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Autore: Naky94    27/08/2014    5 recensioni
"Quando Spock entra sul ponte panoramico, tutto ciò che lo accoglie è il silenzio.
E’ andato lì in cerca del capitano, quindi non si stupisce di trovarvelo."
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sotto un cielo di stelle 

 
Quando Spock entra sul ponte panoramico, tutto ciò che lo accoglie è il silenzio.
E’ andato lì in cerca del capitano, quindi non si stupisce di trovarvelo.
Lo sorprende vedere il comandante comodamente disteso per terra con le braccia a fare da supporto alla testa e gli occhi fissi sullo scorrere delle stelle.
Accanto a lui, nella stessa posizione, il dottor McCoy.
Spock vorrebbe redarguire i due colleghi per la loro infrazione delle norme comportamentali da tenere su una nave spaziale; ha già iniziato a scandire le prime parole, però si ferma.
Sa perché il capitano e il buon dottore sono andati lì: per rilassarsi.
Spock comprende benissimo che dopo una giornata faticosa, come quella che hanno avuto loro, ogni umano è bisognoso di riposo e tranquillità.
La missione quinquennale è cominciata già da due anni e loro ne hanno viste di ogni. Ma questa volta hanno battuto tutti i record.
Sono passate meno di 24 ore da quando l’ammiraglio Pattridge gli ha ordinato di soccorrere una nave, che doveva recare dei rifornimenti ad un avamposto della flotta, rimasta bloccata su un planetoide al confine con l’impero Klingon, a quando dei falchi da guerra klingoniani si sono materializzati per poi radere al suolo il planetoide e uccidere tutti coloro che si trovavano a bordo della nave mercantile.
Lo stress conseguente, dovuto allo scontro coi falchi, non è stato cosa da poco.
Per questo Spock tace. Anche perché, sa che se gli altri due non avessero finito il loro turno non si sarebbero mai mossi dalla loro postazione.
Contrariamente a quanto la sua ferrea logica gli direbbe di fare, Spock non abbandona il ponte. Ma anzi, si distende accanto ai due amici; per poi rivolgere il suo interesse allo scorrere delle stelle.
Passano alcuni minuti di totale silenzio, poi la voce del capitano rompe l’immobilità dell’aria.
“Sapete, quando ero piccolo spesso, alla sera, quando tutti alla fattoria dormivano, scappavo fuori a correre per i campi coltivati. Correvo e correvo, fino a non avere più fiato nei polmoni; allora mi andavo a sdraiare su una collinetta verde d’erba e osservavo le stelle.
Erano così belle e lontane che mi dicevo che un giorno ci sarei arrivato. Sembravano l’unico posto abbastanza lontano su cui scappare. Il posto giusto per non sentirsi chiamare ‘figlio di’ .
Eppure ora mi rendo contro che nemmeno le stelle sono abbastanza lontane.”
Il rammarico nelle parole di Kirk fa capire chiaramente al comandante vulcaniano quanto lo stress accumulato abbia fatto veleggiare, verso porti non sicuri, i pensieri del capitano.
Vorrebbe dirgli che non deve crucciarsi di una cosa di cui non ha colpa. Che la morte del padre non è dipesa da lui; ma viene interrotto dalle parole di Bones.
“Quando io ero piccolo, sapevo già che da grande avrei fatto il medico. Non so come, avevo ritrovato in soffitta un antico stetoscopio e me ne andavo in giro pretendendo di auscultare il battito alla gente.
A quel tempo, per me, le stelle non erano più che ammassi gassosi che una volta preso fuoco irradiavano luce.
Crescendo, le ‘stelle’ te le faceva vedere una bella ragazza o un pugno ben’assestato in faccia.
E ora guardatemi: arruolato nella flotta spaziale, rinchiuso da due anni sull’ammiraglia a correre dietro a degli scapestrati che giocano tutto i giorno a fare la guerra. Ah, ci lascerò le penne, di questo passo. Credete a me!”.
Il discorso del dottore si spegne nei suoi classici borbottii. Ma ciò che più interessa a Spock è la leggera risata del capitano, segno che il suo umore è migliorato.
Cala nuovamente il silenzio sul ponte panoramico. Le stelle, unico spettacolo dal quale i tre non staccano mai gli occhi.
“E lei Spock? Dove possono vedere le stelle i piccoli goblin verdi?” queste le parole di McCoy che riaprono il discorso.
“Mi duole comunicarle, dottore, che i bambini vulcaniani non sono avvezzi a simili perdite di tempo.
Fin dalla più tenera età, infatti, i vulcaniani seguono un rigido regime d’apprendimento, che li porterà a conoscere e padroneggiare, oltre che le basilari materie di studio, le leggi di Surak, le regole e l’applicazione della logica e l’arte della meditazione.
Comprenderà quindi che su Vulcano non vi è, o meglio non vi era, tempo per corse fra i prati o incontri col genere femminile.”
Spock sa di aver tentennato, alla menzione dei giardini. Sebbene non abbia mentito, dicendo che su Vulcano non ce ne erano, il ricordo di sua madre Amanda, circondata dai fiori da lei stessa coltivati, è ancora ben radicato in lui.
Ricordo che ancora gli procura dolore e cordoglio.
Tutto questo, l’esitazione, l’incertezza e il dolore, non è sfuggito a Jim che si trova subito a dover sedare le proteste di McCoy con un secco “Bones, basta!”.
Spock apprezza il gesto del suo capitano. Era ancora troppo impegnato a sopprimere il ricordo di mamma Amanda per poter prestare attenzione alle parole del dottore.
E’ quasi riuscito a sopprimere il ricordo quando sente un labile tocco alla mano destra.
E’ Jim che, dopo aver tolto la sinistra da sotto la testa ha fatto scontrare le due mani.
Inizialmente Spock pensa che si sia trattato di un errore, ma quando il contatto persiste, capisce che no, non si tratta di un errore.
E’ già pronto ad ordinare alla sua mano di ritrarsi, dacché quel contatto sta diventando inopportuno, quando un idea subdola si impadronisce della sua mente.
Spock si dice che, in fondo, due secondi per assaporare quel contatto può anche concederseli.
Due secondi per capire, per comprendere. Per conoscere e imparare a sopprimere la sensazione più rapidamente.
Quei due secondi bastano a Kirk per prendere coraggio.
Jim stringe un po’ più forte le dita di Spock. E quel piccolo gesto, che comunica supporto e condivisione, si tramuta per il vulcaniano in una mano tesa che lo guida lentamente lontano dal dolore provocato dalla morte della madre.
A quei primi due secondi, se ne vanno ad aggiungere altri due. E poi due, e ancora due.
Forse, ci vorrà ancora del tempo, prima che si rendano conto che, da quella sera, non sono mai più stati veramente separati.

 

 
FINE

 

 
Note:
Questa è la dimostrazione lampante che io la notte non dovrei scrivere, che poi combino guai...
Solo che l’altra sera ho cominciato a pensarci e mi sono detta che se avessi aspettato la mattina, probabilmente non avrei mai scritto questa storia. Quindi ho acceso la luce, ho preso carta e penna e ho buttato tutto giù.
E sì, lo so che quello alla fine è un vero e proprio bacio vulcaniano, che avrei dovuto trattare il tema in un altro modo o quanto meno approfondire il discorso, ma all’una di notte vi assicuro che non era il caso. Quando oggi ho riletto la storia mi sono resa conto che per spiegare tutto come si deve avrei dovuto allungare di troppo e quindi ho finito per lasciare le cose così.
E poi mi piace che il bacio sia nato non per lussuria ma per voglia di condividere un dolore. E cmq ho fregato Spock!
So che la fic potrà sembrare leggermente malinconica, ma in questo periodo va così.
Bene, non ricordo più quello che vi dovevo dire, quindi ripiego sul classico: spero che vi sia piaciuto e che vogliate lasciare una recensione.
Un bacio!!!

 
Ps. Probabilmente avrò detto qualche stupidaggine sull’istruzione vulcaniana, ma cercate di non farmelo pesare troppo quando mi rimprovererete per questo, ok? ;)

   
 
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