Salve
a tutti! ^^ Una
nuova one-shot, credo piuttosto incisiva. Non aspettatevi nulla di
bello da me,
sapete che i miei lavori fanno vomitare i porci XDXD…
Comunque
lo avrete
capito che sono fissata con le lettere, no? ^^ Un’altra prova
di questa verità.
Aggiungo
che per tutto
il pomeriggio in cui ho scritto questa fic andava a palla (senza fare
tunz tunz
però XD) Matayumede Aimashou, di Miyavi… canzone
che mi ha ispirata tantissimo.
Chu
<3 Spero vi
piaccia!
{
. Dedicated alla mia figliola Black Phoenix (carly), e alla
mia Nee-chan
Gaia ^^ kisu <3 . }
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Namida
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Due
pallidi piedi
scalzi, quasi interamente coperti dai lunghi jeans, si appostarono
all’entrata
della porta.
L’unica
luce che illuminava
la stanza erano gli schermi degli enormi computer appesi e appoggiati
ovunque.
La Sala di Controllo.
L
era lì, un volto
triste, gli occhi rossi e gonfi di chi ha appena pianto.
“Watari…”
sussurrò, la
voce raschia e fioca, lo sguardo che di colpo non era più
temibile fisso sul
pavimento di marmo.
“Ryuzaki…
Cosa succede?
Hai pianto? Ti sei fatto male?Perchè sei qui?”
La
voce pacata e
gentile dell’anziano signore che lavorava lì si
tinse di preoccupazione,
osservando il viso dell’arrivato.
Si
scostò dal pc per
girarsi dalla parte di L.
Quel
ragazzo che era
quasi un figlio per lui.
“No,
è che… Ti devo
chiedere un favore.”
“Dimmi
tutto, Ryuzaki.”
L
deglutì, muovendo
lentamente un passo dopo l’altro per avvicinarsi
all’uomo, una mano prontamente
portata alle tasche dei logori pantaloni, l’altra penzolante
che stringeva un
pacchetto rettangolare, e i ciuffi color pece di capelli che gli
coprivano gli
occhi.
Quando
fu davanti alla
seggiola del vecchio, si fermò.
“Watari…
ti do due
compiti. Che non devi svolgere adesso, ma quando io… quando
io morirò.”
Gli
occhi sempre
socchiusi dell’altro si dipinsero di stupore, schiudendosi
leggermente,
lasciando intravedere due iridi azzurre che brillavano di sbigottimento
e
incredulità.
“Ryuzaki…
cosa stai
dicendo?”
L
appoggiò, tra le mani
di lui, il pacchetto rettangolare. Un dvd.
“Questo…
dovrà finire
alla squadra investigativa, quando sarò morto. Ci sono tutte
le indagini da me
svolte fino ad oggi, tutti i dati utili, … come un diario.
Credo che servirà
loro.”
Watari
osservò la
confezione nera del disco.
Fece
una smorfia, come
se non volesse accettare l’idea, ma alla fine
sbuffò un poco convinto “Va bene,
come vuoi.”
Il
ragazzo sorrise
debolmente.
Infine
L rigirò
sgraziatamente una mano all’interno dell’ampia
tasca destra dei jeans,
tirandone fuori una stropicciata busta che, ridotta com’era,
assomigliava più
ad una cartaccia.
La
piegò più volte,
riducendola ad un pacchettino di carta spiegazzata, mettendola tra le
vecchie
mani dell’uomo e stringendoci le sue dita attorno, senza
mollare la presa.
“Questa…”
mormorò
tristemente. Non riuscì subito a finire la frase.
“Questa…
tienila, ti
prego. E’… importante. Dalla… Dalla a
Yagami Light, quando io sarò…
sarò…
morto. Va bene?”
Una
lacrima bollente
scivolò giù dagli occhioni neri di L, cadendo e
frantumandosi in mille piccole
gocce sul dorso della mano di Watari, che lo osservava malinconico e
preoccupato, ma incapace di consolarlo, anche se sapeva perfettamente
il motivo
di quel pianto.
“Ryuzaki…
Sei sicuro
delle conclusioni che stai dando? Sei sicuro di fare la cosa
giusta?”
Il
ragazzo sospirò,
portandosi l’indice sotto le palpebre e asciugandosi.
“Le
conclusioni non le
faccio io, Watari. E ormai sono già state scritte.”
“Non
dire così. Il caso
non è risolto.”
“Infatti
non sarò io a
risolverlo. Roger verrà informato, alla Wammy
c’è chi può superare le mie
capacità…”
L
Tirò sul col naso,
mentre gli giungeva una piccola, docile carezza sulla guancia, da parte
del
vecchio.
“Non…
non ce la faccio
più, Watari…” mormorò, prima
di scoppiare in un doloroso pianto. Le lacrime
scendevano copiose, rigandogli il viso smunto e latteo, le labbra
sottili
arricciate in una smorfia di sofferenza. Si buttò in
ginocchio, appoggiando il
viso sulle gambe dell’altro, stringendogli la mano
più forte che poteva fino a
far male, con ancora quel pezzo di carta all’interno.
“Ryuzaki…”
“Io…
non posso finire
questa storia, capisci? Non posso essere io a concluderla…
Perché… Perché non
ne ho la forza, non ne ho la volontà… Non ne sono
in grado, e lo so perfettamente…
Io so di poter… battere Kira… ma non voglio
farlo… E un L che parla così,
perché spinto da sentimenti, è un L che
è destinato a perdere…Deve perdere!
Perciò… mi ritiro… perché
è giusto…”
Watari
accarezzò la
testa corvina del bambino che piangeva su di lui, sorridendo
docilmente,
sussurrando piano parole di conforto. “Andrà tutto
bene, Ryuzaki… Andrà tutto
bene…”
Il
ragazzo si portò
asciugò gli occhi con la manica, alzando lentamente il capo
per guardare negli
occhi l’amico, il padre, l’aiutante
“No,
Watari… Stavolta
non ci sarà lieto fine.”
L’altro
lo guardò
stupito.
“Dagli
la lettera.
Quando sarò morto, lui la deve avere.”
Watari
annuì, con
rammaricò.
“Lo
farò, Ryuzaki.”
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Light
Yagami socchiuse la porta di legno, per poi chiuderla appoggiandocisi
sopra di
schiena, e producendo un rumoroso ‘clack’ della
serratura.
I
sottili occhi color nocciola erano aperti, shoccati; una piccola
trasparente
goccia di sudore scivolava lentamente sulla tempia,tra i ciuffi di
capelli
castani; le labbra rosee, ora quasi violacee, erano semiaperte in una
smorfia
stupefatta.
Il
petto del ragazzo avanzava e indietreggiava, battendo
all’impazzata, seguendo
il ritmo che il proprio cuore decideva.
Come
un fastidioso, assordante rullo di tamburi, ma molto più
forte, più deciso, più
cattivo.
E
l’espressione del viso, di solito sempre così
perfettamente gelida, era ora
allarmata, sconcertata, ma soprattutto triste.
Triste?
Questa
era la parola giusta?
Forse
no. Forse triste non era abbastanza. Non per lui, non ora, anche se per
quei
suoi 19 anni non era riuscito a provare mai un sentimento che lo
prendesse
tanto da star male e metterlo psicologicamente sotto shock come quello.
Disperato.
Questo era il termine esatto.
Yagami
Light era disperato.
“E’
tutto finito…”
La
voce, che di solito era talmente perfetta da sembrare finta,
né troppo dolce né
troppo amara, era ora così profonda e sottile da non
sentirsi neppure, come un
flebile sussurro carico di tutte le lacrime che una cascata poteva
contenere.
Le
labbra gli tremavano in maniera quasi convulsa, come scosse da brividi
irrefrenabili che però, a contrario delle altre volte, era
il cuore e non la
mente a procurargli.
“E’
tutto… finito…”
Una
lacrima. Una sola piccola lacrima lucente, che scivolava veloce
giù dall’occhio
sinistro, rigando la gota pallidissima, con lacerante amarezza.
In
un secondo, la lacrima cadde, sospesa dall’aria, per finire a
bagnare la
moquette grigia della stanza.
Light
si passò un dito sulla guancia, scontrandosi con la scia
bagnata dalla goccia,
e osservandola sbigottito, quasi terrorizzato da essa.
“L…
è… morto…”
Una
dopo l’altra, disordinate e velocissime, centinaia di altre
piccole lacrime
seguirono la prima, come un fiume in piena, riducendo il viso latteo
del
ragazzo ad un volto rosso e tremante, fradicio di pianto.
“Ryuzaki…
è… morto…!”
Alzò
debolmente le mani, osservandosi i palmi sudati col terrore negli
occhi, e
accasciandosi maggiormente al muro.
Le
mani assassine, rivestite dell’immaginario sangue che avevano
sparso. Ecco
cos’erano.
“Ed
io… Sono stato io… a…
a…”
Altre
irriverenti gocce d’acqua salata scivolarono giù
dal mento appena
preannunciato, da quell’ovale di viso perfetto, che sembrava
rispettasse il
canone greco.
I
sottili occhi ambrati sembrava sputassero fuoco, o piuttosto venissero
divorati
dalle proprie stesse fiamme, così perduti, così
tristi… Così consci del fatto
che era stata fatta la cosa sbagliata, anche se fin troppo giusta per i
propri
ideali…
Un
flebile, basso singhiozzo vibrò tra le corde vocali,
producendo un suono grave
e malinconico.
“Io
l’ho ucciso… Io… Con queste…
mani…”
Altro
singhiozzo. E un altro. E uno ancora.
E
lacrime, pianti, in fila uno per uno… Così
disperatamente forti da produrre un
canto, una sconosciuta musica bella ma malinconica… no,
molto di più…
struggente, inconsolabile.
Un
grido strozzato. Senza parole, senza senso compiuto… solo
una personificazione
sonora della sofferenza più acuta. E ancora grida, urla,
strilli tremendi e
disperati…
“Non
gli ho nemmeno detto addio…”
Light
si lasciò cadere, scivolando appoggiato di schiena alla
porta, finendo giù fino
al pavimento, per piangere disperatamente con il viso nascosto tra le
ginocchia.
Non
riusciva a pensare. Non riusciva, o forse non voleva…
L’unica
cosa che voleva in quel momento era sprofondare, lentamente, carico dei
propri
crimini… voleva scendere giù, toccare il fondo e
ancora più giù… talmente in
profondità che sarebbe stato impossibile risalire da quel
baratro… e spegnersi,
con ancora il viso bagnato…
Voleva
addormentarsi, per poi non risvegliarsi… smorzandosi come il
mozzicone di una
candela, e disperdersi nel silenzioso buio, una volta smesso di
illuminare.
Le
urla che sembravano non finire mai, pari al dolore, lancinante,
devastante,
infinito.
“Perché…
Perché…”
E
le sillabe gli uscivano dalle labbra smorzate, mal pronunciate, a
scaglie; non
più in quell’elegante e distaccato modo di parlare
di sempre, che mai sbagliava
intonazione, e mai errato.
“Cosa…
ho…f-fatto…”
Le
ciglia bagnate, le guancie rosse e umide.
Le
mani, che si stringevano attorno alle ginocchia, tremanti.
E
le labbra, semiaperte e inumidite, che lasciavano disperdersi straziati
sospiri
per la camera, sempre più flebili e inudibili col passare
dei minuti.
Un
secondo. Due secondi. Tre. Quattro. …
Il
tempo, piano piano, calmava il cuore di Raito e lo placava, come una
dolce
melodia che fa addormentare un bambino inquieto.
Lasciava
nel suo petto un tranquillante naturale, che lo facesse star meglio,
addolcendolo e calmandolo.
Passarono
mezz’ore. Forse anche di più.
Minuto
dopo minuto, inesorabilmente.
E
la sofferenza si faceva più silenziosa e caparbia,
più contenuta.
Quasi
orgogliosa.
…
La
luna piena, circondata da un velo color pece che ricopriva il cielo,
mostrava
che era notte tarda a Tokyo, capitale del Giappone. Ma, nonostante
quella
caotica città non si fermasse mai, in quella stanza regnava
assoluto silenzio,
una quiete strana che aveva ammansito lentamente le acque, che aveva
tranquillizzato e risistemato il caos emotivo sprigionato tra quelle
mura.
La
quiete dopo la tempesta? Può darsi…
Di
tanto in tanto, a riempire il pressante buio della camera e il suo
pietrificante silenzio, ci pensava un gemito tormentato che proveniva
dalla
bocca, amara, del ragazzo.
E
Light era lì, immobile, a piangere tacitamente, a
singhiozzare piano,
addolorato.
Come
un bambino terrorizzato, durante un temporale.
E
qualche volta, pronunciava frasi scomposte e tristi.
“Faccio
schifo…” “Non
dovevo…” “Mi
dispiace…”
Ma
quando il buio divenne troppo, e la tranquillità si
trasformò in una assenza di
rumori che riusciva solo a farlo soffrire maggiormente, Raito
alzò la testa
appoggiata alle gambe, e si guardò intorno, spaesato,
confuso.
Con
una manica si asciugò gli occhi, e cercò di
schiarirsi la gola.
Che
ore erano? Non riusciva neanche a guardarsi
l’orologio…
Si
alzò con lentezza e fiacchezza, il corpo dolorante per il
troppo tempo seduto
in quella maniera, la mente dolorante per i troppi pensieri.
Accese
una lampada dalla luce bassa, a lato della camera. Si accecò
quasi, troppo
abituato allo scuro, finché non si abituò, e
riuscì a guardare in giro per
quella stanza spaziosa e vuota.
Era
identica, sempre la stessa.
La
disposizione dei mobili era uguale, il letto perfettamente ordinato, la
libreria con ognuno dei suoi libri in fila… la scrivania,
col suo portatile
spento,la lampada e l’agenda.
E…
Cos’era quello?
C’era
qualcosa di nuovo, nella camera. Non l’aveva notato.
Light
si avvicinò, camminando piano, verso quella che doveva
essere una busta
stropicciata appoggiata al legno di mogano del tavolo di lavoro.
La
afferrò, con delicatezza.
Era
una lettera, indubbiamente.
La
girò e la rigirò, ma senza trovare nessuna
indicazione in quel pezzo di carta
stropicciato.
Finché
non vide, nascosta tra le pieghe, la scritta “Per
Light-kun” in basso a destra,
sul retro.
Il
suo cuore si bloccò.
Nessuno
lo chiamava Light-kun.
Nessuno,
tranne lui.
Gli
occhi ambrati di Raito si illuminarono, le dita cominciarono
freneticamente e
in maniera impacciata a cercare di aprire quella maledetta carta,
d’un tratto
diventata importantissima, se non essenziale, mentre il petto ritornava
a
battere forte e doloroso, dopo ore che si era quietato.
L
gli aveva lasciato una lettera.
Una
lettera.
Perché?
Perché
proprio ora? Era per dirgli addio? L sapeva?
Troppe
domande gli riempirono la testa, quando sarebbe bastato leggere e le
risposte
sarebbero arrivate da sole, semplici e limpide, scritte personalmente
dalle
mani della sua personale vittima.
Alla
fine la busta si aprì, e ne saltò fuori un foglio
leggero e sottilissimo, pieno
di scritte fitte fitte in inchiostro nero.
La
calligrafia era piccola, tutta arricciate e insolita, ma perfettamente
comprensibile.
La
scrittura di L.
La
gola del ragazzo si chiuse in un sofferente nodo, appena prese tra le
dita quel
messaggio, quel comunicato…
Aveva
paura, certo. Era triste, ovvio.
E
il dolore, che prima col silenzio si era assopito, era nuovo sveglio e
cattivo,
pronto ad attanagliarlo e prenderlo nella sua velenosa e fatale presa.
Deglutì,
e cominciò a leggere… quelle parole, troppo poche
per rispondere ad ognuno dei
suoi quesiti.
*************
“Light-kun…
Ti scrivo questa lettera per salutarti. Se la stai leggendo, significa
che sono
morto.
Non
ho idea
di quando la mia ora arriverà, penso che sia questione di
giorni, o addirittura
ore…
Ho
domandato
a Watari di consegnartela, perché dovevi averla, dovevo
poterti dire queste
cose… Cose che in due anni insieme a te non sono mai
riuscito a pronunciare, ma
che sento il bisogno di confessarti. Leggila, quindi. Accettala, anche
se ti fa
soffrire… è importante per
me.
Per
prima
cosa, Light-kun, questa lettera non è da parte di L per il
suo nemico Kira.
Qui
loro non
c’entrano nulla, il loro odio ci ha creato fin troppi
problemi…
Qui
io sono
Ryuzaki, e parlo al mio Light. Il mio migliore amico, non il mio
acerrimo
nemico.
Detto
questo, per favore…promettimi una cosa…
Quando
sarò
morto, ti prego…
Non
star
male.
Non
soffrire.
Non
ti
sentire in colpa. Hai fatto bene ad uccidermi.
Voglio
che
tu possa non dico gioire, ma vivere serenamente anche senza di
me…
Non
sono
felice di essere morto … Ma, se non altro, sono contento che
a privarmi di una
cosa materiale come la vita sia stato tu, la persona per me
più importante al
mondo.
Non
so se il
sentimento sia reciproco, ma sappilo. Sei stata la persona
più essenziale della
mia vita.
Per
questo
non devi versare neanche una lacrima per la mia morte,
perché io l’ho accolta a
braccia aperte, accettandola con tranquillità…
perciò fallo anche tu,
Light-kun. Non me ne posso andare sapendo che avermi ucciso ti
addolora… Perché
è stata la cosa giusta, il copione che dovevi eseguire e che
hai fatto in modo
perfetto.
Io
sapevo
che eri Kira. E morire è stata una mia idea ancora prima che
fosse tua.
Potevo
incastrarti, sai. Non sarebbe stato difficile testare il quaderno e
avere la
prova che il famigerato serial killer fosse Yagami Raito, studente
modello…
Ma
non l’ho
fatto.
Non
ho mai
avuto la forza di farlo.
Per tutto il tempo ho aspettato, ho rimandato, e alla fine ho lasciato
perdere.
Perché
non
sarei mai capace di incolparti, Light-kun, sapendo che dentro di te
c’è l’anima
del ragazzo che ammiro e per cui provo affetto… Per me
sarebbe più facile
ammazzarti con le mie mani, piuttosto che portarti
all’ergastolo o alla camera
della morte con l’accusa di essere il peggiore tra gli
umani…
Ma
un L che
si fa bloccare dai sentimenti non può più
rivestire la propria carica.
Capisci?
Sono morto intenzionalmente.
Non
darti
dell’assassino, Light. Tu dovevi farlo, o l’avrei
fatto io a te… E credimi,
sono di gran lunga più contento che a vivere sia tu
piuttosto che io.
Tu
devi
continuare a vivere. Non importa come, se da Dio o da uomo, ma vivi. E
senza
soffrire per me.
…
L’altra
cosa
che dovevo dirti, forse è inutile…
però sento la necessità di far in modo che
lo sapessi, prima o poi…
Light-kun,
io ti amo.
E
non come
amico, né come fratello… Io ti amo, ti amo come
ragazzo, mi sono innamorato di
te dal momento in cui ti ho visto aprire gli occhi in cella, e parlarmi
per la
prima volta con sincerità.
Ti
amo, e
sei la prima persona, e anche l’unica, per cui ho provato
questo sentimento e
in maniera tanto forte, tanto travolgente, tanto dolorosa…
Sono
stato
male per la nostra situazione, sai.
Per
tutto il
tempo ti ho amato in silenzio, senza dirti nulla, sapendo che sarebbe
stato un
errore parlartene e interferire questa cosa nella nostra
amicizia… o peggio,
nel nostro odio.
Ma
ti ho
amato, più di quanto mi credessi capace. E ti
amerò, ne sono certo, anche da
morto… Qualunque sia il posto dove i peccatori finiscono, ti
amerò anche lì…
Ricordalo,
Light-kun. Ricorda tutto di ciò che stai leggendo.
Non
ti
chiedo di non perseguire nei tuoi scopi, suppongo che ora che sono
fuori dai
piedi tu avrai campo libero per governare il Mondo…
però per favore, conserva
questa lettera. Non dimenticare queste frasi.
Continua
per
la tua strada, fai quello che devi fare.
Non
morire,
Light-kun. Voglio che tu abbia un lieto fine, che il tuo ultimo addio
lo riceva
Amane Misa quando sarete vecchi, che tu non ti perda nulla di
ciò che devi
vedere nel futuro, prossimo o lontano che sia…
E
non
dimenticarti di me, ti scongiuro…
Non
piangere, Light… Non soffrire per me, perché se
mai ti vedrò versare anche solo
una lacrima pensando a me, allora quello non te lo saprò
perdonare.
Capito?
Non
ti
perdonerò, se vivrai in modo infelice la tua vita dopo la
mia scomparsa.
Tornerò,
te
lo giuro… Non so come, non so quando, ma questo non
è un addio, piuttosto un
arrivederci…
Un
buonanotte, come quei tanti che ci davamo ogni sera quando eravamo
incatenati.
Perciò,
Buonanotte Light-kun.
Sii
felice,
e sogna solo cose belle… prima del risveglio.”
*************
Una
lacrima.
Plof.
Due,
tre, quattro, cinque… Decine di lacrime cominciarono a
bagnare il foglio di carta leggera, stretto tra le dita di una mano
tremante.
Yagami
Light era ad occhi socchiusi, mentre piangeva
silenziosamente, corrugando la fronte e cercando di fermare il pianto
con la
sola forza di volontà, ma ovviamente senza successo.
“Come
puoi… Come puoi chiedermi una cosa del genere?”
Il
ragazzo sbirciò la lettera, emettendo involontariamente un
singhiozzo straziato.
Si
vedeva chiaramente l’inchiostro sbavato su certi punti,
piccoli cerchi tondi d’acqua sulla carta che poi si erano
asciugati… Lacrime,
ancora più antiche delle sue.
“Come
puoi chiedermi… di non soffrire…?”
Non
ebbe la forza di fare altro, se non prendere febbrilmente il
foglio e piegarlo in 4 parti, per poi stringerlo al petto e cominciare,
o
continuare, a piangere spudoratamente.
Quel
pezzo di carta. Stupidissimo pezzo di carta.
Come
il quaderno. Importante come lui…
O
no?
Forse
quella lettera era anche più importante.
Forse,
mentre il Death Note sapeva portare solo infelicità,
questa portava amore…
Ma
Light scosse la testa, pensando a questo.
Se
davvero era amore che provava…
…perché
stava piangendo?
I
singhiozzi erano talmente forti e frequenti, talmente sentiti,
che non riusciva neanche a prendere il respiro e a parlare…
era perso,
completamente perso…
“Non…
non mi perdonerai, eh?”
Si
buttò in ginocchio sulla moquette del pavimento, stringendo
bene gli occhi e chiudendo i pugni, lanciando un urlo disperato.
Forte,
fortissimo, che anche se le telecamere non potevano
riprendere tutti avrebbero sentito.
Così
spietato, duro, cattivo, da infilzare quella stupida e
sbagliata quiete innaturale come una spada, una affilata katana.
“Non
mi perdoni, bastardo?!?!!”
Il
fiume di pianto che gli scorreva sul viso, con disperazione,
dolore sofferenza…
Il
suo corpo, minuto e arricciato su se stesso, così perduto e
solo, così disperato e pazzo…
Quelle
urla, che squarciavano il silenzio…
Quei
singhiozzi, che rimbombavano per Tokyo, tristemente…
“NON
MI PERDONI?!?” urlò, ancora più forte,
le corde vocali che
bruciavano come lingue di fuoco ardenti, e che nello stesso modo lo
facevano
soffrire e scoppiare…
Le
mani, strette contro il petto, stringevano la lettera con
tanta forza e brutalità da strapparla.
Appoggiata
sul cuore, che pulsava irrefrenabile, troppo forte,
troppo sofferente…
Ogni
battito, ogni respiro era un colpo di pugnale, una lama che
lo uccideva, lenta, feroce…
Si
sentiva dissanguare all’interno, Light.
Non
ne poteva più.
Era
troppo… Lui era Kira…
Non
doveva, non poteva soffrire così… Non per
L…!!
Altre
lacrime caddero e si frantumarono sul pavimento.
Le
unghie graffiavano la carta, stridendo quasi…
Un
nuovo sospiro, tragico.
…E
gli occhi del colore dell’ambra più preziosa di
schiusero,
seri e tristi, osservando un punto invisibile davanti a sé,
mentre le gocce
d’acqua salata continuavano a rigargli le guancie pallide e
smunte.
In
fondo, chi era L?
Era
la persona che amava, no?
“Sono
io che non perdono te, Ryuzaki…”
Un’ultima
lacrima, che scese lenta e placida per il volto
dell’uomo, del Dio… di Light, di Kira.
Scese
giù, per poi consumarsi e asciugarsi sul collo, ormai
fradicio di pianto.
Le
dita che tenevano la lettera si mossero, in un lento ma
avventato gesto, strappando la carta in mille strisce e pezzetti,
finché il
contenuto non diventò illeggibile.
Milioni
di coriandoli bianchi volarono per la stanza,
trasportati dal vento che entrava dalla finestra.
E
gli occhi del ragazzo si serrarono.
Con
freddezza, cattiveria, malinconia…
…
E,
quando si riaprirono, le iridi si rimpicciolirono di colpo,
assumendo l’aria più crudele che sapessero
concedersi, colorandosi di un
febbrile e diabolico rosso fuoco.
Eccolo,
il Dio del Nuovo Mondo…
Senza
alcun rimorso…
Kira
era tornato.