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Autore: pIkKoLa_EmO    19/09/2008    3 recensioni
Lui portava un jeans larghissimo, una maglietta bianca ancora più larga ed una cuffia nera con sopra un cappellino bianco. I rasta biondi erano legati in una coda. Aveva un paio d’occhi nocciola che di certo non passavano inosservati. Non era male, Alex dovette ammetterlo, e se non fosse stato per quel primo incontro decisamente fuori dal comune, e per quel suo sguardo così incredibilmente presuntuoso, ci avrebbe fatto un pensierino. “Che cos’è quella faccia? Devo ricordarti che sei tu che mi sei caduta addosso. Non è mica colpa mia!” Alex sgranò gli occhi volutamente “Si che lo è, mi hai distratta” Il ragazzo fece spallucce. “Lo prenderò come un complimento” Lui la guardò in cagnesco e lei ricambiò “Non lo è” Un ultimo sguardo assassino ed entrambi tornarono sui loro passi. Ma prima di arrivare al piano sottostante Alex sentì un rumore di chiavi alle sue spalle e si voltò. 'Complimenti Alex, bel modo di socializzare col vicinato' pensò vedendo quel ragazzo entrare nell’appartamento di fronte al suo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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©©Hello!!©©

 

Eccomi con la mia terza storia a capitoli …

All’inizio, doveva essere un originale. Però mi serviva il nome per un band e per i suoi componenti, di cui uno doveva essere pervertito. Non ho una grande fantasia sui nomi, quindi ho detto: “Perché non uso i Tokio Hotel?”. Anche perché, data la mia scarsa cultura su MTV, non ci sono altre band di cui conosco i nomi dei componenti. Tra l’altro le fanfiction su di loro hanno anche un certo successo di solito (spariamo bene). Beh, questo era per precisare che da loro ho preso in prestito solo i nomi.

Prima di iniziare, vi dico le solite cose:

Questa fanfiction non è a scopo di lucro.

I Tokio Hotel non mi appartengono [per ora … muhuahahahaha].

I fatti narrati sono solo frutto della mia mente contorta.

Inoltre la protagonista non esiste realmente (la stessa cosa vale per la sua famiglia).

Io non mi rispecchio in quest’ultima.

Le parole in corsivo sono i pensieri.

Spero che questa ff abbia successo, e perché questo avvenga vi chiedo di lasciare almeno una piccola, minuscola recensione (se poi è grande non mi dispiaccio mica!) e di essere clementi con una povera ragazza inesperta.

Grazie e buona lettura.

 

.pIkKoLa.EmO.

 

 

The first rule

 

 

 

“Ma chi cazzo la produce questa merda!” lanciò una converse nera contro il muro e la guardò ricadere per terra.

 

In quel momento le risultava complicato allacciare quella maledetta scarpa, forse per via del nervosismo che aveva preso il sopravvento sulla sua mente appena si era alzata ed aveva guardato il calendario: 3 Gennaio 2009.

 

Si alzò ed iniziò a trafficare nel suo armadio rosa chiaro. O meglio, in una parte del suo sterminato armadio rosa chiaro.

 

Sterminato come quella stanza che tanto odiava, sterminato come quella casa che tanto odiava, ma di certo non come il minuscolo stato in cui viveva, il Liechtenstein.

 

“Tesoro, sbrigati o farai tardi!” la voce di sua madre interruppe la sua ricerca disperata di un paio di scarpe adatte e non complicate –secondo le sue attuali capacità- da mettere. Afferrò le prime scarpe che le capitarono sotto mano, delle ballerine, e a malincuore le indossò -le odiava-

 

Guardò il suo riflesso nello specchio lungo con uno sguardo a dir poco soddisfatto.

 

Indossava una maglia a strisce nere e rosse, una cinta a scacchi dei medesimi colori e un jeans scuro. I guanti neri borchiati e una collanina con ciondolo a teschio parevano voler dire con chiarezza ‘non mi fate incazzare’.

 

Guardò i suoi occhi azzurri e sorrise, ci aveva messo un’eternità tra kajal, ombretto nero e mascara. Per non parlare di quel ciuffo nero e rosso stirato e ristirato, che le copriva un occhio.

 

Si era tinta i capelli di nero a quindici anni, perché trovava che il biondo fosse troppo angelico per lei. Poi l’anno scorso aveva deciso di tingersi il ciuffo di rosso. Ma aveva sempre dovuto portare un frontino, perché per una come lei un ciuffo così lungo e per altro bicolore, era ‘troppo poco elegante’.

 

Ora era finalmente lei. Desiderava essere così da sempre.

 

Desiderava essere diversa. Ed in effetti lo era dalla nascita, ma lei voleva essere diversa in un altro modo, lei voleva distinguersi dall’altra gente non per via del suo cognome –che da solo poteva dire tutto della sua vita- ma per via del suo modo di essere, di fare, di vestirsi. Voleva sentirsi libera di essere se stessa.

 

Uscì di corsa dalla stanza e trovò la madre seduta su una poltrona celeste, di spalle, intenta a sorseggiare chissà che cosa da una sobria tazzina. “Dico a Jeorge di prendere l’auto?” chiese la donna, senza voltarsi.

 

Occhi verdi e capelli biondo chiaro che le arrivavano alle spalle. Sua madre non sembrava avere cinquant’anni.

 

“Non ti preoccupare, prendo un taxi” rispose la ragazza cercando di non farsi vedere dalla madre.

 

“E tu vorresti chiamare un taxi? Farlo venire qui? Hai diciannove anni e non hai ancora realizzato che non puoi chiamare un taxi? Ti rendi conto di chi sei?” la donna si voltò e la sua espressione cambiò da irritata a stupita, o meglio shockata “ma … ma … come … come ti sei conciata?”

 

“Come piace a me! E poi il taxi non lo faccio certo venire qui sotto! E nessuno mi riconoscerà, non ti preoccupare!” la ragazza era decisamente seccata.

 

“Certo, non ti riconosco nemmeno io! En-” la donna non finì di pronunciare il nome della figlia, che fu fulminata da uno sguardo di quest’ultima.

 

“Alex, mamma! Mi chiamo A-L-E-X! Non tentare più di chiamarmi con quello stupido nome che mi hai affibbiato!”

 

Alex. Era il suo nome, ossia il nome che si era scelta, perché quello vero non le andava giù. In effetti non le andava giù niente della sua vita, ed era per questo che se ne andava a Berlino, in Germania.

 

Analizzando dall’esterno la sua vita, si poteva giungere all’errata conclusione che era tutto perfetto.

 

Perché lei non era una ragazza comune, come non lo era suo padre, Hans III, principe del Liechtenstein, attualmente all’estero per chissà quali affari.

 

Esatto: principe del Liechtenstein, con la conseguenti due ville con piscina, campo da tennis e giardino con tanto di fontana al centro.

 

Una delle due residenze, la più importante ed immensa, a Vaduz, era quella in cui Alex passava la maggior parte del suo tempo, pur non volendolo.

 

Da quando aveva smesso di amare le principesse Disney -e quindi a circa quattro anni, non era fatta per queste cose- aveva deciso che quel posto non le piaceva, ma non poteva cambiare l’arredamento della sua stanza, perché, a detta di tutti, i suoi gusti erano ‘poco raffinati’, quindi aveva dovuto sopportare il letto a baldacchino e le tende ottocentesche, il tutto rigorosamente rosa o lilla. Dopotutto non era una camera estremamente principesca, ma comunque non era per niente il suo stile.

 

La donna si alzò “Ok Alex …” scandì bene il nome della figlia “e non ti affezionare a nessuno, mi raccomando, perché fra tre mesi …”

 

“Si mamma lo so: fra tre mesi torno qui, quindi non devo affezionarmi a nessuno e soprattutto non devo attirare l’attenzione dei media! Me l’hai ripetuto un milione di volte!” Alex si avvicinò alla porta.

 

“Allora … ciao” disse la madre mantenendo sempre la sua solita freddezza, ma con un velo di tristezza negli occhi.

 

“Ciao” rispose la figlia che non poté risparmiarle un sorriso.

 

“Alex!” la ragazza si sentì chiamare dalla vocina della sua sorellina Jessica, che pur avendo solo sei anni sembrava essere l’unica in grado di capirla. La piccola le venne incontro e l’abbracciò. In realtà abbracciò le sue gambe, perché oltre ad essere più o meno bassa per la sua età, le era capitata anche una sorellona alta quasi 1,80 m.

 

La ragazza arruffò i capelli biondi della sorellina “Ci vediamo tra tre mesi Jes”. La piccola senza staccarsi dall’abbraccio alzò la testa e guardò la sorella “Così sembri un vampiro! Però sei bella!”. Le due si guardarono e risero, poi Alex si staccò dall’abbraccio ed aprì la porta.

 

Prima di andare via sorrise di nuovo alla madre e alla sorella. Poi uscì e si chiuse la porta alle spalle.

 

  regola: non innamorarmi.

  regola: nessuno deve sapere chi sono.

3° regola: godersi questa breve, ma tanto sofferta libertà.

 

 

---

 

 

“Vuole una mano con i bagagli?” chiese il tassista baffuto.

 

Alex afferrò il manico del trolley nero “No, grazie, faccio da sola”.

 

Attraversò la strada portandosi dietro -con non poca fatica- i due bagagli.

 

Eccola lì, di fronte a lei: quella sarebbe stata la sua casa per tre mesi. Un palazzo piuttosto alto, situato nel quartiere più elegante di Berlino, pullulante di vip e ricconi. Il posto migliore per chi, come lei, voleva nascondersi e sentirsi normale. Perché è deducibile che in un posto del genere, gli unici poco normali erano proprio quelli normali.

 

Appoggiò le valigie al muro e prese le chiavi da una tasca della felpa nera.

 

Non sapeva nemmeno lei come Jeorge –che più che un maggiordomo era un tuttofare- avesse fatto a procurarle le chiavi ancor prima che lei arrivasse in Germania.

 

Aprì il portone.

 

Pur essendo abituata –per ovvi motivi- al lusso, Alexia non poté trattenersi dal dire tra se e se “All’anima del palazzo”.

 

 

L’androne era enorme. Alla sua sinistra c’erano le scale e di fronte a lei le due ascensori. A destra c’era un bancone piuttosto lungo, dietro al quale vi era un uomo di colore, con una giacca rossa. Sembrava più un hotel di lusso che un palazzo.

 

 

---

 

 

“Anche le ultime formalità sono stare sbrigate” la signora Shinfer si affacciò alla finestra.

 

“Bene, il mio taxi è arrivato. Queste sono le chiavi” disse porgendo le chiavi ad Alexia che, pur essendosi accorta che la donna la squadrava dalla testa ai piedi con aria di superiorità, dovette salutarla con il più falso dei sorrisi ed un cortese “Arrivederci”, al quale la donna rispose con un originalissimo “Buona giornata”.

 

Alex iniziò a guardarsi intorno. In quel momento si trovava in un salone a dir poco immenso. Alla sua destra vi era una finestra, a sinistra la porta. Dietro di lei la porta scorrevole che divideva il soggiorno dalla cucina. Davanti, un corridoio che portava alla stanza da letto, ai cui lati c’erano i due bagni.

 

Il viaggio in aereo e i minuziosi controlli in aeroporto, l’avevano sfinita, ma questo non le vietava comunque di fare un giro per le strade di Berlino.

 

Lasciò i bagagli accanto alla finestra ed uscì dall’appartamento. Un soffio di vento gelido proveniente dalla finestra del pianerottolo le scompigliò i capelli.

 

Iniziò a scendere le scale, ma era talmente sovrappensiero che non si accorse che un ragazzo andava nella direzione opposta alla sua.

 

Nel momento in cui se ne accorse, la sfortuna volle che inciampasse nel suo stesso pantalone.

 

Non si può dire che urtò contro quel ragazzo. È più corretto dire che travolse quel ragazzo.

 

“Ma che …” disse –o meglio, tentò di dire- il malcapitato.

 

Alex non aspettò un nanosecondo per alzarsi permettendo al poveretto di alzarsi.

 

La ragazza guardò il ragazzo come se fosse colpa sua. Naturalmente non lo era, ma doveva prendersela con qualcuno “Grande mi si è scucito il pantalone”.

 

I due si squadrarono e stavano per scoppiare a ridersi in faccia. Era impossibile capire chi dei due sfoggiasse l’abbigliamento più insolito.

 

Lui portava un jeans larghissimo, una maglietta bianca ancora più larga ed una cuffia nera con sopra un cappellino bianco. I rasta biondi erano legati in una coda. Aveva un paio d’occhi nocciola che di certo non passavano inosservati. Non era male, Alex dovette ammetterlo, e se non fosse stato per quel primo incontro decisamente fuori dal comune, e per quel suo sguardo così incredibilmente presuntuoso, ci avrebbe fatto un pensierino.

 

“Che cos’è quella faccia? Devo ricordarti che sei tu che mi sei caduta addosso. Non è mica colpa mia!”

 

“Si che lo è, mi hai distratta”

 

Il ragazzo fece spallucce. “Lo prenderò come un complimento”

 

“Non lo è”

 

Un ultimo sguardo assassino ed entrambi tornarono sui loro passi.

 

Ma prima di arrivare al piano sottostante Alex sentì un rumore di chiavi alle sue spalle e si voltò.

 

Complimenti Alex, bel modo di socializzare col vicinato  pensò vedendo quel ragazzo entrare nell’appartamento di fronte al suo.

 

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Ecco qui il primo capitolo! Spero vi abbia incuriosito! Ho già pronto il primo capitolo, quindi credo che aggiornerò tra non più di una settimana! Ringrazio in anticipo chiunque recensirà, o semplicemente leggerà questa storia!

1 monsone di kiss a tutti!!!!!

 

.pIkKoLa.EmO.

 

 

Lasciare 1 piccola recensione non fa mai male a nessuno e illumina la giornata di una povera scrittrice inesperta ©

  
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