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Autore: Frecchan    20/09/2008    7 recensioni
Light Yagami socchiuse la porta di legno, per poi chiuderla appoggiandocisi sopra di schiena, e producendo un rumoroso ‘clack’ della serratura. I sottili occhi color nocciola erano aperti, shoccati; una piccola trasparente goccia di sudore scivolava lentamente sulla tempia,tra i ciuffi di capelli castani; le labbra rosee, ora quasi violacee, erano semiaperte in una smorfia stupefatta. L era morto.
Genere: Triste, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! ^^ Una nuova one-shot, credo piuttosto incisiva. Non aspettatevi nulla di bello da me, sapete che i miei lavori fanno vomitare i porci XDXD…

Comunque lo avrete capito che sono fissata con le lettere, no? ^^ Un’altra prova di questa verità.

Aggiungo che per tutto il pomeriggio in cui ho scritto questa fic andava a palla (senza fare tunz tunz però XD) Matayumede Aimashou, di Miyavi… canzone che mi ha ispirata tantissimo.

Chu <3 Spero vi piaccia!

{ . Dedicated alla mia figliola Black Phoenix (carly), e alla mia Nee-chan Gaia ^^ kisu <3 . }

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Namida

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Due pallidi piedi scalzi, quasi interamente coperti dai lunghi jeans, si appostarono all’entrata della porta.

L’unica luce che illuminava la stanza erano gli schermi degli enormi computer appesi e appoggiati ovunque. La Sala di Controllo.

L era lì, un volto triste, gli occhi rossi e gonfi di chi ha appena pianto.

“Watari…” sussurrò, la voce raschia e fioca, lo sguardo che di colpo non era più temibile fisso sul pavimento di marmo.

“Ryuzaki… Cosa succede? Hai pianto? Ti sei fatto male?Perchè sei qui?”

La voce pacata e gentile dell’anziano signore che lavorava lì si tinse di preoccupazione, osservando il viso dell’arrivato.

Si scostò dal pc per girarsi dalla parte di L.

Quel ragazzo che era quasi un figlio per lui.

“No, è che… Ti devo chiedere un favore.”

“Dimmi tutto, Ryuzaki.”

L deglutì, muovendo lentamente un passo dopo l’altro per avvicinarsi all’uomo, una mano prontamente portata alle tasche dei logori pantaloni, l’altra penzolante che stringeva un pacchetto rettangolare, e i ciuffi color pece di capelli che gli coprivano gli occhi.

Quando fu davanti alla seggiola del vecchio, si fermò.

“Watari… ti do due compiti. Che non devi svolgere adesso, ma quando io… quando io morirò.”

Gli occhi sempre socchiusi dell’altro si dipinsero di stupore, schiudendosi leggermente, lasciando intravedere due iridi azzurre che brillavano di sbigottimento e incredulità.

“Ryuzaki… cosa stai dicendo?”

L appoggiò, tra le mani di lui, il pacchetto rettangolare. Un dvd.

“Questo… dovrà finire alla squadra investigativa, quando sarò morto. Ci sono tutte le indagini da me svolte fino ad oggi, tutti i dati utili, … come un diario. Credo che servirà loro.”

Watari osservò la confezione nera del disco.

Fece una smorfia, come se non volesse accettare l’idea, ma alla fine sbuffò un poco convinto “Va bene, come vuoi.”

Il ragazzo sorrise debolmente.

Infine L rigirò sgraziatamente una mano all’interno dell’ampia tasca destra dei jeans, tirandone fuori una stropicciata busta che, ridotta com’era, assomigliava più ad una cartaccia.

La piegò più volte, riducendola ad un pacchettino di carta spiegazzata, mettendola tra le vecchie mani dell’uomo e stringendoci le sue dita attorno, senza mollare la presa.

“Questa…” mormorò tristemente. Non riuscì subito a finire la frase.

“Questa… tienila, ti prego. E’… importante. Dalla… Dalla a Yagami Light, quando io sarò… sarò… morto. Va bene?”

Una lacrima bollente scivolò giù dagli occhioni neri di L, cadendo e frantumandosi in mille piccole gocce sul dorso della mano di Watari, che lo osservava malinconico e preoccupato, ma incapace di consolarlo, anche se sapeva perfettamente il motivo di quel pianto.

“Ryuzaki… Sei sicuro delle conclusioni che stai dando? Sei sicuro di fare la cosa giusta?”

Il ragazzo sospirò, portandosi l’indice sotto le palpebre e asciugandosi.

“Le conclusioni non le faccio io, Watari. E ormai sono già state scritte.”

“Non dire così. Il caso non è risolto.”

“Infatti non sarò io a risolverlo. Roger verrà informato, alla Wammy c’è chi può superare le mie capacità…”

L Tirò sul col naso, mentre gli giungeva una piccola, docile carezza sulla guancia, da parte del vecchio.

“Non… non ce la faccio più, Watari…” mormorò, prima di scoppiare in un doloroso pianto. Le lacrime scendevano copiose, rigandogli il viso smunto e latteo, le labbra sottili arricciate in una smorfia di sofferenza. Si buttò in ginocchio, appoggiando il viso sulle gambe dell’altro, stringendogli la mano più forte che poteva fino a far male, con ancora quel pezzo di carta all’interno.

“Ryuzaki…”

“Io… non posso finire questa storia, capisci? Non posso essere io a concluderla… Perché… Perché non ne ho la forza, non ne ho la volontà… Non ne sono in grado, e lo so perfettamente… Io so di poter… battere Kira… ma non voglio farlo… E un L che parla così, perché spinto da sentimenti, è un L che è destinato a perdere…Deve perdere! Perciò… mi ritiro… perché è giusto…”

Watari accarezzò la testa corvina del bambino che piangeva su di lui, sorridendo docilmente, sussurrando piano parole di conforto. “Andrà tutto bene, Ryuzaki… Andrà tutto bene…”

Il ragazzo si portò asciugò gli occhi con la manica, alzando lentamente il capo per guardare negli occhi l’amico, il padre, l’aiutante

“No, Watari… Stavolta non ci sarà lieto fine.”

L’altro lo guardò stupito.

“Dagli la lettera. Quando sarò morto, lui la deve avere.”

Watari annuì, con rammaricò.

“Lo farò, Ryuzaki.”

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Light Yagami socchiuse la porta di legno, per poi chiuderla appoggiandocisi sopra di schiena, e producendo un rumoroso ‘clack’ della serratura.

I sottili occhi color nocciola erano aperti, shoccati; una piccola trasparente goccia di sudore scivolava lentamente sulla tempia,tra i ciuffi di capelli castani; le labbra rosee, ora quasi violacee, erano semiaperte in una smorfia stupefatta.

Il petto del ragazzo avanzava e indietreggiava, battendo all’impazzata, seguendo il ritmo che il proprio cuore decideva.

Come un fastidioso, assordante rullo di tamburi, ma molto più forte, più deciso, più cattivo.

E l’espressione del viso, di solito sempre così perfettamente gelida, era ora allarmata, sconcertata, ma soprattutto triste.

Triste?

Questa era la parola giusta?

Forse no. Forse triste non era abbastanza. Non per lui, non ora, anche se per quei suoi 19 anni non era riuscito a provare mai un sentimento che lo prendesse tanto da star male e metterlo psicologicamente sotto shock come quello.

Disperato. Questo era il termine esatto.

Yagami Light era disperato.

“E’ tutto finito…”

La voce, che di solito era talmente perfetta da sembrare finta, né troppo dolce né troppo amara, era ora così profonda e sottile da non sentirsi neppure, come un flebile sussurro carico di tutte le lacrime che una cascata poteva contenere.

Le labbra gli tremavano in maniera quasi convulsa, come scosse da brividi irrefrenabili che però, a contrario delle altre volte, era il cuore e non la mente a procurargli.

“E’ tutto… finito…”

Una lacrima. Una sola piccola lacrima lucente, che scivolava veloce giù dall’occhio sinistro, rigando la gota pallidissima, con lacerante amarezza.

In un secondo, la lacrima cadde, sospesa dall’aria, per finire a bagnare la moquette grigia della stanza.

Light si passò un dito sulla guancia, scontrandosi con la scia bagnata dalla goccia, e osservandola sbigottito, quasi terrorizzato da essa.

“L… è… morto…”

Una dopo l’altra, disordinate e velocissime, centinaia di altre piccole lacrime seguirono la prima, come un fiume in piena, riducendo il viso latteo del ragazzo ad un volto rosso e tremante, fradicio di pianto.

“Ryuzaki… è… morto…!”

Alzò debolmente le mani, osservandosi i palmi sudati col terrore negli occhi, e accasciandosi maggiormente al muro.

Le mani assassine, rivestite dell’immaginario sangue che avevano sparso. Ecco cos’erano.

“Ed io… Sono stato io… a… a…”

Altre irriverenti gocce d’acqua salata scivolarono giù dal mento appena preannunciato, da quell’ovale di viso perfetto, che sembrava rispettasse il canone greco.

I sottili occhi ambrati sembrava sputassero fuoco, o piuttosto venissero divorati dalle proprie stesse fiamme, così perduti, così tristi… Così consci del fatto che era stata fatta la cosa sbagliata, anche se fin troppo giusta per i propri ideali…

Un flebile, basso singhiozzo vibrò tra le corde vocali, producendo un suono grave e malinconico.

“Io l’ho ucciso… Io… Con queste… mani…”

Altro singhiozzo. E un altro. E uno ancora.

E lacrime, pianti, in fila uno per uno… Così disperatamente forti da produrre un canto, una sconosciuta musica bella ma malinconica… no, molto di più… struggente, inconsolabile.

Un grido strozzato. Senza parole, senza senso compiuto… solo una personificazione sonora della sofferenza più acuta. E ancora grida, urla, strilli tremendi e disperati…

“Non gli ho nemmeno detto addio…”

Light si lasciò cadere, scivolando appoggiato di schiena alla porta, finendo giù fino al pavimento, per piangere disperatamente con il viso nascosto tra le ginocchia.

Non riusciva a pensare. Non riusciva, o forse non voleva…

L’unica cosa che voleva in quel momento era sprofondare, lentamente, carico dei propri crimini… voleva scendere giù, toccare il fondo e ancora più giù… talmente in profondità che sarebbe stato impossibile risalire da quel baratro… e spegnersi, con ancora il viso bagnato…

Voleva addormentarsi, per poi non risvegliarsi… smorzandosi come il mozzicone di una candela, e disperdersi nel silenzioso buio, una volta smesso di illuminare.

Le urla che sembravano non finire mai, pari al dolore, lancinante, devastante, infinito.

“Perché… Perché…”

E le sillabe gli uscivano dalle labbra smorzate, mal pronunciate, a scaglie; non più in quell’elegante e distaccato modo di parlare di sempre, che mai sbagliava intonazione, e mai errato.

“Cosa… ho…f-fatto…”

Le ciglia bagnate, le guancie rosse e umide.

Le mani, che si stringevano attorno alle ginocchia, tremanti.

E le labbra, semiaperte e inumidite, che lasciavano disperdersi straziati sospiri per la camera, sempre più flebili e inudibili col passare dei minuti.

Un secondo. Due secondi. Tre. Quattro. …

Il tempo, piano piano, calmava il cuore di Raito e lo placava, come una dolce melodia che fa addormentare un bambino inquieto.

Lasciava nel suo petto un tranquillante naturale, che lo facesse star meglio, addolcendolo e calmandolo.

Passarono mezz’ore. Forse anche di più.

Minuto dopo minuto, inesorabilmente.

E la sofferenza si faceva più silenziosa e caparbia, più contenuta.

Quasi orgogliosa.

La luna piena, circondata da un velo color pece che ricopriva il cielo, mostrava che era notte tarda a Tokyo, capitale del Giappone. Ma, nonostante quella caotica città non si fermasse mai, in quella stanza regnava assoluto silenzio, una quiete strana che aveva ammansito lentamente le acque, che aveva tranquillizzato e risistemato il caos emotivo sprigionato tra quelle mura.

La quiete dopo la tempesta? Può darsi…

Di tanto in tanto, a riempire il pressante buio della camera e il suo pietrificante silenzio, ci pensava un gemito tormentato che proveniva dalla bocca, amara, del ragazzo.

E Light era lì, immobile, a piangere tacitamente, a singhiozzare piano, addolorato.

Come un bambino terrorizzato, durante un temporale.

E qualche volta, pronunciava frasi scomposte e tristi.

“Faccio schifo…” “Non dovevo…” “Mi dispiace…”

Ma quando il buio divenne troppo, e la tranquillità si trasformò in una assenza di rumori che riusciva solo a farlo soffrire maggiormente, Raito alzò la testa appoggiata alle gambe, e si guardò intorno, spaesato, confuso.

Con una manica si asciugò gli occhi, e cercò di schiarirsi la gola.

Che ore erano? Non riusciva neanche a guardarsi l’orologio…

Si alzò con lentezza e fiacchezza, il corpo dolorante per il troppo tempo seduto in quella maniera, la mente dolorante per i troppi pensieri.

Accese una lampada dalla luce bassa, a lato della camera. Si accecò quasi, troppo abituato allo scuro, finché non si abituò, e riuscì a guardare in giro per quella stanza spaziosa e vuota.

Era identica, sempre la stessa.

La disposizione dei mobili era uguale, il letto perfettamente ordinato, la libreria con ognuno dei suoi libri in fila… la scrivania, col suo portatile spento,la lampada e l’agenda.

E… Cos’era quello?

C’era qualcosa di nuovo, nella camera. Non l’aveva notato.

Light si avvicinò, camminando piano, verso quella che doveva essere una busta stropicciata appoggiata al legno di mogano del tavolo di lavoro.

La afferrò, con delicatezza.

Era una lettera, indubbiamente.

La girò e la rigirò, ma senza trovare nessuna indicazione in quel pezzo di carta stropicciato.

Finché non vide, nascosta tra le pieghe, la scritta “Per Light-kun” in basso a destra, sul retro.

Il suo cuore si bloccò.

Nessuno lo chiamava Light-kun.

Nessuno, tranne lui.

Gli occhi ambrati di Raito si illuminarono, le dita cominciarono freneticamente e in maniera impacciata a cercare di aprire quella maledetta carta, d’un tratto diventata importantissima, se non essenziale, mentre il petto ritornava a battere forte e doloroso, dopo ore che si era quietato.

L gli aveva lasciato una lettera.

Una lettera.

Perché?

Perché proprio ora? Era per dirgli addio? L sapeva?

Troppe domande gli riempirono la testa, quando sarebbe bastato leggere e le risposte sarebbero arrivate da sole, semplici e limpide, scritte personalmente dalle mani della sua personale vittima.

Alla fine la busta si aprì, e ne saltò fuori un foglio leggero e sottilissimo, pieno di scritte fitte fitte in inchiostro nero.

La calligrafia era piccola, tutta arricciate e insolita, ma perfettamente comprensibile.

La scrittura di L.

La gola del ragazzo si chiuse in un sofferente nodo, appena prese tra le dita quel messaggio, quel comunicato…

Aveva paura, certo. Era triste, ovvio.

E il dolore, che prima col silenzio si era assopito, era nuovo sveglio e cattivo, pronto ad attanagliarlo e prenderlo nella sua velenosa e fatale presa.

Deglutì, e cominciò a leggere… quelle parole, troppo poche per rispondere ad ognuno dei suoi quesiti.

*************

Light-kun… Ti scrivo questa lettera per salutarti. Se la stai leggendo, significa che sono morto.

Non ho idea di quando la mia ora arriverà, penso che sia questione di giorni, o addirittura ore…

Ho domandato a Watari di consegnartela, perché dovevi averla, dovevo poterti dire queste cose… Cose che in due anni insieme a te non sono mai riuscito a pronunciare, ma che sento il bisogno di confessarti. Leggila, quindi. Accettala, anche se ti fa soffrire… è importante per me.

Per prima cosa, Light-kun, questa lettera non è da parte di L per il suo nemico Kira.

Qui loro non c’entrano nulla, il loro odio ci ha creato fin troppi problemi…

Qui io sono Ryuzaki, e parlo al mio Light. Il mio migliore amico, non il mio acerrimo nemico.

Detto questo, per favore…promettimi una cosa…

Quando sarò morto, ti prego…

Non star male.

Non soffrire.

Non ti sentire in colpa. Hai fatto bene ad uccidermi.

Voglio che tu possa non dico gioire, ma vivere serenamente anche senza di me…

Non sono felice di essere morto … Ma, se non altro, sono contento che a privarmi di una cosa materiale come la vita sia stato tu, la persona per me più importante al mondo.

Non so se il sentimento sia reciproco, ma sappilo. Sei stata la persona più essenziale della mia vita.

Per questo non devi versare neanche una lacrima per la mia morte, perché io l’ho accolta a braccia aperte, accettandola con tranquillità… perciò fallo anche tu, Light-kun. Non me ne posso andare sapendo che avermi ucciso ti addolora… Perché è stata la cosa giusta, il copione che dovevi eseguire e che hai fatto in modo perfetto.

Io sapevo che eri Kira. E morire è stata una mia idea ancora prima che fosse tua.

Potevo incastrarti, sai. Non sarebbe stato difficile testare il quaderno e avere la prova che il famigerato serial killer fosse Yagami Raito, studente modello…

Ma non l’ho fatto.

Non ho mai avuto la forza di farlo.
Per tutto il tempo ho aspettato, ho rimandato, e alla fine ho lasciato perdere.

Perché non sarei mai capace di incolparti, Light-kun, sapendo che dentro di te c’è l’anima del ragazzo che ammiro e per cui provo affetto… Per me sarebbe più facile ammazzarti con le mie mani, piuttosto che portarti all’ergastolo o alla camera della morte con l’accusa di essere il peggiore tra gli umani…

Ma un L che si fa bloccare dai sentimenti non può più rivestire la propria carica.

Capisci? Sono morto intenzionalmente.

Non darti dell’assassino, Light. Tu dovevi farlo, o l’avrei fatto io a te… E credimi, sono di gran lunga più contento che a vivere sia tu piuttosto che io.

Tu devi continuare a vivere. Non importa come, se da Dio o da uomo, ma vivi. E senza soffrire per me.

L’altra cosa che dovevo dirti, forse è inutile… però sento la necessità di far in modo che lo sapessi, prima o poi…

Light-kun, io ti amo.

E non come amico, né come fratello… Io ti amo, ti amo come ragazzo, mi sono innamorato di te dal momento in cui ti ho visto aprire gli occhi in cella, e parlarmi per la prima volta con sincerità.

Ti amo, e sei la prima persona, e anche l’unica, per cui ho provato questo sentimento e in maniera tanto forte, tanto travolgente, tanto dolorosa…

Sono stato male per la nostra situazione, sai.

Per tutto il tempo ti ho amato in silenzio, senza dirti nulla, sapendo che sarebbe stato un errore parlartene e interferire questa cosa nella nostra amicizia… o peggio, nel nostro odio.

Ma ti ho amato, più di quanto mi credessi capace. E ti amerò, ne sono certo, anche da morto… Qualunque sia il posto dove i peccatori finiscono, ti amerò anche lì…

Ricordalo, Light-kun. Ricorda tutto di ciò che stai leggendo.

Non ti chiedo di non perseguire nei tuoi scopi, suppongo che ora che sono fuori dai piedi tu avrai campo libero per governare il Mondo… però per favore, conserva questa lettera. Non dimenticare queste frasi.

Continua per la tua strada, fai quello che devi fare.

Non morire, Light-kun. Voglio che tu abbia un lieto fine, che il tuo ultimo addio lo riceva Amane Misa quando sarete vecchi, che tu non ti perda nulla di ciò che devi vedere nel futuro, prossimo o lontano che sia…

E non dimenticarti di me, ti scongiuro…

Non piangere, Light… Non soffrire per me, perché se mai ti vedrò versare anche solo una lacrima pensando a me, allora quello non te lo saprò perdonare.

Capito?

Non ti perdonerò, se vivrai in modo infelice la tua vita dopo la mia scomparsa.

Tornerò, te lo giuro… Non so come, non so quando, ma questo non è un addio, piuttosto un arrivederci…

Un buonanotte, come quei tanti che ci davamo ogni sera quando eravamo incatenati.

Perciò, Buonanotte Light-kun.

Sii felice, e sogna solo cose belle… prima del risveglio.”

*************

Una lacrima.

Plof.

Due, tre, quattro, cinque… Decine di lacrime cominciarono a bagnare il foglio di carta leggera, stretto tra le dita di una mano tremante.

Yagami Light era ad occhi socchiusi, mentre piangeva silenziosamente, corrugando la fronte e cercando di fermare il pianto con la sola forza di volontà, ma ovviamente senza successo.

“Come puoi… Come puoi chiedermi una cosa del genere?”

Il ragazzo sbirciò la lettera, emettendo involontariamente un singhiozzo straziato.

Si vedeva chiaramente l’inchiostro sbavato su certi punti, piccoli cerchi tondi d’acqua sulla carta che poi si erano asciugati… Lacrime, ancora più antiche delle sue.

“Come puoi chiedermi… di non soffrire…?”

Non ebbe la forza di fare altro, se non prendere febbrilmente il foglio e piegarlo in 4 parti, per poi stringerlo al petto e cominciare, o continuare, a piangere spudoratamente.

Quel pezzo di carta. Stupidissimo pezzo di carta.

Come il quaderno. Importante come lui…

O no?

Forse quella lettera era anche più importante.

Forse, mentre il Death Note sapeva portare solo infelicità, questa portava amore…

Ma Light scosse la testa, pensando a questo.

Se davvero era amore che provava…

…perché stava piangendo?

I singhiozzi erano talmente forti e frequenti, talmente sentiti, che non riusciva neanche a prendere il respiro e a parlare… era perso, completamente perso…

“Non… non mi perdonerai, eh?”

Si buttò in ginocchio sulla moquette del pavimento, stringendo bene gli occhi e chiudendo i pugni, lanciando un urlo disperato.

Forte, fortissimo, che anche se le telecamere non potevano riprendere tutti avrebbero sentito.

Così spietato, duro, cattivo, da infilzare quella stupida e sbagliata quiete innaturale come una spada, una affilata katana.

“Non mi perdoni, bastardo?!?!!”

Il fiume di pianto che gli scorreva sul viso, con disperazione, dolore sofferenza…

Il suo corpo, minuto e arricciato su se stesso, così perduto e solo, così disperato e pazzo…

Quelle urla, che squarciavano il silenzio…

Quei singhiozzi, che rimbombavano per Tokyo, tristemente…

“NON MI PERDONI?!?” urlò, ancora più forte, le corde vocali che bruciavano come lingue di fuoco ardenti, e che nello stesso modo lo facevano soffrire e scoppiare…

Le mani, strette contro il petto, stringevano la lettera con tanta forza e brutalità da strapparla.

Appoggiata sul cuore, che pulsava irrefrenabile, troppo forte, troppo sofferente…

Ogni battito, ogni respiro era un colpo di pugnale, una lama che lo uccideva, lenta, feroce…

Si sentiva dissanguare all’interno, Light.

Non ne poteva più.

Era troppo… Lui era Kira…

Non doveva, non poteva soffrire così… Non per L…!!

Altre lacrime caddero e si frantumarono sul pavimento.

Le unghie graffiavano la carta, stridendo quasi…

Un nuovo sospiro, tragico.

…E gli occhi del colore dell’ambra più preziosa di schiusero, seri e tristi, osservando un punto invisibile davanti a sé, mentre le gocce d’acqua salata continuavano a rigargli le guancie pallide e smunte.

In fondo, chi era L?

Era la persona che amava, no?

“Sono io che non perdono te, Ryuzaki…”

Un’ultima lacrima, che scese lenta e placida per il volto dell’uomo, del Dio… di Light, di Kira.

Scese giù, per poi consumarsi e asciugarsi sul collo, ormai fradicio di pianto.

Le dita che tenevano la lettera si mossero, in un lento ma avventato gesto, strappando la carta in mille strisce e pezzetti, finché il contenuto non diventò illeggibile.

Milioni di coriandoli bianchi volarono per la stanza, trasportati dal vento che entrava dalla finestra.

E gli occhi del ragazzo si serrarono.

Con freddezza, cattiveria, malinconia…

E, quando si riaprirono, le iridi si rimpicciolirono di colpo, assumendo l’aria più crudele che sapessero concedersi, colorandosi di un febbrile e diabolico rosso fuoco.

Eccolo, il Dio del Nuovo Mondo…

Senza alcun rimorso…

Kira era tornato.

  
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