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Autore: cioshes    22/08/2014    3 recensioni
Un bambino macchiato di sangue che si concede il lusso di sorridere, e un uomo immacolato che si concede il lusso di amarlo.
Non c’era da stupirsi: era chiaro il motivo per cui Hazuki Nagisa ̶ cella 238, ala Ovest, zona 56 ̶ si fosse lasciato folgorare da quegli occhi.
Ed era chiaro anche il motivo per cui, quando Ryugazaki Rei passava, tutti si fermavano a guardare ma a non fiatare.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cella 238
Un bambino macchiato di sangue si concede il lusso di sorridere, e l’uomo immacolato si concede il lusso di amarlo.

 
“Ancora una volta il carcere di massima sicurezza, papà.”
Il ragazzo si aggiustò gli occhiali rossi con un fluido gesto della mano – la montatura era stretta e regolare, un po’ affilata come tutto il suo volto, rossa e sgargiante come tutto il suo essere.
Camminava sicuro tra le celle, e diffidente come un lupo solitario stringeva i pugni con fare arrogante, il petto gonfio e il mento alto di chi sa a cosa va incontro.
Il motivo per cui era riuscito ad accedere alle celle era semplice: era il figlio di Ryugazaki, guardia carceraria altrettanto alta e imponente, così come pretenziosa.
Al contrario di altra gente, Ryugazaki jr. conservava la sua sicurezza e il suo controllo anche quando i cancelli rossi di ruggine gli si sbarravano dietro con un tonfo, superata una nuova zona, e i criminali si dibattevano contro di lui, bloccati da quelle celle appena verniciate, e si strappavano i capelli; la puzza di quei buchi senza porta, che alcuni avevano il coraggio di chiamare ‘gabinetti’, lo sdegnava, quasi infangava anche la sua innata bellezza.
Eh già, perché Ryugazaki, oltre ad avere fiducia nei propri mezzi era anche bello, e tutti ne erano incantati, come se tante qualità insieme non potessero convivere nella stessa persona, non potessero unificarsi nella formazione di una sola materia, di un solo corpo: i capelli scuri erano quasi rasati sulla nuca, e lasciati più lunghi poi, fluenti e setosi, i muscoli delle braccia continuavano a tendersi sotto la pelle abbronzata, in una tensione quasi esasperata.
La cosa che colpiva di più, però, la cosa che ti toglieva il fiato dai polmoni, che ti lasciava con le spalle al muro, incapace anche solo di intendere o di volere, era il suo tagliente sguardo dal colore ametista.
Non c’era da stupirsi: era chiaro il motivo per cui Hazuki Nagisa  ̶  cella 238, ala Ovest, zona 56  ̶  si fosse lasciato folgorare da quegli occhi.

Ed era chiaro anche il motivo per cui, quando Ryugazaki Rei passava, tutti si fermavano a guardare e a non fiatare.
Nagisa Hazuki era infatti un assassino, ma non uno di quelli da niente, eh: era proprio assassino-assassino. Serial killer spietato, riconosciuto nel mondo per le sue perversioni, a tratti infantili: molti dei suoi casi prevedevano un corpo riempito di cose varie, a volte soldi, a volte giocattoli, regali, gioielli, mazzi di fiori … ma sempre una frase, una e una soltanto, decorava all’esterno quei corpi senza vita: amare è mettere la nostra felicità nella felicità di un altro.
Nagisa Hazuki, l’eterno bambino, l’eterno romantico, l’eterno sornione: così veniva ricordato, quando tradendo la sua stessa fiducia, nascondeva il mondo crudo in cui viveva dietro un sorriso sgargiante e sbilenco.
Anche in cella, però, sorrideva sempre. Sorrideva, lui, si permetteva di sorridere anche tra quattro mura bianche, anche privo di ogni privilegio, si permetteva un lusso come quello di soffrire, e a lui non importava di meritarsi un altro giro all’Inferno.
Aveva sorriso molto anche quando aveva spaccato la testa a un suo compagno, silenzioso come un felino, soddisfatto della propria opera, nell’ora di Attività Fisica, dopo che l’accusato aveva ammesso di essere attratto dal giovane Ryugazaki. Il suo sorriso era sempre così, molto naturale e gentile, ma a volte i suoi occhi grandi e scavati si riempivano del vuoto e restavano impassibili, mostrando tutto l’abisso in cui erano calati.
I poveri compagni, dunque, avevano imparato la lezione, e preferito salvarsi la testa più che accaparrarsi il culo del ragazzo, quindi quando egli passava, loro si limitavano a trattenere il fiato.

Eccola: la cella 238.
L’ennesimo cancello si chiude con uno ‘sbang’ sonoro alle sue spalle.
Via una porta metallica, a separarli ora ci sono solo le sbarre.
Famelico, Nagisa si dimena subito, come se avesse già fiutato nell’aria il suo odore da tempo, il corpo come quello di un leone a digiuno che ha visto una gazzella, ma il solito volto infantile.
I capelli dorati sono gli stessi, il sorriso sbilenco è lo stesso, gli occhi grandi sono uguali e solo più spenti, la voce squillante è solo più roca.
Il loro amore è lo stesso, solo più aggressivo.
“ REI-CHAAAN!” lo chiama così dal liceo, lui. E non smetterà mai di chiamarlo con il –chan, è chiaro, perché è un ricordo eterno, sempre distinto tra la vita che sbiadisce, e Nagisa non può permettersi di cancellarlo, bello e calcato com’è nella sua mente.
Per un momento, solo un piccolo attimo, Rei sembra vacillare: vacilla con la sua corazza, con il suo volto serio e inscrutabile, vacillano persino gli occhiali sul suo naso, e si decide a schiudersi.
Gli sorride, un sorriso sincero, privo di compassione, e nel socchiudere gli occhi in quella smorfia amorevole sembravano volersi sciogliere le sbarre; le sbarre, anzi, erano nulle, inesistenti ciottoli in un vasto promontorio, e loro erano il mare e la montagna, che si scontravano nella loro grandezza.
Inarrestabili, impalpabili.
Il padre di Ryugazaki Rei, comunque, rimaneva serio, a guardarli con espressione mesta – o forse un po’ torva – spostando il peso del suo corpo da una gamba all’altra.

Il silenzio si riempiva dei loro sentimenti.

Hazuki Nagisa era un assassino, ma non uno di quelli da niente, eh: era proprio assassino-assassino
Ed era riuscito ad assassinare anche Rei con il suo affetto, e a riempirlo di felicità.




ANGOLO AUTRICE

Buongiorno a tutti (05:47) e benvenuti/bentornati dalla vostra Cioshes!
Visto che sono partita di nuovo – ahimé – e sono in Svizzera, appena ho trovato la linea ho preso il file di questa vecchia OS e mi sono imposta di copia-incollarla qui su Efp.
Devo ammettere che non è un granché, e ho troppo sonno per correggere eventuali errori, quindi perdonatemi in ogni caso.
Arriveranno altre storie (prima o poi), quindi rimanete sintonizzati.
Bye bye!
Pace, amore, e thug Nagisa a palate.

 
   
 
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