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Autore: Tenue    22/08/2014    2 recensioni
Storia riscritta completamente.
Alice è una giovane artista, trasferitasi in uno dei più prestigiosi licei d'arte d'Inghilterra, dove non esiste la normalità, esistono solo amanti dell'arte che si fanno vedere per quello che sono, mettendo in mostra il loro io attraverso poesia, musica e dipinti. Ragazzi che cercano di squarciare la logica e i suoi limiti, al fine di capire se realmente esiste una perfezione.
Alice si trova così incastrata tra una stramba competizione, la quasi totale perdita della sanità mentale a causa di strane voci ed elementi paranormali e un dolce amore surreale.
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Cap I. Alice is a name for mad girls
 
Il silenzio che mi aveva travolta all’improvviso aveva qualcosa di inquietante.
Era un freddo pomeriggio di marzo, il tenue bagliore del sole illuminava debolmente  Trafalgar Square. Nonostante la temperatura decisamente troppo bassa per l’inizio della primavera, la piazza era ricolma di gente.
Ad un certo punto tutto aveva taciuto bruscamente, niente produceva più alcun suono. Mi sentii confusa, non era normale, non era qualcosa che sarebbe dovuta succedere.
Ero immersa in quel costante silenzio, poi ci fu un ronzio, che divenne più alto, sempre più alto fino a trasformarsi in un suono stridulo.  
Mi inquietò. Non udivo niente se non quel suono così acuto, nonostante fossi immersa nel ritmo caotico di Londra, solo… continuavo a sentire quel rumore, che mi lacerava i timpani e non mi lasciva ascoltare altro.
Poi si interruppe e udii chiaramente una voce dentro la mia testa.
“Come ti chiami?”
Un pensiero improvviso. Le parole si erano come composte da sole.
“Che stupidaggine” pensai “adesso ho anche le allucinazioni.”
Non risposi. Non ce ne era bisogno. Il mio cervello sapeva come mi chiamavo.
Respirai a fondo e aspettai alcuni secondi. Il rumore scomparve, lentamente tornai a sentire il chiacchiericcio delle persone e il rumore del traffico.
 
La voce tornò quasi ogni giorno, e per due mesi continuò a chiedere il mio nome; quelle parole continuarono a formarsi nella mia testa, ma non ricevevano mai risposta. Non aveva importanza dove fossi o cosa stessi facendo, semplicemente, ad intervalli irregolari, ogni cosa diveniva silenziosa e udivo quel suono stridulo, mentre la voce parlava.
 
Un giorno, mentre ero in cucina a lavare i piatti, la vista mi si offuscò. Il rumore era più forte, come se la voce avesse perso la pazienza e volesse a tutti i costi una risposta.
“Come ti chiami?”
“Alice” risposi mentalmente. Inizialmente mi sentii una stupida, poi però udii una piccola risata.
“Alice, eh?”Alice è un nome da bambine pazze”
Sulle prime fui decisamente confusa.
“E tu chi sei?” pensai.
“Nessuno”
“Eppure se mi stai parlando…qualcuno devi essere.”
“Bhe, diciamo che…il mio nome è nessuno.”
 
Sparì.
La voce scomparve, eppure mi lasciò qualcosa di strano, una sensazione particolare.
Fu forse quel giorno che la mia mente iniziò a scivolare nel sorridente baratro della follia.
 
o°o°o
 
Erano passati quattro mesi.
La stazione metropolitana di Hammersmith era affollatissima quella fresca mattina di settembre. La città che mi stavo lasciando alle spalle era incantevole sotto le foglie arancioni e scarlatte dell’autunno che stava per giungere. Strinsi tra le mie dita il manico della mia valigia, nervosamente. Accanto a me c’erano mia zia e mio cugino; vivevo con loro, essendo i miei genitori spesso in viaggio per lavoro, ma la cosa non mi dispiaceva affatto. Mia zia era diventata come una madre per me, e mi prendevo cura di mio cugino come fosse un fratellino. Stranamente non litigavamo quasi mai, lui era adorabile.
La galleria si illuminò improvvisamente e sentii arrivare il treno. Mia zia mi diede un bacio sulla guancia e mi guardò con un sorriso triste.
-Abbi cura di te.-
-Si, zia! Vi telefonerò ogni sera!
-Mi mancherai così tanto…- Sembrava sull’orlo delle lacrime.
-Tornerò per Natale, lo sai!- dissi sorridendo.
-Va bene, tesoro… Mark dà un bacio alla tua cuginetta!- disse mettendo una mano sulla spalla del bambino.
Mi abbassai in modo che Mark potesse darmi un veloce bacio sulla guancia e io lo abbracciai stretto. Poi afferrai la valigia e salii sulla metro.
Il cuore cominciò  a pulsarmi forte nel petto e cominciai a sentire l’ansia che si impadroniva del mio corpo.
Era una scelta importante quella che avevo fatto, cambiare scuola e andare in un collegio lontano da casa; non era da me una scelta del genere, la sola idea mi spaventava a morte, eppure era ciò che volevo. Frequentare un liceo artistico, la scuola che avevo sempre sognato. E quel collegio era la più prestigiosa scuola d’arte dell’Inghilterra, perciò se volevo realizzare i miei sogni, avrei dovuto combattere le mie paure, la mia ansia e la mia insicurezza.
Avevo frequentato la prima classe in liceo scientifico nella mia città, poi, non sentendomi per niente a mio agio, avevo deciso di andarmene. Avevo passato un anno infernale, accanto a persone estremamente false. Io ero troppo timida e paranoica, i miei gusti erano strani, diversi. Io ero diversa ed ero inspiegabilmente emarginata o derisa, e non essendo mai stata una persona forte, sono scappata. Tutto ciò che volevo era un posto dove sentirmi a mio agio, volevo delle persone che potessero apprezzare la parte migliore di me.
Io volevo frequentare il liceo artistico, mostrare a tutti la mia folle creatività, senza dovermi limitare a scarabocchiare fumetti sui libri di testo. Volevo imparare e diventare la migliore, a costo di morire di ansia e nervosismo per il dover frequentare un collegio pieno di sconosciuti lontanissimo da casa.
Fai schifo. Eppure sapevo, che in qualsiasi posto sarei scappata, le parole che le mie compagne mi rivolgevano ogni dannato giorno mi avrebbero sempre perseguitato. Lesbica del cazzo.
Mi sedetti sul primo posto che trovai libero e salutai mia zia e mio cugino dal finestrino.
La metro partì. Feci un profondo respiro e cercai di calmarmi.
“Maledizione a me, e alle mie stupide decisioni” .
 
 
o°o°o
Scesi alla stazione ferroviaria King Cross e mi soffermai ad ammirare la straordinaria architettura di quel posto. Un perfetto equilibrio tra stile antiquato e moderno.
Il viaggio in treno fu più tranquillo rispetto a quello in metro. Scarabocchiai sul mio quaderno qualche personaggio dei fumetti e ascoltai musica, forse l’unica cosa che era in grado di placare il mio nervosismo.
Non mi accorsi del tempo che passava, la musica mi aveva risucchiato in un’altra dimensione. Mi ero persa nei miei pensieri, quanto una voce metallica mi avvertì che ero arrivata a destinazione.
 
La scuola era abbastanza lontana dalla stazione, si trovava in una zona di periferia piuttosto isolata. Fortunatamente avevo un buon senso dell’orientamento e una cartina, perciò dopo non molto mi ritrovai di fronte all’imponente cancello della “Neverending High School”.
Il cancello mi fu aperto ed entrai titubante. Ero un misto di eccitazione e timore, non avevo idea di cosa aspettarmi. Eppure tra i tanti pensieri paranoici, si stava facendo strada una forte determinazione.
Volevo dimostrare chi ero, dopo tutto il tempo che avevo passato a chiudermi in me stessa, avevo un disperato bisogno di aprirmi.
Mi diressi verso l’entrata attraversando il giardino, osservai l’immensa distesa di verde, puntellata di mille fiori colorati. In lontananza si scorgevano degli alberi, che via via si sfocavano lasciando spazio alle colline.
Avevo sentito dire che alla fine di ogni anno si teneva un concorso, al quale tutti gli studenti potevano partecipare. Una competizione amichevole, serviva a far dare il meglio di sé ad ogni ragazzo. Avrebbe vinto l’opera d’arte migliore, quella che più si avvicinava all’idea di perfezione.
Sarebbe stata una bella sfida per me, mi sarei messa alla prova.
Volevo vincere, e dimostrare a me stessa e a gli altri quello che valevo.
Mi ritrovai di fronte al portone principale, in cima ad una breve scalinata.
Presi un bel respiro.
“Bene, entriamo”
 
o°o°o
 
Jenn era seduta sul suo letto, con la schiena appoggiata contro il muro e le gambe incrociate. Sbuffando, cercò di mettere un po’ d’ordine, spostando la miriade di libri che aveva sparsi sul materasso. Tutti libri letti a metà, e sotto quelli trovò un sacco di fogli scarabocchiati, sulla quale aveva provato a disegnare dei fiori.
La noia la stava corrodendo.
Girò svogliatamente la testa e posò lo sguardo fuori dalla finestra, da cui filtrava la luce del mezzogiorno che illuminava la stanza.
-A quest’ora dovrebbe essere già arrivata la mia nuova compagna di stanza…- sbuffò –Mi sto stancando a stare da sola!- Disse stendendosi per cercare una posizione più comoda e finendo con la testa fuori da letto, facendo dondolare il lunghi capelli dorati che sfioravano il pavimento. Poi sorrise lievemente, pensando all’anno che stava per venire e a quello che di nuovo stava portando.
-Bene… il secondo anno sta per cominciare! Let the competition begin!- cinguettò radiosa.
 
o°o°o
 
 
L’atrio della scuola era immenso, le pareti erano bianche e su quella di fondo si intersecavano due rampe di scale, ai lati erano poste due sculture in stile classico, fatte probabilmente dagli studenti dell’ultimo anno e dalle finestre si riuscivano a scorgere le aiuole fiorite scosse dal vento.
Attraversai l’atrio, cercando qualcuno che potesse indicarmi dove fosse la mia stanza. Guardandomi intorno, scorsi in cima ad una delle rampe di scale una donna, dai lunghi capelli biondi raccolti in una complicata treccia e un abito blu scuro. Appena mi vide mi sorrise e si avvicinò.
–Tu devi essere la nuova studentessa, giusto? E’un piacere averti qui cara. Sei in anticipo, vedo. Ti accompagno alla tua stanza, vieni vieni.- Parlò velocemente, con voce allegra e leggermente stridula, e tese una mano facendomi segno di seguirla su per le scale.
Io annuì e la ringraziai, sentendomi un po’ a disagio.
-Che sciocca, non mi sono presentata, sono la preside di questa scuola, la signora Bailey. E tu come ti chiami, cara?
-Sono Alice o… Olivier Jones…- dissi balbettando e maledissi il mio nome troppo lungo.
-Alice… sei un’artista giusto? In tal caso, il tuo compito sarà distinguerti.- prese un corridoio a destra e io la seguii. –Ognuno di noi è diverso, ognuno di noi ha la propria arte. Punta alla perfezione, al meglio che sai fare.- Si fermò di fronte ad una porta. Fece per bussare, ma la sua mano rimase sospesa nell’aria. –Un ultima cosa… dimentica tutto ciò che credevi di sapere sulle persone. Qui ti si aprirà un mondo al confine della normalità.-
Sorrisi lievemente “Per questo sono qui”.
Bussò.
-Avanti!-
La preside si congedò facendomi un sacco di auguri ed io entrai trascinando la valigia.
La ragazza stesa sul letto si alzò improvvisamente e si avvicinò. Mi tese la mano radiosa –Ah! Tu sei la ragazza nuova! Sono Jennifer Davis, la tua compagna di stanza!-
La osservai un attimo, prima di stringerle la mano.
Osservai i suoi occhi grigioverdi illuminarsi sotto le folte ciglia, il viso roseo dalle dolci labbra rosse, e infine l’enorme cascata di capelli dorati che le sfioravano il fondo schiena; li aveva rasati ai lati, lascando gli altri in una folta e lunghissima cresta.
-Mi chiamo Alice… Olivier Jones-  dissi arrossendo.
-Ti ha accompagnato la preside prima?- chiese e io annuii.
-Che carina quella donna! Anche se è un po’ chiacchierona.- Ridacchiò mentre spostava le sue cose da quello che dedussi fosse il mio letto. -Tiene moltissimo ai suoi studenti, come se fossero figli suoi. Pensa che si ricorda i nomi di tutti!-
Io sorrisi, ma non seppi cosa rispondere.
-Ah, scusa il disordine ma ero un po’ annoiata.- aggiunse poi guardandomi.
-Figurati, non preoccuparti.- Risposi. Lei rise.
-Finalmente riesco a strapparti qualche altra parola di bocca, eh?-
Arrossii e distolsi lo sguardo, prendendo a guardare la stanza. Era effettivamente disordinata, ma infondo mi ricordava molto la mia camera a casa della zia.
C’erano bottiglie vuote di coca-cola alla vaniglia per terra, assieme ad un centinaio di fogli sporchi di grafite. Su una delle due scrivanie invece c’erano alcuni barattoli di inchiostro e altri di china colorata aperti, ed era piena di macchie colorate, probabilmente di acquerello.
Jenn mi si avvicinò dandomi una forte pacca sulla spalla –Quest’anno ci divertiremo, eh?-
Le sorrisi –Credo di si.-
-So… Let the competition begin!-
-Yeah, sure!-
 
Nel frattempo, una farfalla dorata si era posata sul davanzale della finestra.
Calò il silenzio.
“Si. Quest’anno ci divertiremo, Alice”.

 
  
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