Sotto
un cielo di stelle
Quando Spock entra sul ponte panoramico, tutto ciò che lo
accoglie è il silenzio.
E’ andato lì in cerca del capitano, quindi non si
stupisce
di trovarvelo.
Lo sorprende vedere il comandante comodamente disteso per
terra con le braccia a fare da supporto alla testa e gli occhi fissi
sullo
scorrere delle stelle.
Accanto a lui, nella stessa posizione, il dottor McCoy.
Spock vorrebbe redarguire i due colleghi per la loro
infrazione delle norme comportamentali da tenere su una nave spaziale;
ha già
iniziato a scandire le prime parole, però si ferma.
Sa perché il capitano e il buon dottore sono andati
lì: per
rilassarsi.
Spock comprende benissimo che dopo una giornata faticosa,
come quella che hanno avuto loro, ogni umano è bisognoso di
riposo e
tranquillità.
La missione quinquennale è cominciata già da due
anni e loro
ne hanno viste di ogni. Ma questa volta hanno battuto tutti i record.
Sono passate meno di 24 ore da quando l’ammiraglio Pattridge
gli ha ordinato di soccorrere una nave, che doveva recare dei
rifornimenti ad
un avamposto della flotta, rimasta bloccata su un planetoide al confine
con
l’impero Klingon, a quando dei falchi da guerra klingoniani
si sono
materializzati per poi radere al suolo il planetoide e uccidere tutti
coloro
che si trovavano a bordo della nave mercantile.
Lo stress conseguente, dovuto allo scontro coi falchi, non è
stato cosa da poco.
Per questo Spock tace. Anche perché, sa che se gli altri due
non avessero finito il loro turno non si sarebbero mai mossi dalla loro
postazione.
Contrariamente a quanto la sua ferrea logica gli direbbe di
fare, Spock non abbandona il ponte. Ma anzi, si distende accanto ai due
amici;
per poi rivolgere il suo interesse allo scorrere delle stelle.
Passano alcuni minuti di totale silenzio, poi la voce del
capitano rompe l’immobilità dell’aria.
“Sapete, quando ero piccolo spesso, alla sera, quando tutti
alla fattoria dormivano, scappavo fuori a correre per i campi
coltivati.
Correvo e correvo, fino a non avere più fiato nei polmoni;
allora mi andavo a
sdraiare su una collinetta verde d’erba e osservavo le stelle.
Erano così belle e lontane che mi dicevo che un giorno ci
sarei arrivato. Sembravano l’unico posto abbastanza lontano
su cui scappare. Il
posto giusto per non sentirsi chiamare ‘figlio
di’ .
Eppure ora mi rendo contro che nemmeno le stelle sono
abbastanza lontane.”
Il rammarico nelle parole di Kirk fa capire chiaramente al
comandante vulcaniano quanto lo stress accumulato abbia fatto
veleggiare, verso
porti non sicuri, i pensieri del capitano.
Vorrebbe dirgli che non deve crucciarsi di una cosa di cui
non ha colpa. Che la morte del padre non è dipesa da lui; ma
viene interrotto
dalle parole di Bones.
“Quando io ero piccolo, sapevo già che da grande
avrei fatto
il medico. Non so come, avevo ritrovato in soffitta un antico
stetoscopio e me
ne andavo in giro pretendendo di auscultare il battito alla gente.
A quel tempo, per me, le stelle non erano più che ammassi
gassosi che una volta preso fuoco irradiavano luce.
Crescendo, le ‘stelle’
te le faceva vedere una bella ragazza o un pugno
ben’assestato in faccia.
E ora guardatemi: arruolato nella flotta spaziale, rinchiuso
da due anni sull’ammiraglia a correre dietro a degli
scapestrati che giocano
tutto i giorno a fare la guerra. Ah, ci lascerò le penne, di
questo passo.
Credete a me!”.
Il discorso del dottore si spegne nei suoi classici
borbottii. Ma ciò che più interessa a Spock
è la leggera risata del capitano,
segno che il suo umore è migliorato.
Cala nuovamente il silenzio sul ponte panoramico. Le stelle,
unico spettacolo dal quale i tre non staccano mai gli occhi.
“E lei Spock? Dove possono vedere le stelle i piccoli goblin
verdi?” queste le parole di McCoy che riaprono il discorso.
“Mi duole comunicarle, dottore, che i bambini vulcaniani non
sono avvezzi a simili perdite di tempo.
Fin dalla più tenera età, infatti, i vulcaniani
seguono un
rigido regime d’apprendimento, che li porterà a
conoscere e padroneggiare,
oltre che le basilari materie di studio, le leggi di Surak, le regole e
l’applicazione della logica e l’arte della
meditazione.
Comprenderà quindi che su Vulcano non vi è, o
meglio non vi
era, tempo per corse fra i prati o incontri col genere
femminile.”
Spock sa di aver tentennato, alla menzione dei giardini.
Sebbene non abbia mentito, dicendo che su Vulcano non ce ne erano, il
ricordo
di sua madre Amanda, circondata dai fiori da lei stessa coltivati,
è ancora ben
radicato in lui.
Ricordo che ancora gli procura dolore e cordoglio.
Tutto questo, l’esitazione, l’incertezza e il
dolore, non è
sfuggito a Jim che si trova subito a dover sedare le proteste di McCoy
con un
secco “Bones, basta!”.
Spock apprezza il gesto del suo capitano. Era ancora troppo
impegnato a sopprimere il ricordo di mamma Amanda per poter prestare
attenzione
alle parole del dottore.
E’ quasi riuscito a sopprimere il ricordo quando sente un
labile tocco alla mano destra.
E’ Jim che, dopo aver tolto la sinistra da sotto la testa ha
fatto scontrare le due mani.
Inizialmente Spock pensa che si sia trattato di un errore,
ma quando il contatto persiste, capisce che no, non si tratta di un
errore.
E’ già pronto ad ordinare alla sua mano di
ritrarsi, dacché
quel contatto sta diventando inopportuno, quando un idea subdola si
impadronisce della sua mente.
Spock si dice che, in fondo, due secondi per assaporare quel
contatto può anche concederseli.
Due secondi per capire, per comprendere. Per conoscere e
imparare a sopprimere la sensazione più rapidamente.
Quei due secondi bastano a Kirk per prendere coraggio.
Jim stringe un po’ più forte le dita di Spock. E
quel
piccolo gesto, che comunica supporto e condivisione, si tramuta per il
vulcaniano in una mano tesa che lo guida lentamente lontano dal dolore
provocato dalla morte della madre.
A quei primi due secondi, se ne vanno ad aggiungere altri
due. E poi due, e ancora due.
Forse, ci vorrà ancora del tempo, prima che si rendano conto
che, da quella sera, non sono mai più stati veramente
separati.
FINE
Note: Questa è la
dimostrazione lampante che io la notte non dovrei scrivere, che poi
combino
guai...
Solo che l’altra sera ho cominciato a pensarci e mi sono
detta che se avessi aspettato la mattina, probabilmente non avrei mai
scritto
questa storia. Quindi ho acceso la luce, ho preso carta e penna e ho
buttato
tutto giù.
E sì, lo so che quello alla fine è un vero e
proprio bacio
vulcaniano, che avrei dovuto trattare il tema in un altro modo o quanto
meno
approfondire il discorso, ma all’una di notte vi assicuro che
non era il caso. Quando
oggi ho riletto la storia mi sono resa conto che per spiegare tutto
come si
deve avrei dovuto allungare di troppo e quindi ho finito per lasciare
le cose così.
E poi mi piace che il bacio sia nato non per lussuria ma per
voglia di condividere un dolore. E cmq ho fregato Spock!
So che la fic potrà sembrare leggermente malinconica, ma in
questo periodo va così.
Bene, non ricordo più quello che vi dovevo dire, quindi
ripiego sul classico: spero che vi sia piaciuto e che vogliate lasciare
una
recensione.
Un bacio!!!
Ps. Probabilmente avrò detto qualche stupidaggine
sull’istruzione
vulcaniana, ma cercate di non farmelo pesare troppo quando mi
rimprovererete
per questo, ok? ;)