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Autore: SenzaFiato    26/08/2014    1 recensioni
La pelle lattea e il corpo snello, i capelli neri come la notte a incorniciarle l’ovale del viso, scendendo lungo la schiena scoperta in morbidi ricci, le braccia lunghe e flessuose, i piedi piccoli e scalzi. Sentendosi forse osservata la donna alzò gli occhi e li puntò verso di lui. Uno sguardo fugace, l’ombra di un sorriso e l’indice sulle labbra rosse ad intimargli di fare silenzio. Poi si voltò e scomparve, lasciando Massimiliano incredulo e disorientato. Aveva sognato o cosa?
[La storia partecipa a Il Contest dei Cliché indetto da Exoticue]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 La cour des miracles
Con lo spettacolo
ICEANDFIRE
Dal 31Luglio 2014

Massimiliano accartocciò malamente il volantino in cui spiccava  accanto alle poche righe di presentazione l’immagine di una funambola immersa  nel buio, uno chignon a tenerle legati i lunghi capelli bruni, gli occhi chiusi e le braccia aperte, come se volasse.
Foto suggestiva ma incapace di impressionare il ragazzo che alla soglia dei trent’anni aveva lasciato i sogni da bambino chiusi, o meglio, sigillati in un cassetto, e con essi i ricordi della sua infanzia, un periodo felice che sembrava lontano anni e anni luce da ora. Tuttavia, quando la sua nipotina, preda di una curiosità bruciante tipica della sua età, gli strappò di mano il depliant e qualche secondo dopo alzò il capo sfoggiando il suo irresistibile broncio, capì che non c’era altro da fare che arrendersi. In fondo, era il suo unico, e quindi preferito, zio.

 

«Due biglietti, per favore».
Eccolo lì, in mezzo a un’orda di bambini esagitati e adulti annoiati – mal di testa, a fine serata, assicurato –, a spendere trenta euro a testa per lo spettacolo che prometteva “Emozioni intense in un’atmosfera da sogno”, come recitava il pannello affisso sopra il botteghino, al di fuori del tendone a strisce blu e argento che avrebbe di lì a poco ospitato lo show.
Ripreso il resto, si allontanò dalla fila che si snodava per svariati metri nel buio serale, e aspettò insieme a Susie che i cancelli venissero aperti. Erano le 20 in punto, mancava poco all’inizio, e il cerchio alla testa iniziava a far male .
Odio il caos.
«Zio, zio» gli strattonò il braccio Susie. «Guarda, laggiù c’è una fata!»
La fantasia di Susie cresceva velocemente,  alimentata giorno dopo giorno dalle tante fiabe che Massimiliano stesso le aveva regalato, prendendosi per primo l’impegno di leggerle ogni sera, alle nove in punto, a voce alta, per accompagnarla nel mondo dei sogni e insegnarle il potere segreto dei libri; questa volta, però, dovette ricredersi e dar peso alle sue parole, perché la donna che era comparsa vicino all’inferriata, ancora non del tutto illuminata ma rischiarata dalla luce fioca del crepuscolo, aveva l’aspetto di un essere etereo, e lui per la prima volta abbandonò i panni di Narratore di fortuna per vestire quelli di  Protagonista d’eccezione. La pelle lattea e il corpo snello, i capelli neri come la notte a incorniciarle l’ovale del viso, scendendo lungo la schiena scoperta in morbidi ricci, le braccia lunghe e flessuose, i piedi piccoli e scalzi. Sentendosi forse osservata la donna alzò gli occhi e li puntò verso di lui. Uno sguardo fugace, l’ombra di un sorriso e l’indice sulle labbra rosse ad intimargli di fare silenzio. Poi si voltò e scomparve, lasciando Massimiliano incredulo e disorientato. Aveva sognato o cosa?

 

 

«Ladies and Gentlemen, La cour des miracles vi dà il benvenuto a quello che sarà il miglior spettacolo della stagione!»
Modesto, il ragazzo, pensò Massimiliano osservando il presentatore all'angolo dello spiazzo impugnare con forza il microfono. Era vestito di tutto punto, indossando un impeccabile frac – giacca a doppio petto blu, a richiamare il colore dei tendaggi, pantaloni neri come il farfallino, e panciotto rigorosamente bianco, come la camicia – completato dal cilindro in testa, che da perfetto gentiluomo si era levato in un breve inchino verso il pubblico, che applaudì entusiasta.
Dopo i ringraziamenti di rito e la presentazione del programma serale, concluse sorridendo così: «Prima di congedarmi, invito ciascuno di voi a lasciarsi andare per assistere a ogni performance con l’ingenuità e purezza di un bambino. Buona serata!».
Mentre l’eco degli applausi riecheggiava ancora nel salone, il buio calò improvvisamente e tra le tribune che ospitavano gli spettatori scese il silenzio. La bolla nella quale erano caduti i presenti scoppiò quando un urlo gutturale squarciò il silenzio, calamitando l’attenzione verso il fondo dell’area in cui stavano entrando, uno dietro l’altro, giocolieri intenti a lanciare e riprendere torce infuocate. Ebbe così inizio la spettacolo, in un’alternanza di colori, musiche e attrezzi, dalle classiche palline agli affascinanti cigar box, scatole rettangolari da scagliare in aria e poi riprendere con movimenti acrobatici, alternando esibizioni divertenti con diaboli fosforescenti e performance emozionanti che combinavano la danza con la giocoleria in toccanti passi a due.
Furono molti i numeri capaci di entusiasmarlo – uno fra tutti, quello del mimo Ugo, così  diceva l’iscrizione sul suo didietro, alle prese con un’automobile rotta –  e di commuoverlo – la giovane contorsionista travestita da bambola, piegata, agitata e trasportata come fosse un essere inanimato e infine rinchiusa in una minuscola scatola, come un’inutile pezza vecchia, lo aveva toccato particolarmente  –, ma soltanto uno, soltanto il suo, riuscì a imprimersi nella memoria del ragazzo in modo permanente.
«Wow… è bellissima!» affermò Susie, con un sorriso a trentadue denti. E Massimiliano non poté che condividere. Più che una fata, era una sirena incantatrice, pensò osservandola entrare quasi in punta di piedi, i capelli legati in uno chignon alto, il volto leggermente truccato nei toni del blu, e un abito cobalto, impreziosito ai lati da lustrini argentati e in alto da veli trasparenti, a coprirla fino a metà coscia.

 

 

Dapprima, fu la sua bellezza ad attirare lo sguardo di ogni presente; ben presto, fu la magia che creava in scena con la grazia dei suoi movimenti a coinvolgere il pubblico.
Lei non camminava semplicemente su quel filo sottile: piroettava, ruotando il busto e muovendo le braccia a tempo di musica; scivolava da una parte all’altra della corda, a passo di danza; sosteneva il suo corpo sulla sola gamba destra, sollevando l’altra verso il soffitto; saltellava, creando in aria strane figure col corpo e riprendendo subito dopo l’equilibrio, quasi per magia; giocava col filo sottile sotto ai suoi piedi, aggrappandosi a esso con entrambe le mani, come fosse sul punto di cadere, usandolo come piano su cui allargare le due gambe insieme, fino a formare una sola linea, in una perfetta spaccata.
Il tutto sulle note frizzanti e irriverenti di un jazz dal sapore degli Anni Ruggenti, che soltanto un secolo prima avevano infiammato l’America. Aveva rotto ogni  regola e consuetudine sedimentata sotto secoli e secoli di pratica dei più grandi funamboli, per dare al suo spettacolo – 4 minuti e mezzo di puro splendore – una veste nuova, diversa…migliore.  E Massimiliano, al cospetto di  una simile performance, non poteva che dirsi sbigottito, incredulo. Entusiasta. Perché lui amava chi sapeva osare. E lei... l'aveva fatto grandiosamente.
Lo spettacolo proseguì, in una serie di numeri che sfidavano la gravità a colpi di salti e capriole, con trampolini altissimi, oscillando su trapezi colorati, da soli o in gruppo per creare astratte figure sospese nell’aria. Verso le dieci e trenta, mentre ascoltava un po' sovrappensiero Susie raccontargli di come avrebbe tanto voluto abbandonare casa e girovagare per il mondo come membro del circo, perché era in grado naturalmente di "leccarsi il gomito con la lingua" − ottimo inizio come contorsionista, non c'è che dire − , Massimiliano rievocava la funambola in scatti che si susseguivano uno dopo l’altro nella sua mente.  Pur essendo parte integrante − e membro fondamentale, come supponeva dall'intesa tra i vari artisti − della grande famiglia circense, celava dietro i suoi ricci scuri un mondo distante, mascherava dietro uno sguardo seducente una sofferenza latente, camuffava con un sorriso malizioso una malinconia indecifrabile. Tentando di penetrare il mistero che al momento costituiva la ragazza, quasi non si accorse di averla a qualche spanna dal proprio naso: vicino ai cancelli, dove qualche ore prima l'aveva scorta quasi per caso, stava lei, sgranocchiando una mela rossa, le gambe incrociate e i capelli sciolti liberi di fluttuarle attorno mossi dalla leggera brezza serale. Un occhiolino. Un cenno con la mano.  Furono sufficienti per accendere Massimiliano.

 

 

Non ci aveva mai creduto, ai colpi di fulmine. Insomma, come potevano due perfetti sconosciuti “riconoscersi” anime gemelle e cadere nella trappola dell’amore? Scorciatoia comoda e veloce, questa, preferibile alla tortuosa strada verso un concreto rapporto umano.
Eppure era lì, per la terza sera consecutiva, a pagare per uno spettacolo già visto, nella speranza di ricevere un segno – divino o terreno, non importava –  che desse valore ai brividi avvertiti,  sollievo ai suoi sogni infranti, forza alle illusioni della sua mente.
Scosse la testa, sfregandosi gli occhi con la mano: era semplicemente patetico, abbagliato da un misterioso angelo della notte avvolto nel blu. Ne aveva lette molte, di storie così: i due si incrociavano per caso –la condivisione di una cabina in treno, un messaggio al numero sbagliato, un incontro accidentale al bar –,  altrettanto per caso si aprivano all’altro, − perché “parlare con uno sconosciuto è semplice e naturale”, secondo le migliore etichette cinematografiche – e non così tanto per caso finivano a letto insieme.
Ne aveva lette molte, di storie così, e altrettante ne aveva scartate, durante il suo lavoro di curatore editoriale, e ogni volta che terminava di esaminarle si chiedeva come queste potessero riscuotere un così grande successo tra i lettori. Ora l’aveva capito: tutti avevano bisogno di magia e tutti la cercavano nel grigiore della quotidianità, e cosa si avvicinava di più a un sortilegio di un innamoramento a prima vista?
Tuttavia, mentre la osservava rapito danzare, la lunga coda di cavallo oscillante sulla scia dei suoi movimenti, e poi dileguarsi dalla scena, tra gli applausi del pubblico,  un’ombra scura attraversò i suoi pensieri: la consapevolezza che la maggior parte dei colpi di fulmine si esauriva in brevi acquazzoni estivi.

 

 

Era pronto. Assolutamente pronto. E allora perché gli tremavano le mani al solo pensiero? “Uomo senza palle” avrebbe asserito suo fratello Andrea, che non mancava di sottolineare quanto la sua vita fosse diventata banale nell’ultimo periodo: lavoro-casa, casa-lavoro, a volte persino lavoro-a-casa, quando leggeva fino a notte fonda manoscritti per analizzarli, valutarli e spesso scartarli, un impegno costante che gli aveva permesso di raggiungere a soli trent’anni una posizione di tutto rispetto come redattore editoriale in un’ottima casa editrice del Torinese e conseguentemente ottenere un buono stipendio. Tuttavia non gli bastava più. Voleva osare, dar la caccia alla Balena Bianca sul Pequod, combattere nell’Esercito di Silente, imbarcarsi alla volta della Tortuga con il Corsaro Nero…
« Esci subito!»
…o semplicemente introdursi in un camerino privato, per lasciare un regalo alla misteriosa funambola, che adesso lo stava fissando brandendo una clavetta come arrangiata arma di difesa.
Tuttavia, quando osservò meglio il ragazzo, rilassò le spalle e sorrise. «Sei stalker di fila C» disse, con voce incerta e un italiano impreciso.
«Che fai qui?»
Già, che ci faceva qui?
Massimiliano si guardò intorno, catturando qualche dettaglio dell’ambiente circostante – la foto di un bambino appesa allo specchio, le scarpette usate in scena accanto alla porta, un beautycase su una toilette – e lo riportò su di lei, che imperterrita continuava a fissarlo.
«Volevo darti questi fiori» chiarì porgendogli un mazzetto di camelie.  
«Per me?»
«Per te.»
Silenzio.
«E perché?» riprese lei senza battere ciglio.
«Perché... sei molto brava» farfugliò preso contropiede. Originale, davvero originale.
La risposta non la convinse – e in effetti non convinse nemmeno lui - e perciò gli si avvicinò alzandosi sulle punte. «Riconosco chi non dice verità» sussurrò al suo orecchio. Poi si ritrasse e come se niente fosse gli porse la mano sorridendo sincera. «Io sono Dana. E tu?»

 

 

«Mass …massimì…è difficile!» sputò frustrata.
Dana stava tentando da qualche giorno di pronunciare il suo nome e ogni tentativo fallito sfociava inevitabilmente negli sbuffi della ragazza– e nelle risata sincera del sopracitato M-A-S-S-I-M-I-L-I-A-N-O. Dopo il loro bizzarro primo incontro, si erano dati appuntamento fuori dal circo un po’ prima delle undici per rientrare poi un po’ prima di mezzanotte.  In perfetta tradizione fiabesca.
La prima sera si recarono in un pub.  Capì che era stata una pessima idea quando Dana chiese al barista un bicchiere di latte. “Rinforza le ossa”, era stata la sua risposta.
Allora, la portò al McDonald’s. E scoprì che era una delle poche ventenni – si, aveva soltanto vent’anni –a non aver mai assaggiato uno dei Grandi Classici, che dieci minuti dopo aveva rigettato nel parcheggio.
Senza nutrire grandi speranze, le propose una passeggiata per le vie del centro storico. E incredibilmente lei si divertì molto, scorrazzando tra una strada e l’altra, dondolando sulle altalene del parco cittadino, strafogandosi di gelato al puffo con smarties colorati , che aveva scoperto,  grazie a lui,  essere il suo gusto preferito.
«Te l’ho detto, i miei amici mi chiamano Massi. Non serve usare il nome per intero!» assicurò il ragazzo.
«I nomi sono importanti» lo bloccò lei «e meritano rispetto.»
Si fissarono decisi gareggiando a chi cedeva prima. Dopo poco, Massimiliano sbuffò e si rilassò sulla panchina di fronte alla Chiesa di Santa Giulia a Torino. Ne avrebbero avuto per un bel po’.
Dana sorrise e continuò ostinata: «Massimil…»
Era un osso duro, 45 kg di cocciutaggine e bravura. Aveva imparato a conoscerla, Massimiliano, durante i loro brevi incontri, a distinguere il suo profumo – dolce e fiorato – e il suono della sua risata – lieve e roca – , a rispettare i suoi silenzi riguardo al passato che aveva vissuto e il futuro nebuloso che le si prospettava, a cogliere le inflessioni della sua voce che tendeva a divenire un sussurro quando l’argomento non le era gradito e uno strillo acuto quando mentiva…
«Massimìlian… cavolo!»
… e a sperimentare la sua testa dura.

 

 

 

Sulle prime, ci fu solo il sentore.

«Io piaccio a te» esordì Dana con uno strano luccichio negli occhi. Erano al loro quinto appuntamento.
«Ma non è vero» negò prontamente lui, tentando di eludere il suo sguardo indagatore.
«Sì che è vero» replicò fissandolo attenta.
«E su quale basi fondi queste strampalate idee?»
«Lo sento.»
Poi, fu un reciproco prendersi in giro…
«Sei proprio una bambina! » affermò ridacchiando.
Erano nella roulotte dove alloggiava Dana e Massimiliano aveva appena scovato il peluche con cui la ragazza era solita andare a letto e da cui non si staccava neanche morta.
«Non sono io che dormo con luce accesa per paura di buio » ribatté piccata incrociando le braccia sul petto. Ieri Massimiliano le aveva raccontato di questa sua abitudine puerile.
«Ehi, era un segreto! » protestò fintamente indignato, per poi scoppiare a ridere di nuovo.
«Anche Harap Alb lo è» asserì afferrando il coniglietto grigio che il ragazzo stringeva nella mano destra, il cui nome rimandava a una delle favole della sua infanzia.

Condividere esperienze.

«Che cos’è?» chiese incuriosita osservando il display luminoso e la tastiera su cui Massimiliano stava digitando.
«Un notebook» rispose senza guardarla.
«E a cosa serve questo… notebook?» continuò lei affascinata. 
«A tantissime cose! Puoi comporre testi, riempire tabelle, elaborare dati e numeri, introdurre immagini e ascoltare musica… » spiegò lui elencando le numerose funzioni del computer «ma noi lo useremo per guardare una puntata di Once Upon a Time.»
In fondo, stavano vivendo una favola.

Aprirsi all’altro. 

«Sono scappata da Romania quando avevo 12 anni» iniziò Dana, lo sguardo perso e gli occhi un po’ lucidi. «Vivevo in roulette piccola, in un campo molto grande, con altri come noi. Mia madre era sempre in giro, mio padre beveva e basta, beveva tanto, e io stavo con nonna Paula. Lei mi ha insegnato ogni cosa. Quando morì, cambiò tutto: era inverno e faceva freddo, moltissimo freddo, ma non così… tanto quanto? si dice così ? freddo che pativo dentro me… insomma, ero sola e spaventata, e andai via.»
Trattenne il respiro, come se il ricordo di quei giorni le togliesse fiato ed energia e stette in silenzio.
«È stata dura» riprese poi «non sapevo dove andare, cosa fare, come… sopravvivere, e tutti allontanavano me… ma ce l’ho fatta »concluse con un sospiro.
E in quel momento  Massimiliano capì quanto la solitudine l’avesse segnata in quegli anni, quanto quei rifiuti – da parte dei genitori, per primi – l’avessero ferita, quelle parole cattive –  “sporca zingara”, tra tutte – trafitta giorno dopo giorno come frecce incessanti, e come avesse imparato a leccarsi le ferite da sola, a furia di incassare colpi.
«Pochi mesi dopo, circo è arrivato in mio quartiere» continuò Dana. « La cour des miracles, diceva il volantino. E in effetti, è stato mio miracolo personale» aggiunse sorridendo.
«Be’, il resto lo sai.»
La miseria ti priva di bisogni primari essenziali, e nel suo caso lo stato di indigenza era una cifra caratterizzante la sua vita – l’aveva inteso, Massimiliano, nei loro appuntamenti serali, in cui le offriva una parte di mondo a lei preclusa –, ma le umiliazioni subite le avevano strappato via ogni brandello di dignità. E lì, in quel circo itinerante che da lì a poco sarebbe partito alla volta di una nuova avventura, aveva trovato un punto per cominciare, un posto per cui combattere, un luogo a cui appartenere.
«Già, il resto lo so.»

E infine, qualcosa di più.

«Non ho baciato nessuno mai.»
«Cosa?»
Rischiarata dalla luna che scintillava nel cielo sopra di loro, Dana aveva un aspetto etereo: il volto impregnato dalla nebbia, il vapore acqueo depositatosi tra le ciglia scure, le labbra pronunciate e gli occhi  socchiusi a guardare le stelle…
Sì, mi stavo innamorando di lei.
«Non ho baciato nessuno mai» ribadì Dana. «Tu… puoi darmi un bacio?» continuò studiandolo timidamente.
Mentre si stringeva nel cappotto bianco e puntava i suoi occhi a terra con fare imbarazzato, Massimiliano pensò che non l’aveva mai vista così fragile, neppure quando aveva svelato parte del tormento che si portava dietro come un marchio indelebile. Aveva paura di un suo rifiuto?
«Dovresti» si schiarì la voce a disagio « dovresti aspettare la persona giusta. Il primo bacio non si scorda mai, dicono!» scherzò un po’ per sciogliere la tensione.
«Lo so… per questo vorrei bacio tuo » replicò mordendosi le labbra. «Tu mi piaci» proseguì un po’ incerta  «sei primo ragazzo che… ascolta, che mi ascolta. Altri uomini hanno provato a… toccarmi e fare cose, e io non volevo. Erano così sporchi e mi sentivo anch’io sporca. È difficile spiegare» ammise con un sospiro.
«No, ho capito» la bloccò Massimiliano e le accarezzò la mano che teneva in grembo. «Mi piaci anche tu, Dana, mi sei piaciuta dal primo istante in cui ti ho vista. Spettacolo dopo spettacolo l’attrazione cresceva, e quella sera… mi sono introdotto nel tuo camerino perché mi avevi stregato » confessò anche lui con un sorriso. «Avrai pensato ad un maniaco!»
«Stalker di fila C» precisò ridendo. «Però tu non facevi paura. Non eri sporco… capisci? E poi, mi avevi già convinta con bugia dei “fiori”» lo canzonò Dana e lui ridacchiò pensando a quel giorno.
Erano già passate due settimane.
«Allora…»  proseguì Dana, le ginocchia vicine e gli animi più audaci
«Allora…» ripeté lui, la mano a cingerle l’ovale del viso e lo sguardo accesso.
Allora, si baciarono.






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Trascorsero le stagioni, i mesi e poi gli anni.
Massimiliano si sposò, comprò una casa in campagna ed ebbe una bimba. Poi divorziò, prese in affitto un monolocale in centro e vide sua figlia due giorni la settimana come disposto dal giudice. Dopo Dana, nessuna donna era stata abbastanza per lui e sua moglie l’aveva capito.
Spesso, sdraiato sul letto a pancia sopra, si perdeva nel bianco del soffitto, dove intravedeva riprodotti flash-back della sua vita dall’inizio fino ad ora. Come se ci fosse un proiettore difettoso, la pellicola si inceppava sempre nello stesso punto: la sera in cui lui e Dana si dissero addio.
Lui insistette per seguirla – “sono pronto a lasciare la mia casa, il mio lavoro e la mia famiglia per te”, gli disse – ma lei lo respinse con forza.
 «Non voglio essere causa di tua infelicità. Tu ami tuo lavoro e tua famiglia. Tuo posto è qui» gli disse, e dopo un ultimo bacio rientrò nella roulette. Il giorno seguente del La cour des miracles restarono soltanto vecchi volantini.
A distanza di anni, però, lui continuava a rimuginare sulla loro storia, arrivando persino a credere di essersi immaginato tutto, come fosse stata un’allucinazione partorita della sua mente.
Mentre accompagnava  al circo Paula – era il secondo nome di sua figlia in realtà, per cui Massimiliano aveva insistito tanto –, si guardò intorno sorridendo appena. Gran folla di bambini eccitati, code lunghissime al botteghino, l’aroma dei pop corn distribuiti dai venditori ambulanti: alcune cose non cambiano mai.
«Non si salutano le vecchie amiche, Massimiliano
O forse sì?

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La storia partecipa a Il Contest dei Cliché indetto da Exoticue.
Vorrei precisare alcune cose:

1) Il titolo La cour des miracles è ovviamente ripreso dal La Corte dei Miracoli di cui parla Victor Hugo in Notre-Dame de Paris, luogo di ritrovo di clandestini, vagabondi, briganti e zingari; in generale questo romanzo mi ha ispirato in vari modi, e le fattezze della protagonista Dana, un’affascinante gitana, si rifanno ad Esmeralda. In sé La cour des miracles come circo riprende l’idea del Cirque du Soleil, noto per i suoi numeri di grande valore artistico.

2)Il peluche di Dana ha il nome Harap Alb, che rimanda a una delle fiabe della tradizione rumena dello scrittore Creangă : http://en.wikipedia.org/wiki/Harap_Alb

3) In generale, le esibizioni di cui parlo sono frutto di quanto ho visto, tramite video su youtube e in live da bambina, e letto su wikipedia:
specifico che l’idea della giocoleria unita alla danza in un bellissimo passo a due è nata dalla visione di questo video https://www.youtube.com/watch?v=TQJ4Q0SdJDo ;
sottolineo l’idea del Rag Doll ossia dell’esibizione della contorsionista in cui, secondo Wikipedia, “ one or two assistants bend, shake and carry the contortionist in such a way as to convince the audience that the disguised performer is actually a limp, life-sized doll. The act often ends by stuffing the doll into a small box”;
nomino l’artista Alexandra Schmitz, a cui si ispira la protagonista Dana nelle sue esibizioni come funambola: https://www.youtube.com/channel/UC6YsxYFXb94eV5q_B1JBk7Q

4)Infine, l’italiano impreciso e scorretto di Dana è ovviamente motivato dalla nazionalità straniera.

 
Grazie per l'attenzione! Tengo molto alla storia – e chi non tiene alle sue creazioni? – e sarei felicissima di ricevere qualche parere da voi lettori.

SenzaFiato


  
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