Il parchetto dietro casa era
il suo rifugio. Non che in realtà avesse particolarmente bisogno di un rifugio,
semplicemente gli piaceva trascorrere il suo tempo lì. Era un posto tranquillo,
dove poteva sedersi, indisturbato, a riflettere, ascoltando musica.
Sera di inizio autunno, come
mille altre. Dopo cena, tornò in camera, per infilare un’enorme felpa azzurra
sopra la salopette di jeans. Afferrò il cappello, ci infilò dentro i suoi
lunghi capelli scuri ed il piccolo rasta ossigenato, situato alla base del
collo.
Passando davanti alla
cucina, per uscire, gettò un’occhiata a sua madre. Lei, le mani immerse
nell’acqua insaponata, interruppe il suo lavoro, ricambiando il suo sguardo.
Sorrise.
“Mami, io esco…”
“Ok, Jossie, ma torna presto
però…” rispose lei.
Annuendo col capo, si
allontanò.
Una volta all’esterno,
l’aria fresca della sera lo investì in pieno. Rabbrividendo, iniziò a correre,
per scaldarsi, verso l’entrata del parco, un piccolo corridoio di erica
rampicante. All’improvviso, una luce accecante lo avvolse.
Du bist alles
was ich bin…
Riaprii gli occhi, sbattendo
le palpebre, ritrovandomi accasciato al suolo nell’entrata del parchetto. Mi
guardai attorno. Tutto sembrava perfettamente normale. Alzai gli occhi al
cielo. Terso. Domandandomi che cosa fosse stato quel lampo di luce che, per
poco non mi aveva accecato, mi alzai, spolverandomi i vestiti.
Un paio di passi, entrai
nella zona giochi. Camminando lentamente, le mani in tasca, l’mp3 nelle
orecchie, riflettevo fra me, dirigendomi verso il mio angolino preferito, dove
si trovava la “mia” panchina. Sorrisi e mi sedetti, le gambe incrociate, la
testa e le mani che, come dotate di vita propria, seguivano il ritmo della
musica.
“Che fai ragazzino?”
Alzai lo sguardo. Sgranai
gli occhi, sorpreso. Davanti a me, quattro ragazzi che non avevo mai visto
prima, mi fissavano, gli occhi fermi sul mio volto. Deglutii, raccogliendo
tutto il mio coraggio.
“Ascolto musica, perché?!?”
domandai strafottente, cercando di mostrare più sicurezza di quella che avevo.
Uno dei quattro mi si
avvicinò, sogghignando “Non lo sai che questo è il nostro parco e che qua non
posso entrare i poppanti?” domandò.
Sbattei le palpebre,
fissandolo allibito. Passavo praticamente ogni momento libero in quel parco e
non avevo mai visto nessuno di loro in giro. Continuai a fissarlo in silenzio,
senza sapere cosa dire.
“Hai sentito cosa ho
detto?!?” chiese ancora lui, prima di voltarsi un secondo verso i suoi amici.
Sorrise. “Questo è il nostro parco, e tu non puoi stare qui, perciò levati dai
piedi!”
Sentii un calore al viso, la
rabbia che montava velocemente.
“Non vorrai mica lasciarlo
andare così, vero, Jens?” si intromise un altro ragazzo all’improvviso. Il
primo si voltò a guardarlo, il sorriso sulle labbra, come per incitarlo a
continuare “Ha infranto le regole…Tutti i ragazzini sanno che non devono
entrare nel nostro parco…La strafottenza merita una punizione, lo sai…”
concluse con voce suadente, mentre un ghigno nasceva sul suo volto.
“E dimmi…” interloquì Jens
“Tu cosa proponi, Lars?”
Il ragazzo di nome Lars si
passò velocemente la lingua sulle labbra poi mi si avvicinò “Ehi poppante! Sei
piccolo, ma scommetto che non sei così piccolo da non avere ancora il
cellulare…Se vuoi evitarti una bella lezione, ti consiglio di regalarmelo…” disse,
tendendo la mano destra verso di me.
Lo fissai esterrefatto poi,
senza nemmeno pensare, risposi “Te lo puoi scordare!”
Il volto di Lars si irrigidì
poi sorrise “Bene…io ho cercato di essere comprensivo, ma credo che in fondo,
la lezione ti servirà…”
Si voltò, gettando una
rapida occhiata agli altri, poi si tirò indietro assieme a Jens, le braccia
incrociate sul petto, mentre gli altri due, un po’ più robusti, si avvicinarono
alla panchina, le braccia protese in avanti.
Un attimo, sgranai gli
occhi, poi i miei riflessi scattarono all’improvviso. Senza rendermene conto,
ero sgusciato via, gettandomi sulla sinistra. I due, non aspettandosi quella
mossa, sbatterono le mani contro il legno della panchina. Mi voltai un secondo
ad osservarli, prima di iniziare a correre, fuori da lì.
Corsi, più veloce che
potevo. Conscio che mi stessero seguendo, continuai a correre, allontanandomi
sempre più, sperando di riuscire a seminarli. Svoltai a destra, poi percorsi
una via che sapevo mi avrebbe condotto verso il centro città. Mischiarmi alla
folla, mi sembrava il modo più intelligente di mimetizzarmi. Nel giro di un
secondo, mi trovai in mezzo ad una moltitudine di persone. Iniziando a fare lo
slalom, continuai a correre. Non avevo bisogno di voltarmi, per sapere che i
quattro mi stavano ancora inseguendo.
“E’ inutile che speri di
sfuggirci, moccioso!” urlò all’improvviso la voce di Lars, alle mie spalle.
Mordendomi le labbra,
continuai a correre finché qualcuno, uscendo all’improvviso da un bar, si
ritrovò sulla mia trattoria. Lo schivai appena in tempo ma, per colpa della
strana manovra, persi l’equilibrio. Oltretutto, l’enorme salopette che
indossavo, non mi venne in aiuto. Inciampai, cadendo di peso sull’asfalto. Il
cappello, nella caduta, mi scivolò via dal capo, rotolando a breve distanza.
Dolorante, riaprii gli
occhi. Le braccia e le ginocchia che pulsavano furiosamente. Maledizione a me,
e alla mia mania di vestirmi con abiti estremamente larghi per tentare di
passare inosservato!, imprecai mentalmente, rimettendomi in piedi a fatica.
Ci riuscii ma non abbastanza
in fretta. Un secondo dopo, i quattro mi avevano raggiunto. Lars si avventò su
di me, come un avvoltoio, afferrandomi per la maglia. Più alto di me, mi
sovrastava. Deglutii, lo sguardo fermo sul suo viso.
“Ti avevo detto che era
tutto inutile, poppante…” mi schernì, il sorriso sulle labbra “E ora dammi il
cellulare!”
“E io ti ho già detto che te
lo puoi scordare!” risposi subito io, il viso duro, deciso a non cedere a
quella prepotenza.
Il viso di Lars si irrigidì,
fissandomi con astio “Jens…” chiamò. Un attimo dopo, il suo amico si avvicinò.
Lars mi lasciò andare di botto e Jens, con tranquillità, mi spintonò, facendomi
ricadere di nuovo sull’asfalto.
Questa volta picchiai le
mani, ma mi morsi le labbra per non gemere, fingendo di non essermi fatto
nulla, mentre le lacrime mi bruciavano gli occhi.
Jens fece un passo indietro.
Lars si avvicinò di nuovo, piegandosi sopra di me, la mano destra di nuovo
tesa. “Hai cambiato idea…?” domandò, il ghigno sulle labbra “…O dobbiamo andare
avanti tutta sera? Guarda che io e i ragazzi non abbiamo fretta…”
Lo fissai un secondo, senza
sapere cosa dire, la mente concentrata solo sulle varie parti del mio corpo che
sentivo pulsare furiosamente.
“Allora?” chiese ancora, mentre
avvicinava la mano serrata al mio volto.
Deglutii, aspettandomi di
ricevere un pugno da un momento all’altro. Chiusi gli occhi.
“Stai lontano da mio
fratello!” urlò all’improvviso una voce che non avevo mai sentito prima. Riaprii
gli occhi.
Un ragazzo mi dava le
spalle, fronteggiando gli altri quattro. Lo osservai. Un paio di jeans
attillati, che mettevano in evidenza la sua estrema magrezza, ed una felpa blu,
con il cappuccio sollevato, che gli ricopriva la testa. Lo fissai interdetto,
consapevole che non conoscevo il mio salvatore.
“Pensi di farci paura, solo
perché sei più grande?” domandò Lars, fregandosi i pugni “Noi siamo quattro, tu
sei uno solo…”
Il ragazzo venuto in mio
aiuto, lasciò risuonare la sua risata di scherno “Se aveste solo un briciolo di
intelligenza, avreste paura…” iniziò “…Potreste essere anche cento, ma comunque
non torcerete un solo capello a mio fratello…” terminò con voce decisa.
Sbattei le palpebre,
domandandomi perché diavolo continuasse a dire di essere mio fratello.
Lars, di fronte a me,
sogghignò, divertito. “Come vuoi allora…” iniziò, prima di fare un cenno ad uno
dei due ragazzi più robusti “Hans…” disse, chiamandolo.
Hans si avvicinò,
massaggiandosi le nocche. Il ragazzo, davanti a me, rimase immobile.
“Vattene!” urlai io, ancora
a terra, non volendo che venisse picchiato a causa mia.
Hans si fermò, chiaramente
sorpreso da ciò che avevo detto.
“Taci, Bill” rispose il
ragazzo davanti a me, con voce dura. Sembrava più arrabbiato con me, che con i
quattro bulli.
Un secondo di silenzio. Hans
si voltò verso Lars, come in attesa di ordini. Lars annuì col capo. Il ragazzo
robusto iniziò a correre, tirando indietro il braccio destro, pronto a colpire.
“Noooo!” urlai io,
coprendomi gli occhi con le mani. Un secondo dopo, sentii che le lacrime
avevano iniziato a scorrere sul mio volto.
Tunk.
Aprii gli occhi, spaventato,
immaginandomi di vederlo a terra. Un secondo. Li sgranai, sorpreso, realizzando
che il rumore che avevo sentito era il suono del pugno di Hans che colpiva la
mano aperta dell’altro. Il volto di Hans si contrasse. Evidentemente l’altro
ragazzo stava stringendo molto la mano, facendogli male.
“Lasciami andare…” mugugnò
Hans con voce piagnucolosa.
L’altro attese un secondo,
poi lo spinse indietro, aprendo la mano. Hans barcollò per qualche passo, prima
di riuscire a riacquistare l’equilibrio poi, non appena ci riuscì, iniziò a
soffiarsi sulla mano dolorante.
Lars aggrottò le
sopracciglia, mentre Hans si metteva alle sue spalle “Stupido idiota…” mormorò,
prima di gettare un’occhiata agli altri due. Jens e l’altro ragazzo annuirono,
avvicinandosi minacciosi.
“Tom!” urlò all’improvviso
un uomo, alto due metri e largo altri due, avvicinandosi di corsa. Non appena i
quattro bulli lo videro, si scambiarono una rapida occhiata poi, in fretta, se
la diedero a gambe. Quando l’energumeno ebbe raggiunto Tom, i quattro avevano
già svoltato l’angolo.
“Tutto bene, Tom?!?” domandò
l’armadio, un po’ preoccupato.
Il ragazzo si massaggiò la
mano sinistra “Si, si…certo starei meglio se un certo idiota evitasse di
cacciarsi nei guai...dico bene, Bill?!? Sbaglio o quando te l’avevo chiesto
avevi detto che stasera saresti rimasto a casa?!? E poi perché diavolo mi hai
rubato i vestiti?!?” concluse, la voce dura, voltandosi verso di me.
Io lo fissai esterrefatto.
Lui mi osservò un secondo, poi mi parve che i suoi occhi, nascosti dietro
un’enorme paio di occhiali da sole, si spalancassero.
Continua…