Striptease
Era un pomeriggio torrido. Il
ventilatore era stato impostato al massimo fin da prima mattina, ma
nell’ufficio si faceva comunque fatica a respirare.
Jellal Fernandes se ne stava seduto
non troppo comodamente alla sua scrivania e teneva gli occhi fissi su
una
decina di pagine di appunti presi durante il suo ultimo viaggio.
Stavolta il Direttore
Makarov gli aveva assegnato uno speciale su una tribù
indigena sperduta in una
remota zona del Perù e dopo due settimane passate per lo
più a masticare radici
e tuberi arrostiti, era finalmente tornato alla civiltà,
ringraziando il Cielo
per l’esistenza di elettricità e acqua calda.
Ora, di nuovo al lavoro, il suo
compito era battere a macchina l’articolo che aveva
già preso forma nella sua testa;
certo, non era facile concentrarsi con quel caldo afoso e la camicia
zuppa di
sudore incollata alla schiena, ma avrebbe fatto bene a darsi una mossa,
se
davvero desiderava tornare a casa e concedersi una rivitalizzante
doccia
fredda.
Sbuffò e rilesse attentamente le due
righe che aveva appena aggiunto, cancellandole un secondo dopo,
insoddisfatto;
si rese conto di non star mettendo il proprio cuore in quello scritto e
si
passò entrambe le mani tra i capelli in preda alla
disperazione.
Toc
toc
Ebbe appena il tempo di alzare gli
occhi sulla porta, aperta senza alcun permesso dal suo più
stretto
collaboratore.
-Si può?-, domandò Laxus Dreyar,
avanzando verso la scrivania con un sorriso stranamente cordiale che
insospettì
subito Jellal.
-Potresti anche chiuderla-, gli disse
con tono stanco, alludendo alla porta alle sue spalle.
-Dio, questa stanza sembra una
fornace! Lascia passare un po’ d’aria-.
-Ho acceso il ventilatore, se non te
ne sei accorto. Se la lasci aperta, andrà dispersa tutta la
frescura-.
Laxus si lasciò scappare un ironico Ah-ah
prima di chiudere la porta e
compiacere il collega. Poi fece il giro della scrivania e si pose alle
sue
spalle, sbirciando l’articolo: -Makarov vuole il servizio
pronto per domani
sera. Pensi di farcela?-.
Jellal non rispose. Evidenziò e
cancellò qualcosa, corresse di nuovo e infine fece aderire
la schiena sudata
alla poltroncina girevole su cui era seduto. Chiuse gli occhi per
alcuni
secondi, prima di replicare: -Sì, non dovrei avere problemi.
Hai digitalizzato
le tue foto?-.
-L’ho fatto stamattina-.
-E allora perché non te ne sei tornato
a casa?-.
-Makarov mi ha affidato i rullini di
Gray. Ha deciso di prendersi una pausa dal lavoro proprio nel momento
più
adatto-.
Era evidente che le parole di Laxus
tradissero un certo risentimento, ma Jellal preferì non
approfondire la
questione.
-Dove è stato?-.
-Sulle Alpi per un articolo sullo sci.
Noi sbattuti in Amazzonia…-.
-Perù-, lo corresse l’altro.
-Amazzonia, Perù… Quello che è! E lui
in escursione in montagna. Makarov deve avercela con noi-.
Da bravo collega, Jellal avrebbe
dovuto dire qualcosa come “Noi saremo in copertina”
oppure “Ci affidano compiti
difficili perché siamo più bravi ed
esperti”, ma l’afa gli aveva assorbito gran
parte delle energie e preferiva di gran lunga impiegare le rimanenti
per
portare a termine il suo articolo.
-A ogni modo-, proseguì Laxus,
capendo che l’altro non avrebbe aperto bocca, -mi sembri
parecchio stressato.
Qualcosa non va?-.
-Tutto bene-, rispose a denti stretti
Jellal, pigiando mollemente le dita sulla tastiera.
-Ha chiamato Meredy, poco fa-.
L’uomo trasalì, fermandosi nuovamente:
-Cosa voleva?-.
-Ti cercava. A quanto pare non le
avevi detto di essere tornato-.
-Già-, annuì dopo qualche istante,
riprendendo a scrivere.
-E mi ha detto che era preoccupata
anche perché non riusciva a contattarti, visto che il tuo
cellulare risultava
sempre irraggiungibile-.
-Vero anche questo-.
Laxus fissò la nuca del collega,
indeciso se prenderlo a schiaffi o se parlargli ragionevolmente.
Optò per un
compromesso.
-Ascoltami bene-, disse in tono
minaccioso, facendo voltare la poltroncina e obbligando Jellal a
guardarlo
negli occhi. -Meredy è tua sorella. È tutto
quello che ti è rimasto. E vorresti
estrometterla dalla tua vita?-.
-Non è questo il punto-.
-E allora cosa?-.
Jellal abbassò lo sguardo, ma strinse
i pugni. Poteva forse dire al collega di essere geloso della sua cara
sorellina? Poteva forse dire che le cose erano un tantino cambiate da
quando la
ragazza era andata a convivere con il giovane e rampante avvocato Lyon
Bastia?
-Meredy è adulta e responsabile per se
stessa. Non c’è bisogno che si preoccupi per me.
Dovrei essere io a prendermi
cura di lei, visto che sono suo fratello maggiore, ma so che non ha
più bisogno
della mia protezione, sempre che ne abbia mai avvertito la
necessità-.
-Jellal?-.
-Che c’è?-.
-Sei un idiota. Lo sai, vero?-.
-Può darsi-.
-Da quanto tempo non esci con una
ragazza?-.
E ora cosa c’entrava quella domanda
con il discorso precedente?
-Scusa, ma non credo di aver capito il
nesso-.
-Limitati a rispondere-.
Stizzito e ancora allibito, Jellal
ripensò a come aveva vissuto nell’ultimo periodo.
Calcolò qualcosa sulla punta
delle dita e poi disse: -Tre anni-.
-Cosa?!-.
-La risposta che volevi. Tre anni-.
-No, no, no, fammi capire-, scosse la
testa Laxus, incredulo. -Stai dicendo che non frequenti nessuno
da…-.
-Sì, perché? Ti sembra strano?-.
Ma certo che lo era, pensò in un
secondo momento. Stava pur sempre parlando con il fotografo Dreyar,
rinomato
playboy della redazione. L’unico uomo – il solo che
Jellal avesse mai
conosciuto, almeno – in grado di collezionare una ragazza
dopo l’altra senza
rimanere invischiato in storie troppo complicate; il classico
dongiovanni che
si ripeteva a mo’ di mantra il motto “Mai
più di una notte”.
-E ci credo che sei stressato!-,
sbottò il collega, gli occhi ancora strabuzzati. -Tre anni! Tre. Anni!-.
In propria discolpa – perché avrebbe
dovuto giustificarsi, poi? – Jellal avrebbe potuto dire che
per nessuno sarebbe
stato facile intraprendere una nuova relazione dopo aver a malapena
flirtato
con la caporedattrice Ultear Milkovich; inoltre, come avrebbe fatto a
gestire o
anche solo ad iniziare un’altra storia, se il lavoro lo
costringeva
continuamente a stare lontano da casa? Le soluzioni erano due: o
comportarsi
come Laxus oppure restare da solo vita natural durante. La seconda
opzione gli
sembrava e gli era sempre parsa la più ragionevole, visto
che, nonostante le
apparenze, la sua timidezza era proverbiale.
-Facciamo una cosa-, disse il fotografo
suo collaboratore, passandosi una mano sul viso, quasi avesse voluto
rimuovere
la rivelazione sconvolgente del collega. -Prova a finire questo dannato
articolo entro le sei. Se non ci riesci, e credo proprio che
sarà così, evita
di continuarlo a casa. Questa sera ti prenderai una bella pausa e
vedrai che
domani ti sentirai molto meglio-.
-Grazie per il consiglio, Laxus, ma
non penso che Makarov sia dello stesso avviso-.
-A lui importa solo che sia pronto
entro le sei di domani-,
sottolineò
l’altro. -Hai tutto il tempo per finire il tuo capolavoro-.
Jellal colse una punta di sarcasmo in
quelle parole, ma preferì passarci su.
-Che ne dici di uscire? Andiamo a
farci una bella bevuta in qualche locale e poi dormiamoci sopra. Ti
assicuro
che sarai rigenerato. Con me funziona sempre-.
Quello doveva essere il metodo che gli
aveva insegnato una delle sue ultime conquiste, una certa Cana. Jellal
scosse
la testa.
-Sono astemio, lo sai-.
-E che importa? Ti farò portare una
cola, se l’alcol ti dà problemi-.
-Laxus, te lo sto dicendo con
gentilezza: non ho intenzione di uscire. Non quando ho un lavoro da
terminare-.
-Quante storie!-, proruppe il
fotografo. -Lo sai anche tu che non hai né la voglia
né la testa per completare
il pezzo. Preferisci davvero startene da solo a casa? Non sarebbe
meglio se ti
divertissi un po’? Se comunque non aggiungerai
un’altra riga allo scritto di
oggi, tanto vale uscire con il tuo migliore amico, non ti pare?-.
Un punto a suo favore.
-D’accordo-, si lasciò convincere
Jellal, battendo leggermente le mani sul bordo della scrivania. -Dove
ci
vediamo?-.
-Oh, non preoccuparti-, lo rassicurò
Laxus, allontanandosi verso la porta. -Passerò a prenderti
verso le nove, se
non ti crea problemi-.
-Affatto-, rispose l’altro, ostentando
una sicurezza che non aveva. -Ma sei sicuro di volermi dare un
passaggio? Non
sarebbe meglio se…-.
-Lascia fare al sottoscritto-, lo
interruppe il collega. -Vedrai, non te ne pentirai-.
***
Alle
otto e mezza Jellal era già
pronto.
Aveva rinunciato a proseguire nella
stesura dell’articolo e si era rifugiato sotto
l’agognata doccia fredda che
aveva sognato per tutta la giornata, poi si era preparato e aveva dato
un’ultima sistemata ai capelli, pronti a ribellarsi
nonostante avesse usato
qualche goccia di gel per tenerli a bada. Riflettendosi nello specchio
della
sua camera aveva pensato che probabilmente il suo abbigliamento fosse
un po’
troppo elegante per una semplice uscita tra amici, soprattutto se si
immaginava
seduto al bancone di un bar o in una discoteca; il massimo
dell’imbarazzo si
sarebbe raggiunto nel momento in cui avrebbe chiesto una cola al posto
del
normale super alcolico, ma scacciò immediatamente quella
scena grottesca dalla
propria mente.
L’improvviso squillo del cellulare gli
fece capire che Laxus doveva essere arrivato. Si affacciò
allora alla finestra
e adocchiò la sagoma scura dell’auto del
fotografo, fermo proprio sotto casa.
-Visto? Puntuale come un orologio-,
gli sorrise l’amico, non appena si fu richiuso la portiera
alle spalle. -Però-,
aggiunse Laxus, -sei proprio un damerino chic, stasera-.
-È troppo vistoso?-, gli domandò
Jellal, guardando a disagio la giacca nera e la cravatta rossa.
-Diciamo pure che avrai parecchi occhi
puntati addosso-, lo prese in giro l’altro. -Ma hai fatto
bene, sul serio-.
-Dove stiamo andando?-, gli chiese
allora il giornalista, osservando prima la strada illuminata dagli
anabbaglianti, poi il viso del collega.
-È una sorpresa. Ti dirò, per un
attimo ho avuto paura che non ci fosse posto per noi, ma a quanto pare
altri
due clienti hanno dato forfait all’ultimo minuto e quindi
sono stato
richiamato. Prima fila per delle guest star come noi-.
Senza capire una singola parola,
Jellal rimase in silenzio e annuì, fissando
l’oscurità oltre il finestrino alla
sua destra. Laxus gli sembrava ancor più su di giri rispetto
al solito e ciò
non lo rassicurava affatto.
-È un locale in città?-, domandò
ancora.
-Dobbiamo imboccare l’autostrada e
uscire da Magnolia, in realtà-, lo informò il
fotografo. -Ci impiegheremo più o
meno tre quarti d’ora, prima di arrivare. Ma
l’attesa sarà ripagata, oh sì-.
-Ci sei già stato, vero?-.
-Come?-.
-Hai già visitato questo locale,
immagino-.
-Ah, certo. È stato tutto merito di
Gildarts Clive; te lo ricordi?-.
E come avrebbe potuto dimenticarlo?
Gildarts era stato il più famoso fotografo della rivista per
cui lavoravano, ma
aveva lasciato il giornale per un ingaggio maggiore offerto da una
redazione
lontana da Magnolia. Il suo posto era stato occupato da Laxus, che da
Clive
aveva assorbito svariati consigli utili su come lavorare al meglio per
ottenere
foto perfette.
-Era un tipo bizzarro. Me lo ricordo
bene-, annuì Jellal.
-La sera prima che sgombrasse il suo
ufficio, siamo usciti insieme per andare a bere. E cosa ha fatto? Mi ha
accompagnato all’Amnesia.
Non potrò
mai ringraziarlo abbastanza: quel posto è il Paradiso in
terra-.
-Amnesia?-.
Quel nome gli risultava familiare, ma non aveva idea di dove lo avesse
sentito.
-Già. Ah, se vuoi capire quello che
sto dicendo, devi farci un salto anche tu. Ecco perché ti ci
porto. E se
neanche questo dovesse tirarti su di morale, penso che faresti bene a
rivedere
le tue priorità-.
L’abitacolo sprofondò nel silenzio.
Jellal riprese a guardare il buio che scorreva dietro il finestrino e
Laxus
prestò particolare attenzione a guidare verso il casello
autostradale giusto.
-Vuoi che accenda la radio?-, gli
domandò il fotografo, mentre l’auto, ora sul
rettilineo, acquistava velocità.
-Come vuoi-.
Di lì a qualche secondo la voce della
giovanissima cantante Wendy Marvell fece tremare le casse poste alle spalle dei
sedili. Laxus resistette un minuto buono – e
Jellal fu sicuro che
quello fosse un nuovo record – prima di cambiare stazione.
-Eh no, non mi faccio guastare la
serata dall’ultima idol entrata in classifica-,
borbottò il fotografo, premendo
più volte il pulsante per lo spostamento di frequenza. -Una
volta la radio
trasmetteva canzoni decenti, non commercialate come questa-.
Per evitare di alimentare il dibattito
sulla musica contemporanea, Jellal rimase zitto ad ascoltare le
rimostranze
finali dell’amico. Solo allora, sbirciando
all’esterno, si rese conto di essere
vicino all’uscita dell’autostrada.
-Siamo…-.
-Quasi arrivati, sì. Dammi dieci
minuti-.
Sebbene fossero ormai fuori dal
rettilineo, Laxus incrementò ancora la velocità.
Probabilmente la multa lo
avrebbe salassato, se nelle vicinanze ci fosse stato un autovelox
pronto a
rilevare i chilometri orari in eccesso.
-Non pensavo che fosse così tanto
fuori dalla città-, rifletté a voce alta Jellal,
notando la strada farsi più
stretta e la vegetazione incrementare ai margini della viuzza. Stavano
attraversando dei campi spogli e dall’aria particolarmente
lugubre, complice la
leggera foschia che si era levata.
-È solo un’impressione-, replicò il
collega, aprendo i finestrini e facendo ricircolare l’aria
nell’abitacolo. -Una
volta arrivati, ti accorgerai che abbiamo semplicemente girato intorno
a
Magnolia e preso lo svincolo autostradale a sud. Che
c’è?-.
-Niente-, disse Jellal con tono
piatto. Era sicuro che l’amico si fosse reso conto della sua
tensione.
-Non dirmi che stai pensando ancora a
quell’articolo-, sbottò Laxus, lanciandogli una
fugace occhiata prima di
tornare a prestare attenzione alla strada.
-No, per carità. Sono uscito proprio
per evitare di rimuginarci sopra, no?-.
-Hai richiamato Meredy?-.
-No-.
-Sei davvero cocciuto. Che ti
costava…?-.
-Possiamo cambiare argomento?-, lo
bloccò Jellal. L’ultima cosa che voleva era
sentire una paternale. Da Laxus,
per giunta!
-Amico, devi scioglierti un po’. E
infatti ci sono io, qui con te! Ah, eccoci arrivati-.
Buio. Nient’altro che buio.
-Laxus, si può sapere dove siamo
finiti?-, domandò preoccupato il giornalista.
-Dammi almeno il tempo di
parcheggiare, no? Lo spazio per le auto si trova sul retro del locale,
ecco perché
non vedi nulla-.
-Chiedere al Comune di preoccuparsi
dei pali della luce ti sembra una richiesta esagerata? Non farei fatica
a
credere che il posto sia poco frequentato-.
-Ed è qui che ti sbagli. Dai retta a
me, l’Amnesia è
il luogo di culto per
chi cerca compagnia. Proprio come te-.
Laxus parcheggiò con una manovra
fluida e uscì dalla vettura, sbattendo la portiera e
incamminandosi
nell’oscurità. Dal canto suo, Jellal lo
seguì con la seria intenzione di
chiedergli spiegazioni.
-Aspetta un secondo-, disse al suo
collaboratore, costringendolo a voltarsi. -Io
starei cercando compagnia?-.
-Perché, non è quello che vuoi?-,
ribatté il fotografo. -Andiamo, Jellal, non fare quella
faccia! Quando mi hai
detto che non frequenti una donna da tre anni ho sentito il bisogno di
intervenire. È per il tuo bene, capisci? Sono tuo amico,
prima di essere un tuo
collega, e sono stanco di vederti stressato e giù di morale.
Ho semplicemente
pensato che passare una serata circondato da belle ragazze ti
avrebbe…-.
Ormai erano giunti di fronte
all’entrata del locale. Fu allora che Jellal, smesso per un
istante di
ascoltare Laxus, perse completamente l’uso della parola.
Una rossa insegna al neon recante la
scritta Amnesia troneggiava proprio
sopra la porta d’ingresso. Accanto alla
“A” di inizio parola era stata
sistemata una figura femminile dalla posa provocante che lampeggiava a
intermittenza, richiamando l’attenzione dei visitatori.
-Mi hai portato a un night club?!-,
esclamò Jellal, sul punto di strapparsi i capelli per
l’esasperazione e
l’imbarazzo.
-Il migliore in circolazione,
aggiungerei. Dai, entriamo-.
-No, no. Forse non hai capito, ma io
lì dentro non ci metto piede. Scordatelo-.
-Non fare l’idiota e seguimi-.
-Laxus, riaccompagnami a casa.
Subito-.
-Ormai ho prenotato due posti. E
prenotare significa pagare pur non essendo presenti in sala. Quindi
fattene una
ragione ed entra. Te lo sto dicendo con le buone, ma, se preferisci,
posso
sempre trascinarti all’interno con la forza-.
Le proteste si protrassero per qualche
altro minuto, ma alla fine il fotografo ebbe la meglio. Jellal fu
costretto a
entrare, mantenendo la testa bassa come un cagnolino bastonato. Si
soffermò un
secondo sulla porta di ingresso per leggere un avviso che vi era
affisso – Vietato
l’ingresso ai minori di 18 anni
– e poi si addentrò nel locale, augurandosi che
quella tortura finisse presto.
Luci soffuse ovunque. Luci
psichedeliche che si riflettevano sulle pareti ricoperte di specchi e
davano
alla testa, costringendo qualcuno a chiudere gli occhi di tanto in
tanto. Luci
che illuminavano dal basso il lungo palco su cui si stavano esibendo
proprio in
quel momento tre ragazze che a prima vista apparvero nude ai loro
occhi. Solo
osservandole più attentamente e da vicino sarebbero riusciti
a distinguere i
bikini color carne che indossavano.
-Buona sera, signori-, li accolse una
bionda dal completo scollacciato. -Posso aiutarvi?-.
-Abbiamo prenotato un tavolo-, si
lanciò a capofitto Laxus, mentre Jellal non sapeva se
guardarsi intorno o se continuare
a mantenere gli occhi abbassati per tutto il tempo.
-Nome?-, domandò la ragazza, aprendo
un quaderno dalla rigida copertina nera.
-Dreyar-, continuò il fotografo.
-Dreyar, Dreyar… Ah, sì-, annuì la
giovane, puntando l’indice sull’ultima pagina
registrata. -Siete al tavolo
sette. Venite, vi faccio strada-.
I due uomini la seguirono in silenzio.
Il volume alto della musica non faceva che incrementare a ogni passo
che li
avvicinava al palco e Jellal ebbe paura di ritrovarsi ben presto con la
testa
in fiamme. Cosa aveva detto Laxus? Domani
ti sentirai rigenerato? Sì, come no! Una bella
emicrania era proprio quello
che ci voleva per
riuscire a completare
l’articolo da consegnare al Direttore Makarov.
-Accomodatevi pure-, li invitò la
bionda, indicando loro il tavolo prenotato.
-La ringrazio-, le sorrise il
fotografo.
-Godetevi la serata-, si congedò
definitivamente lei, sparendo tra la folla.
-Allora? Che te ne sembra?-, domandò
Laxus a Jellal una volta che la ragazza si fu allontanata.
-Che ne penso?-.
E cosa si aspettava che gli
rispondesse? Che quello era “il
Paradiso
in terra”, come lo aveva definito lui poco meno di un’ora prima? Non avrebbe
saputo mentire neanche se costretto e quindi disse soltanto
“È un disastro”.
-Amico, hai voglia di scherzare?-,
rise il fotografo. -Guardati intorno: siamo in prima fila, esattamente
di fronte
al palco. Decine di ragazze ci sfileranno davanti praticamente nude e
altre ci
porteranno da bere. A proposito…-.
E smettendo per un secondo di parlare,
richiamò l’attenzione di una cameriera e
ordinò due super alcolici.
-Sono astemio, dannazione! Quante
volte te lo devo ripetere?-, esclamò Jellal, sempre
più adirato.
-Rilassati e fidati di me. Serve a
farti sciogliere un po’: sei teso più di una corda
di violino!-.
Ma certo che era teso! Anzi no, non
teso: profondamente arrabbiato e deluso. Imbarazzato e a disagio. Se lo
scopo
di Laxus era prendersi gioco di lui, allora complimenti, ci sarebbe
riuscito.
-Per quanto tempo pensi che
rimarremo?-.
-Finché il tuo umore non sarà
migliorato. Penso che ci vorrà parecchio, già-.
Jellal sbuffò, guardando
distrattamente una ragazza esibirsi in una pole dance. E finalmente
ebbe
l’illuminazione.
-Ecco dove l’avevo sentito!-, esclamò,
sovrastando appena il frastuono della musica.
-Di che parli?-.
-Del nome Amnesia. Era
nell’articolo-inchiesta redatto da Levy-.
-McGarden?-.
-Quante altre Levy conosci?-.
-Uhm, dipende-.
-Comunque sia… Sì, si trattava proprio
di questo locale. Ora capisco perché ce l’aveva
tanto con i night club-,
continuò Jellal.
-Perché?-.
-Mi sembra di aver capito che il suo
ragazzo fosse un frequentatore abituale di posti come questo-.
-Fosse? Credi davvero che non bazzichi
più da queste parti?-.
-Non sono affari miei-.
-Ah, certamente. Era solo per dire che
chi viene una volta qui ha due possibilità: o non tornare
una seconda volta
oppure diventare un cliente abituale. Stai pur sicuro che il fidanzato
della
McGarden continua a farci una visita, di tanto in tanto. Grazie-.
Laxus si era nuovamente rivolto alla
cameriera, di ritorno con due cocktail dall’aria letale.
-Bevi-, il fotografo ordinò a Jellal,
ingollando metà bevanda in un sol sorso.
Il giornalista se ne tenne a debita
distanza. Era già abbastanza umiliante starsene
lì, sotto al palco, mentre il
suo amico non perdeva un’occasione per fischiare in direzione
delle ragazze in
segno di approvazione. No, non avrebbe ingerito quel veleno.
Per una mezz’ora Jellal cercò di
calmarsi. La voglia di urlare contro l’amico e correre fuori
dal locale era
tanta, ma si costrinse a rimanere seduto per una questione di decoro.
Ma a metà
della quinta pole dance di fila a cui assisteva, perse definitivamente
la
pazienza e balzò in piedi, afferrando Laxus per un braccio e
strattonandolo.
-Che ti prende?-, si lamentò il
collega.
-Voglio andarmene-.
-Non puoi-.
-Allora dammi le chiavi della tua auto
e lasciami tornare a casa da solo-.
-Vorresti lasciare qui il tuo migliore
amico? La persona che ti ha offerto la serata per…-.
-Basta con questa solfa! Ne ho fin
sopra i capelli di te e di questo posto!-.
-Ehi, voi due! Fate silenzio!-.
La voce di uno sconosciuto interruppe
il litigio ed entrambi i contendenti si accorsero che la musica era
cessata. Un
innaturale silenzio regnava ora nel locale e le luci, già
fioche, si
abbassarono ancor di più.
-Che sta succ…-.
-Shhh!-.
Jellal si guardò intorno, perplesso.
Provò a strattonare un’altra volta Laxus, ma
qualcosa lo distrasse.
Due intense luci furono proiettate sul
palco rispettivamente dalla destra e dalla sinistra della sala e
incrociandosi corsero
a illuminare il centro della scena. Il giornalista fissò
scettico il punto
evidenziato, aspettandosi che dalle cortine che demarcavano il dietro
le quinte
uscisse l’ennesima spogliarellista in bikini. La musica,
suadente come mai era
stata fino a quel momento, ripartì e oltre le tende si
accese una terza luce
che mostrò un’ombra appena visibile. La sagoma,
inizialmente immobile, prese a
intonare una canzone.
You
had plenty money, 1922
You let other women make a fool of you
Why don’t you do right, like some other men do?
Get out of here and get me some money too
Jellal
era semplicemente rimasto senza
fiato.
Il sipario si era dischiuso e pian
piano aveva fatto il suo ingresso una ragazza dai lunghi capelli rossi.
Il
pubblico era andato in visibilio nel vederla avanzare passo dopo passo,
ondeggiando i fianchi sui cui teneva entrambe le mani poggiate e
rivolgendo
occhiate languide agli uomini che occupavano le prime file.
Jellal era tra quelli che non avevano
parole per descrivere la meraviglia di cui si erano riempiti i loro
occhi.
Seguiva i movimenti della cantante senza battere ciglio, badando di non
perdersi una singola espressione del suo delicato viso; aveva
già perso
interesse per il lungo abito di paillettes blu su cui aveva
inizialmente
concentrato la propria attenzione, anche se doveva ammettere che era
alquanto
difficile ignorare il profondo spacco che partiva da metà
coscia, mostrando di
tanto in tanto una gamba che avrebbe fatto invidia alla più
quotata modella di
Magnolia.
-Perché
non ti siedi?-.
-Eh?-.
Il giornalista fu distratto per un
istante da Laxus, che lo fece ricadere senza troppe
difficoltà sulla sedia. Un
attimo dopo stava contemplando di nuovo la ragazza sul palco, che
adesso pareva
stesse guardando proprio nella sua direzione, puntandogli
l’indice della mano
destra contro.
You’re
sittin’
there and wonderin’ what it’s all about
You ain’t got
no money, they will put you out
Why don’t you
do right, like some other men do?
Get out of
here and get me some money too
Sembrava
che le parole della canzone
si rivolgessero davvero a lui. Jellal ne rimase ulteriormente colpito,
soprattutto perché la donna aveva praticamente smesso di far
scorrere lo
sguardo sul resto del pubblico. I loro occhi si incontrarono per la
seconda
volta ed ebbe l’impressione che lei stesse sorridendo.
If you had prepared twenty years ago
You wouldn’t
be a-wanderin’ from door to door
Why don’t you
do right, like some other men do?
Get out of
here and get me some money too
Quei
capelli.
Ogni volta che la ragazza improvvisava
una giravolta sembrava essere avvolta da una fiamma ardente. Era
impossibile,
per Jellal, non fissare quella chioma. E quando
all’improvviso si rese conto di
aver immaginato il suo profumo, capì di aver compiuto un
passo che da tre anni
si rifiutava di fare: voleva quella donna. Desiderava conoscerla,
sapere come fosse
arrivata a lavorare in quel locale. Si disse che forse il nome del
night club
lo aveva ispirato proprio lei: lui stesso, guardandola, era stato
vittima di
una piacevole Amnesia.
I fell for
your jivin’ and I took you in
Now all you
got to offer me’s a drink of gin
Why don’t you
do right, like some other men do?
Get out of
here and get me some money too
Why don’t you
do right, like some other men do?
La musica
scemò e il pubblico
esplose in un fragoroso applauso, mentre Jellal, stordito e assuefatto
dalla
voce della ragazza, provava a tornare alla realtà afferrando
il cocktail
ordinato da Laxus e mandandolo giù con un solo sorso.
-Astemio, avevi detto?-, rise il
fotografo, dandogli una pacca dietro la schiena vedendolo tossire.
Sentì la gola bruciargli, ma non era
comparabile al fuoco scoppiato all’altezza del suo cuore.
Batteva fin troppo
rapidamente e Jellal temette che il muscolo avrebbe ceduto di
lì a poco.
“Ancora
un bell’applauso per la nostra Scarlet!”,
urlò uno speaker, mentre la
cantante si inchinava al pubblico, sorridendo soddisfatta e con aria
raggiante
prima di uscire dalla scena e sparire di nuovo dietro le quinte.
“Scarlet”, pensò il giornalista.
“Mai
un nome fu più indovinato”.
-Allora? Piaciuta l’esibizione?-,
chiese Laxus, facendo un cenno ad una cameriera nelle vicinanze e
ordinando
altro alcol.
-Credi che salirà ancora sul palco
prima della fine della serata?-.
-Oh-oh, qualcuno è rimasto ammaliato,
qui!-.
-Sta’ zitto!-, replicò Jellal. Se
c’era una cosa che lo infastidiva, era essere punzecchiato.
-No, non penso-, rispose il collega
senza smettere di sorridere. Poi aggiunse, guardando maliziosamente
l’amico e
alludendo alla canzone appena finita: -Di’ un po’,
con lei lo berresti un
bicchiere di gin, eh?-.
Jellal evitò di rispondere, provocando
così una seconda ondata di risate da parte di Laxus. Ma
stavolta non diede peso
alla cosa: stava ancora pensando a Scarlet.
“Devo rivederla”, si disse,
trangugiando il secondo cocktail servito dalla cameriera senza neanche
rendersene conto.
Come aveva detto anche il suo collega
a inizio serata, c’erano due possibilità: tornare
una seconda volta al night
club o dirgli addio per sempre.
Senza riflettere oltre, Jellal sapeva
già cosa avrebbe fatto.
Avrebbe cercato e trovato
Scarlet a
qualunque costo.