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Autore: Il Pavone e la Piantana    26/08/2014    2 recensioni
Junior e Willow sono i figli di una nuova Panem, nata sulle ceneri dei caduti e sulle cicatrici di una libertà pagata con il sangue. Sono i figli della rinascita e del dolore, della promessa di un nuovo futuro e dei fantasmi del passato, spesso talmente oscuri da adombrare perfino il giallo brillante della speranza.
«Credevo fosse normale...» Dico, in un sussurro. Mi sembra brutto dirlo a voce troppo alta, come se lo rendesse più reale.
«Ma è normale. Esattamente come te». Risponde, fredda, con un'espressione seria sul viso. Perché io sono come lei, sono il figlio di eroi di guerra che portano sulle loro spalle i dolori del passato, rendendo le nostre vite più difficili di quelle di chiunque altro.
[…]
Mi allungo nell'erba, strofinando lente le braccia lungo i fianchi, fingendo di essere di nuovo una bambina che disegna con il proprio calore una ghiandaia nella neve fresca. Ma non c'è neve da raccogliere, qui. Solo cocci, gusci vuoti di conchiglie e un listello di legno che ormai suona solo note stonate.

{Fa parte della serie Colors. || Fanfiction fortemente psicologica che tratta in modo esplicito alcune patologie psichiche}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Cresta-Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Colors.'
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III.




Sento urlare il mio nome, in lontananza. Voce di bambina, che ormai conosco bene. Mi fermo, voltandomi indietro. I capelli scuri, sciolti ed ancora bagnati, sbattono sulla sua schiena mentre corre in mia direzione.
«Che vuoi?» Chiedo, burbero. Non capisco perché debba venirmi dietro così, sto soltanto andando a casa, dovrebbe rimanere con zia Johanna invece di corrermi dietro per motivi a me sconosciuti.
Riprende fiato, guardandosi intorno, preoccupata. Si mordicchia il labbro inferiore, poi torna a guardarmi, fiera e sicura.
«Ti ho offeso in qualche modo?» Sgrano gli occhi, sorpreso da quella domanda. Non so nemmeno cosa risponderle perché la bimba non ha fatto nulla che potesse essere scambiata per un'offesa. «No... perché altrimenti chiederò scusa, ma lo farò soltanto se mi chiederai scusa tu». Smette di parlare, aspettandosi che cominci a parlare io, ma sbuffo, dandole le spalle. «Non sono una mocciosa, io. Sono Willow». Riprendo a camminare, ignorandola, ma mi raggiunge, mettendosi al mio fianco. Non riesco a nascondere un sorriso, pensando a come le assomigli. Ma zia Katniss ha cresciuto un po' anche me, e so essere testardo anche io, forse lo sono proprio perché l'ho vista in lei e continuo a camminare, a passo veloce, soltanto per cercare di darle fastidio visto che deve aumentare il passo per reggere il mio.
«Non ti chiederò scusa se non lo fai prima tu». Dice, ancora, smorzando il silenzio che si era andato creando.
«Quindi? Dovrebbe interessarmi?»
Si volta verso di me e inarca le sopracciglia. «Papà mi ha detto che è importante scusarsi se si è in torto o se si fa qualcosa di male. E se ho fatto qualcosa di male a te, allora sì. Dovrebbero interessarti le mie scuse, come a me interessano le tue perché mi hai offeso con quel mocciosa». Spiega, gesticolando animatamente con le mani senza un vero motivo.
«Tuo padre è stupido».
«Mio papà è il migliore del mondo!» Quasi urla, offesa per davvero dalle mie parole. «E non puoi parlare di mio papà. Chiedi scusa! Mio papà è perfetto e mi vuole bene e tu non puoi capire perché non hai un papà, ma non puoi offendere il mio. Papà non ha fatto niente!» Mi sono fermato anche io, quando l'ha fatto lei. Osservo i suoi occhi lucidi, le mani strette in pugno e mi rendo conto che tra poco, con tutta probabilità, si metterà a piangere. Mocciosa. Piangere perché ho soltanto detto la verità riguardo il marito della zia. Mi ha portato via Katniss, ecco cosa ha fatto. Ha fatto sì che mi lasciasse, nello stesso modo in cui mi ha lasciato mia madre, quando ho cominciato ad assomigliare troppo a lui, al mio di padre. Quello che non ho, che non ho mai avuto.
Serro la mandibola, sentendo i denti entrare in contatto gli uni con gli altri, stringo i pugni e riprendo la mia via verso casa.
Mio padre è morto. Mi ha abbandonato ancora prima che io nascessi. È stata una sua scelta, la decisione di andare in guerra, abbandonando mia madre da sola, facendola stare male, così male che le sue scelte si ripercuoto su di me. Ed anche il marito di zia ha fatto soffrire Katniss. L'ha fatta piangere, l'ha ferita, proprio come mio padre ha ferito mia madre.
«Sei cattivo, Junior».
Mi raggiunge ancora, alzando il braccio per stringermi la mano, senza che ne capisca il motivo. Tiene la mia stretta forte tra la sua mentre continuiamo ad avanzare verso casa, ma la lascio fare, perché con la mano libera si asciuga le lacrime, perché sono stata io a farla piangere, come il biondino aveva fatto piangere la zia, come mio padre continua tuttora a far piangere la mamma. Non chiederò scusa, perché ho detto la verità.
La sento tirare su con il naso, guardare davanti a lei con sguardo severo ed alcuni occhi estranei ci fissano, domandandosi chi sia quella bambina che il figlio Odair sta tenendo per mano. «La mamma dice che è importante che mi tenga per mano con un adulto, altrimenti non lo farei, perché sei cattivo». Mi spiega, senza alzare lo sguardo e ripenso al giorno precedente, a quella stessa mattina. Quando è fuori casa, la bimba stringe sempre la mano di qualcuno. Del padre o della madre, il giorno prima. Oggi quella di Johanna.
«Non ti chiederò scusa». Rispondo, ignorando ciò che ha appena detto.
«Allora non lo farò nemmeno io».
Ascolto i nostri stessi passi, la bambina lo ha leggero, simile a quello di zia Katniss. Da cacciatrice, mi ha detto una volta, perché deve essere silenziosa nel bosco per non far scappare le prede.
Non parla più, lei, ha le sopracciglia inarcate verso il basso, non piange più e continua a stringermi la mano, senza guardarmi e ignorandomi. Se non mi avesse seguito, o se ci fosse stata zia Johanna, non sarebbe al mio fianco, ma stringerebbe la mano della zia che è più adulta della mia. Ma non sono più un bambino e sebbene la zia mi veda ancora come un ragazzino permaloso, la bambina mi vede per quel che sono. Un adulto che cerca soltanto di avanzare in questo mare senza fine. Mi spingerò così al largo che nessuno potrà più prendermi la mano e sarò da solo, con la certezza di essere abbastanza forte di non avere il bisogno di nessuno, tanto meno di una madre che mi osserva senza riconoscermi.
«E comunque non sono cattivo». Dico, sciogliendo il nodo di quel silenzio. Forse mi sono abituata a sentire la sua voce squillante nelle mie orecchie.
«Sì che lo sei». Fa spallucce, senza alzare lo sguardo verso di me. Mi dà fastidio.
«E allora tu sei una mocciosa». Rispondo, scocciato. Le hanno detto che ci si deve scusare, che deve tenere la mano di un adulto, ma non le hanno mai insegnato che quando si parla si dovrebbe guardare negli occhi l'altra persona?
Alza lo sguardo, questa volta, senza alcuna paura e con gli occhi seri di una bambina che sa il fatto suo. «Vedi?»
Mi innervosisce, questa bimba. Lo fa apposta, ad innervosirmi. «Cosa dovrei vedere?»
«Che sei cattivo, Junior. Con me. Sai che mi dà fastidio essere chiamata mocciosa, ma continui a farlo. Quindi io continuerò a dire che sei cattivo». Parla senza distogliere i suoi occhi dai miei, guardandomi dal basso, le sue dita corrono veloci, giocando senza volerlo davvero con le mie unghie, ma la lascio fare, ricordando come lo facesse anche zia Katniss, quand'ero bambino, quando mi stringeva la mano, portandomi verso la spiaggia. Cosa vedi?
Non appena saliamo nel portico, la bambina si allontana da me. Non siamo più per strada, non ha bisogno di stringere alcuna mano. Mi ero abituato a sentire le sue dita giocherellare con le mie cuticole.
«Vai a fare a doccia». Le ordino, buttandomi a peso morto sul divano. «Così ti levi il sale dalla pelle».
La bambina mi guarda con la bocca socchiusa. «Da sola?»
Sbatto le palpebre, più volte. Io alla sua età mi lavavo da solo senza problemi. «Non hai mai fatto la doccia da sola?» Chiedo, sorpreso. Come vive questa bambina? Comincio a capire perché il marito della zia fosse così determinato a lasciarla qui. Ha bisogno di supporto, la mocciosa. Ha bisogno di qualcuno che stia con lei, sempre.
Nega con la testa. «La mamma lava a me e Rye. La facciamo insieme, Junior?» Sembra quasi una preghiera, chiede di non lasciarla da sola, ma non posso fare la doccia con lei. Non voglio lavarla, né farle da babysitter.
«No. Io alla tua età la facevo da solo e nessuno mi costringe a farti da tutore. Sei grande, ormai». Spiego, abbassando lo sguardo. Quando lo disse a me, zia Johanna, ci rimasi male.
«Sei grande, ormai, Junior. Smettila di piagnucolare che vuoi la mamma. La mamma sta male e devi capirla. Smettila di fare il bambino e sii forte, come un vero uomo». La zia mi mette le mani sulle spalle, guardandomi negli occhi. Fa la faccia severa, cercando di incutermi timore. Sono una bambino grande. Sono un uomo. Devo capire la mamma. La mamma sta male.
«Vado in camera mia». Dico, scostandomi da lei e cominciando a salire le scale. Sono un bambino grande, non ho più bisogno della mamma.

«Allora aspetto zia Johanna». Sussurra, la bambina, prima di sedersi al mio fianco e circondando le ginocchia con le braccia.
«Vai a fare la doccia». Ripeto ancora, dandole una leggera spinta, per smuoverla.
«No. Aspetto zia, ho detto». Non mi guarda, nasconde il suo viso sotto i capelli ancora umidi.
«La doccia non ti mangia. Hai per caso paura, mocciosa?»
Alza di scatto la testa, trovando i miei occhi, le sue guance sono diventate rosse e scuote il viso con energia. «Non ho paura di niente, io! Ma... ho deciso di aspettare la zia, e basta. Non rompere, cattivo!» Le ho toccato un nervo scoperto che intendo continuare a stuzzicare. Non ha paura di niente, dice, eppure non riesce a stare da sola. Persino ora che siamo arrivati a casa, non si allontana da me, perché sono l'unica persona presente.
«Sei una mocciosa fifona, ecco cosa».
I suoi pugni incontrano il mio bicipite, più volte. È abbastanza forte per essere una bambina della sua età. «Sei cattivo, Junior! Sei cattivo! Sei cattivo!» Mi urla, continuando a lanciare pugni contro il mio corpo. La lascio fare per un po', fin quando mi annoio e le prendo i polsi tra le mie dita, bloccando i suoi movimenti. Singhiozza, la bambina, versando copiose lacrime lungo le guance. «Sei cattivo!» Lo sento, ora. Forse ho esagerato. «Non piangere, dai». Le dico, lasciandola andare. Le accarezzo i capelli con un palmo, proprio come zia Katniss faceva con me, quando ero piccolo e piangevo per qualcosa. «Aspettiamo zia Johanna, okay?»
Singhiozza ancora ed annuisce, chiudendosi in se stessa e nascondendo il viso tra le ginocchia. Ricordo che la zia, sulla spiaggia stava spesso in questa posizione. «La mamma dice che se ci appoggi l'orecchio senti il rumore del mare. Mamma lo fa sempre». Mi alzo, prendendo la conchiglia di mia madre dalla mensola, sento lo sguardo della bambina puntato su di me, che studia i miei movimenti e chiede che non mi allontani troppo. Torno indietro, porgendole la conchiglia.
«Portala all'orecchio». Ordino, e lei lo fa. «Lo senti il mare?» Chiedo, dopo un po'.
La bimba sgrana gli occhi annuendo. «Non è possibile!» Esclama, meravigliata. Ed io sorrido, senza nemmeno accorgermene, appoggiando una mano sulla sua testa.
«Invece è così. Si sente il rumore delle onde se porti una conchiglia all'orecchio». Affermo, facendole continuare ad ascoltare il rumore del mare.
«È bellissimo! Grazie, Junior». Sorride anche lei, ora, tra le lacrime, tenendo la conchiglia ben salda sull'orecchio. Ed io penso che sia sua e di nessun altro.
«Tienila, te la regalo». Non ci penso nemmeno, perché è davvero sua, quella conchiglia.
«Cosa? Ma è tua!» Me la porge, veloce, ma invece di prenderla, le stringo le dita.
«Ora non più».
«Sei sicuro?»
Sbuffo. «Quante volte devo dirtelo che è tua, mocciosa?» Ed invece di vedere il suo broncio per il solito soprannome, le sue labbra si schiudono e, alzandosi in piedi sul divano, mi cinge il collo, appoggiando il suo mento sulla mia spalla.
«Grazie! Grazie, Junior! La terrò con cura!» Trilla nel mio orecchio. E non mi muovo, troppo scosso da questo suo slancio di affetto dovuto ad uno stupido regalo, fatto tanto per.
«Va bene, ora staccati, mocciosa». Annuisce, allontanandosi. Si siede di nuovo e continua ad ascoltare il mare, dentro quella conchiglia, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalle onde. Stai andando al largo, bambina?
Appoggio la conchiglia sul tavolino poco distante, quando mi accorgo del suo respiro regolare, dopo essermi fatto una doccia veloce. La teneva sopra il petto, stringendola con tutte e due le mani, forse per paura di romperla o di farla cadere. Anche se è caldo, la copro con il lenzuolo che di solito utilizza mia madre la sera e la lascio continuare a sonnecchiare. Avrei voglia di fare una passeggiata fuori, andare al sole, ma so che se si dovesse svegliare senza nessuno in casa verrebbe presa dal panico. In casa mia c'è una bambina che non sa cosa significa stare da soli. Io lo so sin troppo bene, invece. Sospiro, alzando la cornetta al primo squillo, per paura che si possa svegliare.
«Junior?»
«Zia, ciao». Sorrido, sentendo la sua voce chiamarmi, come se mi potesse vedere.
«Mi passi Willow, Junior?» È preoccupata, la zia. In ansia per la sua bambina che è lontana, da sola, che non può essere lavata da lei.
«Zia, sta dormendo sul divano. Siamo stati al mare. Come è andato il viaggio?» Cerco di cambiare discorso, senza risultato.
«Senti, Junior... ora devo andare. Il viaggio è andato bene, grazie. Salutala quando si sveglia, da parte mia».
Appoggio il telefono, rendendomi conto di quanto sia stata strana durante la breve telefonata. Non sembrava nemmeno zia Katniss, se non il tono della voce che non poteva essere d'altri. Non le dirò che la madre ha chiamato non appena ha messo piede dentro casa sua, al Distretto 12. Non lo farò.
Quando la zia e mia madre tornano a casa, la bambina è ancora addormentata. «Non ha voluto fare la doccia da sola, quindi ti tocca, zia». Le dico, non appena mette piede in casa. «Ha chiamato anche zia Katniss...»
«Le hai passato Willow?» Mi domanda, appoggiando gli asciugamani nello schienale di una sedia.
«No. Dormiva».
Johanna sospira. «Bene». Mi sorride scompigliandomi i capelli. «Ora svegliamo Peeta in miniatura e facciamole la doccia. Cosa ho fatto di male per essere la balia di tutti i bambini di questo mondo?» Parla più con se stessa che con me, ma non posso fare a meno di soffermarmi a pensare al modo in cui l'ha chiamata.
«A me sembra assomigli più alla zia».
Johanna si volta, sorridendo. «Non hai mai voluto conoscere Peeta, tesoro. Willow è tutta suo padre, se non per qualche tratto della madre. Come Peeta, potrebbe vendere un pettine ai calvi».
Alzo le spalle, ignorandola. Continuo a pensare che assomigli a Katniss, se non per gli occhi azzurri del padre. Incrocio lo sguardo di mia madre, che mi osserva. «Anche tu sei tutto tuo padre, Junior». Sospira, portandosi le mani alle orecchie, perdendosi nel suo mondo.
«Che culo». E come sono entrato in cucina, esco, portandomi in giardino.
Mi siedo sull'erba del prato, osservando il cielo che comincia ad imbrunire, regalando schizzi di colori caldi contrapposti a quelli freddi dall'oceano.
«Mi piace il tramonto. Al lago mi piace tanto. Il sole colora l'acqua. Papà mi ha detto che sono i riflessi del sole e che un giorno mi insegnerà come disegnarli». La bambina si siede al mio fianco, continuando a guardare l'orizzonte.
«Hai fatto la doccia, mocciosa?»
Annuisce, abbassando di poco lo sguardo. «Con zia Johanna». Struscia i piedi sull'erba, strappandone dei ciuffi e rimaniamo in silenzio, continuando a guardare il sole scomparire all'orizzonte. La sua pancia brontola quando ci arriva al naso l'odore della cena che sta cucinando zia Johanna. «Uccellino in salsa!» Urla, correndo dentro casa ed io mi alzo, seguendola senza averne davvero la necessità.
«Non pesce?» Domando, guardando la pentola da dietro la spalla della zia.
«Peeta ci ha lasciato una prelibatezza prima di andarsene».
«È così bravo?»
«È la migliore cuoca del mondo, non l'hai letto?» Mi fa l'occhiolino, girando gli uccellini per continuarne la cottura. «Tra poco è pronto, Willow, non fare tua madre con quella pancia!»
«Ma ho fame!» Risponde lei, già seduta a tavola.
Apparecchio la tavola sedendomi vicino alla bambina, il mio solito posto, e poco dopo ci raggiunge mia madre che si siede davanti a me. Mi guarda fisso, come sempre, e scosto lo sguardo sulla zia che impreca qualcosa sul fuoco e su come Peeta ne sia un mago, al contrario di lei.
Cominciamo a mangiare, mentre la bambina continua a guardare il suo piatto, in attesa. «Mangia». Le dico, dandole una gomitata.
«Non è tagliata la carne».
«Be'? Prendi il coltello e tagliala, Willow». La zia nega con la testa, guardandola. La bambina abbassa lo sguardo, guardandosi le mani.
«Io da sola? Posso?» E continuo a pensare che se sia qui, con Johanna, con colei che mi ha fatto davvero da madre, che mi ha insegnato ad essere forte e autonomo, è perché c'è qualcosa che non va con la zia Katniss. Qualcosa che non capisco del tutto, ma che so che abbia a che fare con il suo passato.
«Certo che puoi. Forza, prendi il coltello con la destra e la forchetta con la sinistra». Le ordina. La mano della bimba trema, ma esegue. Guarda il coltello, senza sapere davvero che farne. «Ora tieni ferma la carne con la forchetta e taglia quella stupida carne. Guarda me». Zia ne taglia un pezzo dal suo piatto, per farle vedere, e la bambina prova ad imitarla, senza grande successo. Ci prova, ancora ed ancora, con gli occhi concentrati simili a quelli della madre. Ci riuscirà. Imparerà, con il tempo. «Stai andando benissimo, Willow». Afferma la zia, proseguendo a mangiare, come se nulla fosse. Il mio stomaco è invece chiuso, ormai, comprendendo davvero quali problemi si celino dietro a quella bambina così solare.
Noto i suoi occhi diventare lucidi, dopo l'ennesimo taglio fatto male. Alza lo sguardo, a volte, guardando la zia utilizzare le posate con naturalezza e cerca me, nascondendosi subito dopo dietro ai capelli sciolti. «È difficile...» Mugugna, continuando a provare.
«Hai fame, allora tagliati quella carne, altrimenti non mangi, Willow». Johanna è severa, lo è stata anche con me, quando dovevo imparare ad essere un vero uomo.
«Ma...»
«Niente ma». La blocca, fermandosi per guardarla. «Qualcuno taglia la carne a Junior o a zia Annie o a me? No. Come noi tagliamo la carne da soli, devi farlo pure tu. Quindi continua, l'uccellino è già morto, non scappa. Stiamo a tavola finché non hai tagliato tutta la carne e non avrai pulito il piatto». Fa una pausa, riprendendo in mano le posate. «La stessa cosa vale per te, Junior. Mangia tutto, invece di guardarlo, il piatto».
Annuisco, lasciandomi rimproverare come se fosse giusto. Ho diciassette anni, se volessi potrei dovrei avere la possibilità di saltare la cena, nello stesso modo in cui decido di uscire la sera, per passeggiare lungo la riva del mare.
Alla fine, la bambina riesce a tagliare l'uccellino, finendolo. Stiamo a tavola per più tempo del solito, ma nessuno di noi ha mai accennato a volersi alzare, se non per cambiare la bottiglia dell'acqua. La mocciosa si è sporcata la maglia e la salsa è arrivato sino a me, ma non me ne sono lamentato, anche perché non appena lo schizzo mi ha raggiunto, la zia ha appoggiato il suo piede sopra il mio come velata minaccia che, se avessi detto soltanto una a di troppo, mi avrebbe fatto molto più male.
Mia madre va a letto quasi subito dopo la conclusione della cena. Sparecchio la tavola, mettendo tutto dentro al lavabo, prima di venire a conoscenza che avremmo continuato la serata con un gioco da tavolo. «Sono stanco, vado a dormire». Dico, allora, sentendo soltanto la presa sul mio braccio.
«Tu gioca a... non so cosa con Willow, mentre lavo i piatti, poi tutti a letto». Mi arrendo, sedendomi davanti alla bambina con un sospiro. È taciturna, ora, e fa tutto ciò che le si dice. Credo che ci sia rimasta male, prima, quando Johanna l'ha costretta ad imparare ad usare il coltello. È per il tuo bene.
Fortunatamente la zia non ci mette tanto e la piccola viene portata nella camera negli ospiti. Quando Johanna scende, mi domanda perché fossi ancora in piedi visto che ero stanco, prima.
«Stavo pensando». Rispondo, chiudendo dentro la scatola il gioco che abbiamo fatto prima.
«Bravo, ogni tanto fa bene».
La ignoro, come ormai ho imparato a fare, continuando a domandarmi se dovrei porle quella domanda o meno.
«Spara, Junior». La zia mi capisce. È sempre stato così, ha sempre saputo se c'era qualcosa che mi turbasse, prima ancora che ne parlassi.
«Perché la bambina è qui?» Sussurro, appoggiando i gomiti sul tavolo, senza guardarla negli occhi. Perché lo so, l'ho capito, ma voglio avere la conferma, esserne sicuro al cento per cento.
«Secondo te? Credevo fossi più intelligente». Si siede davanti a me, imitando la mia postura, stringendo le dita le une con le altre.
«So che c'è qualcosa che non va».
La zia sogghigna, facendo ruotare gli occhi. «Complimenti per la deduzione, tesoro». Porta un braccio dietro la spalliera, continuando ad osservarmi, aspettando che prosegua e le parole escono da sole. Non mi ero mai soffermato a guardarla, quando venivano nel mio Distretto o quando io andavo nel 12. Non mi ero mai accorto di nulla, troppo preso da me stesso e dalla rabbia che provavo nei confronti del mondo, nei confronti di mia madre e di mio padre.
«Credevo fosse normale...» Dico, in un sussurro. Mi sembra brutto dirlo a voce troppo alta, come se lo rendesse più reale.
«Ma è normale. Esattamente come te». Risponde, fredda, con un'espressione seria sul viso. Perché io sono come lei, sono il figlio di eroi di guerra che portano sulle loro spalle i dolori del passato, rendendo le nostre vite più difficili di quelle di chiunque altro. Perché ci avete messo al mondo?
La bambina si discosta da me, essendo cresciuta in maniera differente. La zia mi ha detto di dover essere un vero uomo, di essere indipendente, perché la mamma sta male; la bimba è protetta, così tanto da risultare esagerato. Lei è normale, proprio come lo sono io.




Ringraziamenti:
Come per ogni nostra fanfiction, non possiamo esimerci dal ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine nella stesura della storia, quelle persone che, in qualche modo, hanno contribuito a rendere Aqua la storia che è, quindi i nostri ringraziamenti più sentiti vanno a:
radioactive che non solo ha creato per noi questo fantastico banner – e non ci stancheremo mai di dire che è una grafica nata – ma che ci ha promptate, aiutate, ispirate e che è la persona che più ci ha aiutate e spronate a scrivere Aqua. Questa fanfiction è anche sua;
_eco che ci ha fatto immaginare un incontro tra JJ e Will;
gabryweasley che ci ha seguite sin dall’inizio, amando Aqua tanto quanto noi. Che ci chiedeva di passarle i pezzi e li leggeva dicendoci sempre cosa ne pensasse.
Se amiamo tanto Aquamarine è anche merito loro ♥ Grazie per tutto, vi amiamo! ♥


Veniteh a fare le bolleh d'Assenzioh con noi nel gruppoh Facebook gestito dalla nostra meravigliosah famiglia disfunzionale ♥ A Panda piace fare le bolle d'assenzio [EFPfanfic]
Abbiamo apertoh anche una pagina Facebook dedicatah a questa serie, doveh potreteh farci qualsiasi domanda su questa raccoltah, seguire tutti gli aggiornamentih, salutareh Finnickinoh che ballah nella p0rn Narnia e devolvere zolletteh alla sua causah ♥ Vi aspettiamoh numerosih ♥ Colors.

   
 
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