La rinascita
Il tempo si è fermato. Il silenzio
è quasi assordante, rotto solo dai battiti accelerati di un cuore spaventato.
Guarda giù. Respirare diventa straordinariamente difficile. Rosso. Non si era
mai reso conto che il sangue potesse essere così rosso. Gli fa male agli occhi.
Eppure lo ha visto tante di quelle volte gocciolare
dalle fronti di sconosciuti, vittime sacrificali sull’altare dell’evoluzione.
Vorrebbe correre via, ma è come incollato al suolo. Immobile. La bocca aperta. Gli
occhi sgranati.
Era andato lì in cerca di
risposte. E la risposta che aveva ottenuto era una
sola. Ormai non poteva più tornare indietro. Ormai era sprofondato talmente
tanto dentro quel baratro, che non c’era più via di scampo.
Persino sua madre lo considerava
un mostro. Questo vuol dire che lui ormai era un mostro. Tutta quella recita, la
barba appena fatta, i capelli ordinati…inutile. I suoi vecchi occhiali non
potevano nascondere quello che era diventato. Il male era arrivato troppo in
profondità, e la prova era lì, davanti ai suoi occhi, con delle forbici che le
trafiggevano il petto.
-Io non volevo…mamma…io non volevo- si
ritrova a sussurrare. Ogni parola, come una scheggia di vetro, attraversa il
suo cuore freddo e sanguinate. Dice la verità. Lui non
voleva farle del male. Lui le voleva bene. Tutta la sua vita era stata tesa
verso un solo scopo. Renderla orgogliosa di lui.
Si inginocchia accanto a lei, e inizia a piangere.
All’improvviso ritorna ad essere il piccolo Gabriel, un bambino timido,
insicuro e spaventato. E gli sembra di sentire di
nuovo la voce di sua madre.
- Tesoro, tu farai
grandi cose un giorno. Ne sono sicura. Diventerai importante. Diventerai
speciale-
Se ne stava seduto lì, cercando di riparare quell’orologio da circa sei ore. Ovviamente sapeva di preciso cosa doveva fare, aveva individuato subito il
problema. Lui sapeva sempre come funzionavano le cose. Trattava
i suoi pezzi antichi con rispetto, ma in realtà, nella parte più profonda di
lui, li disprezzava. Quegli orologi…erano il simbolo del suo fallimento.
Ogni loro ticchettio segnava un secondo in più che lui sprecava in quella sorta
di non-vita.
Ripensava a tutti i sogni fatti da bambino. Voleva diventare una persona importante, voleva avere una
vita piena d’avventura e d’azione.
Ma soprattutto, ogni sera, pregava dentro se di non diventare
come suo padre. Ogni volta che lo vedeva tornare a casa, con quello sguardo
spento, Gabriel non poteva fare altro che provare pietà per lui. Era un uomo
privo di sogni, privo di speranze. Era un uomo che si
era arreso alla vita. Gabriel pensava fosse una persona estremamente
grigia. Tutto in lui era grigio ed insignificante. No, Gabriel non sarebbe
diventato grigio! Lui sarebbe stato un arcobaleno di colori. Se
lo sentiva dentro. Lui era diverso. Lui era speciale.
Sorrise ripensando ai sogni infranti di quel bambino, che
come tutti i sogni di bambini, non era altro che una visione ingenua destinata
ad essere spazzata via al primo soffio i vento.
Infatti Gabriel era stato sopraffatto dalla vita
esattamente come suo padre. Aveva ereditato il suo lavoro, perché era la cosa
giusta da fare. Perché gli avevano sempre detto che
aveva un talento naturale. E a furia di stare lì,
rinchiuso tra quegli orologi, con una valanga di sogni spezzati sulle spalle,
aveva finito per diventare grigio anche lui. Anzi, se era possibile, era
diventato ancora più grigio di suo padre.
Insignificante. Ma in una cosa era riuscito ad essere
diverso. Anche se la vita lo schiacciava a terra e si
prendeva gioco di lui, non si era ancora arreso. Continuava a sentirlo dentro quell’arcobaleno di colori. In una piccola parte di lui,
quel piccolo, ingenuo e timido bambino era ancora
vivo.
Inginocchiato accanto a sua madre,
gli occhi rigati di lacrime, le mani sporche si
sangue. Si alza lentamente e si avvicina alla finestra. La notte è buia,
proprio come la sua anima. Si asciuga le lacrime con un gesto secco del braccio,
e insieme alle lacrime caccia via anche quei ricordi inopportuni. Improvvisamente la paura e l’orrore lo abbandonano. Riacquista il controllo di se. Sa quello che
deve fare.
È il momento di dire davvero addio a
Gabriel una volta per tutte. Non gli è mai stato così chiaro prima. Perché Gabriel ormai non esiste davvero più. Se n’è andato insieme a sua madre. Adesso c’è solo Sylar. Eccola la risposta che davvero aspettava. Ecco
cosa doveva fare. Andare fino in fondo lungo quel
cammino che si era tracciato. Lungo la sua strada per diventare
speciale. Da questo momento, non ci sarebbero state più debolezze, passi falsi
e ripensamenti. Avrebbe fatto avverare il sogno di quel bambino. E per farlo, paradossalmente, doveva proprio liberarsi di
lui. E avrebbe avverato anche il sogno di sua madre.
Non sarebbe stato mai più un semplice orologiaio. Non sarebbe stato mai più un
uomo grigio. Perché non è questo ciò a cui è stato destinato.
Non gli importa più del dolore,
del rimorso, della paura. Ormai non conosce più quei sentimenti. Ormai non
conosce più
nessun sentimento oltre l’odio verso quello che era stato, la rabbia nei confronti
di questa vita che lo ha portato a sopportare tutto questo…e il desiderio
sempre più intenso, sempre più viscerale, di diventare una volta per tutte
speciale come sognava da piccolo, speciale come lo voleva sua madre.
Questa sera, Gabriel è morto, lasciando
dietro se solo il ricordo appannato di sogni falliti.
Questa sera, Sylar è rinato,
tracciando davanti a se una nuova vita di violenza e morte.