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Autore: Ronnie the Fox    23/08/2014    4 recensioni
La prima volta che Claquesous incontrò il ragazzino dagli occhi azzurri aveva sedici anni e un coltello nascosto nella manica del cappotto.
***
La seconda volta che Claquesous incontrò il ragazzino dagli occhi azzurri, aveva venticinque anni e una pistola alla cintura.
One-Shot Montparnasse/Claquesous ambientata nella canon!Era
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: Salve a tutti! Mi credevate morta, eh? Sì, sinceramente anche io l'ho creduto per un periodo, almeno dal punto di vista letterario...
Diciamo che ho sofferto di un gravissimo caso di quella terribile malattia denominata "Blocco dello scrittore" che mi ha tenuta ferma per quasi un anno, e che mi ha fatto cominciare almeno quattro o cinque fanfiction senza darmi la forza o l'ispirazione per portarle avanti e quindi pubblicarle.
Detto ciò questa mattina, o meglio questa notte, l'ispirazione mi ha improvvisamente colpita in pieno e mi ha spinta a scrivere quello che trovate qui sotto e a cominciarne qualche altra, che solo il tempo potrà dirci se vedrete pubblicata o meno. Cooomunque; per chi si stia chiedendo perchè mai ho deciso di mettere le note all'inizio del capitolo, piuttosto che alla fine come faccio di solito, il motivo è presto detto.
Il caro Victor Hugo non ci fa mai, e dico mai, sapere quale sia l'età di Claquesous. Nemmeno vagamente. La mia mente malata lo ha dunque concepito come un uomo sui venticinque/ventisei anni, nonostante i vari adattamenti quali i diversi musical e il film 2012 (probabilmente a ragione) lo rappresentano con un bel po' di annetti in più.
Chiedo venia a chiunque se lo immagini più anziano, ma le abitudini sono dure a morire e proprio non riesco a vederlo come un uomo sulla quarantina. 
Bene, premesse finite, non mi resta che dedicare questa fanfiction alla cara Zanny, che sopporta sempre i miei scleri su questa coppia e ha betato questa fanfic, e a tutte le amiche del gruppo whatsapp che sarebbe lunga elencare, ma a cui devo molto (Vi voglio bene, ragazze~) e lasciarvi alla lettura.

Alla prossima!~

-Ronnie
 

First time I saw you


La prima volta che Claquesous incontrò il ragazzino dagli occhi azzurri aveva sedici anni e un coltello nascosto nella manica del cappotto.

La notte era buia, i rari lampioni al lato della strada erano spenti o appena ravvivati da una debole fiamma. Parigi stava dormendo.
Gli unici con un valido motivo per percorrere le strade umide dei bassifondi erano i ladri, i fuggitivi e gli assassini. Claquesous, nonostante la giovane età, aveva deciso di far parte di tutte e tre le categorie.
Si muoveva in silenzio, le suole degli stivali vecchi e consunti non producevano il più piccolo rumore contro l'acciottolato. Chiunque l'avesse visto, illuminato per un solo istante dalla pallida luce della luna, avrebbe potuto scambiarlo per un'ombra. 
Improvvisamente una figura che si muoveva di fretta, con passo stentato eppure deciso attirò la sua attenzione. Era troppo piccola perfino per appartenere a una donna, una prostituta, le uniche che avrebbero avuto il coraggio di aggirarsi ad un'ora così tarda della notte. 
Era un bambino.
Lo avrebbe ucciso; gli sarebbe bastato un movimento perchè la lama del suo coltello balenasse nell'aria e lacerasse la gola di quello stupido ragazzino. 
Ma, appena potè vederlo più da vicino, si rese conto che non avrebbe guadagnato nulla dalla sua morte, se non il dover occultare un cadavere a poche ore dall'alba. 
Il giovanotto, infatti, indossava un cappotto troppo grande per lui, le maniche erano state arrotolate più di una volta perchè soltanto le punte delle sue piccole dita potessero fuoriuscirne. I capelli corvini erano arruffati e il suo capo coperto da un cilindro, anch'esso troppo grande per la sua testa, che ad ogni passo gli ricadeva sugli occhi, occhi profondi e azzurri. 
Era escluso che un ragazzino come lui, tanto giovane e vestito con abiti fuori taglia, possedesse qualcosa più di qualche moneta. Qualcosa per cui non valeva la pena di uccidere.
Dall'altra parte, la sua curiosità si era accesa. Perchè mai un bambino avrebbe dovuto camminare per strada, in piena notte, abbigliato in un modo tanto bizzarro?

«Dove stai andando?»

Il piccolo sobbalzò, i suoi occhi azzurri guizzarono da una parte all'altra della strada alla vana ricerca della fonte di quella voce sconosciuta. Tremava.

«N-Non lo so. Sto...Sto scappando di casa, signore.»

Signore. Claquesous non potè fare a meno di lasciarsi andare ad un lieve sorriso. 
Nello stesso tempo decise di avvicinarglisi, uscendo dall'ombra nella quale si era rifugiato, in modo che il ragazzino potesse vederlo.

«Perchè scappi?» domandò poi.

Claquesous non aveva mai conosciuto i suoi genitori. Era stato abbandonato in un orfanotrofio a soli due anni, o almeno questo era quello che gli era stato detto. 
Fin troppo in fretta aveva capito che quello non era il posto per lui; non gli piaceva stare insieme agli altri bambini, come non gli piaceva giocare in cortile sotto la tiepida luce del sole. Lui preferiva la notte, dove poteva stare da solo senza che i compagni lo additassero e lo prendessero in giro.
Più di una volta lui e qualche altro ospite dell'orfanotrofio erano venuti alle mani e gli inservienti erano stati costretti a separarli.
Raccogliere le poche cose che possedeva, rubare la chiave del cancello al portinaio addormentato e fuggire nel pieno delle notte, a quattordici anni, era stata la scelta più facile della sua giovane vita. Insieme a quella, qualche anno dopo, di abbandonare il suo patetico nome di battesimo per imporsi da solo quello di Claquesous.

«La mia famiglia è povera. Io non voglio essere povero.»

Claquesous scoppiò a ridere.
Certo, era ovvio che non voleva essere povero. Chi avrebbe mai voluto esserlo?
Anche lui, se avesse avuto voce in capitolo, avrebbe deciso di nascere in una di quelle famiglie schifosamente ricche, così da passare la vita su una poltrona a sorseggiare vini pregiati e a chiacchierare con gli altri nobili del suo rango, anzi che nascondersi di giorno in qualche edificio abbandonato e uscire di notte, per procacciarsi qualcosa da mangiare rubando dalle tasche dei poveri malcapitati che incrociavano la sua strada.
Appoggiò la mano destra sulla spalla del bambino, come fosse un gesto di solodarietà per chi con lui condivideva quella misera sorte.

«Cosa vorresti essere, allora?»

«Voglio crescere.» Rispose esitante il piccolo, che nel frattempo aveva iniziato a fregarsi le mani, in un mal riuscito tentativo di nascondere paura e agitazione «Voglio crescere e diventare un gentiluomo, di quelli che camminano per strada con il cappello sul capo, la testa alta e i vestiti confezionati su misura. Voglio essere bello, voglio che la gente mi guardi quando passo loro davanti.»

Nel pronunciare quelle parole, gli occhi del ragazzino avevano acquistato una strana luce, Claquesous l'avrebbe definita quasi pericolosa, mentre ogni traccia di timore sembrava essere scomparsa dal suo animo per lasciare spazio ad una ceca determinazione. 
Claquesous rimase come affascinato da quell'ambizione in un bambino tanto giovane. Avrebbe voluto dirgli che, in una società come la loro, non era poi così facile sfuggire alla propria classe sociale e scappare di casa non avrebbe potuto certo aiutarlo nella sua ascesa, ma aveva come il sentore che nulla avrebbe potuto distoglierlo dai suoi castelli in aria. 
A quel punto non poteva far altro che lasciarlo andare per la sua strada e augurargli buona fortuna. Per realizzare un progetto del genere di fortuna ne aveva davvero bisogno.
Il più grande annuì, sollevando la mano dalla spalla del piccolo, in un muto invito a riprendere il suo disperato cammino. Il ragazzino gli aveva già voltato le spalle e aveva cominciato a camminare, quando Claquesous lo richiamò per un'ultima volta.

«Come ti chiami, ragazzino?» domandò.
«Montparnasse. E voi, signore?»

Claquesous, scosse la testa: «Io non ho un nome. Sono niente, niente del tutto.»

Montparnasse parve confuso, ma nel giro di qualche secondo era già sparito oltre un angolo. Claquesous, da parte sua, gli aveva voltato le spalle e si allontanava lentamente, ancora meditando su quell'insolito incontro, il nome del ragazzino che gli risuonava ancora nelle orecchie.

***

La seconda volta che Claquesous incontrò il ragazzino dagli occhi azzurri, aveva venticinque anni e una pistola alla cintura.

Con il passare degli anni voci spaventose avevano cominciato a volare di bocca in bocca su quello che veniva definito "l'uomo ombra" o più semplicemente "la notte". 
Perfino i più coraggiosi avevano timore ad uscire di casa a notte inoltrata, per paura di imbattersi in quell'individuo senza volto e senza nome che si muoveva con la silenziosa agilità di un gatto e che uccideva con la leggerezza e la rapidità di un rapace. I pochi che erano riusciti a vederlo in viso, non avevano vissuto abbastanza a lungo per poterlo raccontare. Si sapeva soltanto che i suoi crimini erano compiuti unicamente di notte e che non si mostrava mai fuori dal suo nascondiglio senza una maschera calata sul viso.
Claquesous, da parte sua, detestava gli epiteti che gli venivano attribuiti. Era sì vero che rubava e uccideva con estrema naturalezza, ma non lo faceva di certo per il semplice gusto di terrorizzare i nobili parigini e le loro famiglie. Quello era il suo modo di vivere, di guadagnarsi il pane, non ne aveva mai conosciuti altri, e aveva finito per accettarlo dal momento che gli permetteva di condurre una vita non certo agiata, ma di avere almeno tre pasti al giorno, per quanto miseri, e di possedere dei vestiti che non fossero stracci.
I bassifondi erano ormai diventati il suo regno, al pari condiviso con quelli che lui definiva non amici -Claquesous non aveva alcun bisogno di amici-, ma bensì alleati o colleghi. Non provava particolare simpatia nè nei confronti di Babet, nè in quelli di Guelemer; in particolare reputava quest'ultimo troppo stupido e ottuso per prendere parte alla loro alleanza, ma con il passare del tempo era stato costretto ad ammettere che per i loro affari qualcuno con una certa dose di forza fisica era altrettanto utile che qualcuno dotato di una mentente sagace. Se non altro, rappresentava un protezione in più contro i poliziotti da una parte e contro i rivali, invidiosi dei loro fiorenti affari, dall'altra.
Storse dunque il naso quando Babet gli fece recapitare un messaggio nel quale richiedeva la sua presenza per valutare un nuovo membro da aggiungere alla loro alleanza. Sapeva però di non potersi rifiutare; era certo che la riunione si sarebbe tenuta anche senza la sua presenza e con tutta probabilità si sarebbe deciso per ammettere questo fantomatico candidato. Era insomma, l'unica occasione che avrebbe avuto per protestare.
Claquesous non amava la compagnia, aveva accettato la proposta di Babet e Guelemer per pura convenienza. Due colleghi erano più che sufficienti, senza il bisogno di aggiungerne un terzo.

Si recò dunque al luogo stabilito per l'incontro; un vecchio edificio fatiscente, a cui nessuno avrebbe mai fatto caso, nel camminargli accanto, soprattutto durante la notte. 
Arrivato sul posto, non si stupì di essere il primo arrivato. Babet e la puntualità erano due concetti molto distanti tra loro e non escludeva che Guelemer avesse potuto perdersi per strada o finire coinvolto in un' ennesima zuffa all'uscita di un bar. Sospirò.
Un istante dopo, una voce lo fece trasalire, spingendolo a voltarsi e a portare istintivamente la mano al calcio della pistola che era agganciata alla cintura dei suoi pantaloni.

«Sono contento di vedere che qualcuno, oltre a me, si è preoccupato di arrivare puntuale. Suvvia, non c'è alcun bisogno di tirar fuori l'artigleria. 
Possiamo discutere civilmente dal momento che, credo, siamo entrambi qui per lo stesso motivo.»

La voce apparteneva a un uomo, o meglio, a un ragazzo dai lenamenti efebici e delicati e dai penetranti occhi celesti. Le labbra rosse erano increspate in un mezzo sorriso.
Indossava abiti di ottima fattura, sembravano nuovi, un capello a cilindro e la mano destra era abbandonata languidamente sul pomo di un bastone da passeggio. Claquesous rimase immobile, incapace di fare qualsiasi altra cosa se non continuare ad osservare il ragazzo che gli era comparso davanti come una visione, come un fantasma dal suo passato. 
Il ricordo di quella notte si riflettè più vivo che mai nella sua mente. Doveva ammettere che mai si sarebbe aspettato di rivedere quel ragazzino goffo e ambizioso che aveva lasciato andare per la sua strada. E soprattutto non si sarebbe mai aspettato che fosse riuscito non solo a sopravvivere per conto proprio durante tutti quegli anni, ma a realizzare il suo desiderio di divenire un uomo bello e ben vestito.
Perchè bello lo era, senza alcun dubbio.

«Montparnasse.» mormorò quasi senza pensarci, il nome improvvisamente riaffiorato alla sua memoria.

«Vedo che la mia fama mi precede!» Esclamò questi, con una leggera risata e un inconfondibile moto di orgoglio nel raddrizzare la propria postura. «Buon segno. Spero di riuscire a convincere voi e i vostri soci. Ho molto da offrirvi, sapete?»

Claquesous avrebbe potuto commentare in modo scettico e disilluso, dubitava che un ragazzo -di quanti? Diciotto? Diciannove anni?- potesse essere un valido alleato per sè e per il resto della banda. Avrebbe potuto, se non fosse stato per qualche piccolo dettaglio che non era certo sfuggito al suo sguardo, come il modo di sorridere del giovane che somigliava terribilmente al ghigno di un predatore alla vista della sua preda impaurita e con le spalle al muro, o come la piccola eppure visibile macchia di sangue rappreso sul bordo del suo guanto destro. Sarebbe stato pronto a scommettere che quel sangue non apparteneva a Montparnasse, bensì a qualche poveretto che, probabilmente, a quell'ora non era già più in vita.

«Oh, che sbadato che sono!» continuò il giovane, «Mi sono dimenticato di chiedervi il vostro nome. Come vi chiamate?»

«Io non ho un nome, monsieur Montparnasse.»

Uno strano sorriso comparve sul volto del giovane.


***

Claquesous non si sorprese, quando, una notte, si vide bloccare contro il muro alle proprie spalle e sentì le labbra di Montparnasse premere insistentemente contro le proprie.
Di tutte le cose inaspettate che erano accadute durante le ultime settimane, quella era la più prevedibile. 
La tensione che si era creata da subito tra i due, durante i primi tempi di collaborazione, era palpabile. Claquesous odiava Montparnasse ed era certo che il sentimento fosse ricambiato; al contempo, però, provava nei suoi confronti un'attrazione impossibile da ignorare. Erano troppo simili eppure troppo diversi per coesistere senza cercare costantemente di distruggersi a vicenda. 
Montparnasse che non era più il bambino spaventato di quella notte di nove anni prima, era cresciuto e quello che era aveva conservato soltanto l'azzurro degli occhi e la sua cieca ambizione. Montparnasse con il suo viso dolce e femmineo, con quei suoi vestiti dannatamente costosi e il coltello sempre macchiato di sangue, con un languido sorriso sempre sulle labbra e la continua sete di complimenti, la voglia di mettersi in mostra per le vie di Parigi e di essere sempre al centro dell'attenzione.
Ma anche lui stesso, in fondo, era cambiato. Claquesous che invece preferiva rimanere nell'ombra, sfuggire gli sguardi, parlare poco e solo quando necessario, ma allo stesso tempo sempre pronto a premere il grilletto anche soltanto per guadagnare quel poco che si faceva bastare per vivere.
Due anime opposte eppure complementari. 

Non si stupì nemmeno quando, chissà come, si ritrovarono entrambi sul letto, nella stanza di una scadente locanda di periferia miracolosamente ancora aperta; ansimanti, con i gilet sbottonati e le cravatte abbandonate chissà dove sul pavimento. 
Ma in fondo non gli importava troppo di dove si trovassero, non quando Montparnasse, sopra di lui, aveva cominciato a slacciare uno ad uno i bottoni della sua camicia e i suoi occhi celesti sembravano lanciargli occhiate di sfida. 
Avanti, fammi vedere di cosa sei capace. O vuoi forse lasciarti sottomettere da un ragazzino?

Claquesous non potè far altro che prendere il viso del giovane tra le mani e baciare ancora una volta quelle labbra rosse come il sangue e dannatamente morbide.
Era solo una notte poi sarebbero tornati ad odiarsi. O almeno questo era ciò di cui cercava disperatamente di convincersi, scacciando dai propri pensieri la consapevolezza che quello che stavano facendo era sbagliato e li avrebbe trascinati sempre più vicini all'orlo di un baratro dal quale non ci sarebbe stato modo per risalire, nessuna via d'uscita se non l'annientarsi completamente a vicenda.
Ma non poteva essere, in fondo, più sbagliato di uccidere; cosa che invece faceva ormai parte della vita di entrambi come mangiare o respirare, giusto?


La mattina seguente, quando si risvegliò solo tra le lenzuola disfatte, Claquesous si maledisse per essere caduto con tanta facilità nella trappola di Montparnasse. Lui, sempre prudente e razionale, si era lasciato sedurre da un ragazzino.
Lo odiava, dannazione, lo odiava ancora più di quanto non li facesse in precedenza.
L'unico pensiero capace di dargli il più piccolo sollievo, era la consapevolezza che, se non altro, lui e Montparnasse si sarebbero incontrati di nuovo, molto presto. A quel punto avrebbe potuto avere la sua vendetta.
La notte appena passata non era stata che un terribile errore, ne era consapevole, a cui avrebbe fatto di tutto per poter porre rimedio.
Quello che non immaginava, però, è che sarebbe ricaduto ancora decine e decine di volte in quello stesso, maledettissimo, errore.
  
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