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Autore: Kokato    20/09/2008    2 recensioni
Subaru aveva sempre pensato che Seishiro fosse un uomo elegante.
Ma lo sembrava particolarmente quando fumava.
C’era qualcosa di fatale e definitivo quando lo faceva, d’ipnotico e rabbrividente, con i suoi movimenti lenti e misurati fino al punto di essere colmi d’ansia per chi li guardava, con quella sua maniera di lasciare che la ruvida carta del filtro accarezzasse le labbra sottili e distese.
Una boccata d’effluvio grigio e tossico ne poteva sembrare quattro.
Si dimenticava anche di dirgli che fumare faceva male.
Non riusciva a smettere di guardarlo.
Una malattia da cui non si vuole guarire, un abitudine che si dovrebbe ammonire e guardare con rimprovero.
Era malsano.
Eppure, così maledettamente eccitante.
Genere: Romantico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seishiro Sakurazuka, Subaru Sumeragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo era tutto uguale

Il mondo era tutto uguale.

La pioggia cadeva allo stesso modo sia sul tetto del suo appartamento silenzioso, sia sulla superficie di una tettoia abbandonata.

Dava alla pioggia un particolare ticchettio che distingueva a malapena.

Il cielo era plumbeo, da qualunque punto di vista lo guardasse, il mondo non cambiava le proprie fattezze per accontentare i suoi capricci infantili.

Ed infondo, non era che la prima volta in cui si ritrovava a pregare che lo facesse.

Gli uomini d’affari perdevano la loro compostezza professionale, correndo sotto la pioggia e riparandosi a malapena con le loro cartelline colme di documenti e doveri, imprecando alla sfortuna. Ogni tanto li vedeva rivolger a lui gli occhi fradici, spalancare la bocca senza che ne comprendesse il motivo, ammiccare all’arrossamento involontario delle sue belle guance. La sporadica presenza di madri in fuga, sorreggendo grosse buste della spesa, non lo stupiva più di tanto.

Né le loro espressioni, indecise tra l’essere caritatevoli o inorridite.

Un ragazzino raggomitolato sotto un portone chiuso attirava lo sguardo dei passanti. Come se non avesse già potuto farlo a sufficienza il suo solo aspetto esteriore.

Se continuava a stringersi ancora di più le gambe al petto avrebbe potuto arrivare a spezzarsele.

Ma questo non sembrava importare davvero a nessuno.

Subaru non ricordava proprio niente di come fosse cominciata la sua giornata, né di come si fosse svolta quella precedente. Poteva aver piovuto, come poteva esser stato soltanto nuvoloso. I tendini del suo collo erano curvi e indolenziti da così tanto tempo che non si poteva neanche dire in grado di misurarlo.

Un uomo sui sessant’anni, dall’altra parte del marciapiede, seduto al tavolo di un locale elegante, si girava ogni tanto a guardarlo attraverso la vetrata, prima di ributtarsi sul suo caffè diventato freddo da almeno venti minuti. Anche se lui non poteva vedere nient’altro che la stoffa sgualcita dei pantaloni su cui aveva poggiato la fronte.

Probabilmente quella vista lo inquietava, durante la pausa meritata dopo una lunga giornata di lavoro. Subaru non sapeva dispiacersene fino in fondo. Non aveva una reale concezione del tempo, né dello spazio, né del mondo circostante per poterlo fare davvero.

Aveva detto di voler diventare forte per uccidere qualcuno. Neanche questo era un ricordo poi molto chiaro.

Non era ancora maggiorenne, non poteva bere. Anche se non si ricordava per niente di averlo fatto.

Riguardo a questo non si sentiva cambiato di molto. Urgeva un cambiamento, innescare il processo fin da subito se possibile. Ma non c’era niente per cui valesse la pena alzarsi da lì.

Niente per cui un posto asciutto potesse avere un valore maggiore di uno bagnato.

Niente per cui la sua vita avrebbe dovuto per forza protrarsi ancora.

Da questo punto di vista, forse, la sua più grande colpa non era altro che quella occasione perduta.

Il mondo non era tutto uguale.

Non erano uguali le occhiate contraddittorie che la giovane commessa di una tabaccheria gli rivolgeva, non erano uguali i sentimenti espressi dai suoi occhi pieni di pena, e dalle sue guance ebbre di sangue. Eppure, il tentennare delle sue azioni non la volgeva a porgergli aiuto. La testa gli faceva troppo male perché potesse biasimarla. La sua vita non aveva un tale valore.

Un uomo gli sorrideva, chino su di lui, le mani sulle ginocchia piegate. Oscurando le gocce che bersagliavano il marciapiede, quello stesso uomo che prima lo fissava di tanto in tanto dalla vetrata di un tavolino ben riparato, ora stava rannicchiato davanti a lui. Non valutò il suo aspetto, sapendo già che ogni informazione sarebbe caduta nell’oblio ed etichettata come senza importanza. Ogni essere umano era uguale all’altro, nel non essere di nessun interesse per lui.

Che vivesse. Che morisse. Che soffrisse. Non gli importava minimamente.

-Ti sei perso?-

La sua voce era incolore, la sua preoccupazione fin troppo pronunciata per essere reale.

Subaru non rispose, semplicemente perché non riusciva più a collegare ciascuna parola al suo significato.

-Hai bisogno di aiuto? Ti sei perso?- il viso grinzoso si faceva sempre più vicino.

L’uomo continuava a domandargli cose che lui non capiva.

Avrebbe solo voluto avvertirlo dei petali di ciliegio che erano caduti sul suo bel soprabito da ricco borghese, ma decise che neanche quello era di sua competenza. Anche se qualcosa gli suonava terribilmente sbagliato.

La nocca dell’indice saggiava la delicatezza del suo viso d’alabastro, beandosene. L’uomo dimostrava una maleducazione che non aveva voglia di criticare, perciò rimaneva ad aspettare che si stancasse di fare il salvatore senza nome. Di certo, non gliel’aveva chiesto. Di certo aveva ben altre cose a cui dedicarsi.

-Non devi aver paura, piccolo, non voglio farti del male-

Forse non avrebbe dovuto nemmeno crederci. Ma questo non aveva un reale peso nella faccenda.

La mano si muoveva lungo il collo, ora, accertandosi che anche lì la pelle era morbida e giovane al punto giusto.

Le gambe si serrarono ancora di più contro il corpo minuto e affusolato –Ma che carino… hai paura di me?-

Doveva pur essere una scena divertente, per farlo ridere a quel modo.

-Sai che sei veramente carino? Proprio la cosa più carina che abbia mai visto…-

Le sue guance erano già abbastanza rosse, perciò non arrossì, né si ritrasse. Le sue parole erano ancora prive di ogni senso compiuto. Come lo erano i pensieri che si avvicendavano nella sua testa. I grandi occhi verdi scintillavano così tanto che attiravano guai di cui nemmeno si rendeva conto. L’indesiderato uomo vi faceva apprezzamenti non richiesti… neanche lo smeraldo che stava sull’anello regalato alla sua viziata moglie per il loro anniversario reggeva il confronto con la lucentezza dei suoi occhi. Strano che non se ne vantasse in alcun modo.

I suoi lineamenti erano oggetto di un analisi accurata. Bellissimi. Da toccare. Da baciare.

Non sapeva se questo fosse stato effettivamente detto, o solamente intuito.

In ogni caso, ogni affermazione era vera ed inutile allo stesso tempo.

Quella bella bocca sarebbe stata ancora più bella, se portata ad urlare dal piacere.

I loro rispettivi dolori leniti, se solo si fosse alzato da lì, se solo si fosse fidato di quell’uomo dalle grosse mani impertinenti.

Ma quel dolore era suo e solo lui sapeva come lenirlo. Subaru avrebbe potuto rispondere dicendo questo.

Ma in realtà lui non sapeva proprio niente.

Quelle mani non lo toccavano più.

Subaru decise di volgersi a guardare il cielo, dove l’aureola bianca del sole cominciava splendere appena attraverso le nubi fitte.

L’uomo non c’era più, e si accorse che non gli importava proprio niente di chi fosse, né di dove fosse finito. Poteva vedere il cielo.

Piena primavera nella sua mente incapace di pensare.

Con la sensazione di qualcosa che gli sfuggiva dalle mani, Subaru si mise in piedi.

Era come camminare col peso di un cadavere addosso. Un peso identico al suo sulle spalle, i suoi stessi occhi verdi che lo fissavano.

Hokuto era morta. Doveva vendicarla. Doveva rimboccarsi le maniche, e diventare abbastanza forte per poter andare avanti senza di lei.

E non sapeva nemmeno in che quartiere si trovava.

La giovane ragazza della tabaccheria lo fissava, incantata, con le labbra leggermente dispiegate. Lui si storse, sorridendogli, e lei rispose sventolando leggermente una mano, distendendo la linea della bocca. Hokuto non avrebbe mai più potuto sorridergli.

Strano che non fosse ancora divenuto un dato di fatto, di cui non stupirsi più.

La sua stessa inutilità lo era diventata.

La nonna lo avrebbe chiamato al più presto, informandolo che finalmente la scuola era finita per sempre per lui, ed informandolo del nuovo ennesimo lavoro da qualche parte nella grande città. Peccato che non ricordasse minimamente dove si trovava il suo appartamento. Sempre che fosse davvero un appartamento.

Si ritrovò dall’altra parte della strada, tutt’ad un tratto.

-Cosa desideri, piccolo?- già, che cosa desiderava lui? Niente.

La ragazza della tabaccheria lo guardava, con le braccia conserte, aspettando il suo ordine.

-Io…- non sapeva come rispondere. Il piccolo chiosco appena riparato avrebbe potuto essere gestito da una piccola vecchietta, seduta su quello sgabello da tutta la vita. Ed eppure quella ragazza era così giovane che la sua presenza stonava con quello stereotipo. Scosse la testa, energicamente.

-Nulla, nulla! Probabilmente non ho nemmeno il portafoglio appresso!-

-Capisco…- disse, inclinando la testa -… ma dovresti tornare a casa ed asciugarti, o prenderai un malanno-

Voleva ringraziarla, anche per il solo fatto che quelle parole avessero senso. Ricambiò la sua espressione conciliante, scusandosi.

Decise di andarsene, mentre la vedeva rivolgersi ad un altro cliente, la cui ombra lo sovrastava.

La sua presenza non era altro che d’intralcio.

S’inchinò, chiedendo ancora scusa. Ma l’ombra non lo lasciava passare.

-Non sai che il fumo nuoce alla salute?-

Chiedendosi cosa avrebbe potuto mai saperne lui di fumo, vide un iride bianca. Il suo cuore saltava un battito, mentre se ne rendeva conto.

Il pacchetto che si ritrovò nella mano destra era di un azzurro scuro e sgargiante, piccolo al punto di stare senza difficoltà nel suo palmo. E piuttosto famigliare.

Lo strinse tra le dita, accartocciandolo.

-Seishiro…- ma la figura era già scomparsa.

Fu vano il tentativo di vederci più chiaro nella leggera condensa che inghiottiva i dintorni.

Intorno a lui non c’era nient’altro che acqua fluttuante, e qualche cosa da fare di cui non riusciva a ricordarsi.

Dovette chiedere ancora perdono, al ragazzo accigliato e mai visto prima a cui aveva distrutto il pacchetto di sigarette appena comprato, di punto in bianco, e senza un apparente motivo. La sua continuava a restare la stessa, ingombrante posizione di prima. L’ennesima sconosciuta persona della giornata se ne andò senza pretendere risarcimenti, con un altro pacchetto identico nella mano sinistra.

Decisamente famigliare.

-Sto diventando pazzo-

-L’importante è rendersene conto-

L’iride bianca era rivolta al cielo. Seishiro Sakurazuka era a pochi metri da lui, con un piccolo cilindro bianco poggiato appena sulle labbra sottili. Subaru trasalì, ma continuò a non muoversi. Non poteva essere così facile, non poteva essergli stato concesso così poco tempo.

-Ti sembra poi così impossibile, Subaru?-

-Quelle… sono Mild Seven-

-Se è questo il tuo primo pensiero si vede che ti sembra proprio impossibile…- disse -… te le ricordi eh?-

-Si… le ricordo- non si era accorto di essersi mosso. Un palo della luce sorreggeva il suo peso.

Seishiro stava poco lontano, posato ed aleggiante come un sogno, alla serranda di un negozio chiuso.

-Se non fuggi e non attacchi, probabilmente mi ritieni un illusione…- le nuvolette di fumo avrebbero potuto confondersi con il colore ancora plumbeo dell’atmosfera, ma non era così. Subaru aveva sempre pensato che Seishiro fosse un uomo elegante. Ma lo sembrava particolarmente quando fumava. C’era qualcosa di fatale e definitivo quando lo faceva, d’ipnotico e rabbrividente, con i suoi movimenti lenti e misurati fino al punto di essere colmi d’ansia per chi li guardava, con quella sua maniera di lasciare che la ruvida carta del filtro accarezzasse le labbra sottili e distese. Una boccata d’effluvio grigio e tossico ne poteva sembrare quattro.

Si dimenticava anche di dirgli che fumare faceva male. Non riusciva a smettere di guardarlo.

Una malattia da cui non si vuole guarire, un abitudine che si dovrebbe ammonire e guardare con rimprovero.

Era malsano.

 Eppure, così maledettamente eccitante.

-In ogni caso non me ne importa-

-Capisco…- cominciò.

-Conosci il tuo nemico e lo avrai in pugno, no? Ma presumo che farai molto più di questo-

Subaru non rispose. Seishiro l’osservava, anche se il suo atteggiamento continuava ad essere del tutto noncurante di lui. L’impermeabile bianco e fradicio avvolgeva il suo corpo come se fosse stato creato per farlo, la camicia nera, infilata solo per metà nei pantaloni bianchi troppo larghi per lui, lasciava intravedere la pelle candida fino a sotto la clavicola.

Non si distinguevano più le lacrime dalle gocce di pioggia, sul viso dai lineamenti di bambola.

Delicato ed intenso come un bagliore soffocato. Disperato e decadente, splendente e flebile.

Divino. Seishiro lo pensò, ridendo al riguardo con quella che giudicò ben poca grazia.

-Ne vuoi una anche tu?-

Fumare fa male.

Nonostante questo, quell’eleganza inesorabile, gli sembrava così irraggiungibile che il cuore gli faceva male.

-Sappi quel che ama, e conoscerai il tuo nemico- recitò.

-Tu ami quelle… quelle sigarette?-

Non continuò da subito, alternando esalazioni grigiastre a risa appena accennate. Rispose con un alzata di spalle, ridendo.

-Non le amo, e nemmeno le odio-

-Lo immaginavo-

Seishiro era già vicino. Forse anche troppo vicino.

Porgendogli il pacchetto ancora pieno di sigarette bianche con uno dei suoi falsi sorrisi, che prese nel palmo destro, e che continuò comunque a porgere a sua volta al proprietario, come se si aspettasse che ne avrebbe pretesa una da un momento all’altro.

Ne prese una, che portò però alle sue labbra, e che lui accese. L’accolse, docile e languido, con l’espressione di star facendo qualcosa di scomodo.

Il fumo corse via come se fuggisse.

La presa sul suo polso era salda solo perché lui non tentava di liberarsene. Non riusciva a smettere di guardare.

-Se quella regola vale davvero… allora… io non potrò conoscerti mai?- la sigaretta rischiò di cadergli, mentre lo diceva, dato che non aveva mai fumato in tutta la sua vita. Proprio un bravo bambino giudizioso.

Seishiro lo fissava, e non rispondeva. Erano spaventosamente vicini, anche se solo lui sembrava essersene accorto. Distese il viso, senza nemmeno provare a rispondergli. Sembrava amare la sensazione del corpo di quel ragazzino così vicino al suo. Il piacere di poter afferrare qualcosa che è tuo, e che nonostante tutto, nonostante avessi voluto gettarlo via un tempo, è ancora lì per te.

Quella sensazione che sentiva quando il sangue gli imbrattava la giacca elegante, e i cuori gli battevano nelle mani, di potenza, e possesso, e soddisfazione, lo sopraffaceva. E le sue mani erano ancora perfettamente bianche. Non era stata versata ancora nessuna goccia di sangue.

Tutto ciò era strano. Aveva percorso l’ultima distanza che li divideva.

La mano destra di Seishiro gli accarezzava la schiena, con un solo dito. Subaru rabbrividiva sotto il tocco.

-Perché.. perché non rispondi?- ma il suo tono era già stato reso ben poco decisivo. Quella voce flautata e implorante vibrava, ma quel tocco lieve non diveniva meno gelido. Le braccia larghe lo cinsero, come a dire che era inutile lamentarsi oramai di un contatto tanto leggero. La spalla destra cozzò contro il petto largo. Il mondo circostante si fece caldo e lontano.

Indubbiamente stava arrossendo. Tentò di divincolarsi quando lo realizzò, ma ottenne soltanto di rischiare di finire a terra.

La sua schiena aderiva al petto di Seishiro. Poteva ribaltarsi il mondo di punto in bianco, e lui non sarebbe comunque caduto mai.

O forse era solamente parecchio duro di comprendonio.

-Non dovresti essere qui, lo sai?- il fiato caldo gli colpiva la nuca. Gli teneva i polsi stretti.

-Sei chan! Siamo in mezzo alla strada!-

-Come se avesse davvero importanza…- rise -… io devo ucciderti- disse.

-… Questo non ti dice proprio niente?-

-Non…- deglutiva -… non me ne importa!-

-Capisco- ma era chiaramente scettico. La sua risata grave e virile risuonò nell’orecchio destro, facendo aumentare il suo tremore. I petali di ciliegio li avvolgevano. Improvvisamente la primavera nella sua testa gli si rivelò con la violenza di un sogno infranto: proprio niente di confortante. Era ancora nel suo abbraccio senza uscita, quando la sua bocca giunse all’attaccatura dei capelli, poi al collo, suggendo la giugulare solo col suo ansimare pesante. Le gambe non riuscivano a stare ferme, e il braccio con cui si teneva lo stomaco in subbuglio era stato afferrato a sua volta. Non poteva fuggire.

Anche se i suoi non erano affatto i pensieri di un aspirante fuggitivo.

Seishiro appoggiò il capo sulla sua spalla, baciando una vena pulsante, mentre quel divampare gli si trasmetteva con chiarezza in ogni fibra del suo essere. Subaru gemeva in lunghi sospiri agitati, dimenando i fianchi in quel suo modo sensuale che non calcolava mai nelle sue intenzioni. Peccato che non avesse altre mani per afferrarglieli, e stringerli fino a stritolare quelle piccole membra.

Avrebbe potuto anche sciogliersi, liquefarsi tra le sue mani. In ogni possibile senso.

-E allora perché cerchi di fuggire da me?-

Le dita lunghe strisciavano sul collo candido, tutt’ad un tratto. –Vuoi uccidermi, no? E allora che aspetti?-

Subaru strinse i denti, cercando almeno un po’ del suo perduto orgoglio a cui aggrapparsi. Quelle sue lacrime con la via sbarrata gli facevano provare ancora più rabbia. Ma il suo aguzzino aveva fatto un errore di cui non si sarebbe pentito mai.

Anche riuscendoci, non poteva fuggire che per poco, pochissimo tempo. Uno sbaglio semplice da riscattare.

Ma un talismano era già stato richiamato dalla tasca.

Avrebbe dovuto solo caricarlo della sua aura, e colpire.

Solo questo.

-Ma prima di morire…- lo disse, come se non ci credesse davvero -… lasciami finire ciò che ho iniziato-

La sigaretta bianca gli cadde.

Lo portò a guardarlo faccia a faccia, con una facilità estrema. I tendini del collo striderono, come Seishiro rese i loro visi vicini, continuando a stringerlo da dietro, fissando nelle iridi verdi sgranate e grandi da poterci affogare dentro. La piccola bocca serrata non aiutava, ma sorrise come se tutto fosse già compiuto. L’occhio bianco pareva una perla, mentre il sopracciglio si piegava in un espressione dolce.

Illudersi era molto semplice. Pensare alla sua vita ancora tutta da vivere, mentre moriva nel tepore delle sue braccia.

Un illusione che non desiderava, che non in ogni caso non andava più avanti di qualche anno inutile ed umido di pianto, per poi tornare comunque in quelle braccia… alla fine di tutto.

Non si permetteva di sperare che fosse lì per qualcos’altro.

Le labbra sottili di Seishiro erano ancora curvate, diaboliche. Calarono sulle sue, come il suo respiro tornava indietro bloccandogli la gola. Mosse le proprie, assecondando i movimenti lenti e striscianti, mordendo senza zanne, urlando senza rumore. Abbandonandosi nella stretta, sul petto, inguine contro inguine, senza un centimetro d’aria tra di loro. Andava bene così, purché il resto non esistesse.

Purché il corpo del suo futuro boia fosse sempre più vicino e sempre più desideroso del suo.

Chiudendo gli occhi su quelli sempre aperti e vuoti di un assassino che non ama e che non odia.

Ma che lo baciava.

Come se non ci fosse nient’altro al mondo.

Petali di ciliegio.

-Ehi tu! Mi vuoi stare a sentire?-

-SI!-

Un ragazzo accigliato e mai visto lo guardava, con le braccia conserte.

-Allora? Io non ho mica tutto il giorno!-

Nessun ciliegio. Pieno autunno, umido di pioggia e rimpianti.

-Io… io…-

-Ti conviene ripagare immediatamente il pacchetto che hai distrutto se non vuoi che chiami la polizia!-

Si scusò, con la sensazione di averlo già fatto abbastanza. La ragazza della tabaccheria sorrideva, mentre gli porgeva un pacchetto azzurro dall’aspetto famigliare, che il ragazzo non aspettava altro che di ghermire. Se ne andò, borbottando bestemmie e lamentele.

Fece un inchino a quella ragazza così gentile, appuntandosi di venirla a trovare ogni tanto, incamminandosi verso il suo appartamento. Chissà perché, poi. Lui non aveva proprio nulla da comprare là che non avrebbe potuto facilmente trovare sotto casa. Che strani pensieri.

Si accorse di avere qualcosa nel palmo destro.

Un pacchetto azzurro… di sigarette. Doveva essere ancora il pacchetto di quel ragazzo, che aveva accartocciato per sbaglio. Anche se quello che aveva lui era ancora intero e nuovo, anche se mezzo vuoto. Non aveva dovuto averci messo troppa forza allora… lo sconosciuto avrebbe potuto liberamente riprenderselo così com’era. Che peccato.

Prese uno di quei cartoncini bianchi, saggiandone la consistenza.

Sorrise, senza neanche sapere il perché, portandoselo alla bocca.

Il caso aveva voluto che un accendino finisse sotto i suoi piedi, mentre camminava. Evitò di non calpestarlo troppo, e lo prese senza nemmeno porsi il problema di a chi appartenesse. Che strano comportamento. L’accese, compiendo l’azione come se la stesse osservando da qualcun altro. Non aveva fatto niente del genere in tutta la sua vita. Eppure, la prima nuvola grigia corse via con una facilità estrema.

‘Mild Seven’ lesse sul pacchetto.

Non notò il corpo di un uomo sui sessant’anni, grinzoso, e dalle mani grandi, fumatore, che giaceva in un vicolo sommerso di petali di ciliegio che solo lui avrebbe potuto vedere. Il fumo non era proprio niente di piacevole, eppure ne cominciò un'altra, non appena giunse a casa. Un'altra prima di mangiare. Un'altra prima di dormire senza aver mangiato. Un'altra prima di svegliarsi senza aver dormito.

La primavera della sua mente, ora, era offuscata dal fumo.

Ed era molto meglio così.

 

Bene, e anche questa è finita!

Non sono una persona di troppe parole, ma ciò che premeva rendere chiaro è che, lungi da me ordinarvi qualcosa, ma ho sentito in giro che ILFUMO FA MALE ALLA SALUTE… personalmente non avrei un lira per un cosa del genere, ma tenetelo a mente. Avete visto che brutta fine hanno fatto quei due grazie al fumo? XD e poi siamo seri, chi altro può essere figo quanto Seishiro con una sigaretta in bocca? XD

Ecco appunto.

Quindi non fumate, e leggete fic (magari le mie), e commentatele… quello sì che fa proprio bene alla salute!

Owari XD

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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