Fanfic su attori > Robert Downey Jr
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Autore: MrsSomerhalder    27/08/2014    1 recensioni
Durante il soggiorno per la prèmiere del film Sherlock Holmes, Miley Sullivan incontrerà l'attore Robert Downey Jr. La parte problematica di quell'uomo quasi perfetto porterà subito la ragazza a legarsi a lui, ma l'amore impossibile che sboccerà tra i due cambierà le vite di entrambi.
"Che ruolo stai interpretando, Robert? L'attore famoso infatuato della cameriera?" dissi, facendo per andarmene e lui mi trattene per il polso.
"Se mi proponessero una parte del genere, non l'accetterei." rispose con la sua solita ironia pungente, "Solo che adesso non sto recitando." concluse serio e con gli occhi lucidi.
"Non complicarti la vita con me."
"Le complicazioni sono il mio forte." sorrise, tirandomi a sè.
"Sarai la mia rovina, Robert Downey Jr."
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il fatto che Robert fosse così premuroso nei miei confronti mi lusingava e non poco. Per quanto bello, sembrava così irreale. Sicuramente, se l'avessi raccontato a Kate, non mi avrebbe creduta. 'Hey, cara! Sai oggi il divo hollywoodiano più quotato mi ha ficcato la lingua in bocca! Ah, dimenticavo, è sposato!' immaginai una fittizia conversazione monopolare nella mia testa malata. "Merda." balbettai fra me e me. La ragazza di periferia di Detroit che era in me tornava a farsi sentire. "Calma ed autocontrollo, Miley!" parlottai nuovamente, sembrando una completa psicopatica alle persone incredule che mi fissavano nella hall dell'hotel. Dopo avermi salvata da un licenziamento certo, Robert era dovuto correre alla seconda convention che puntualmente aveva marinato per poter passare un pò di tempo con me. Ma noi cos'eravamo adesso? Piuttosto, c'era davvero un noi? Cavolo, lui era sposato. Io avevo un figlio, anche se ancora non lo sapeva. Ero certa che tutta quella situazione era sbagliata, ma anche provare dei sentimenti lo era? Come potevo, dopo il nostro bellissimo bacio, stare alla larga da Robert? 'Trai le tue conclusioni, Sullivan.' ripensai alle sue parole. No, doveva esserci davvero qualcosa fra di noi e non semplice attrazione sessuale. Anche quella giornata di lavoro, un pò meno stressante, era giunta al termine. Stavo tornando a casa dal mio angioletto biondo, quando mi resi conto che Marshall non si era fatto più vedere da quella notte. Un brivido gelido mi percorse la schiena. Jordan non sarebbe stato più al sicuro, se quell'uomo orribile si fosse intromesso nella sua vita. Perchè dopo cinque anni doveva scombinare la nostra tranquillità? Che diritto aveva? Lo conoscevo meglio di chiunque altro e sapevo che non si sarebbe fermato finchè non avrebbe ottenuto quello che voleva. Voleva me? O solo conoscere nostro figlio? Cosa avrei fatto con Robert? Adesso che ci pensavo, non avevo neanche il suo numero. Quando sarebbe ripartito per tornare a casa sua? Cosa sapevo io di lui? Niente. Un bel niente. Scossi violentemente la testa, dovevo smetterla di logorarmi il pancreas con tutte quelle insulse domande. "É stato solo un bacio, maledizione!" mi rimisi in riga ad alta voce, confermando le teorie di chi mi stava intorno. Si, ero davvero pazza. Prima di aprire la porta dell'appartamento, mi guardai circospetta nel raggio di qualche metro. Il sole stava calando all'orizzonte e la tiepida brezza proveniente dal Sud-Est cominciava a farsi sentire. Entrai in casa e chiamai più volte il nome di Jordan o della nonna di Kate, ma di loro neanche una traccia. "Che strano, a quest'ora avrebbe dovuto portarlo a casa." Era quasi ora di cena, la signora Dawson non tardava mai. Composi alla svelta il recapito telefonico sul mio cellulare e quando rispose l'anziana signora, sussultai. "Pronto?" "Signora Dawson, come mai Jordan è ancora li da lei?" "Jordan? Cara, cosa stai dicendo? Te l'ho riportato un'ora fa." rispose confusa la signora. A quelle parole il sangue mi si gelò. "C-cosa?" balbettai impietrita, tanto che il cellulare mi cadde di mano e si ruppe in più pezzi. Alcune lacrime scesero da sole dal condotto lacrimale e un tuffo pervase il mio giovane, ma non più incolume cuore. Il mio bambino era sparito. Presi a correre per tutta la casa, in cerca di quei suoi azzurri occhiani da cerbiatto o di udire i suoi dolci passi delicati sul pavimento in ceramica. "Jordan! Jordan!" urlai strazziata, mettendo a soqquadro l'intero appartamento. Stavo per cacciare un ultimo assordante urlo, ma la mia attenzione fu catturata da un piccolo post-it giallo fluo sul tavolo della cucina. Lo presi fra le mani tremanti e presi a leggere quelle poche parole dalla grafia alquanto familiare. 'Ti avevo avvertita, Miley. Raggiungimi al ponte di Brooklyn non appena farà buio. Da sola.' Indescribile ed inutile poter esprimere a parole il dolore che provavo. Non era dolore, non era niente. Il vuoto più totale. Non esistevo. Il cuore si infranse in mille pezzi, che esplosero in un batter d'occhio. Marshall aveva preso mio figlio. La mia creatura angelica era fra le sue sporche mani. Avrei chiamato la polizia, ma conoscevo di cosa sarebbe stato capace se solo avessi disubbidito ai suoi ordini. Non potevo più permettermi il lusso di farlo arrabbiare, non quella volta. Non si trattava più di me e della mia incolumità. Solo cinque anni prima non mi sarebbe importato di farmi spaccare un labbro o di ricevere qualche pugno sullo stomaco, Jordan era la mia prioritá. Feci come aveva imposto, mi recai al ponte di Brooklyn da sola. Presi dalla cucina un coltello e corsi a perdi fiato sul luogo dell'incontro. Scrutai con attenzione il posto, ma del profilo di Marshall neanche l'ombra. La gente nei dintorni era davvero poca. Non ero al sicuro, me lo sentivo. D'un tratto mi sentii afferrare una spalla. "Fai ciao a mamma, piccolino!" sussurrò melliflua la voce appartenente a quella mano, che sapevo benissimo essere lui. Stava usando Jordan come sicurezza, sapeva che non avrei reagito se lui fosse stato presente. Mi voltai cautamente, trattenendo le lacrime. Raggiunsi brevemente il bruciore scoppiettante del suo sguardo. L'azzurro glaciale delle sue iridi mi penetrava l'anima, ma non era una bella sensazione. Odiavo quegli occhi, odiavo i suoi capelli scuri, odiavo quel ghigno sadico ed impertinente, odiavo Marshall Eric Dwyne. "Mammina." miagolò il mio dolce angelo. "Ciao, tesoro mio." allungai le braccia, facendo per prenderlo in braccio, ma Marshall si ritrasse. "Non così in fretta, amore." "Dammi mio figlio, bastardo." digrignai i denti. Trattenni a stento le grida. "É anche mio figlio." "Tornatene da dove sei venuto, fottuto infame." "Oh, la mammina ha un brutto linguaggio." assunse una finta espressione imbronciata, trattenendo Jordan per una manina. "Come sei entrato in casa mia? Come ci hai trovati?" "Ma è stato facilissimo, piccola. Credevi davvero che uno sconosciuto si sarebbe mostrato così disponibile nei confronti di una ragazza-madre, senza volersela scopare alla grande o avere un altro scopo?" Maledetto. Lurido, viscido verme. "Michael." piagnucolai. Avrei dovuto capirlo sin dall'inizio, nessuno in questo mondo fa qualcosa senza aver alcun interesse. Era la schifosa e meschina talpa di Marshall. "Bingo, amore. Tu mi hai reso tutto così facile. Ti fidi troppo delle persone." "Mi fai schifo." "Sai, ha detto che era ad un passo dal portarti a letto. Non volevo crederci, ma poi mi sono ricordato della nostra prima volta. I sedili posteriori in pelle della macchina che avevo rubato e tu...eri vergine?" La collera in me era talmente tanta che d'impulso gli rifilai un ceffone sulla guancia, spaventando Jordan, che iniziò a piangere. Marshall gli strinse il polso ancora di più e, con espressione rabbiosa, mi sferró un pugno ben piazzato sullo zigomo. Fu così semplice per lui mettermi al tappeto. "Nessuno può portarmi a letto così facilmente, bastardo!" singhiozzai arrendevole, impaurita dalla situazione. Per la prima volta dopo tutti quegli anni, stavo nuovamente provando il terrore di un tempo. "Sei talmente bella, Miley. É un vero peccato..." Marshall si avvicinò molto pericolosamente al mio viso, tanto che ritrovai le sue labbra ad un centimetro dalle mie. Non sapevo cosa stesse per accadermi, ma di certo non era difficile da immaginare. Attorno a noi non c'era più nessuno. Nemmeno ad un cane importava che mio figlio piangesse disperato, ma fu proprio lui che mi diede la forza per reagire. Cosa che non avevo mai fatto prima. Mi alzai di scatto e calciai con tutta la forza che avevo in corpo i suoi testicoli, poi strattonai Jordan e corsi più che potevo. Mi allontanai in fretta e furia da lui, sperando che non ci seguisse.
  
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