Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: zannarossa    29/08/2014    2 recensioni
Sento lui trattenere il respiro, fissando il tizio elegante. Non si muove, non arretra o si stringe a me come invece sto facendo io. Chissà come fa ad avere ancora curiosità e fiducia nel mondo…
Io non mi fido, ho visto troppe cose brutte.
Quasi mi prende un colpo quando in un attimo lo vedo rispondere alla mano tesa verso di noi e si alza in piedi alla pioggia.
...Ha sempre avuto l’abitudine di decidere tutto da solo.
Una piccola fan fiction dedicata ai protagonisti del Noah's Ark Circus, che mi hanno preso il cuore, nei loro primi momenti alla Renbon Workhouse. Con la speranza di farli aprezzare come li ho amati io.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast, Joker, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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STORIE DELL’EAST END
 
Un Nuovo inizio
 
 
Non ci posso ancora credere. Quanto tempo ho vissuto fuori, sulla strada, sporca, lacera negli abiti e nell’animo, impaurita al solo pensiero che qualcuno più disperato di noi ci trovasse, rubasse quelle pochissime cose che possediamo e ci uccidesse? Una vita intera. Eppure nel tardo pomeriggio di oggi un tipo strano, elegante, sorridente è venuto e ci ha teso la mano. L’ha tesa a noi, scarti dell’ East End.
 
Non mi fido, ho visto troppe cose brutte.
 
Sento lui trattenere il respiro, fissando il tizio elegante. Non si muove, non arretra o si stringe a me come invece sto facendo io. Chissà come fa ad avere ancora curiosità e fiducia nel mondo… o forse, come un animale selvatico ma mai ferito, sta solo valutando la situazione. E’ così magro che la pelle è tesissima sulle clavicole e la spalla ossuta contro la mia guancia. Il piccoletto, dall’altro lato,è nervoso: lo si intuisce perché struscia l’unico piede che ha sull’acciottolato lurido del vicolo. Rivolgo di nuovo lo sguardo al nobile (non può essere altro, con quegli anelli alle dita e i baffi ben curati) e non sento che frammenti di quello che sta dicendo: su, venite con me. C’è spazio per tutti, non temete.
Ah, sì?per tutti? Perché, allora, si rivolge solo a lui? Ha forse l’aria del capobanda? Quell’altro non è forse molto più grosso? E il fratellone non ha forse più anni di tutti noi? Ah, giusto… il signore non lo può sapere…ma forse ha intuito che per noi questo ragazzo dai capelli rossi è un punto di riferimento, colui che con il suo coraggio e voglia di vivere ci ha uniti in una specie di famiglia, anche se forse non ce ne siamo mai davvero resi conto finora. Ho l’impressione che l’eccentrico signore l’abbia capito dal suo sguardo aperto e sveglio, di quel colore così raro.
Quasi mi prende un colpo quando in un attimo lo vedo rispondere alla mano tesa verso di noi e si alza in piedi alla pioggia, facendo cadere il cencio che ci copriva la testa: per poco io e il piccoletto non perdiamo l’equilibrio e cozziamo l’uno contro l’altra. Fissa per un attimo il nobile negli occhi e poi, come se avesse timore di spezzare un incantesimo, si gira verso di noi:” Su, andiamo!”.
 
Ha sempre l’abitudine di decidere tutto da solo.
 
I fratelloni si guardano l’un l’altra, gli occhi spenti dalla fame e quasi rassegnati, e saltano nello stesso momento giù dalla cassa piena di schegge che fungeva loro da sgabello. Anche il gigante buono si leva in piedi stringendo ancora a sé la piccoletta. Aspetto che lui dia una mano a me e al ragazzino per alzarci, come fa di solito, ma la mia muta richiesta non è accolta. Vedo il braccio del nobile cingergli l’unica spalla, mentre lo copre con l’ombrello. Non sembra essere proprio a suo agio, lo si capisce dal suo corpo che cerca impercettibilmente di allontanarsi, ma credo non voglia far pensare al vecchio di essere un ingrato. Insieme si dirigono seguiti dal resto della comitiva alla carrozza nera e lucida  dietro l’angolo. Il ragazzetto al mio fianco si alza a fatica puntellandosi sulla parete dietro di sé, così decido di fare lo stesso, rendendomi improvvisamente conto di essere rimasta imbambolata come una scema. Almeno lui mi aspetta, penso con un po’ di stizza.
Sono l’ultima a chiudere la fila, gli altri sono già tutti montati sulla vettura che ci condurrà verso la nostra nuova casa. Il vecchio mi dà una mano a salire, cingendomi i fianchi. Mi irrigidisco senza volere: non mi piace come mi tocca, ma immagino che dovrò abituarmici.
 
La nostra destinazione è una specie di istituto: è enorme, ci sono un sacco di finestre e anche un giardino sul retro. La stanza in cui siamo condotti è fredda (come tutte le altre, temo), però è un sollievo non avere più la pioggia che ti batte sulla testa. Mi sento vagamente in colpa perché con i vestiti zuppi e i piedi sporchi stiamo rovinando il primo pavimento pulito mai visto in vita nostra, ma è una sensazione passeggera: arrivano di gran carriera tre signore con le facce arcigne che ci strattonano e ci dividono per sesso. Piuttosto in malo modo, visto che in equilibrio precario su una gamba sola rischio quasi di inciampare, e poi mi stringono il braccio tanto da farmi male.
 Non penso di aver mai visto sguardi più smarriti e confusi di quelli dei miei compagni: il piccoletto ha gli occhi verdi- azzurri sgranati e vedo per un attimo la sua mano cercare di afferrare la mia senza riuscirci; la bambinetta castana per poco non si mette a piangere quando la strappano da quella fortezza che sono le braccia muscolose del gigante; l’espressione del fratellone quando la sorellona viene spinta vicino a me pare quella di un assetato impossibilitato a muoversi che vede bere un altro dalla sua ciotola. E lui, poi… no, aspetta un attimo! Lui osserva il tutto con un’indifferenza vagamente stupita, proprio come uno di quei cani non addestrati che guardano il  padrone lanciare il bastone e poi lo fissano senza darsi la pena di muoversi, mentre il povero idiota fa gesti concitati esclamando:” Dai, bello! Vallo a prendere, su!”. Non ci posso credere… possibile che niente lo smuova?
 
Abbiamo in seguito scoperto che quello è il trattamento usuale per tutti i bambini che vengono ospitati alla workhouse. Le vecchie signore ci hanno spinto dentro uno stanzone spoglio, piastrellato e gelido, e fatte spogliare. Che umiliazione… l’idea di mostrare il mio corpo incompleto ai miei amici non mi è mai piaciuto, figurarsi a delle estranee che ci guardano come bestie da mondare. Quasi mi pento di aver seguito quell’uomo…ma pensandoci bene ( e mi ritrovo mio malgrado ad arrossire al pensiero) non avrei mai voluto stare in quel vicolo senza di lui.
Sospiro mentre mani screpolate mi artigliano le spalle e mi costringono a sedere sull’unica panca di legno umida al centro del locale. Poi, acqua gelata ovunque: giù per la schiena, sul seno, sulla testa, e grattate per tutto il corpo con qualcosa che somiglia molto ad una scopa di saggina.
 
 Giuro a me stessa che non sopporterò ancora a lungo tutto questo.
 
La piccoletta mi distoglie fortunatamente dai pensieri omicidi che sto rivolgendo a coloro che ledono la mia dignità, infatti ha già smesso di piagnucolare da un pezzo: “Ahi! Ma signora, mi fa male! No, la frangia no, eh!” La sua vocetta cristallina risuona decisa alle mie orecchie: ecco una che finalmente sa dire quello che pensa senza rimorsi! Mi ritrovo a pensare alla spontaneità che non possiedo più. Beata innocenza dei piccoli… non ci arrivano proprio che la vita è dura, e che più cresci peggiora…
Finito il trattamento di disinfestazione ci buttano addosso delle coperte per asciugarci. Un sospiro di sollievo si leva da tutte e tre. Ma come vecchie zitelle che si rispettano, non ci risparmiano i commenti, sebbene pensino di non essere ascoltate:
 
-”Avete visto? Devono essere le peggiori mai arrivate…avete notato la bambina sulla sinistra?”
-“Chi, quella con la faccia sciolta? Davvero mai vista una cosa del genere, giuro su Dio!”
-“Un orrore, ma proprio per questo dovrebbero essere grate che esistano persone caritatevoli come il Barone disposte a occuparsi  di loro…”
-“L’altra bimba invece è piuttosto graziosa, vero? Sebbene sembra troppo gracile…”
-“Mah, quella veramente bella è quella in centro. Non mi stupirebbe che fosse stata vittima delle attenzioni di qualche depravato: capelli neri, quegli occhi particolari e forme così generose… è un peccato, però, per quella gamba!”
 
Basta, è troppo. Non voglio sentire altro.

. Cerco di asciugarmi con mani tremanti il più in fretta possibile, e lo sguardo mi cade su quel moncone che sono destinata a portarmi dietro per tutta la vita, pallido e incompleto. Mi fa una pena che mi viene da piangere…no, sono io che mi faccio pena. Cerco con gli occhi un appoggio dalla sorellona: magari ha seguito quell’orribile scambio di battute e mi indirizzerà sorridendo una teatrale alzata di spalle per sdrammatizzare. Invece nel suo sguardo colgo per la prima volta da che la conosco uno sprazzo di gelosia che galleggia in un mare di tristezza.
 
 
E’ un sollievo rivedere il resto della compagnia, a cena. Oddio, mi sembra strano solo pensarlo: noi, e il nostro primo pasto a cadenza regolare. Veniamo introdotte in una stanza molto grande, con tanti tavoli, sedie e panche gremita di ragazzi, dopo esserci rivestite con i semplici abiti assegnateci. I suoi capelli sono come un faro nella notte, visibilissimi dall’altro lato della mensa.
“Aniki!” * urla la piccoletta, allontanandosi da noi e correndo in quella direzione. “Fratellone! Jumbo! Come state? Visto che ho capellifacciaorecchiegambe puliti?!” esclama attaccandosi alla sua manica vuota ciondolante, e dedicandogli un sorriso raggiante. “Vedo, vedo!” ribatte allegramente l’interpellato “Quasi non ti riconoscevo! Insomma, sono riusciti a scrostarti tutto quello sporco di dosso, eh?” “Certo! Sono arrivate quelle signore e ci hanno pulito come la panettiera puliva il pavimento davanti al negozio: con la ramazza!!”
Uh, che divertimento, penso io. Raccontata così sembra quasi uno sketch comico.
Noto che il fratellone ha preso per mano la sorellona, e allora decido di avvicinarmi al gruppo anch’io.
“Big Sis!” il sollievo nella voce del ragazzino è palese: cielo, sembra un martire che abbia appena avuto una visione dell’immensità del Paradiso.
“Ehi.” Rispondo solamente, la mia attenzione concentrata su altro. Lui sta ancora assecondando la piccoletta che gli racconta tutti i particolari dell’umiliante pomeriggio trascorso come se fosse stato un giro in giostra. Tutt’a un tratto il suo sorriso sgargiante si addolcisce, e lo scopro a osservarmi di sottecchi. Il mio cuore accelera involontariamente il ritmo, notando le iridi azzurro-violette celate malamente dalla frangia rossa irregolare ancora umida e spettinata.
“ Ciao, eh.” “Ciao…” Sai, stai molto bene con quel vestito” sussurra con candore, come se fare i complimenti fosse per lui normale come respirare. O forse sono io che non so riceverli…






* "Aniki" significa "fratellone" in gergo giapponese.

Purtroppo come molti di voi sapranno, i nostri protagonisti non hanno mai avuto un nome fino a che non hanno deciso di formare un circo... quindi mi sono dovuta un po' arrangiare, cercando di capire come potevano chiamarsi prima...Quindi:
"lui " sarà Joker
"il gigante buono"," quello grosso" e simili sarà Jumbo. Verso la fine Doll lo chiamerà già così, perchè essendo di aspetto così massiccio è un nome a mio parere talmente intuitivo che possono esserselo inventato prima di tutti gli altri =)
"Big Sis" è naturalmente Beast
"il fratellone" e "la sorellona" sono rispettivamente Peter e Wendy
"il ragazzino", "il piccoletto"... é Dagger
"la piccoletta", "la ragazzina" è la piccola del gruppo, ovvero Doll.
chiedo scusa per la pazienza che dovrete avere per capire quello che ho scritto, ma ho fatto del mio meglio =)

Grazie mille a chiunque leggerà queste storie... Sarò felice di sapere cosa ne pensate. Ciao!
  
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