Salve
a tutti! Seconda song-fiction: ci sto veramente prendendo gusto a scriverle!
Questo
è un mio piccolo tributo alla Seconda Serie, quando Marzio lascia Bunny per
quello stupido incubo! Quindi, ho deciso di mettere in parole come per me
Marzio e Bunny ritornano insieme. Più che altro mi sono voluta incentrare su
Marzio e dal suo punto di vista, visto che nel cartone non è che dimostri
quell’amore che avrebbe dovuto mostrare per spiegare il suo comportamento!
Due
note prima di smetterla qua di annoiarvi e lasciarvi leggere la storia:
1) Utilizzo
i nomi giapponesi ed alcune parole giapponesi, per cui per chi non mastica
giapponese, ecco il significato ( se non sono i significati giusti, me ne scuso
ma li ho tradotti dall’inglese… insomma, una traduzione della traduzione!) :
Mamoru/Mamo-chan
= Marzio
Usagi/Usako
= Bunny
Motoki
= Moran
Konnichi-ha
= buongiorno
Gomen
= mi spiace
Gomen
Nasai = mi dispiace molto
Onegai
= per favore
Matte
= Aspetta
Daijobu
= Sto bene
Shinji
nai = non ci credo
Hai
= sì
Aishiteru
= ti amo
2) La canzone è “Maybe”, ovviamente di Enrique Iglesias (Escape, 2001). Vi consiglio il remix, se volete ascoltarla mentre leggete la storia.
Buona
lettura! Recensite, mi raccomando!
Mamogirl.
If I had one single wish
I’d go back to the moment
I’d kiss you goodbye
Mamoru entrò nel silenzioso appartamento,
richiudendosi la porta dietro alle spalle con un tonfo sordo. Ancora una lunga
giornata passata a curare persone ed ancora un giorno trascorso costretto a
stare lontano dal suo angelo. Costretto? Quello sì che era un eufemismo!
Nessuno lo stava costringendo, nessuno gli stava dietro con una pistola puntata
alla tempia. Ma doveva farlo. Si tolse la giacca nera e la buttò per terra, non
badando minimamente dove andava a finire, e passò direttamente nella cucina per
prepararsi un caffè. Quella notte sarebbe stata un’altra notte insonne, ormai
aveva rinunciato anche a mettersi a dormire perché sapeva che quel maledetto
sogno l’avrebbe perseguitato ancora una volta. Cercò di non pensare a quel
maledetto incubo ma non c’era altro cui potesse pensare. Pensieri e ricordi di
ciò che aveva dovuto sacrificare incominciarono a bombardarlo e, per un attimo,
si lasciò trasportare da quel fiume in piena: ricordi delle volte che ritornava
a casa, stanco ma soddisfatto del buon lavoro fatto, ed aveva la possibilità di
chiamarla, sentire la sua voce piena di vivacità nel raccontargli la sua
giornata; o le serata trascorse davanti al camino, stretti sul divano con una
tazza di cioccolata fra le mani ed un film nel videoregistratore. Ma questi
erano solo dolci ricordi… ricordi che servivano solamente ad aumentare la
sofferenza ed il senso di colpa. Non poteva incolpare nessuno di come la sua
vita s’era trasformata: era lui l’unico colpevole ma la convinzione che lo
faceva solamente per proteggerla gli dava la spinta per continuare la finzione,
per continuare a recitare la parte del bastardo che stava spezzando lentamente
il suo cuore… proprio lui che aveva giurato su se stesso di farla pagare cara a
chiunque la facesse soffrire! Era una contraddizione, lo sapeva bene. E lui non
poteva continuare ancora molto con quella recita; non poteva continuare a dirle
che non l’amava quando tutto quello che voleva fare era dimostrarle quanto
profondo era il sentimento che provava verso di lei. Ripensò al giorno in cui
tutto era incominciato, in cui la sua vita aveva preso una forte sbandata: come
poteva dimenticare quell’incubo? Come poteva dimenticare le urla strazianti di
Usako mentre la vedeva –anzi, poteva sentirla- morire fra le sue braccia? Ma
era quella voce a tormentarlo anche quando non dormiva, soprattutto quando si
trovava con Usako. Per i primi giorni aveva fatto finta di niente,
semplicemente non ci aveva badato ed aveva riposto quell’incubo in un angolo
buio e remoto della sua mente, sperando che fosse solamente frutto del suo
sub-conscio. Aveva riposto la causa di quel sogno alla sua innata paura di
essere sempre sul punto di perdere la cosa più importante della sua vita.
Semplice psicologia spiccia, no? Ed, invece, dall’angolo remoto l’incubo s’era
sempre fatto più grande ogni notte che passava fin quando non l’aveva portato
alla convinzione che fosse una premonizione. Ma perché? Perché diavolo il solo
amarla avrebbe dovuto comportare la sua morte?
Mamoru sbatté il pugno sul tavolo della
cucina mentre ripensava alle conseguenze che quel maledetto incubo aveva
portato. Beh, per primo la decisione più dura e difficile che avesse mai fatto
nella sua vita: lasciare Usako, pretendere che non l’avesse mai amata e che la
loro relazione fosse nata solo per il loro passato. Certo, la sua
interpretazione era stata da Oscar ma aveva completamente rovinato la sua
esistenza e quella di Usako. Gli si spezzava il cuore ogni volta che la vedeva
piangere… piangere per le parole dure che lui le diceva.
Che cosa avevano fatto per meritarsi
quell’inferno?
Che cosa aveva fatto per vedergli essere
negata ancora una volta la possibilità di amare ed essere amato in cambio?
Forse… era stato destinato a rimanere
sempre solo.
But no matter how hard I tried
I can’t live without you in my life
Mamoru lasciò perdere il suo caffè, visto e
considerato che metà della bevanda s’era rovesciata per terra, e decise di
prendere una boccata d’aria sul terrazzo mentre la sua mente continuava a
revisionare tutto ciò che era successo in quelle ultime settimane. E si
soffermò su ciò che era successo qualche notte prima, durante uno dei soliti
combattimenti contro Rubeus e le sorelle persecutrici. Usako aveva rischiato di
morire… e lui aveva rischiato di perderla perché stava dando ascolto ai suoi
incubi. Se Luna non gli avesse messo un po’ di sale in zucca… rabbrividì al
solo pensiero di quello che sarebbe potuto accadere. Ed era da quel giorno che
aveva incominciato a riflettere bene su quello che aveva fatto. Stare lontano
era veramente la scelta migliore? L’incubo gli diceva così ma ormai non era più
così tanto sicuro. Se il suo amore l’altra notte aveva avuto il potere di
salvare Usako, come era possibile che dovesse anche condannarla a morte? Era
una contraddizione… ma lui ormai aveva deciso.
Maybe you’ll say you still want me
Maybe you’’ll say that you don’t
Maybe we said it was over
But baby I can’t let you go
Presa una decisione, non si torna mai
indietro, giusto? Per cui, con fare deciso, ritornò dentro in casa per prendere
il telefono. Fortunatamente non aveva cancellato, buttato e quant’altro si
potesse fare, il numero di cellulare di Usako. Ma, prima che potesse anche solo
prendere in mano il cordless, qualcuno bussò la porta. Andò ad aprire e si
ritrovò di fronte il suo angelo. Dio, quanto era bella! Ogni giorno che
passava, ogni volta che la vedeva, diventava sempre più bella…
“Konnichi-ha Mamoru-san.” Gli disse Usagi e
Mamoru sentì un piccolo colpo. Mamoru-san… non lo chiamava così dai tempi in
cui s’odiavano. Ma se l’era cercata, infondo.
“Konnichi-ha Usak…ehm Usagi-chan. Che cosa
posso fare per te?”
“Sono venuta a prendere Chibi-usa. È da te,
vero?”
“No, gomen. Io avevo il turno oggi
pomeriggio e Motoki s’è offerto di tenerla a casa. Blaterava qualcosa su Reika
che voleva incominciare a comportarsi come una madre o roba del genere. Ad ogni
modo, non te l’aveva detto nessuno?”
“No… come al solito Chibi-usa si dimentica
di dirmi dove va o che cosa fa!” sbottò Usagi e per un attimo entrambi si
scordarono quello che era successo fra loro in quel periodo e sorrisero l0uno
all’altro. Quell’attimo sembrò durare un’eternità ma poi, improvvisamente, fu
come se sia Mamoru sia Usagi si fossero ricordati tutto e quest’ultima abbassò
lo sguardo. “Gomen nasai. Non volevo disturbarti. Sarai stanco dopo tutto il
lavoro di oggi. È ora che io torni a casa.”
“No! Matte!” esclamò Mamoru, prendendola
per un braccio. “Ho… dovrei parlarti…”
“No, Mamoru-san. Per quale motivo dovrei
rimanere qui ad ascoltarti? Hai scordato qualche mia mancanza o qualche mio
difetto? Pensavo che la lista fosse finita!”
“Non è come pensi! O, almeno…” cercò di
dire Mamoru, abbastanza sorpreso dalla sfuriata di Usagi. Ma non riuscì a
terminare la frase perché Usagi riuscì a liberarsi dalla sua stretta ed in quel
momento lo stava fissando con uno sguardo… non aveva mai visto quello sguardo
nei suoi occhi. O, almeno, non contro di lui.
“Discussione chiusa! Perché continui a
torturarmi in questo modo? Non riesco ancora a capire il motivo per il quale,
tutto ad un tratto, hai smesso di amarmi ma se pensi che io rimanga qui a farmi
del male o a supplicarti… hai proprio sbagliato!”
“Usako, se solo mi ascoltassi un attimo…”
disse Mamoru, riuscendo a catturare l’attenzione d’Usagi. “Onegai, Usako…” la
supplicò. Ormai stava giocando tutte le carte in suo possesso.
“Okay… “ rispose allora Usagi, stupita
dalla disperazione che sentiva nella voce del ragazzo. Quello non era il Mamoru
che con tono freddo le aveva detto senza mezzi termini di uscire dalla sua
vita. Quello era il Mamoru che l’aveva salvata dalla morte non molto tempo fa…
e tutto ciò la confondeva. Lasciò che Mamoru le prendesse la mano e la
trascinasse dentro l’appartamento, facendola sedere sul divano. Lui si sedette
sul tavolino di fronte, senza mai staccare le proprie mani.
“Mamoru-san… perché fai tutto ciò? Perché
mi fai questo? Fin a qualche… qualche ora per te non dovevo più esistere ed
ora…”
“Non l’ho mai fatto, Usako. Non ho mai
smesso di amarti. Ma dovevo proteggerti. Non riuscivo a sopportare il fatto che
per colpa mia, per colpa del mio amore, tu avresti… tu saresti…” Mamoru si
bloccò, la voce rotta mentre cercava di mettere in parole quello che aveva
dovuto sopportare. “…tu avresti potuta morire.”
I walk around trying to understand
Where we were wrong but I can’t pretend
It wasn’t me and it wasn’t you
But I’m convinced we gave up too soon
“Mamoru…”
“Shh… non interrompermi, onegai. Ho bisogno
che tu mi ascolti attentamente senza interrompermi perché non sai quanto mi
costa doverti raccontarti tutto.” La interruppe Mamoru.
“Hai.”
“Ti ricordi quando Chibi-usa arrivò da noi?
Da quel giorno, più precisamente da quella notte, incominciai ad avere un
incubo. Il peggiore di tutta la mia vita. Ci stavamo sposando e tu eri
stupendamente bellissima ed io… io ero orgoglioso e felice perché finalmente
potevamo realizzare il nostro sogno. Poi, all’improvviso…” ora veniva la parte
più dolorosa, una cosa era vivere ogni notte quell’incubo ed una cosa era
raccontarle che cosa vedeva. Ma, soprattutto, che cosa era costretto ogni notte
a sentire. “…all’improvviso, mentre io e te ci stavamo baciando, la terra ha
incominciato a tremare, le pareti e tutto quello che ci stava intorno ha
incominciato a rompersi e… macerie e detriti volavano dappertutto. Io cercavo
di proteggerti ma qualcuno ti ha strappato dalle mie braccia. Potevo sentire le
tue urla ma non riuscivo a vederti… continuavo a correre, cercarti, inseguivo
le tue urla ma per quanto io ci tentassi e ci provassi non riuscivo mai a
salvarti. Le tue urla, però, continuavano a straziarmi e poi… riuscì a vederti
ma… ma…”
“Non c’è bisogno che tu continui,
Mamo-chan!” esclamò Usagi, alzandosi e abbracciandolo. Riusciva a sentire tutto
il dolore che stava provando in quel momento, lo poteva leggere nei suoi occhi,
nel modo in cui tentava con tutte le sue forze di non darla vinta alle lacrime
e nel modo in cui teneva stretti i pugni, le nocche ormai bianche per la forza.
Dopo qualche attimo di silenzio, nel quale Mamoru s’era lasciato cullare dalle
braccia di Usagi, la scostò da sé per poterla guardare dritta negli occhi.
Doveva continuare: per la prima volta le stava mettendo a nudo la sua anima e,
il bello era, che non era impaurito di rimanere ferito. Si fidava così
ciecamente di lei che non aveva proprio paura di metterle nelle sue mani la sua
vita. “Daijobu. Devo continuare, Usako.
Vorrei non dovertelo raccontare ma devi sapere perché mi sono comportato in
quel modo. Perché ti ho fatta soffrire. Non pretendo che tu poi mi riprenda
indietro: ti ho fatto così tanto del male che è già tanto se riuscirai a
perdonarmi. E per me sarà già tanto se riuscirai a parlarmi ancora.”
-incominciò- “Quando finalmente sono riuscito a raggiungerti tu eri già morta.
Potevo solamente stringerti fra le braccia, chiederti inutilmente scusa perché
avevo fallito nel proteggerti. Era un incubo senza fine, anche quando ero
sveglio e ti avevo fra le braccia, rivivevo tutto e quella voce… quella voce
era la peggiore di tutto!”
“Quale voce?”
“Quella che mi diceva che dovevo starti
lontano se non volevo che l’incubo diventasse realtà.”
Maybe you’ll say you still want me
Maybe you’ll say that you don’t
Maybe we said that it was over
But baby I can’t let you go
“Per i primi giorni cercai di non darci
peso. Tu eri accanto a me, giusto? Significava che dovevo tenerti doppiamente
sotto controllo, cercare in tutti i modi di proteggerti ma più passavano i
giorni e più l’incubo continuava a tormentarmi. Ogni qualvolta che chiudevo gli
occhi erano le tue urla che sentivo, vedevo il tuo sangue e sentivo il tuo
corpo esamine tra le mie braccia quando ti abbracciavo. Non potevo lasciare che
tutto ciò accadesse. Non potevo permettere che l’incubo diventasse realtà.
Anche se questo significava dover rinunciare all’unica cosa di bello nella mia
vita. Dovevo rinunciare a te per il tuo bene. Non m’importava di cosa sarebbe
diventata la mia vita, ero vissuto diciotto anni da solo e potevo continuare a
vivere in solitudine. Ma non potevo firmare la tua condanna a morte, non potevo
permettere di morire per colpa mia. Per colpa del mio amore.” Quando finalmente
ebbe il coraggio di guardare Usagi negli occhi vide che questi erano pieni di
lacrime. Ma oltre alla compassione lesse qualcos’altro in quell’oceano blu: per
la prima volta lesse rabbia.
“Doushite? Perché non me ne hai parlato?
Avremmo potuto trovare una soluzione. Insieme. Non eri da solo nella relazione.
C’ero anch’io e non ero, anzi non sono, una bambina che non può prendersi cura
di se stessa o prendere una decisione importante. Pensavo che… avessi fiducia
in me!” urlò Usagi, allontanandosi da lui con uno scatto che lo lasciò ebetito
per qualche attimo.
“E che cosa avrei potuto dirti? Che un
incubo mi prediceva la tua morte se avessimo continuato il nostro amore? Non
potevo… l’incubo ero io che l’avevo non tu! Era un mio problema.”
“E’ qui che ti sbagli! La decisione di
rompere il nostro rapporto c’entra eccome con me!”
“Ti ho fatta soffrire e se credi che io sia
contento di ciò ti sbagli! Incontrarti è stata la cosa più meravigliosa che mi
sia accaduta e non potevo permettere di mettere a repentaglio la tua vita,
anche se si trattava solamente di uno stupido incubo. Dovevo proteggerti con
tutte le mie forze anche se questo significava… è stata la cosa più difficile,
koishii. Mi illudevo di poter ritornare alla mia solitaria vita di quando non
t’avevo ancora incontrato ma non era la stessa cosa. Non più oramai. Non dopo
aver conosciuto che cosa si provasse ad amare ed essere amato, a non dover più
ritornare in questo squallido appartamento senza avere nessuno accanto a me nei
momenti peggiori. Non dopo aver buttato giù le mie difese, quei silenziosi muri
che avevo costruito in anni di solitudine. Mi mancava tutto di te, da ogni
piccolo difetto al più grande dei tuoi pregi; mi mancava il modo in cui i tuoi
occhi sembrano illuminarsi ogni qualvolta ridi o il modo con cui giochi con le
tue mani quando sei nervosa; mi mancava ogni piccolo lineamento del tuo volto:
quei grandi occhioni blu e quelle soffici labbra che tante volte avevo potuto
assaporare. Mi mancava poterti stringere accanto a me, sentire il tuo cuore
battere armoniosamente con il mio, passare le mani nei tuoi lunghi capelli per
rendermi conto che non eri sogno ma eri reale. Ed eri con me. Mi mancava il tuo
forte senso della giustizia, il tuo modo ostinato di dover sempre fare le cose
a modo tuo e la tua testardaggine; mi mancava la tua innata fiducia nel
prossimo, il sempre vedere il lato migliore delle persone e dare sempre una
seconda possibilità anche chi ti aveva fatto del male. Ma mi mancava soprattutto
il modo speciale in cui mi amavi: mi amavi incondizionatamente, hai buttato via
il brutto della mia personalità e mi hai diventare un uomo migliore. Ma sai una
cosa? Tutti questi motivi della tua mancanza… erano gli stessi motivi che
continuavano a farmi fare quello che ho fatto.” Usagi s’era rimessa a sedere
mentre Mamoru le dichiarava tutte quelle cose senza mai spostare lo sguardo dal
suo anche se la sua visione era offuscata dalle lacrime. “Dovevo rinunciare
alla mia felicità perché… beh, perché sapevo che era giusto così. Anzi no, era
maledettamente ingiusto…”
Usagi fece qualche passo verso di lui fino
a quando non erano a qualche centimetro di distanza l’uno dall’altro. La sua
mano asciugò le sue lacrime, proprio come tante volte lui aveva fatto con lei.
“Non mi importa del futuro, non m’importa se morirò il giorno del nostro
matrimonio: il giorno in cui mi hai lasciato…. Quello è il giorno in cui ho
incominciato a morire. Lentamente ed ogni tua fredda parola od ogni tuo sguardo
gelido erano come pugnalate. Non sapevo quanto potessi ancora sopportare ma
sapevo che tu non avevi smesso così, da un giorno all’altro, di amarmi. Dentro,
in fondo alla mia anima, sapevo che c’era un motivo plausibile per il tuo
comportamento ma… il mio cuore e la mia testa mi dicevano ben altro. Ho passato
notti a piangere, avevo bisogno di te.” Disse Usagi, il tono della voce dolce
ma nello stesso tempo Mamoru poteva sentire una sfumatura di rabbia. “Ma quello
che voglio chiederti adesso non è perché l’hai fatto o perché hai creduto ad un
incubo. So che era più di un incubo e posso solo immaginare quanto possa averti
sconvolto. Voglio solo sapere perché non me ne hai parlato. Perché non hai
avuto fiducia in me.”
Passarono qualche attimo di secondi prima
che Mamoru rispondesse. “Perché per tutta la mia vita ho sempre contato sulle
mie sole forze. Non ho mai dipeso da nessuno, anche perché non c’era nessuno
con cui confidarmi. E, nonostante avessi piena fiducia in te, per me era… è
così naturale prendere le decisioni da solo che mi è venuto spontaneo farlo.
Con questo non voglio dire che non ti reputo matura e responsabile per prendere
decisioni così importanti ma… non so come ci si comporta in queste situazioni,
non so come ci si comporta quando hai qualcuno al tuo fianco. Ero conscio solo
di un unico pensiero: dovevo proteggerti.” rispose con sincerità Mamoru,
tracciando il profilo del viso di Usagi con la punta delle dita. “Sono stato
un’idiota… ma sarei ancora più idiota se non ti dicessi, ora, che ti amo più di
ogni qualsiasi cosa al mondo anche se non te lo hai mostrato apertamente. Ho…
ho bisogno di al mio fianco, ho bisogno che tu mi insegni ad amare.”
Nothing left to lose after losing you
There’s nothing I can’t take
When I run to you
When I come for you
Don’t tell I’m too late
Un pesante silenzio cadde nella stanza,
silenzio rotto dal ticchettio del pendolo. Silenzio che stava logorando i nervi
di Mamoru. Ma non poteva metterle fretta: era ora o mai più e non poteva
permettersi nessuna mossa falsa.
“Anch’io ho bisogno di te. Senza te sono
incompleta.” Fu quello che disse Usagi prima di buttarsi fra le sue braccia,
buttando fuori tutta l’angoscia che l’aveva logorata per quelle lunghissime
settimane. Mamoru se la strinse forte accanto a sé, quasi incredulo della
fortuna che la vita gli stava regalando per la seconda volta. E non avrebbe più
sprecato quel regalo.
“Shinji nai Usako… ti prometto che mi farò
perdonare. Non dovrai mai più dubitare del mio amore, e non dovrai mai più
dubitare di me.. Aishiteru.” Le disse, sollevandole il viso quanto bastava per
poterla baciare con passione, passione che non aveva mai dimostrato. La stessa
passione di cui aveva avuto paura per molte settimane.
“Mamo-chan… aishiteru. Non ho mai dubitato
del tuo amore. Ho sempre saputo che mi amavi anche se le tue parole lo
negavano.”
“E posso sapere in che modo, koishii?”
“I tuoi occhi. Nonostante tu pretendessi di
non amarmi, i tuoi occhi non mi hanno mai mentito: continuavano a mostrare il
tuo amore. Ecco perché non capivo il perché!”
“Come la mettiamo con il mio incubo? Non
voglio che diventi realtà… non posso perderti.”
“Non lo so, Mamo-chan, ma insieme
affronteremo anche questo ostacolo. Te l’ho gia detto, non importa del futuro.
Mi importa del presente e, nel mio presente, conta solamente il nostro amore.
Ed insieme possiamo superare tutto. Me lo insegnò un certo principe tanto tempo
fa…”
“Si vede che quella saggezza s’è persa con
la reincarnazione!” ribatté scherzosamente Mamoru, il suo mento appoggiato ai
capelli di Usagi.
Maybe you’ll say you still want me
Maybe you’ll say that you don’t
Maybe we said it was over
But baby I can’t let you go
“Prima non mi avevi detto che ti saresti
fatto perdonare, vero?” disse Usagi con tono malizioso ed uno sguardo che fece
capire a Mamoru di che cosa stava parlando. Mamoru la prese fra le braccia e
andò verso la sua camera. “Non potrei mai tirarmi indietro ad una richiesta
così esplicita!” fu l’ultima cosa che si sentì in quella stanza prima che
Mamoru richiudesse dietro di sé la porta della camera. Almeno fino alla mattina
seguente.
THE END
Spero
che vi sia piaciuta… c’è tanto romanticismo!
Baci,
Mamogirl.