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Autore: TheDoctor1002    27/08/2014    1 recensioni
Gli scosto i capelli rosso fiamma dal viso. Ora non è certo difficile capire perchè lo stessero inseguendo. Faccio scorrere le dita lungo la giugulare e, incredibile, ma c'è battito. Flebile e tenace, come a gridargli che per lui non è ancora venuto il momento di andarsene. Ho le traveggole: quell'indice si è davvero mosso? No, certo che no, è stata solo un'impressione. Deve esserlo anche quel leggero tremolio della palpebra: dovrei dormire più a lungo.
"Si sta riprendendo!" Constata Lance subito dopo.
Ma che diamine...?

Nota: la storia presenta forti divergenze dal fumetto
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7

Le notti qui sembrano non finire mai. Finita l’iniziazione siamo rimasti un po’ intorno al falò, ma ancora le prime luci dell’alba non erano sorte quando l’abbiamo spento. Guardo l’orologio digitale sul muro dell’infermeria: segna le 4:16 a caratteri rossi. Decisamente troppo presto. Inizio a camminare un po’ in giro, cerco di ambientarmi, potrebbe essere un modo interessante di ammazzare il tempo. Giro scalzo, cercando di fare meno rumore possibile, passando accanto alle stanze dei miei nuovi compagni. Quella di Mikey è vuota, ma la cosa nemmeno mi stupisce più, a casa ci avevamo fatto l’abitudine. L’unica da cui provenga ancora una flebile luce è quella di Killjoy.

“Mikey, ti prego!”
Riesco appena a sussurrare. Lui sembra inamovibile, intransigente. Ha lo sguardo accusatore di un padre severo, in piedi, nel bel mezzo della stanza, con le braccia conserte. 
“Jenny, rispondimi sinceramente: quanto tempo è che non dormi più di due ore di seguito?”
Non ho il coraggio di dirlo davvero. Mi ha chiamata col mio nome, nessuno lo fa da ormai molto tempo. Quando ti chiamano per nome le cose si fanno serie, lo sai. “Quattro giorni, forse cinque.” Ammetto con atteggiamento colpevole “Ma che importanza ha?” 
“Devi dormire. Non reggerai a lungo così, lo sai. Perchè non ti arrendi? Prenditi un attimo di riposo, ai monitor ci penso io.” 
I monitor. Sono sei, tutti ammassati. Trasmettono frammenti di strade in bianco e nero, la loro luce tremolante mi illumina il viso, evidenziando ancora di più le occhiaie scure. 
“Ho un brutto presentimento. Orribile, davvero. Non so cosa sia, ma devo scoprirlo.” 
Mikey si avvicina alla sedia, accucciandosi sui talloni e prendendo le mie mani nelle sue. 
“Pensi vogliano farle del male?” 
Annuisco “Non riescono a prendere me, così colpiscono lei e la usano come esca…fin troppo semplice come schema” 
Sembra rifletterci anche lui. Come se l’avessi preso in contropiede, cerca di studiare questa nuova possibilità, di familiarizzarci. 
“Jenny…” sussurra “ti ho fatto una promessa, ricordi? La troveremo. Gee è qui e sta bene e io davvero non so come tu abbia fatto. Ora tocca a me mantenere la mia parte: so come ci si sente quando il proprio fratello è in pericolo.” 
Mi prende il viso tra le mani, posando un leggero bacio sulla fronte “Va’ a dormire, ora. Qui ci penso io” 
Con riluttanza mi alzo dalla poltroncina girevole e attraverso la stanza fino alla parete opposta. Mi appoggio al materasso fin troppo morbido e rivolgo un ultimo sguardo alla schiena di Mikey, già seduto alla postazione. 
“Mi avviserai se succede qualcosa?” Chiedo con voce flebile
“Solo se mi prometti che dormirai”
“Promesso”. Annuisco ancora, ma non chiudo nemmeno gli occhi. Sbircio le webcam da dietro le spalle di Mikey, fingo di dormire quando si gira per controllarmi, ma addormentarsi per davvero è impossibile. Mi basta chiudere gli occhi perchè quella brutta sensazione prenda la forma di una piccola, indifesa bambina dai capelli ricci. La immagino persa, la immagino ferita, abbandonata da qualche parte, lontano da chi si dovrebbe prendere cura di lei e nasconderla.Le luci pulsanti dei monitor illuminano ancora il mio volto, trasformando i solchi sul mio viso in buchi neri, i miei occhi in portali per il vuoto. 
Ancora una notte passa insonne ma senza allarmismi e lascia finalmente spazio a un nuovo giorno.

“Sorgi e splendi, dolcezza, è un gran giorno!” Trilla Killjoy con un tono euforico che ben poco le si addice. 
“Gran…gran giorno?” Riesco appena a balbettare, infilandomi i vestiti e cercando di mettere a fuoco ciò che vedo. Lei è in piedi davanti alla porta, indossa un giacchetto di jeans pieno di spille e sembra al settimo cielo. 
“Oggi c’è la Riunione Strategica della Resistenza e sai questo cosa significa?” 
“Significa…”
“Esatto!” Grida lei senza neppure farmi finire la frase “una nuova occasione per mettere in ridicolo Sanderson, grazie miei dei!” 
Fa una piroetta e sfreccia giù per le scale più velocemente di quanto i miei sensi appannati riescano a recepire. Con un sospiro mi ravvivo i capelli, infine scendo verso il piano inferiore. 
Quello che era un atrio vuoto si è trasformato in una sala riunioni. L’ammasso di casse e scatoloni è stato nascosto da una parete di stoffa bianca su cui vengono proiettati numeri, mappe e diagrammi a cui non sto dietro. 
“Killjoy” indica un ragazzo dai capelli neri e lucidi, con una punta di disprezzo nella voce “gentile ad unirti a noi. Sei in ritardo di circa mezz’ora.” 
“Uno stregone non è mai in ritardo…” Replica lei, andandosi a sedere su una sedia vuota e posando i talloni sul tavolo. 
“La faccenda è seria.” Torna ad ammonirla lui “ci sono stati…”
“Gravi disordini, si, ne ho sentito parlare.” Interruppe, alzandosi dalla sedia girevole e cigolante e strappando di mano al ragazzo un puntatore laser. Indicò una vasta area a sud di Battery city “E da quanto so, la mia zona risulta quella più tranquilla. Zero civili uccisi. Dell’area nord est è forse meglio non parlare, mi chiedo chi sia l’incompetente a cui è affidata.” 
“Quel razzo è stato un incidente.” Sibilò il ragazzo, cogliendo la frecciatina. 
“No, Sanderson, non lo è! Non può esserlo, lo capisci? Pestare i piedi a qualcuno è un incidente, scambiare il sale con lo zucchero è un incidente. Far partire un missile terra-aria su delle abitazioni civili non è un incidente, è da ritardati, da idioti! Cosa sarebbe successo se fossero state occupate? Hai idea del pericolo a cui ci hai esposti con la tua inettitudine?” 
Nessuno ha più il coraggio di dire una parola. Il tono della voce di Killjoy si è alzato talmente tanto da far tremare il vecchio Wall Mart fin nelle fondamenta, mentre le fiamme nei suoi occhi non accennano a spegnersi. Nessuno ha il coraggio di dire niente, ma negli sguardi di ognuno si legge a chiare lettere lo sconcerto. 
“Ora, se non vi dispiace, ho una colazione a base di whopper che mi attende.” Sposta repentinamente lo sguardo verso il gradino della scalinata su cui mi sono appollaiato per gustare la scena e all’improvviso mi sento come un ladro colto in flagrante “Gee, tu vieni?” Chiede infine. Io annuisco leggermente ed insieme attraversiamo le porte scorrevoli, mentre gli sguardi attoniti dei comandanti si posano su di noi per poi scollarsi solo quando il rombo profondo della Ducati nera squarcia il silenzio della sala.

“Non ci credo, li hai davvero zittiti!” Ripete Gee per l’ennesima volta, prima di addentare il suo panino da due soldi. Io per l’ennesima volta alzo le spalle “Te l’avevo detto che l’avrei messo in ridicolo, no?” 
Guardo fuori dal vetro da due soldi del burger king da due soldi che avevamo raggiunto: una deserta e polverosissima strada da due soldi. Niente di più, niente di meno. 
“Ottimo” annuncio “avevo circa un piano per oggi, ma è andato a farsi fottere o non me lo ricordo, più probabilmente entrambe le cose…questo a conti fatti significa che abbiamo la giornata libera, no?” 
Gee mi rivolge un’altra delle sue occhiate confuse, quelle in stile non so di cosa tu stia parlando ma se ci divertiremo per me è okay “Suppongo tu abbia ragione” conclude, facendo spallucce “che hai in mente?” 
“Decidi tu!” Rispondo alzando le mani, come a non volermi assumere troppe responsabilità “Un giretto in città, una gita al mare, cercare di capire dove sono finiti Frank e Ray…”
“Sono spariti?”
La mia aria rassegnata sembra eloquente “A volte lo fanno…vanno a caccia di ricognitori senza uno scopo preciso, tempo fa sono arrivati fino in Texas per inseguirne uno.” 
“Dunque…” Esamina Gee “Arrivare fino in Texas per recuperarli non mi sembra troppo fattibile e, da quanto so, c’è una taglia sulla mia testa, dalle parti di Battery City.”
“Non dirlo a me, hanno dovuto cambiare il formato delle foto segnaletiche per farci stare l’importo della ricompensa” 
“Immagino che il mare sia una buona scelta” 
“Fantastico” commento, avviandomi verso l’uscita “devo solo passare dalle parti del WallMart per prendere un paio di cose”

“Sono pronta!” Grida Killjoy lanciando un borsone nel sedile posteriore della mia Impala. 
“Ottimo, cerca di non addormentarti durante il tragitto, devi darmi le indicazioni.” 
“Non se ne parla, piccolo nabbo: la macchina è mia.” 
“Me l’hai rubata!” Puntualizzo, facendola salire comunque al posto di guida. 
“L’avevi disintegrata. Io l’ho…fatta resuscitare, automobilisticamente parlando.”
Indossa gli occhiali calandoli sul viso, prima di partire premendo l’acceleratore sempre di più, continuando ad accelerare mentre lo spostamento d’aria diventa talmente rumoroso da costringerci a chiudere i finestrini. Passo metà del viaggio a guardare fuori e l’altra metà a guardare lei. Dal bordo della maglia si intravede un frammento di tatuaggio, insieme al nastro rosa del suo costume. Sorride appena, ha il viso rilassato, ma il modo in cui stringe il volante tradisce una certa ansia. Ho la tentazione di chiederle cos’abbia, cosa sia successo ieri sera e chi sia Grace, ma sono certo che mentirebbe. Eluderebbe ogni domanda con un sorriso, mettendo in campo un altro argomento senza nemmeno darmi il tempo di rendermene conto o, più semplicemente, non risponderebbe. 
“Che dici, vuoi provare a chiamare i latitanti?” Chiede all’improvviso, più per rompere quel silenzio imbarazzante che per una vera ragione. Io muovo appena le spalle, non è male come idea. 
“Prendi pure il telefono, è nel vano portaoggetti” comunica tamburellando le unghie affusolate su uno sportellino di plastica. Lo apro e, insieme a una decina di patenti e documenti falsi mai visti prima, trovo un piccolo cellulare, di un modello davvero vecchissimo, con ancora i tasti e lo schermo verde. 
Cerco velocemente il numero di cellulare di Frank, ma non perdo troppo tempo: è tra le prime cinque chiamate perse. Aspetto solo pochi istanti prima che risponda una voce squillante: “Guastafeste, dannazione, dove sei?” 
“Ray!” Grida in risposta, strappandomi il telefono dalle mani “dove sono io? Dove siete voi?! È tutta la mattina che vi cercano!”
“Due parole, chica: COS-TA-RICA!” 
“Costa Rica? Che dannazione ci fate in Costa Rica, dove Cristo è il Costa Rica?” 
“È lo staterello vicino a Panama! Stavamo inseguendo un ricognitore” spiega Frank 
“E questo è saltato letteralmente in aria!” Interviene Ray
“D’accordo, e il Costa Rica?” 
“Oh, non c’entra con quello, era solo per raccontartelo! È che a Battery City non fanno una pina colada come si deve nemmeno a pagarla, perciò siamo finiti qui.” 
“Cercate di rientrare subito e cercate una qualche legge della fisica che spieghi come abbiate fatto a coprire più di tremila miglia di strada in una decina scarsa di ore. E portatemi un paio di quelle pina colada.” 
“Agli ordini!” 
Riattacca bruscamente e con un sorriso soddisfatto ad illuminarle il volto. 
“Ci salutano”, conclude, richiudendo il cellulare nel portaoggetti “Sai, non manca molto” 
“Quanto, circa?” 
Lei indica una direzione alla sua destra senza seguire nemmeno con lo sguardo il movimento del suo dito “A ore due, dolcezza!” 
All’inizio non vedo nulla, penso si sia sbagliata, ma è sufficiente aguzzare un po’ la vista per notare una sottile striscia di mare turchese e scintillante, a tratti fuso a un cielo limpido e terso. 
Avevi dubbi? È una che non sbaglia mai, neanche quando ha torto. 
Posteggia la macchina nel preciso e desolato centro del nulla, a pochi passi da un pino marittimo che sfida il deserto pur di crescere in quel punto esatto. Estrae la borsa dal sedile posteriore e, una volta che anche io sono sceso, chiude la macchina a chiave, quasi corressimo il rischio di incrociare davvero qualcuno. Appoggiamo tutto sulla sabbia rossastra di una minuscola baia e ci sfiliamo i vestiti restando in costume. Scopro così che il suo tatuaggio sono due enormi ali da angelo ripiegate che coprono tutta la superficie della schiena. 
Non si prende nemmeno la briga di mettersi un po’ di crema solare, corre verso l’acqua cristallina e fresca del Pacifico e si getta tra le onde, riemergendo dopo pochi istanti con i capelli corvini appiccicati al viso. 
“Avanti, Gee, l’acqua è fantastica!”
Sorride, mordendosi appena le labbra. Non deve certo ripetere l’invito, sono già da lei. Corro sulla sabbia morbida sfidando le conchiglie e sul fondale poco profondo, battuto dalle onde. L’acqua mi sfiora prima le caviglie, poi i polpacci, le ginocchia, man mano rallento, fino a fermarmi prima che la pancia si bagni. 
“È…è gelida!” 
“Che ti aspettavi? È l’oceano, dolcezza!” Commenta lei, trascinandomi per un braccio, in modo da farmi cadere in acqua. Trascorriamo la giornata tra dispetti e vendette, stendendoci al sole per asciugarci e ributtandoci in mare. Lei sorride, è una ragazza normale in una nazione normale, la Killjoy di Battery City sembra sparita. Solo un dettaglio la tradisce: il minuscolo cellulare viene controllato di continuo alla ricerca di chiamate perse e messaggi.

“Sai, ieri sera ti ho sentita parlare con Mickey…” Abbozza di punto in bianco, dopo l’ennesimo controllo del telefono. 
Cerco di restare impassibile, anche se la cosa mi è difficile: mi sento colta in flagrante “Non volevo svegliarti, mi dispiace” lo svio. 
“Non è questo, tranquilla” continua lui “Solo…chi è Grace? Perchè è così importante?” 
Obiettivo centrato in pieno, il solo nome mi manda in crisi. Mi sembra di sentirlo pronunciato da persone diverse, in luoghi diversi. Riconosco le sale bianche degli edifici BLI e percepisco le minacce a cui quel nome è accompagnato.
Lei è al sicuro, ricordi? Mickey te l’ha promesso. 
“Lei…lei è molto importante per me, davvero. Non ha fatto in tempo a conoscere la pace, ma portava speranza ovunque: tutt’oggi è la sola cosa che mi spinga ad andare avanti. È una bambina. Ha sei anni, adesso, è sotto la custodia di sua nonna, ma non mi fido più di nessuno. Da quando è nata ha sempre dovuto scappare, sempre, eppure non l’ho mai vista piangere. È coraggiosa come un leone.” Racconto con un sorriso nostalgico ad accarezzarmi il volto “Ed è anche mia sorella.”

   
 
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