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Autore: Goldenslumber14    26/08/2014    0 recensioni
"-Ma questo è un fottutissimo triangolo, e da entrambi i lati!-
-In che senso?-
-Nel senso dell'eterosessuale e dell'omosessuale!-"
Si sono conosciuti ad Amburgo, erano ancora dei ragazzi e nessuno di loro avrebbe immaginato che, quella città sporca e violenta avrebbe cambiato per sempre la loro vita. Un semplice incontro in uno strip club si rivela essere più significativo di quanto avessero pensato e l'unico ricordo di quell'incredibile storia, è una bambina: Marilyn. Non le hanno mai detto nulla su sua madre, volendo come cancellare ogni ricordo di quel periodo, ma Marilyn vuole sapere, e forse sarà proprio ricordando che John e Paul capiranno che non possono continuare a fingere.
Dal testo (Cap VIII):
"-Paul, non ho più nessuno, se adesso te ne vai anche te- Paul lo zittì. Disse che avrebbe sicuramente trovato un'altra donna e sarebbe stato felice -Si, e poi magari viviamo per sempre felici e contenti? Paul non è come una fiaba, io non sono come te! Hai trovato la donna della tua vita, la mia se n'è andata. So che in passato ho sbagliato, ma non lo rifarei, perché adesso so cosa significhi per me"
•momentaneamente sospesa•
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo XIV:

 

-1962- Liverpool- 9:20-

 

Non riusciva proprio a ricordare cosa fosse successo quella mattina, aveva solo delle visioni poco nitide e non riusciva a ricostruire interamente la vicenda.

Prima c'era stato dolore, molto dolore. Pensava di non aver mai provato una cosa simile.

Poi tutto era sparito e c'era stato il sollievo.

Finalmente ce l'aveva fatta.

Le luci dell'ospedale continuavano ad accecarla ed era costretta a chiudere gli occhi -Dov'è?- chiese ai dottori ancora nella stanza. Il più anziano si avvicinò a lei sistemandosi gli occhiali. Le mise una mano sulla spalla e sorrise -Le faccio i miei complimenti, è una bella femminuccia- disse quasi in modo paterno.

Jenn non ce la faceva più, voleva tenerla in braccio, voleva poterla vedere. Voleva toccare quello che fino a poco fa era un sogno ma che in quel momento si era trasformato in realtà.

Un'infermiera le porse il fagottino che aveva in mano. Era stranamente leggero e a Jenn non sembrava vero. Sua figlia era lì, proprio davanti a lei e già la guardava con occhi spalancati.

-Non sempre i bambini aprono subito gli occhi- disse l'infermiera vedendo il volto stupefatto di Jenn.

La bambina sorrise alla propria madre e Jenn sentì il suo cuore perdere un battito. Era vero allora che l'amore per i figli è per sempre “O forse no” pensò mentre cercava di ricordare sua madre. L'aveva abbandonata senza un motivo a quell'uomo orribile, che le aveva fatto passare un inferno.

Jenn avrebbe fatto di meglio, si sarebbe presa cura della bambina, con o senza John e Paul -Te lo prometto- le sussurrò.

 

Era da più di un'ora che il suo animo non riusciva a trovare pace. Continuava a camminare avanti e indietro per il corridoio, si sedeva per poi rialzarsi.

-Non devi essere così agitato- gli disse Paul, che a differenza sua era seduto sulla sedia pensoso. John gli si rivoltò contro -No, non devo essere agitato, sta solo nascendo mio figlio!- disse con una nota amara di ironia.

Paul si alzò e gli mise una mano sulla spalla. I loro occhi si incontrarono e per John fu una consolazione averlo accanto. Non ce l'avrebbe fatta a sopportare lo stress senza Paul.

-Vieni qui- gli disse Paul abbracciandolo. John si lasciò stringere, era preoccupato e forse anche troppo. Pensava a quel che poteva succedere se fosse andato storto qualcosa.

Avrebbe perso sia Jenn che il bambino.

Paul gli accarezzo la schiena, posando un bacio quasi impercettibile sul collo di John -Andrà tutto bene, capito?- John sospirò, sperava veramente nelle parole di Paul.

Ricordavano entrambi troppo bene quel che era successo quella mattina. Erano a casa di Jenn e si erano svegliati presto perché poi sarebbero dovuti andare agli Abbey Road Studios.

Era tutto cominciato normalmente. Si erano seduti a tavola con gli occhi che ancora si chiudevano per il sonno.

John aveva guardato Paul e si erano sorrisi entrambi, come ogni mattina. Non parlavano molto appena svegli, lasciavano che le parole si dissolvessero come il vapore del the.

La porta si era aperta ed era uscita Jenn. -'Giorno- aveva detto John girandosi verso di lei. Jenn si teneva il pancione con una mano e aveva la faccia sofferente -John- aveva cercato di dire -portami all'ospedale, ora-.

A quelle parole la tazza che Paul aveva fra le mani era caduta e si era spaccata a terra.

Poi tutto era sembrato andare più veloce. L'automobile che partiva, loro tre che arrivavano all'ospedale e poi l'attesa.

Un colpo di tosse risvegliò i due. Davanti a loro il dottore gli faceva cenno di seguirlo -La signorina Allen mi ha detto di farvi entrare- disse mentre con passo lento li conduceva nella stanza dove stava Jenn.

-Ma, ditemi...uno di voi è il padre?- i due ragazzi smentirono in fretta i dubbi del dottore. Non volevano certo che finisse in prima pagina -Lei non ha parenti qui e siamo i suoi amici più cari- spiegò Paul.

-Come immaginavo- borbottò il dottore. Si fermò davanti ad una porta con i vetri appannati e la aprì.

John vide con sollievo che Jenn stava bene. Quando lei si accorse della loro presenza non poté fare a meno di sorridere -Venite-.

I due si fecero avanti con timidezza, ancora sconvolti da quel che era accaduto.

Paul prese una sedia e si sedette accanto a Jenn -Come stai?- le prese la mano. Jenn appoggiò la testa su quella di Paul e sospirò -Sono stanca- confessò. Il parto era stato difficile per lei, e non riusciva a credere di averlo superato.

-Se vuoi riposarti non ce ne andiamo- disse subito John. Non voleva in nessun modo disturbarla, visto che aveva sofferto a causa loro.

Jenn scosse la testa, voleva che vedessero la figlia prima degli altri, ma si astenne nel dirgli che la creatura...non era un maschio.

John aveva notato fin da subito la culla ai piedi del letto e il suo sguardo continuava a cascarci sopra. Non aveva però il coraggio di prendere in braccio suo figlio, aveva paura di non esserne capace.

-John- lo risvegliò Jenn -Puoi prenderlo in braccio se vuoi- disse tranquilla. Sapeva che John aveva avuto un'infanzia difficile ed era normale che si sentisse a disagio.

John si affacciò sulla culla. Sentiva gli occhi pizzicare “Sentimentale del cazzo che non sei altro, non piangere” si disse a se stesso. Non poté restare a guardarla per troppo tempo e si girò.

-Cosa succede?- chiese Paul preoccupato dall'atteggiamento di John. Lui si voltò verso il più giovane, cercando di non piangere per la commozione -Paul...è una bambina- disse tutto d'un fiato.

-Cosa?-

-Cazzo Paul, è una bambina!-

Jenn avrebbe voluto alzarsi e prenderlo a colpi, ma in quel momento non ne era capace -Non dire queste parole davanti a lei!- disse incenerendolo con lo sguardo.

-Ah giusto, scusa-

Paul si alzò e andò davanti alla culla. Proprio lì c'era una bambina che, accortasi dei due, li guardava incuriosita con quegli occhioni grandi.

Paul non riuscì a trattenersi e la prese in braccio -Jenn...è un angelo, non può essere vera- commentò senza distogliere lo sguardo dalla piccola. Jenn sorrise vedendo l'emozione sulla faccia di entrambi -E invece è vera Paul-

John si avvicinò all'amico per poter vedere meglio sua figlia. Paul aveva ragione, era bellissima, la cosa più perfetta che avesse mai visto.

Le fece una carezza sulla testa e la bambina ridacchiò agitando le minuscole braccia.

Paul si avvicinò a John e gli diede un bacio sulla guancia -Vedi, le piaci già- disse con dolcezza.

Dopo un po' la bambina cominciò a piangere e Paul la diede immediatamente alla madre. Jenn la prese in braccio cullandola un pochino -Piccola, non piangere- sussurrò baciandole la testolina -La mamma è qui, non ti preoccupare- mise la bambina vicino a se e piano piano i singhiozzi di lei si fecero sempre più pacati, fino a sparire.

Paul diede un'occhiata a John. Rimaneva immobile a guardare la figlia, quasi fosse un miracolo che fosse nata.

Gli diede un colpetto sulla spalla e, quando ebbe attirato la sua attenzione, con un gesto del capo fece intendere a John di uscire dalla stanza.

-Jenn, ora ti lasciamo un attimo da sola. Se hai bisogno comunque noi siamo qui fuori- avvertì Paul.

Jenn annuì ritornando poi a guardare sua figlia.

Quando i due furono nuovamente fuori si guardarono allibiti. Avevano una figlia, il loro sogno si era finalmente avverato -Ci pensi? Da adesso siamo padri- disse Paul.

-Già-

John non sapeva cosa dire. L'iniziale stress era sparito, ma rimaneva ancora la paura di non farcela, di non essere in grado di fare il padre.

Fu costretto a risvegliarsi dai suoi pensieri, perché si sentì chiamare. Entrambi si girarono e videro George e Ringo correre per i corridoi ospedalieri, facendo attenzione a non travolgere nessuno.

Quando finalmente li ebbero raggiunti si fermarono per riprendere fiato. Ringo fu il primo a parlare -L'abbiamo saputo da Brian- disse mentre si appoggiava alle ginocchia -Siamo venuti subito, Brian è appena dietro di noi- continuò ansante.

John scosse la testa con un mezzo sorriso. Non sarebbero mai cambiati quei due, volevano sempre essere partecipi e a Jenn non sarebbe dispiaciuta quella visita.

-Come sta?- chiese George interessato. John gli spiegò tutto quel che era successo quella mattina, e i due rimasero col fiato sospeso finché non arrivò al momento del parto -Penso di essere stato ore e ore a camminare avanti e indietro per il corridoio, quando finalmente il dottore ci chiama-

George e Ringo annuirono all'unisono, mentre intanto si erano seduti sulle sedie -E ha quel punto abbiamo scoperto che beh...è una bambina-

-Davvero?- esultò Ringo. Paul notò che aveva già gli occhi lucidi e per un attimo gli fece tenerezza. Erano tutti grandi amici di Jenn e quindi il sentimento di sorpresa era comune a tutti loro.

John sentì una mano posarsi sulla sua spalla -Allora, com'è andata?- appena si girò riconobbe Brian -Benissimo, è una femmina-

-Ah che bella notizia. Non avrei sopportato un altro piccolo Beatle- disse in tono scherzoso.

Non avevano detto a nessuno dei tre che la bambina poteva essere di uno di loro, e avevano trovato prontamente una scusa. Se l'erano bevuta facilmente, la storiella della ex spogliarellista che durante una nottata rimane incinta senza volerlo. John soprattutto aveva paura di dire la verità, non voleva che gli altri sapessero della sua relazione con Paul...soprattutto Brian non doveva saperlo.

Ringo si avvicinò alla porta dove sapeva avrebbe trovato Jenn -Posso entrare?- chiese sottovoce a John, senza aprire. Lui per tutta risposta gli fece un cenno ed entrò al posto suo, per chiederle se voleva vedere i ragazzi.

Trovò Jenn tutta intenta nell'allattamento della bambina. Si accorse subito che qualcuno la stava fissando, e quando vide che era John alzò gli occhi al cielo -Chi poteva mai essere? Solo tu puoi entrare mentre ho un seno fuori posto- nonostante le sue parole però John restava lì a guardarla. Sembrava che le venisse naturale fare la madre, comportarsi in modo materno e occuparsi della figlia. Perché allora lui non ci riusciva?

Dalle spalle di John spuntò Ringo, che appena la vide la salutò sorridendo senza accorgersi minimamente della situazione.

-Ehm...Ringo, John, potreste uscire un momento e tornare fra un minuto? Sarei un attimino occupata- con un gesto della testa alluse alla figlia e allora Ringo non fece storie e trascinò via John.

Quando la porta si richiuse Jenn scosse la testa con rassegnazione. Sarebbe stata dura educare una figlia in quel covo di matti, ma quella sfida non la spaventava per niente, anzi. Quello era un momento di svolta per lei, il momento di riscattarsi.

Quando ebbe finito di allattare la bambina decise di farli entrare tutti e cinque, che non vedevano l'ora di vederla. Ringo si commosse nuovamente quando vide la piccola che teneva fra le braccia la sua amica -Io non ce la faccio...è troppo...piccola!-

-Vedrai quando crescerà- disse George che intanto si era avvicinato a Jenn, sedendosi sulla sedia dove poco prima si era seduto Paul. Le fece una leggera carezza e la bambina gli prese il dito, incuriosita dalla figura estranea che aveva di fronte.

Paul incrociò le braccia ascoltando Brian che faceva mille complimenti a sua figlia. Era bello vedere che quella nascita non era stata vista come un intralcio o uno sbaglio. Brian poi non avrebbe fatto pressioni, non sapendo che la bambina era o di John o di Paul.

- Ma come la chiamiamo?- chiese appunto lui. In effetti non aveva ancora un nome. Si misero tutti a pensare a un bel nome da darle. Avevano tutti idee diverse e finirono col discutere, come andavano sempre a finire le decisioni di gruppo quando si trattava dei Beatles.

-Deve essere un bel nome, perché lei è bellissima-

-Va bene, basta che non la chiami Brigitte- disse George. John gli aveva fatto la testa come un pallone con tutti i suoi commenti su Brigitte Bardot e su quanto fosse bella e perfetta e sul fatto che fosse la donna dei suoi sogni.

John sbuffò -Non sono così cretino, George-

-Avrei da ridire in proposito- commentò Paul.

-Sta zitto McCartney!-

-Smettetela voi due!- li sgridò Jenn arrabbiata. Dovevano solo scegliere un fottutissimo nome dopotutto, cosa c'era di difficile?

E poi ci fu un momento di assoluta tranquillità. Erano tutti rimasti in silenzio a pensare a qualcosa di adatto. Quel nome avrebbe finalmente dato un'identità alla bambina.

Ringo di colpo sgranò gli occhi. Aveva avuto un'idea e la reputava assolutamente geniale -Ragazzi, che ne dite di Marilyn?- con piacere vide che John, nonostante bocciasse sempre le sue idee, in quel momento si trovava d'accordo con lui.

-Si, mi piace- disse infatti. Di solito quando una cosa piaceva a John la questione era chiusa, perché niente sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.

John la prese in braccio cullandola dolcemente. Si avvicinarono tutti a lui per poterla vedere più che potevano, visto che poi avrebbero dovuto tornare a lavoro.

-Allora è deciso, ti chiamerai Marilyn, piccolo angelo- sorrise.

 

FLASH

 

John guardò davanti a se, un poco disorientato. Brian gli stava sorridendo -Ho voluto immortalare questo momento- disse come per scusarsi.

Aveva appena scattato una foto.

 

 

-Scozia- 16:10-

 

Sentiva il giradischi che gracchiava, ancora in attesa di arrivare alla prima traccia. Si lasciò cadere sul letto, ripensando a cosa era accaduto poco prima.

Jason l'aveva baciata, era impossibile anche solo da pensare, ma era successo.

Finalmente partì la prima canzone del disco che le aveva regalato. Sorrise tra se e se riconoscendola. Quell'indimenticabile inizio con la chitarra elettrica e poi, quella voce calda.

 

Only you

 

Esattamente quel che mi aspettavo” pensò mentre stringeva il cuscino, emozionatissima. Cosa sarebbe successo nei giorni seguenti? E quando sarebbe tornata a scuola, come avrebbe fatto a guardarlo senza pensare a quel che era successo quel giorno?

Non gli importava, ormai era stato fatto e non si poteva tornare indietro “E neanche vorrei”.

In quel momento le venne in mente una cosa. Aveva completamente dimenticato il regalo che le aveva fatto John.

Si mise a sedere sul letto, con i capelli scompigliati, cercando di ricordare dove l'avesse messo. Lo cercò per tutta la camera, spostando cuscini, quaderni, libri e anche le cose di Heather.

-Stavi cercando questo?-

Marilyn si girò e vide che sua sorella, affacciata alla porta, teneva in mano un pacchetto colorato. Come mai ce l'aveva lei? -Chi ti ha dato il permesso di prenderlo?- Marilyn incrociò le braccia sul petto guardandola con disapprovazione. Proprio non la sopportava quando le prendeva le cose senza chiedere.

Heather fece la sua solita faccetta innocente -Nessuno, perché? È tanto importante?- chiese. La sorella maggiore alzò gli occhi al cielo, per poi gettarsi all'inseguimento di Heather.

-Tanto non mi prendi!- le urlò mentre scendeva a perdifiato le scale. Marilyn la seguì, passando davanti alla sala.

Quel trambusto incuriosì John. Andò davanti alla porta d'ingresso, ancora aperta dopo l'arrivo delle due ragazze. Vide che Marilyn stava rincorrendo sua sorella nella neve, senza badare al freddo e al vento che la colpiva in faccia.

Un sorriso si fece largo sul suo viso. Da una parte invidiava la vita che stava facendo sotto le cure amorevoli di Paul. Lì in Scozia aveva una vera famiglia, con lui invece...

-Ragazze, tornate in casa, forza!-

La voce apparteneva a Paul, avvicinatosi anche lui all'uscio da cui entravano le folate di vento. Aveva dipinto sul volto un sorriso, sereno, come se tutto stesse finalmente andando per il verso giusto.

Poco prima infatti John gli aveva detto che sarebbe volentieri rimasto, Yoko avrebbe capito.

Marilyn aumentò la velocità e riuscì ad acciuffare Heather. Lei, ancora intenta a ridere, cedette il regalo.

La maggiore sbuffando la lasciò andare, tornando in casa. Guardò sorpresa John; Yoko se n'era andata e trovava strano che non fosse con lei. Ricordava quando l'aveva incontrata per la prima volta: erano tutti in studio e John gliel'aveva presentata. Paul non era affatto contento della sua presenza lì, ma invece a Marilyn non era affatto dispiaciuto. Si comportava in modo materno con lei.

-Ma perché non sei con Yoko?-

-Ho deciso di rimanere ancora per un po'. Non ci siamo visti per molto tempo, e pensavo- non riuscì a terminare la frase che Marilyn lo abbracciò di nuovo, come per ringraziarlo per quello che stava facendo.

John la lasciò salire in camera, rimanendo nuovamente solo con Paul. Gli occhi verdi di lui riuscivano a trasmettere solo gioia. Non avrebbe voluto nient'altro in quel momento.

Solo John, e lui era lì.

La voce di Linda li riscosse entrambi. Quando la donna si accorse che l'unico rimasto era John, capì subito che si sarebbe trattenuto lì più giorni -Ti preparo la solita camera?- chiese con un sorriso luminoso.

-Non c'è bisogno, faccio pure da solo- cercò di fermare la moglie dell'amico, che però era già corsa a prendere le coperte pulite al piano di sopra.

Paul scosse la testa, nessuno poteva fermare Linda se aveva qualcosa in mente.

Intanto Marilyn era tornata nella sua stanza, badando a chiudere la porta a chiave. Non voleva che Heather entrasse per rubarle altro tempo prezioso.

Scartò con delicatezza il regalo. Era un album fotografico dalla copertina beige, con sopra un'etichetta anch'essa marroncina che diceva “Il trio”.

Aprì l'album e vide subito che in prima pagina c'era una foto che ritraeva sua madre, sempre in ospedale, con una bambina in braccio. In quella foto Jenn era felicissima, e Marilyn quasi si commosse.

Nelle pagine dopo, c'erano le foto di loro tre nell'appartamento, oppure durante le registrazione a Abbey Road. Le foto non erano state messe in ordine cronologico, perché John faceva sempre confusione con le date.

Si soffermò su una foto, tipo a metà dell'album. Erano entrambi sul divano che guardavano la televisione. Paul appoggiava la testa sulla spalla di John, mentre entrambi si tenevano per mano.

Da una parte lo trovava strano, non era abituata a vederli come coppia, ma da un'altra...era quasi familiare, quell'immagine.

Chiuse l'album fotografico e cercò nella camera un luogo dove nasconderlo. Sospirò delusa, ogni luogo non era lontanamente sicuro dagli occhi indiscreti della sorella. Non voleva che sapesse del segreto di John e Paul.

Lo studio di suo padre poteva essere abbastanza sicuro. Lì dentro ci entrava solo Paul ed era pieno di scatole polverose che nessuno apriva da tanto tempo. Non avrebbe certo dato nell'occhio una in più.

Guardò sotto al suo letto in cerca di una scatola vuota. C'era proprio di tutto là sotto, dalle scarpe alle foto con le amiche che non guardava da quando era iniziato il nuovo anno.

Infine trovò il contenitore che cercava e vi infilò l'album fotografico. Andò ad aprire la porta e con passi leggeri si diresse nello studio di Paul.

Dentro vi era una luce biancastra che dava a quella stanza un'aria innaturale “Come se il tempo si fosse fermato” si ritrovò a pensare la ragazza.

In effetti aveva ragione, su tutte le pareti erano appese foto, articoli di giornale, addirittura fogliettini con sopra le scalette dei concerti passati. Paul adorava tenere quelle cose, gli ricordavano i bei tempi.

Mise la scatola insieme a delle altre nello spazio sotto la libreria e rimase lì a fissare ancora quella bellissima stanza. Riconobbe un disegno che gli aveva fatto quando era piccola. Raffigurava quattro tipi vestiti tutti uguali che si tenevano per mano e la scritta sopra di loro diceva “La mia famiglia”.

Marilyn sorrise guardando quei disegni sgangherati, che però avevano reso felicissimo suo padre, che aveva deciso di tenerli.

La porta si aprì di scatto e fece sussultare la ragazza -Cosa ci fai qui?- chiese appunto Paul essendo entrato.

-Niente, davo solo un'occhiata alle foto-

Sul viso di Paul si formò un sorriso dolce e comprensivo. Lo faceva spesso anche lui.

Si sedette accanto a sua figlia accogliendola in un caldo abbraccio. In quella stanza c'era tutta la sua vita, ma stranamente nessuna foto di Jenn, neanche una delle tante lettere che gli scriveva quando era fuori per i tour.

La porta si aprì nuovamente -Fate le riunioni familiari senza di me?- al suono di quella domanda padre e figlia si girarono. Il viso di John sbucava dalla porta e li guardava con uno sguardo divertito.

-Ma come ti viene in mente? Non si potrebbe mai escludere John Lennon da un evento così importante- lo canzonò Paul.

Senza aggiungere altro e sempre col sorriso sulle labbra, John si sedette accanto al più giovane. Appoggiò lo sguardo su Marilyn e le accarezzò i morbidi capelli.

-Hai aperto il tuo regalo?-

Marilyn annuì, ma non aggiunse altro. Non ne capiva il motivo, ma una parte di se non voleva che Paul venisse a sapere dell'album fotografico.

A quanto pare neanche John, perché non disse nient'altro a riguardo.

A Paul dava noia tutto quel silenzio e la presenza di John, così vicino a lui, lo stava rendendo nervoso -Forse è meglio andare...-

Dallo sguardo del suo amico, John capì subito che si sentiva a disagio e preferì fare come diceva. Così uscirono tutti dallo studio e mentre Marilyn ritornava in camera sua, i due si avviarono verso la camera degli ospiti.

-Immagino che tu non ti sia portato dei vestiti dietro- suppose il più giovane aprendo la porta della camera, ormai diventata familiare a John.

Quest'ultimo si stravaccò immediatamente sul letto appena rifatto -In effetti no- ammise. Non era nei suoi piani rimanere lì per qualche giorno.

-Ma non ti dispiace vero?-

-No, no. Anzi-

John alzò un sopracciglio -Cosa?- aveva capito benissimo che quell'anzi nascondeva dentro di se un significato più profondo.

Paul si girò prima che l'altro potesse accorgersi del rossore che si faceva spazio sulle sue guance, con la scusa che andava a prendere i vestiti per lui.

John ridacchiò mentre lo guardava andarsene in fretta e furia “Non imparerà mai a fingere con me” pensò mentre chiudeva gli occhi.

Sapeva che avrebbe dovuto chiarire una volta per tutte con Paul. Vedeva fin troppo bene che il loro rapporto era incerto sull'amicizia e sull'amore e doveva porre una fine a quell'oscillare.

Quando ci saremo chiariti tornerà tutto alla normalità” continuava a ripetersi, ma una piccola parte di lui non era del tutto convinta. Si era finalmente conciliato con Yoko, ma continuava a ripensare a quelle notti passate con Paul.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri, doveva smetterla una volta per tutte o non sarebbe mai riuscito a dimenticare Paul “E se non lo volessi?”.

I suoi pensieri vennero interrotti proprio da Paul, che era rientrato con una pila di vestiti.

-John, te li metto nell'armadio va bene?-

Lui annuì rimanendo con gli occhi chiusi. Sentì che Paul si sedeva accanto a lui sul letto. Il suo sguardo si posò sulla mano di John, così vicinina alla sua. Sarebbe bastato un minimo movimento per poterle unire e Paul non voleva altro che un contatto, ma...aveva paura che John avesse già cambiato idea, che per lui fosse già tutto finito.

John si alzò improvvisamente, interrompendo così il corso dei pensieri di Paul. Si diresse verso l'armadio e prese la camicia che gli avrebbe prestato il suo amico.

La osservò, centimetro per centimetro, tastando il morbido tessuto -Non mi dire- commentò girandosi verso di Paul -Questa la usavi quando eri nei Beatles-

Era vero. Sembrava impossibile che John potesse ricordare quei piccoli particolari e non gli album e le canzoni che aveva scritto lui stesso.

-Si è quella-

Paul si avvicinò al più grande tenendo le mani nelle tasche dei jeans. I loro sguardi si incrociarono. Paul vedeva dentro agli occhi di John tutta la storia dei Beatles, le risate, i divertimenti, ma anche i litigi e tutti quei piccoli motivi che li avevano indotti la non sentirsi per lungo tempo.

Abbiamo litigato come bambini. È durato così tanto che non mi ricordo nemmeno perché litigavamo”

-Una domanda John, come mai ti ricordi queste cose?- in effetti era strano, ma lo era anche John, del resto. Imprevedibile, lo era sempre stato, e forse era stata quell'imprevedibilità, quella certezza che John fosse qualcosa di più che il John Lennon orgoglioso e stronzo, che aveva attratto Paul.

Sul viso di John sbucò un lieve sorriso -Forse tu non te ne accorgevi Paul, ma...ti osservavo molto-

-Dici sul serio?-

-Sì, cercavo di imprimere nel mio cervello tutto di te. Ogni piccolo gesto, la tua camminata, i tuoi occhi, la tua voce-

Paul si chiese come non avesse fatto ad accorgersi di tutto questo. Per molti anni avevano condiviso tutto, ma proprio tutto, e mai si era accorto delle piccole attenzioni che gli riservava John.

Paul fece di tutto per non arrossire -Ma perché lo facevi?-

Quella domanda sembrò mettere in difficoltà John. Ma si ricompose subito rispondendo -Sindrome di abbandono-

Paul si mise a ridere e gli diede una pacca scherzosa sulla spalla. Non la smetteva mai di scherzare.

John si levò senza nessun preavviso la maglietta, lasciando il più giovane di stucco. -Vediamo un po' se sono dimagrito- disse provandosi la camicia.

John, non dovevi farlo, non dovevi, non dovevi” il bassista cercava in ogni modo di mantenersi calmo. Ma ora che aveva John davanti a se, con il petto scoperto, non riusciva più ad essere razionale. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo.

John era la sua unica debolezza.

Non riuscendo più a resistere, avendo aspettato anche troppo tempo, si avventò su John sbattendolo alla parete. Senza aspettare neanche un secondo di più, appoggiò le labbra su quelle di John.

Quest'ultimo sgranò gli occhi, non aspettandosi una reazione del genere da parte dell'amico, ma non ci mise molto a schiudere le sue labbra per il desiderio di approfondire quel bacio.

I baci di Paul si spostarono sul suo collo, mentre con le mani gli accarezzava il petto caldo.

John gli prese la testa fra le mani -Paul, non possiamo- gli sussurrò, ma l'altro si liberò dalla sua presa, tornando a baciarlo. John allora lo tenne lontano con un braccio -Dico sul serio Paul-

Paul abbassò lo sguardo e appoggiò la testa sulla spalla di John -Ma non ce la faccio, non lo capisci? Neanche volendo potrei stare senza di te-

John lo strinse a se. In quei mesi aveva sentito maledettamente la sua mancanza, non riusciva a dormire col pensiero di averlo lontano.

Qualcosa doveva pur significare no?

-Ti prego- sussurrò Paul -Almeno per adesso, possiamo far finta di non aver nessuna famiglia a cui fare da padre?-

La voce di Paul aveva una nota triste e John non sarebbe riuscito, per nessuna ragione al mondo, a negargli questo desiderio.

Si sedette sul letto, stringendo tra le sue braccia il corpo di Paul, che mai come allora era sembrato più delicato e fragile.

Paul sentiva il calore della mano di John, che si intrecciava con la sua. L'incastro era semplicemente perfetto, come se fossero nati apposta per prendersi per mano.

Peccato che a volte il destino fa strani scherzi. Perché in quel momento non potevano tenersi per mani, ne amarsi come una normale coppia.

Il bassista chiuse gli occhi appoggiano la testa su quella del compagno. Sarebbe rimasto lì per tutta la vita se glielo avessero permesso.

-È incredibile- disse a quel punto John.

-Cosa è incredibile?-

-Che più cerchiamo di allontanarci l'uno dall'altro, più ci avviciniamo-

Paul sospirò -Forse perché la verità è che non possiamo stare lontani-

-Si, forse hai ragione- disse l'altro baciandogli il collo amorevolmente.

A quel punto rimasero entrambi in silenzio. Forse pensavano ad una possibile vita insieme, a cosa sarebbe potuto succedere.

Forse dovevano finirla una volta per tutte, ma sembrava impossibile anche solo da immaginare.

-Paul-

-Sì John?-

-Penso di aver finalmente trovato la chiave di tutta questa storia-

A quelle parole il più giovane si alzò, guardandolo aspettando che continuasse. Aveva paura che dicesse che non lo amava, che dovevano tornare a fare i bravi mariti e a prendersi cura della famiglia.

Non voleva. No. Assolutamente no.

Anche John si alzò e gli prese le mani, cercando di rassicurarlo -Ho capito perché ho fatto lo stronzo con tutte le donne che ho avuto, perché Yoko mi ha lasciato, perché non ho dormito in questi ultimi mesi, perché ho esagerato portando agli estremi il mio corpo, perché mi sono sentito vuoto e senza uno scopo nella vita-

Si fermò. Era una pausa ad effetto, tipiche di John, ma stavano facendo morire d'ansia il povero Paul.

-All'inizio pensavo che fosse per Yoko. Era la mia anima gemella, mi aveva aiutato a capire molte cose su me stesso e mi aveva aiutato, così trovandomi senza di lei ero come...perso-

Paul abbassò gli occhi, puntandoli in un punto indefinito del parquet. John gli rialzò il viso, tenendo il suo mento tra l'indice e il pollice. I loro occhi si incrociarono, quelli insicuri di Paul e quelli calmi di John.

-Ma poi ho capito che ero perso fin dall'inizio e che mi sentivo vuoto perché mancava una parte essenziale del cuore. E quella parte ce l'hai tu-

Paul scosse la testa. Non era vero.

Volse le spalle a John andando verso la porta -La verità è che tu, John, ti sei innamorato da un'altra persona...non avevi più bisogno di me- faceva male ammetterlo ma era vero.

Era vero come il litigio che li aveva separati la prima volta. Poi John aveva conosciuto Yoko e se ne era innamorato alla follia.

John lo raggiunse e lo costrinse a girarsi -Esattamente Paul. Mi sono innamorato di Yoko, perché non volevo avere costantemente bisogno di te-

Quel discorso cominciava a diventare complicato, e a Paul girava la testa. Ma John non sembrava essersene accorto e continuava col suo soliloquio.

-Sono una persona molto orgogliosa, tu lo sai, e non volevo ammettere nemmeno a me stesso che sentivo follemente la tua mancanza fin dal primo giorno che ho smesso di essere la tua metà-

Paul non riusciva a credere a quelle parole. Sembrava del tutto impossibile, ma era dannatamente bello quel che John gli stava dicendo e volle credergli -Dici sul serio?-

-Vuoi altre prove?-

Paul congiunse le mani dietro al collo di John -Si-

Sul viso del più grande comparve un sorrisetto malizioso, sapendo dove voleva arrivare il suo compagno.

Eliminarono definitivamente le distanze tra i loro visi, unendo le loro labbra in un altro magico e travolgente bacio.


Angolo Autrice:
Eccomi qui, dopo un sacco di tempo, con un altro capitoletto.
Che dire, ho deciso di unire i nostri due amanti preferiti (devo dire che era l'ora, in effetti).
Per adesso tutto sembra scorrere liscio, visto che il capitolo ci lascia con una bella immagine. Ma cosa succederà nel prossimo?
Non faccio spoiler, quindi per adesso...a voi i commenti :)

With Love

Goldenslumber14

  
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