festoso degli uccelli, le risate dei bambini, e l’alto albero che dominava tutto dalla  collina. Le foglie erano di un verde smeraldo, abbaglianti, in netto contrasto con lo scuro della corteccia, un profilo vivido contro l’azzurro del cielo, che sfumava delicatamente in una sfumatura rossastra al volgere dell’autunno, fino all’oscura increspatura dei rami in inverno. Fra le fronde, riusciva a vedere sprazzi di cielo azzurro, e se ci si impegnava, perfino le venature delle foglie. E poi, in fondo alla strada, sotto la collina, Casa Baggins, con la porticina rotonda verde aperta su un corridoio di legno dai soffitti a cerchio, rustica e accogliente. Si immagina il fuoco che scoppietta, un bel brodo che cuoce lentamente – perché è inverno e fa freddo, e il brodo scalda sempre l’animo, specie quello con le verdure- ed è così che se la immagina: una cucinetta con una bella finestra sul giardino – le aveva assicurato che i fiori erano splendidi- mentre il brodo di verdure bolle e una tazza di cioccolata calda è pronta sul tavolo.
 La Contea è un bel posto da poter chiamare casa, pensò con un sorriso triste. Lei aveva una casa. A Roma, mamma, papà, Martina, l’aspettavano. Sua madre sarebbe rimasta disperata dalla sua scomparsa. Tutti i suoi familiari e le sue amiche l’aspettavano. E Leo. Specialmente lui. L’aspettavano a casa.

Ma che cos’era, poi, casa?

Casa, aveva sempre pensato lei, era un posto a cui appartenere. Un posto dove sentirsi accolti, amati, dove si ha una funzione, un perché di esistere.
Lei non apparteneva a quel posto. Si alzava la mattina, andava a scuola – di malavoglia- tornava a casa, il martedì e il giovedì perdeva la pazienza con le capre a cui dava ripetizioni di geometria, e andava a dormire la sera. Notte dopo notte, giorno dopo giorno. In continuo, senza mai fermarsi.
Una volta, Arianna le aveva detto che si sentiva a casa tutte le volte che Marco la baciava. La prima volta che Leo l’aveva baciata, si era sentita bene. Felice, confusa, accaldata. Decisamente non a casa. Eppure aveva sentito la scintilla, un qualcosa che si smuoveva in lei, la testa completamente staccata dal corpo, confusa, irrazionalmente fuori dal tempo. Ma non si era sentita a casa. C’era stato un tempo, quando era più piccola, in cui si era sentita a casa, lì fra le mura della loro villetta in periferia, ed era diverso, bello.
Diverso dalla bellezza del loro bacio.
Cos’è un primo bacio, poi?
Niente, assolutamente niente di importante per le forze che muovevano l’universo. Un posarsi di labbra, un’accarezzarsi di lingue, due cuori che battono all’unisono. Casa non aveva quel sapore, ne era certa.

Curioso notare come il suo concetto di casa fosse cambiato, in quei mesi.
Se permetteva al concetto di prendere forma, nella sua mente si dipingeva come se stessa circondata dai nani, da Bilbo, da Gandalf, magari nella Montagna Solitaria. E come le si scaldava il cuore a quel pensiero!
Come sorrideva quando vedeva Fili, Kili, Balin, Thorin, Ori, Bilbo, Bofur e tutto il resto della Compagnia! Perchè le sembrava così giusto doverne farne parte? Perché tornare alla vecchia vita le faceva venire le vertigini al sol pensiero?
Era davvero così malvagia da condannare la sua famiglia, i suoi affetti, il suo fidanzato, ad un esistenza senza di lei?

«Mi piacerebbe venire nella Contea con te, Bilbo.»
Lo hobbit si girò verso di lei. Era lontana, lo sguardo che vedeva tutto e non guardava niente, le iridi scure perse in qualcosa. Si ritrovò a notare quanto fossero lunghe le sue ciglia, quanto infantili fossero i tratti del viso, una bambina, come la soleva chiamare Balin.  
Però non stava sorridendo come suo solito. Non stava schernendo nessuno. Non faceva sarcasmo, non elargiva pillole di vita della sua terra, non li sorprendeva con delle insolite perle di saggezza o la sua indole docile e comprensiva.

Era un’Arya più malinconica, più profonda – non che non lo fosse, Bilbo  aveva imparato a cogliere le sue idee e a trovarvi una logica, e non era il solo ad averlo fatto- e più vulnerabile, in qualche modo. Ne aveva colto la sensibilità nascosta così bene da essere palese, e gli pareva quasi di udire i meccanismi nella sua testolina fremere per il lavoro. Le si erano allungati i capelli e li tratteneva in una curiosa acconciatura spettinata che consisteva in una palla bassa sulla nuca. Sembrava così evanescente.
Bilbo si domandò se avesse un posto dove stare, finita l’avventura. Cioè, lo sapeva, Arya parlava spesso di questa Roma e di questo pianeta Terra e del suo desiderio di visitare l’Igitto, Igetto, non ricordava cosa. Ma si domandò se avesse un posto dove appartenere.
«Potresti venire a casa mia, una volta che tutto questo sarà finito. Quando la Montagna sarà riconquistata e finiranno i festeggiamenti, intendo. Il che potrebbe essere dopo un paio di mesi, perché i nani festeggiano sempre in pompa magna, sono dei veri esibizionisti!» esclamò gongolando alla sola idea di tutto il cibo che avrebbero di cui abbuffarsi.

Riuscì a farle tornare il sorriso sulle labbra, la gioia spazzò via la malinconia dalle iridi brune: «Ossì mi piacerebbe tantissimo!»
Sarebbe stato meraviglioso andare nella Contea, anche solo per vedere quanto la sua immaginazione avesse azzeccato la realtà. Lo abbracciò d’impeto, stringendolo a sé e cullandolo come se fosse stato un bambino. Un bambino di cinquant’anni, un bambino che le aveva insegnato tante cose e che si sentiva in dovere di proteggere. Un amico che avrebbe  difeso a tutti i costi.
Un sussurro le uscì dalle labbra, andando a perdersi nel vento. Lo hobbit sorrise dolcemente sulla sua spalla, stringendola.

«Grazie»



Spero solo che non sia venuta orribile e di essermi fatta perdonare per la long.
Grazie ad Alska_  ( http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=196054 ) per il banner.
   
 
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