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Autore: mikchan    25/08/2014    3 recensioni
NONA CLASSIFICATA AL CLICHÉ CONTEST DI EXOTICUE.
Una scommessa inaspettata sembra essere l’unica soluzione per salvare Francesca dal terrificante incubo del debito in matematica.
"La mia guerra contro la matematica era iniziata in quarta elementare, quando la cara e dolce maestra Simona era entrata in classe, tutta sorridente, e aveva annunciato il nuovo argomento di quel giorno: le divisioni a due cifre in colonna.
In quel punto il mio cervello aveva alzato bandiera bianca e, anche in quel momento, faticava a comprendere ció che c’era scritto sul foglio che avevo davanti, mangrado tutti gli esercizi che avevo fatto per prepararmi. Quello che invece capiva benissimo, era il segnaccio rosso sulla parte alta della scheda, in cui spiccava quel numero che in diciotto anni di vita mi aveva sempre portato sfortuna. [...]"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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una scommessa contro la matematica Nome utente EFP sito/EFP forum: mikchan
Inedita
Titolo: Una scommessa contro la matematica
Cliché scelto: 6 (scommessa) con un pizzico di 7 (ripetizioni)
Raiting: verde
Genere: Romantico, Commedia

UNA SCOMMESSA CONTRO LA MATEMATICA
La mia guerra contro la matematica era iniziata in quarta elementare, quando la cara e dolce maestra Simona era entrata in classe, tutta sorridente, e aveva annunciato il nuovo argomento di quel giorno: le divisioni a due cifre in colonna.
In quel punto il mio cervello aveva alzato bandiera bianca e, anche in quel momento, faticava a comprendere ciò che c'era scritto sul foglio che avevo davanti, malgrado tutti gli esercizi fatti per prepararmi. Quello che invece capiva benissimo era il segnaccio rosso sulla parte alta della scheda, in cui spiccava quel numero che in diciotto anni di vita mi aveva sempre portato sfortuna.
Tre.
Avevo preso un altro tre.
Avevo preso un altro tre in matematica.
Avevo preso un altro tre in matematica e la mia vita era giunta al termine.
Perché quella volta non avevo scuse davanti ai miei genitori, se non la più vecchia e veritiera: "Sono stata sconfitta".
Mi accorsi di averlo detto a voce alta quando sentii qualcuno ridacchiare. Alzai lo sguardo e incontrai quello divertito di Alessandro, seduto di fronte a me.
"Non è divertente", mugugnai, voltando il foglio per coprire il voto che, ovviamente, aveva già visto.
"Quello no, ma la tua faccia molto", rispose, abbozzando poi un sorriso di scuse alla mia occhiataccia.
Appoggiai la testa sul banco, sconsolata, e picchiai piano due volte, borbottando insulti rivolti alla Dea della matematica che mi aveva presa in antipatia senza nessun reale motivo.
"Guarda che non è riempiendoti di bernocoli che risolverai i tuoi problemi", disse Alessandro, poggiandomi una mano sulla testa.
"Lo so", mugugnai, ringraziando silenziosamente il suo tentativo di sollevarmi il morale. Era un buon amico, Alessandro: lo avevo conosciuto in prima superiore perché eravamo finiti in banco insieme e da quel momento avevamo passato le ore a parlare e giocare a tris sui libri durante le ore di latino. Questo, almeno, fino a quando i professori non avevano avuto la brillante idea di separare i banchi per limitare il casino, ma ci eravamo adattati anche a quello. Alessandro, inoltre, era anche un piccolo genio della matematica, cosa che spesso mi aveva portato a chiedermi cosa ci facesse in un liceo linguistico con il suo cervellaccio da scienziato.
Tuttavia non gli avevo mai chiesto aiuto in quella materia a me tanto ostile, soprattutto perché io ero una persona molto testarda e orgogliosa e mi ero impuntata nel riuscire a prendere la sufficienza da sola. Ovviamente la mia cucciutaggine non mi aveva portato a nulla, se non ad un altro votaccio e avrei dovuto trovare una soluzione in fretta, se non volevo ritrovarmi con un bel debito a settembre.
"Eh, Fra", mi richiamò lui con due pacche sulla testa.
Alzai gli occhi e mi ritrovai davanti al suo sorriso, quel sorriso malizioso che non prometteva mai niente di buono.
"Ti va una scommessa?", mi chiese con un ghigno.
Ecco, se c'era una cosa che accomunava me e Alessandro erano le scommesse. Giocavamo praticamente su ogni cosa, in particolare sulla scuola. Infatti eravamo i primi della classe, se si escludevano i miei pessimi voti in matematica e i suoi in latino e ogni verifica o interrogazione era un buon motivo per metterci alla prova. Eravamo entrambi così testardi e desiderosi di primeggiare che spesso ci trovavamo anche a discutere, ma la maggior parte delle volte il vincitore era uno e uno solo.
"Non è il momento", borbottai però, affranta. Non ero affatto dell'umore per mettermi a giocare.
"Dai, sono certo che troverai le mie condizioni molto... vantaggiose", concluse facendomi l'occhiolino.
"Non è corretto risvegliare così la mia curiosità", sbottai mettendomi seduta composta e incrociando le braccia al petto.
"È un sì?", chiese lui.
Feci una smorfia. "Dipende", mi limitai a dire, ben sapendo però che avrei finito per accettare.
"Ti darò ripetizioni di matematica", disse facendosi serio.
Alzai un sopracciglio. "Non è una scommessa", obiettai.
"Se prendi almeno un sei nella prossima verifica", continuò. "Uscirai con me".
Rimasi a fissarlo a bocca aperta come un pesce lesso, mentre la mia mente ripeteva a macchinetta quello che Alessandro aveva appena detto. Uscire con lui. E da quando gli interessavo? E non poteva chiedermelo in modo normale come tutti i santi mortali?
"E io cosa ci guadagno?", dissi schiarendomi la voce.
Il suo sorriso si allargò. "Beh, uscirai con me e prenderai un sei in matematica. Cosa vuoi di più dalla vita?".
Lo guardai incerta. Insomma, non potevo certo dire che Alessandro fosse un brutto ragazzo: non era molto alto e non era tutto muscoli, ma aveva un bel viso, sincero e sempre allegro, e un bel paio di occhi verdi che spesso gli avevo invidiato. Alcune ragazze a scuola gli sbavavano letteralmente dietro, soprattutto da quando era stato eletto come rappresentate d'istituto quell'anno. Ma, nonostante la nostra amicizia, non lo avevo mai visto sotto quell'aspetto. Sarebbe stato strano uscire con lui, ma in fondo nemmeno così tanto, se si considerava che ci conoscevamo da ben quattro anni e che andavamo molto d'accordo.
"E se non prendo il sei?", chiesi poi, cercando di allontanare il momento della scelta.
Lui scrollò le spalle. "Sceglierai una punizione per me", disse semplicemente.
"Ma questa non è una scommessa", ripetei.
"Sì, invece. Io scommetto che, grazie al mio aiuto, tu riuscirai a prendere sei in matematica. E come premio, voglio uscire con te", disse sicuro.
Mi morsi il labbro inferiore. Non che avessi molta scelta, in effetti. Dovevo recuperare quella stupida materia e, arrivata a quel punto, con una sfilza di insufficienze alle spalle, potevo solo abbassarmi e accettare l'aiuto di qualcuno. Un brutto smacco per il mio orgoglio, ma non sarebbe stato lui a dover affrontare i miei genitori, quel pomeriggio. E, sinceramente, non mi dispiaceva nemmeno l'idea di passare un po' di tempo insieme, giusto per scoprire se Alessandro poteva piacermi anche in quel senso. In fondo, era un modo come un altro per approfondire una relazione. Quindi mi ritrovai ad annuire, allungando la mano verso di lui.
"Ci sto", dissi.
Alessandro sorrise, compiaciuto. "Bene. Non vedo l'ora di iniziare con queste ripetizioni".

"Okay", disse esasperato, chiudendomi il quaderno sotto il naso. "Ora, senza barare, un logaritmo in base a di b è...".
Lo guardai confusa, nonostante avessimo ripetuto quella definizione un migliaio di volte. "L'esponente", iniziai incerta, "che gli devo dare per ottenere...".
"No, no, frena", mi bloccò e io sospirai. "È l'esponente da dare ad a per ottenere b", disse riaprendo il quaderno. "Ad esempio, il logaritmo in base due di otto è tre, perchè due alla terza fa otto. Capito?".
"Relativamente", borbottai, passandomi una mano tra i capelli.
"Devi imparare questa definizione, altrimenti non riuscirai a risolvere nessun esercizio", mi spiegò cercando di sollevarmi il morale.
"Lo so, ma non mi entra proprio in testa", risposi, guardando tristemente il quaderno pieno di segni e lettere. Perché non potevamo tornare a fare le addizioni in colonna, che erano così dolci e carine e soprattutto al mio livello?
"Ti va una pausa?", mi chiese, sorridendo.
Io annuii, guardandolo alzarsi dalla sedia accanto alla mia. Eravamo a casa sua da un paio d'ore e, dopo un pranzo veloce, avevamo iniziato subito con la matematica. Alessandro non ci aveva messo molto a capire che le mie lacune erano più profonde e sconosciute del triangolo delle Bermuda, ma aveva cercato subito un modo per aiutarmi. Purtroppo per me, e anche per lui, la memoria non era esattamente il mio forte e, tra definizioni e formule, non sapevo più cosa tirare fuori e quando.
"Mia madre ha preparato una crostata alle fragole, ne vuoi una fetta?", mi chiese affacciandosi dalla cucina.
"Certo", risposi, alzandomi e raggiungendolo. Lo vidi prendere dal frigo la torta e appoggiarla al piano accanto ai fornelli, tagliandone poi due fette.
"Acqua o coca?", mi domandò poi, mentre posava le fette su due piatti.
"È uguale. Ma posso darti una mano", aggiunsi.
"Nel frigo", disse indicandolo con un cenno.
Io annuii e presi da bere, appoggiandolo sul tavolo. Dovevo ammettere che quella situazione mi stava mettendo un po' in imbarazzo: non era tanto il fatto di essere a casa di un ragazzo, per giunta da soli, ad innervosirmi, ma il fatto che questo ragazzo aveva una cotta per me e io non sapevo cosa pensarne.
Alessandro appoggiò i due piattini e due bicchieri, sedendosi poi accanto a me.
Iniziammo a mangiare in silenzio, premurandoci di non far incrociare i nostri sguardi. Forse anche lui si era accorto di avermi rivelato i suoi sentimenti in modo sbagliato e ora non sapeva come comportarsi. Ma, sinceramente, non volevo che quell'atmosfera continuasse a lungo: non c'era mai stato imbarazzo tra noi e non sarebbe iniziato ora, soprattutto per colpa di parole non dette.
"Da quanto?", chiesi all'improvviso, alzando gli occhi verso il suo viso.
Lui agrottò le sopracciglia, confuso da quell'uscita. "Cosa?", borbottò igoiando il boccone di torta.
"Da quanto ti piaccio?", precisai, guardandolo arrossire.
"Beh, da un po'", ammise.
Sospirai. "Avresti potuto dirmelo. La scusa delle ripetizioni e della scommessa è stata davvero pessima".
"Lo so", ammise con una risatina. "Ma è stata l'unica che ho trovato".
Annuii, incerta. "Beh, non so cosa dire".
"Immaginavo", borbottò "Non voglio nemmeno una risposta. Per ora limitiamoci a farti capire i logaritmi, poi ci penseremo".
"Non ho intenzione di infrangere la scommessa".
"E io non ho intenzione di ritirarla. Ho solo detto di non pensarci, per ora".
"Okay. Allora continuiamo. Non sei l'unica motivazione per cui voglio raggiungere la sufficienza".

"Calma e sangue freddo, Francesca!", mi ripetè Alessandro per l'ennesima volta.
"Cazzo non mi ricordo nulla", mugugnai io invece, passandomi una mano tra i capelli e girando a velocità supersonica le pagine del quaderno.
"Smettila. Abbiamo studiato insieme, sai fare gli esercizi e...".
"E se mette una tipologia che non conosco?", esclamai allarmata.
"Lo sai che non lo farà. Ora rilassati e chiudi quel quaderno".
Sospirai, infilando quel maledetto aggeggio nello zaino. In quell'istante suonò la campanella e io sobbalzai. "È arrivata l'ora del giudizio", dissi solenne.
"Nessuno arriverà per ammazzarti, Fra", disse Alessandro ridacchiando.
"Questo è quello che pensi tu", mugugnai nervosa.
L'insegnante di matematica entrò in classe e io mi alzai in piedi con gli altri in modo meccanico. Mi tremavano le gambe e mi sudavano le mani: con quella verifica si sarebbe decisa la mia vita. Se avessi preso un'altro brutto voto, i miei genitori mi avrebbero requisito computer e connessione internet e mi avrebbero rinchiusa in casa fino alla fine dell'anno. E, di conseguenza, non sarei potuta uscire con Alessandro. Nelle ultime settimane ci avevo pensato ed ero arrivata alla conclusione che, forse, anche a me un po' piaceva e non mi sarei lasciata sfuggire quell'occasione.
Mentre l'insegnante passava tra i banchi per distribuire le schede, Alessandro si voltò verso di me e, allungandosi, mi lasciò un bacio sulla guacia. "Buona fortuna", disse tornando a darmi le spalle e concentrandosi sul suo foglio.
Rimasi con lo sguardo fisso sulla sua schiena per qualche secodo, poi tornai alla scheda che avevo sul banco. "A noi due, Dea della matematica", mormorai, prendendo la penna e preparandomi alla guerra.

Mi avevano sempre insegnato che una battaglia persa non significava sempre la fine dei combattimenti, e che le vittorie hanno più valore con qualche sacrificio alle spalle.
La mia guerra contro la matematica aveva origini antichissime e avevo impiegato anni per scoprire l'arma migliore con cui combatterla. E ultimamente anche l'importanza fondamentale della presenza di un genio come alleato.
Mi morsi il labbro, guardando il genio in questione rileggere con attenzione ogni esercizio della verifica che ci avevano appena consegnato.
Non avevo raggiunto il sei, alla fine. Ma guardandola dal lato positivo, era un salto enorme dal tre al cinque e mezzo e ne ero in parte soddisfatta. In parte perché cinque e mezzo non era la sufficienza e questo significava che avevo vinto la scommessa. Per la prima volta, non fui così entusiasta di quel pensiero.
"Lascia stare, va bene così", dissi.
Alessandro scosse la testa. "Sto solo controllando che le correzioni siano giuste".
"Non c'è alcun motivo per cui non lo debbano essere, Ale", gli feci notare. In fondo potevo capirlo: quell'insufficienza andava anche a suo sfavore, ma cercare errori dove non ve ne erano era una perdita di tempo.
"Si può sempre sbagliare", borbottò lui. "Trovato!", esclamò dopo qualche secondo di silenzio. "Guarda, questo risultato era giusto e lei te l'ha segnato come errore. Quindi anche tutto l'esercizio è corretto", mi spiegò.
"Sicuro? Guarda che esco con te lo stesso".
Lui scosse la testa. "No, non se non prendi almeno sei. Era la scommessa".
"Accidenti quanto sei testardo", borbottai rubandogli il foglio dalle mani e dirigendomi verso la cattedra. Spiegai alla prof ciò che aveva detto Alessandro e lei ammise il suo errore, ricalcolando perciò il punteggio totale.
"Molto bene", disse sorridendomi. "Sono davvero contenta di questi progressi", aggiuse afferrando la penna rossa e correggendo quel cinque in un bellissimo e sbrilluccicante sei.
La ringraziai cercando di trattenere dei gridolini di gioia poco adulti e decisamente imbarazzanti e tornai al posto, dove Alessandro mi guardava soddisfatto. "Ho vinto", asserì incrociando le braccia la petto.
"Non vedevi l'ora di dirlo, giusto?", ridacchiai sedendomi.
"Ovviamente. Quindi, ora dovrai uscire con me".
Annuii. "Ho perso la scommessa, quindi mi sembra giusto accettare la mia punizione".
"Punizione?", esclamò sorpreso, mentre la delusione si faceva largo sul suo viso.
Scoppiai a ridere. "Oltre che testardo sei anche permaloso. Stavo scherzando!", dissi dandogli una pacca sulla spalla. "Uscirò con te molto volentieri".
"Dici sul serio?".
"Ti ho mai detto una bugia?", ribattei.
"No, in effetti mai", ammise con un gran sorriso. "Quindi un po' ti piaccio?", mi chiese poi.
"Non allargarti Ale", risposi alzando un sopracciglio. "Diciamo che devo ancora scoprirlo", dissi, sapendo dentro di me di avere appena detto una piccola bugia, ma a fin di bene.
Lui ridacchiò. "Okay, allora lo scopriremo insieme".
"Sai cosa stavo pensando?", chiesi poi, mentre la campanella suonava in sottofondo.
"A quanto tu sia fortunata?", mi provocò con un sorriso.
"No, scemo, che siamo arrivati a questo punto proprio grazie alla matematica".
"Già, chi l'avrebbe mai detto!".
"A quanto pare la dea della matematica sta iniziando a prendermi in simpatia", commentai tra me, sorridendo.
"Quale dea della matematica?", esclamò Alessandro, confuso.
Risi, scuotendo la testa. "Nulla, una vecchia amica".
E chissà se quella vecchia amica, che amica non era mai veramente stata, aveva già impugnato la penna per iniziare una nuova equazione, nella quale le incognite eravamo proprio io e Alessandro.
Tremai per un attimo al pensiero, conscia di quanto le fossi stata sempre antipatica, ma poi mi diedi della stupida: lei aveva potere decisionale sulle mie verifiche, non di certo sulle mie relazioni sentimentali.
Guardai Alessandro e fui certa di quello che stava architettando in quel momento: in quel caso avrei dovuto affidarmi al Dio delle scommesse, per uscirne viva.
Ma, in fondo, mi andava bene anche così.
  
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