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Autore: Ita rb    25/08/2014    4 recensioni
Nei bassifondi della città, si vocifera che la malavita abbia approdato in un campo molto ostico: gli scontri clandestini. Un giro di scommesse sta dilagando da un lato all’altro del Paese, attirando quanti più stranieri possibile in quella che sembra una speranza avida, ma la Pantera non ha intenzione di chinare il capo e, arrancando nel sangue, si aggrappa al titolo di campione della fantomatica Cage per sbaragliare i suoi avversari e guadagnarsi da vivere; eppure, la routine sembra spezzarsi con l’arrivo di una Tigre dalle unghie affilate e la parlantina schietta.
[AoKaga | AkaKuro | ImaHana]
[Partecipa all’iniziativa : “Fan fiction interattiva” – maggiori info nelle note del prologo]
Rating, pairing e personaggi presenti possono cambiare nel corso della storia.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Makoto Hanamiya, Seijuro Akashi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Note: Questa fan fiction è nata per un progetto particolare (?) che ho improntato da un semplice stato di Facebook, vale a dire quello delle fan fiction interattive. Ultimamente mi è capitato di avere parecchie idee per prompt e plan vari, ma non ho mai pensato di rimettermi nelle mani del lettore e a tal proposito ho voluto provare questo qualcosa di nuovo – almeno in parte. Sono consapevole che molte long non sono concluse quando vengono postate e fin’ora sono una di quelle persone che ne ha lasciate molte dietro di sé; eppure, nell’ultimo periodo ho sempre o pressoché finito una long prima di pubblicarla, perciò questo è un vero e proprio esperimento per me.

Vi spiego in parole povere cos’è il progetto della fan fiction interattiva – se già non l’avete notato con la storia di Nahash “Riflesso” – per evitare di essere fraintesa in qualche modo.
La fan fiction interattiva è una fan fiction a capitoli dalla trama di base definita e delineata quasi completamente, la quale è posta come prologo in attesa della sua continuazione. Non si tratta di una storia a votazioni o nella quale è possibile inserire OC caratterizzati dal lettore, meno che mai di un contesto completamente stravolto dai vostri commenti – privati o pubblici – perché questi potranno gestirne l’andare avanti solo potenzialmente. Ciò significa che è possibile interagire con qualche spunto aggiuntivo nelle recensioni lasciate o tramite mp, ma non ci saranno mai delle scelte volte ad aumentare il numero dei commenti, perché non è a questo che servono le recensioni.
Ogni commento, dunque, dovrà attenersi alle regole del sito, anche se l’autore – in questo caso me – potrà rifarsi alle idee lasciate da terzi come postilla nelle stesse. Non c’è un’idea vincente o numericamente vincente, ma solo uno scambio d’idee che spesso avviene silenziosamente; in pratica, molti autori si rifanno alle teorie delle recensioni per andare avanti nelle loro storie, ma non le creditano mai: l’iniziativa della fan fiction interattiva è l’esatto opposto, vale a dire la presa in considerazione di tale idea con tanto di credits nelle note – anche se poi il suo sviluppo sarà ad opera dell’autore.
Alcuni la chiamerebbero mancanza di fantasia, ma posso assicurarvi che ho talmente tante idee in testa che al momento non mi sento affine a questa descrizione; perciò è solo un modo come un altro per interagire maggiormente con tutti voi del fandom – e con altri che conosco su Facebook che non sono soliti commentare su EFP – per tenere maggior conto delle opinioni sulla storia di base.
I personaggi, dunque, sono solo due al momento, ma potrete anche chiederne altri, così come indirizzarmi verso qualche OTP varia, genere, avvertimento & co.
Stessa cosa per il rating, dunque, che potrà salire qualora, con l’andare avanti della storia, le scene si tingessero di un colore più intenso (?) ù.ù
In sunto, tutto questo per dire che per una volta mi piacerebbe seguire i consigli dei lettori e non andare avanti esclusivamente di testa mia, perciò non prendete questa storia come una sorta di “recensisco con ciò che voglio succeda e tanti saluti”, ma considerate comunque che si tratta di una fan fiction che ho studiato e sulla quale mi piacerebbe avere le vostre opinioni come al solito – la questione di eventuali consigli sulla trama, dunque, è secondaria, perché altrimenti non sarebbe una recensione vera e propria :3
Se volete partecipare a questa stramba iniziativa con qualche fan fiction interattiva – quindi non solo leggendo questa o quella di Nahash – potete farlo tranquillamente, inserendo la dicitura nell’intro – se proprio non avete voglia di avvisare o me o lei in privato – affinché io possa impicciarmi e interagire con la vostra storia, visto e considerato che leggo e recensisco molto su questo fandom: mi farebbe piacere *^*
Mi sto facendo un film da sola? Ah, che dire, superata la spiegazione blandissima di questa fan fiction interattiva, spero che l’idea della storia in sé vi piaccia ~ attendo le vostre direttive e i vostri consigli, magari anche qualche uovo o pomodoro – non marci – con cui farmi un tramezzino *rool*

Beh, ad ogni modo vi preannuncio che questa storia è nata da un’immagine, la quale è stata impropriamente (?) usata come copertina della stessa, e vi allego le due song che hanno scandito la stesura:  
Olive dolci (?) a tutti ~

 
 
Erano come due cani rabbiosi.
Qualcuno avrebbe osato dire che quelle bestie si trovassero sullo stesso piano, relegate in una gabbia troppo stretta e dalle sbarre cigolanti – mangiate dalla ruggine – le quali, presto o tardi, sarebbero crollate sotto la pressione delle loro schiene; dopotutto, il perimetro c’era ed era inutile negarlo, così come le grate metalliche che lo contornavano fin quasi a sembrare il macabro recinto di un pollaio tinto di rappresi schizzi scarlatti.
Era lì che si scontravano i lottatori più forti e tenaci di tutta la zona, senza contare che ogni tanto arrivava anche qualche straniero per accaparrarsi il diritto di primeggiare sul campione; non a caso, nell’ultimo periodo sembrava quasi che tale interesse fosse aumentato fin quasi a espandersi in lungo e in largo, cavalcando l’onda di quello che si mormorava essere il predominio della Pantera e attirando non solo giovani e nerboruti impavidi, ma anche una clientela più ferrata sull’argomento degl’incontri clandestini.
Sebbene quel posto non avesse nome, qualcuno l’aveva rinominato – e in modi differenti, per giunta!
Cage era la terminologia più utilizzata, quella che sembrava scivolare di bocca in bocca quanto i soldi che scorrevano di mano in mano al di fuori della suddetta, e anche se il proprietario non si era mai visto da nessuna parte, di certo non sembrava esserne poi così afflitto. Nella grossa sala clandestina che era stata attrezzata in periferia, quella non era certo una preoccupazione – e chiunque si sarebbe ben guardato di farsela indugiare troppo sulla punta della lingua, tant’era la birra che veniva ingurgitata come acqua.
«A che punto siamo?» Chiese un tale dalla capigliatura eccentrica, talmente rada e mal conciata da sembrare un lontano ricordo si quella che un tempo era stata chiamata chioma da rocker. «La Pantera è già entrata?» L’enfasi che si percepiva nell’aria era un tutt’uno con l’inebriante gorgoglio della spina dietro il bancone, la quale riempiva una pinta dopo l’altra e senza tergiversare troppo.
«Non ancora», ammise a mezza bocca l’altro tale che, serrando il classico bigliettino di un verde slavato, continuava a fissare i due animali che lottavano sul ring. «Ci sono ancora i pesci piccoli, purtroppo, ma stanno tenendo il meglio per dopo», soffiò a mezza bocca, facendo vacillare qualche sputo contro lo stuzzicadenti che serrava di lato.
«Quanti soldi hai perso?» Chiese scherzosamente quello che molti avrebbero definito il barman della Cage, spuntandogli da dietro per servire una delle tante pinte e direttamente nella sua mano destra.
«Niente di niente,» ghignò «come ho detto, il meglio lo tengo per dopo!» Agitò appena la sinistra, mostrando la sua scommessa della serata che era volta unicamente alla Pantera e il ghigno di soddisfazione dell’amico non sembrò far altro che incrementare la sua convinzione.
«Dicono che questa sera, forse non si farà viva.» Il barman fece spallucce, chiedendosi che fine avesse fatto quel tipo dall’aria truce che tutti quanti stavano aspettando da una buona mezz’ora.
«Oh, andiamo!» Sbottò quello appena arrivato. «Tutta questa gente è venuta a scommettere un occhio della testa sulla Pantera, eccetto i poveri pazzi che si sprecano a buttare quattrini nella speranza di una vincita inaspettata.» Schioccò la lingua, mostrandosi perplesso e sollevando un sopracciglio rado quanto il suo cranio. «Chiunque sia il capo, di certo non farà una simile stronzata…»
«Dicono che il capo sia qualcuno tra noi, magari potresti essere tu», scherzò l’amico, portando le labbra alla pinta e sentendosi dare una pacca dal barman che, preso da un’altra ordinazione, si allontanò per incassare altro denaro.
«Io?» La risata sibilante del tizio con il passato da rocker echeggiò nelle sue orecchie come il din della campana che si trovava dal lato opposto. «Questa è la peggiore cazzata che ti abbia mai sentito dire, sai?»
«Vince il Condor!» La voce dell’arbitro improvvisato si leva nel silenzio e il baccano a seguire lo interrompe; allora, con una nuova boccata d’ossigeno, il suo volto arrossato dalla birra si tende con maggiore enfasi. «E adesso il campione in carica, la bestia della Cage, l’uomo che tutti voi sognano di poter vedere al tappeto e che vanta una sequela di vittorie che farebbero impallidire qualsiasi sfidante: la Pantera
L’approvazione generale sembrò talmente ampia da distaccarsi notevolmente da quella che era dapprima stata classificata come euforia: le pareti presero a vibrare, quasi, di quelle grida, mentre le braccia di molti si sollevarono speranzose e altre parvero tremare su loro stesse, mentre gli occhi puntavano sgranati e terrorizzati il perimetro di combattimento.
«Chi è lo sfidante?» Domandò una voce, levandosi fra le altre in modo sinistro e sguaiato. «Chi è lo sfidante?» Non esisteva alcuna battaglia senza qualcuno che potesse salire sul ring assieme a quel ragazzo dall’aria truce che si era appena presentato dal fondo della sala. «Chi è lo sfidante?»
Le scommesse erano state fatte sulla fiducia, lasciando che il solito tizio grassoccio tenesse il conto nei pressi del bancone del bar, ma erano pochi coloro i quali avevano creduto in una sua sconfitta; perciò il silenzio regnò sovrano quando il cappuccio color notte della felpa della Pantera gli scivolò dal capo per adagiarsi mollemente sulle spalle.
«È uno straniero, un pazzo!» Gridò la voce di un tizio che, destando l’attenzione di molti, lasciò alla Pantera il compito di sorridere con soddisfazione – un’altra sciocca vittoria che avrebbe aumentato il suo gruzzolo. «Non si sa da dove venga, ma è dall’inizio della serata che non fa che parlare della Pantera
«Dov’è il coglione?» Lo apostrofò convinto il campione, lasciando che la porticina di metallo cigolasse sui suoi cardini quasi sfondati per far uscire l’arbitro con il corpo del perdente sulle spalle – quello che il Condor aveva steso poco prima, lasciandolo riverso in terra e con il naso grondante sangue.
«È qui, è qui!» Scattò ancora il tipo che aveva parlato all’inizio, sorridendo come un ebete e confidando in quella che gli era sembrata una prestanza fisica non irrilevante, serrando bene le dita attorno al foglietto verdino. «Lui è…» provò a dire, venendo ancora interrotto dallo sguardo famelico della Pantera che, salita sul ring con dei gesti fluidi, si tolse la felpa velocemente per mostrare i pettorali palestrati e lucidi di sudore – probabilmente il risultato di un riscaldamento che nessuno aveva notato fino a quel punto.
«Un semplice coglione, ecco cos’è», sentenziò spicciolo, osservandolo da lontano e attraverso la rete metallica, mentre i suoi occhi s’incendiavano d’eccitazione, sgranandosi appena alla vista di una capigliatura rossa come il sangue. «Non ti ho mai visto prima d’ora, sei tu il mio sfidante?» Domandò in un ghigno, sollevando il mento e avvicinandosi con i palmi al recinto per studiarlo. «Non sei diverso dagli altri, coglione», schioccò per provocazione, vedendolo aggrottare le sopracciglia già nervose.
«Non ho un nome, per adesso…» soffiò con superiorità, avvicinandosi alla porta che, aperta, aveva fatto scendere il Condor poco prima.
«Un senza nome, interessante», soffiò ironicamente il campione, distanziandosi da lui di qualche passo per raggiungere uno dei quattro angoli del ring. «Sarà interessante rispedirti da dove sei venuto, sai?»
«Sarà interessante farti scendere dal piedistallo, sai?» Scoccò il rosso nella sua direzione, ghignando nervosamente a sua volta e sentendolo schioccare la lingua sdegnato; allorché provò a togliersi la felpa, ma il suono della campana lo colse alla sprovvista e la Pantera non mancò di saltargli addosso quasi come se avesse voluto azzannarlo ferocemente alla gola: lo afferrò per il collo, nei pressi della nuca, sbattendolo con il volto semicoperto dal cappuccio grigio contro la grata.
«Lurido stronzo», sibilò quello, posando le dita contro il recinto per darsi una spinta nella direzione opposta e far vacillare appena la Pantera che, scivolando dalla sua presa, si ritrovò a fissarlo compiaciuto. «È questo il tuo trucco? Non dare spazio all’avversario di mettersi in posizione?» Il boato della folla gli echeggiò nelle orecchie. «Per tua sfortuna, caro il mio campione, non sono così sprovveduto.»
«Vedremo…» mormorò l’interpellato, crucciandosi con maggiore convinzione e lasciando all’altro il tempo di liberarsi della felpa per mostrarsi a lui con una semplice canottiera bianca; allora, senza indugiare oltre, gli fu subito addosso.
Lo afferrò per la testa una seconda volta, ma con entrambe le mani, spronandolo a restare fermo per essere colpito in pieno con una testata; eppure, il rosso mosse un braccio velocemente per liberarsi della sua presa e attaccò con un gancio diretto al mento della Pantera che mandò in fibrillazione la folla.
«Non è un senza nome, è una Tigre
«Al diavolo le tigri…» schioccò la Pantera, sputando un po’ di saliva al suolo dopo aver incassato il colpo del nuovo arrivato «… non mi sono mai piaciute!» Serrò una mano attorno all’avambraccio del rosso, spingendolo contro la grata per sentirla cigolare e allora, avventandosi contro di lui, caricò un pugno diretto al suo volto che parve salvarsi quasi per miracolo quando la Tigre sgattaiolò lateralmente per mandare a vuoto il colpo dell’avversario.
Le nocche raschiarono contro il metallo, rigandosi appena di sangue per poi ritirarsi ancora contratte, incuranti, e l’adrenalina gli prese a scorrere veloce nelle vene.
Adesso non c’era alcun dubbio: quelli erano davvero due cani rabbiosi.
L’elogio della folla sembrava essere diventato un tutt’uno con l’indecisione e la certezza di quelli che avevano scommesso sulla Pantera non era più quella di poco prima, sebbene alcuni si stessero aggrappando alla pinta di birra come se fosse un’ancora di salvezza o un modo tale per reagire al posto del campione in carica.
Il sangue schizzò sul pavimento sudicio del ring quando il grugnito della bestia s’indirizzò verso la Tigre e quella ghignò soddisfatta, sistemandosi sulla difensiva in quella che sembrava pressoché la classica postura da boxe; allorché a qualcuno venne in mente qualcosa, tanto che non riuscì a trattenersi dal gridarlo:
«Quel tizio non gioca sporco!» E non ci voleva un cieco per dargli ragione, visto e considerato che gli schemi erano quelli plastici della boxe americana. «Attento, cazzo!» Sbraitò ancora, mentre la Pantera si abbassava per lisciare un secondo gancio e caricare dabbasso lo straniero, spingendolo come un toro fino a fargli aderire le spalle contro la rete.
Un gemito roco gli uscì di bocca, mentre la soddisfazione del campione si espandeva con un ghigno vagamente sadico, dove la superiorità vigeva sovrana. Non c’era neppure il tempo per pensare, mentre i secondi scorrevano placidi senza alcun conto alla rovescia e l’arbitro improvvisato seguiva la zuffa clandestina; perciò il rosso cercò di scrollarselo di dosso quando lo vide caricare un pugno obliquo, ma non riuscì a mancarlo e venne colto alla sprovvista sulla spalla sinistra, gemendo sommessamente e a denti stretti.
«Deve ancora nascere la persona in grado di mettermi al tappeto, Tigre», sibilò al suo indirizzo, piuttosto annoiato, mentre a spronarlo era solo l’odore del sangue che aveva preso a macchiargli la canottiera bianca. «Soprattutto se si tratta di uno straniero che usa gli schemi della boxe tradizionale…» fece ancora, caricando una serie di pugni che andarono a segno contro l’addome dell’altro «… non montarti la testa per un nomignolo improvvisato, senza nome: oggi tornerai a casa sui moncherini delle tue gambe.»
«Fottiti, Pantera dei miei stivali», ringhiò l’interpellato, indurendo le spalle per posare entrambe le mani contro la grata e spingersi in avanti, prendendo alla sprovvista il campione che, colpito in piena fronte da quella dura dell’altro, vacillò appena con un grugnito, muovendo due o tre passi all’indietro per lasciargli campo libero. «Parli troppo e ottieni poco», sbuffò il rosso, facendogli uno sgambetto per sentirlo cadere in terra con un tonfo sordo, mentre la folla tratteneva il respiro e qualche impavido urlava di gioia, pregustando la vittoria dello straniero che, dal canto suo, poté solo sorridere compiaciuto per la bravata – almeno fin quando la presa delle gambe altrui non s’incrociò attorno alle sue caviglie per ribaltare la situazione sotto lo sguardo sempre più allibito di un arbitro che ancora non aveva neppure contato il primo numero della decina di routine.
«Mi fotto tua sorella, semmai», scattò rabbioso il campione in carica, beandosi delle risate dei più vicini che avevano assistito alla sua uscita; eppure, il colpo del gomito della Tigre lo fece barcollare un po’ e la presa della mano destra sul pavimento mancò di reggere.
«Non ho sorelle, spiacente», rispose biforcuto, vedendolo capitolare di lato per rialzarsi subito, sebbene con un po’ di fatica – la stessa che, purtroppo, stava provando anche lui.
Annaspando, le due bestie continuarono ad arrancare sui colpi prestabiliti e quelli più improvvisati: la Pantera provò un gancio di routine, colpendo il lato della mandibola della Tigre che, gracchiando, fece stridere i denti nel rischio di mordersi la lingua prima ancora del contrattacco – una ponderata ginocchiata allo stomaco.
«Ti distruggo, Tigre del cazzo…» sibilò, afferrando quello stesso ginocchio per spingerlo all’indietro e farlo cadere al suolo dopo qualche istante di tentato equilibrio.
Battendo la testa, l’urto lo destabilizzò un po’, ma non sufficientemente da tirarsi indietro; per questo, vedendolo tanto vicino a sé, lo prese per il viso come aveva fatto lui all’inizio dello scontro e gli diede una sonora botta con la fronte per sentirlo gemere forte.
«Prima dovrai pulire il ring dai tuoi sputi», soffiò, sentendosi girare la testa e provando a sollevarsi sui gomiti con scarsi risultati. «Se ci tieni così tanto a fottere qualcuno, ti consiglio di farti meno giri nei bassifondi…» ringhiò allora, trovando un briciolo di energia per sollevarsi sulle ginocchia e afferrare l’altro per i capelli «… altrimenti ti rovini quel bel faccino da lampadato che ti ritrovi, Pantera
«Non mi faccio le lampade», sibilò furioso, colpendolo alla sprovvista all’altezza del collo per farlo cadere di nuovo al suolo con un tonfo secco. «Sei un coglione, Tigre
La vista gli si appannò, mentre le urla nella sala prendevano a levarsi verso l’alto. Quello era uno dei momenti in cui la Pantera avrebbe preferito dormire un po’, risvegliandosi alla scoperta di un mondo diverso, dove i sogni erano realtà e la realtà solo un sogno; eppure, i sensi che vacillavano tanto, erano quasi in procinto di abbandonarlo e lo sapeva bene – se lo sentiva addosso, sottopelle, nelle vene!
«Non sono un coglione…» borbottò il rosso, portandosi una mano alla testa e tenendo gli occhi chiusi per far sorridere compiaciuta la Pantera che, in un moto d’euforia, si voltò verso l’arbitro credendosi vincente; allorché, senza nemmeno accorgersene, cadde a sua volta sul ring imperlato di sudore e sangue.
«Che cazzo significa?» Chiese una voce da lontano, sormontando tutte le altre per poi arrivare più vicina all’arbitro. «Non conti, adesso? Il primo che si alza in piedi ha vinto, dai!» La folla parve incentivare la sua tesi e un coro prese a tifare le due controparti, librandosi al di là del pollaio.
«Uno», prese a contare dubbioso il tizio, avvicinandosi alla rete per battere i colpi. «Due. Tre. Quattro.»
«Pantera!» La gran parte degli ospiti di quello strambo club non propriamente tale, prese a chiamarlo forte, battendo i piedi e le mani per riscuoterlo. «Alzati, Pantera
«Cinque. Sei. Sette.»
Neppure un cenno da uno dei due: erano al suolo, svenuti, con il petto ansante e le vene ancora ingrossate dalla tensione, mentre il sudore gli scendeva a fiotti dalla fronte e dalla nuca, incanalandosi nei pressi del setto e scivolando lungo le espressioni paradossalmente rilassate.
«Tigre, alza il culo!» Gridò il tipo che l’aveva quasi presentato, aggrappandosi alla rete in un magro tentativo di avere la meglio. «Ho giocato i miei soldi su di te, Tigre
«Col cazzo che si alza lo straniero», schioccò una voce alla sua destra, facendogli aggrottare le sopracciglia con fare contrariato.
«Otto.»
«Chiudi quella fogna, stronzo.»
E la lotta non era più sul ring, ma oltre lo stesso, fra la folla, in una fibrillazione da dieci, mentre l’arbitro gridava ancora il penultimo numero:
«Nove!»
Agli sgoccioli, con il fiato corto, gli occhi si puntarono sui due lottatori svenuti e la disapprovazione sfociò in rissa.
«Dieci!»
Nessuno dei sue si alzò da terra.
Il barman saettò contro la botte di metallo, afferrando la spina per dirigerla verso l’alto, facendo in modo che lo schizzo di birra saettasse sul caos improvvisato; allorché si sentì una voce tonante che, rimbombando nelle quattro mura della sala gremita, si sprigionò dal centro di un megafono bianco:
«Le scommesse sono posposte a domani sera per un nuovo match fra la Tigre e il nostro campione in carica, la Pantera!» Il fischio dell’altoparlante gettò un po’ di scompiglio, tanto che molti scontenti rimasero con il fiato sospeso nel vedere avanzare quel tipo verso il ring – indossava un rigoroso completo color notte, non poteva essere uno qualunque. «I foglietti delle scommesse sono numerati e catalogati, perciò non aspettatevi una contraffazione: neppure in questo posto è possibile infrangere le regole!» Il silenzio regnò sovrano, mentre perfino la zuffa esterna al perimetro del ring parve placarsi sotto lo sguardo del nuovo arrivato. «Domani sera, le due bestie saranno pronte per un nuovo incontro e la posta in gioco sarà doppia!» Gridò ancora, facendosi ben sentire da tutti. «Chi non ha scommesso potrà scommettere anche domani, perciò il montepremi sarà più sostanzioso!»
«Quello è il capo?» Borbottò sottovoce qualcuno, mentre il barman si limitava a ghignare soddisfatto.
«Decisamente», soffiò tra sé e sé, osservando il nuovo arrivato con compiacimento, mentre quello, nel centro della gabbia, faceva cenno all’arbitro di controllare le pulsazioni cardiache di entrambi i lottatori affinché venisse data conferma della sua certezza.
«Domani si terrà il match», fece il tipo in questione, lasciando che il capo si allontanasse di lì così come era arrivato, incurante di tutto.
«Svegliateli in qualche modo e portateli fuori di qui…» avvisò, raggiungendo il barman «… abbiamo poco tempo per rientrare con altre scommesse minori e sei sfidanti nel retro», ordinò spicciolo, posando il megafono sul bancone per poi imboccare l’uscita del locale.

 
つづ
 
Cosa succederà al risveglio delle due bestie? E chi è la misteriosa figura che gestisce il locale di scommesse clandestine? Potrete rispondere a queste e ad altre domande che vi siete posti con dei commenti, via mp o via Facebook – per i più timidi che mi conoscono e non si palesano qui; perciò non lasciatemi sulle spine, la storia siete voi ~
Oh, sembra uno spot pubblicitario, LOL *rool*
xoxo
   
 
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