Il mare era abbastanza calmo quel giorno.
Percy Jackson era appoggiato al parapetto
a prua del suo veliero e guardava avanti, lo sguardo perso nella distesa
d'acqua.
"Capitano!"
Lo chiamò Jason Grace, il suo quartiermastro.
"Non hai
comunicato all'equipaggio la meta. Lo hai detto solo detto al timoniere.
Possiamo sapere?"
Percy
sbuffò, chiaramente seccato per essere stato distolto dalle sua riflessioni.
"Non credo che la ciurma sarebbe d'accordo,
Grace."
"Loro hanno fame di gloria" commentò
Jason. "Se non vuoi dirlo vuol dire che è una cosa di poco conto."
"Abbiamo quasi finito il
ricavato dall'ultimo bottino. Abbiamo bisogno di soldi. Non c'è tempo per le
imprese gloriose." Disse Percy, tornando a
girarsi verso il mare.
La cosa che in assoluto preferiva della
navigazione era farsi scompigliare i capelli dal vento a prua quando la nave
filava a più di venticinque nodi.
Solo Leo Valdez,
il timoniere sudamericano un po’ pazzo, riusciva ad organizzare l'Argo II in
modo che raggiungessero quella velocità.
"Andremo a razziare un paese
qualunque" continuò, alzando la voce per farsi sentire controvento.
"Ci serve oro, ma soprattutto
schiavi da vendere."
Jason alzò le spalle "Come vuoi,
capitano..." Disse, e si voltò per tornare sottocoperta dal resto
dell'equipaggio.
"Giusto..." Mormorò Percy. "Come
voglio io."
Era lui il capitano della nave più temuta dei
sette mari.
Era lui che decideva tutto, perfino
come dovevano andare i commerci tra l'Inghilterra e l'America.
Ed era giusto così.
In diciotto anni di vita non si era mai
sentito nel torto, lui aveva il potere e se l'era conquistato in modo
legittimo.
E non perché era il figlio di Poseidone, il più grande pirata della generazione
precedente.
Nessuno gli aveva concesso niente sulla
fiducia.
A cinque anni aveva cominciato
facendo il mozzo, poi negli anni, con il suo carisma e le sue abilità, si era
fatto strada fino a reclutare un equipaggio niente male.
Ragazzi giovani ma non sprovveduti,
coraggiosi, forti e molto avidi di fama e imprese.
Ma un bravo capitano doveva anche
pensare all'oro per finanziare le spedizioni (Leo voleva solo i materiali più
pregiati per le opere di manutenzione della nave), e le imprese non sempre
pagavano la fatica che erano costate.
Dopo la missione per distruggere
l'ammiraglia della marina inglese, era partito un forziere di monete d'argento
solo per le riparazioni.
Ogni tanto si poteva pure fare qualcosa di
disonorevole per denaro, da bravi pirati.
"Terra! Terra!" Gridò Will Solace, la
vedetta dell'Argo II.
Tutto l'equipaggio uscì all'improvviso dal torpore del mare aperto, attivandosi
per lo sbarco.
Percy delegò a Jason i comandi per attraccare, poi
salì su un ponte rialzato per fare i tipici avvertimenti pre-azione.
"Amici!" Urlò. I pirati cominciarono ad agitarsi, mormorando tra loro
scommesse su cosa avrebbero fatto.
"Sapete che il mare ci riserva grandi imprese, e i nostri nomi verranno
ricordati in eterno.
Le grandi imprese saranno nelle
ballate, mentre nessuno narrerà i saccheggi e tantomeno elogerà i predoni...
Ma grazie a questi noi cresciamo e
diventiamo più potenti, rendendo possibili le cose per cui saremo famosi!"
La terra era ormai quasi raggiunta,
dalla terraferma certamente avevano avvistato il veliero che si avvicinava.
"Cercate di non uccidere
nessuno, ma rubate quanto più potete e portate a bordo un cospicuo numero di
prigionieri!"
La ciurma annuì come un solo uomo.
Percy diede ordine
di nascondere la nave dietro un'enorme scoglio, mentre i compagni si
affrettavano alle scialuppe per raggiungere la terraferma.
Percy tornò nella sua cabina stanco e sudato,
sganciandosi dalla cintura la spada lorda di sangue.
Non voleva trafiggere quella donna, pensò. Si
era messa in mezzo.
Mai impedire a Percy
Jackson di mettere le mani sul proprio bottino.
In quella casa aveva sentito altre
urla, di una ragazza e di un ragazzo, gli era sembrato.
La ragazza era sicuramente morta o
ferita gravemente: le leggi del mare proibivano a una donna di salire a bordo,
anche solo per essere condotta come prigioniera da qualche parte.
Doveva per forza essere rimasta li,
se non si era opposta troppo magari i suoi compagni l'avevano risparmiata.
Il ragazzo chissà... Comunque, non
era sua abitudine rimuginare su cosa era successo alle sue vittime.
Considerava prova di grande umanità già preoccuparsi di dire alla ciurma di
uccidere il meno possibile, se poi qualcuno si immischiava erano solo affari
suoi.
Sentì bussare alla porta.
"Capitano?" Disse la voce di Travis Stoll, il cambusiere, dall'altra parte del legno.
"Entra" sbuffò Percy, mettendosi a sedere
sul letto.
"Non abbiamo fatto un grande bottino" annunciò Travis
entrando.
"Non era un villaggio ricchissimo. Ma abbiamo fatto un gran numero di
prigionieri."
"Li esaminerò più tardi." Disse Percy in
risposta.
"Sono tutte persone abili al
lavoro, spero."
L'altro annuì.
"Sì, Eccetto uno più piccolo e
smilzo degli altri. Poco più che un ragazzino, ma avevamo ucciso tutta la sua
famiglia e continuava a opporre resistenza, abbiamo preferito metterlo in
catene che ucciderlo.
Qualcuno potrebbe comprarlo nella speranza che
cresca."
"Massimo
finirà in mare" dichiarò Percy, recuperando la
spada. "Mi hai messo curiosità, fate salire i prigionieri sul ponte."
Nico di Angelo aveva sentito solo le urla per strada e la porta cedere.
Poi Maria aveva urlato e aveva detto a lui e Bianca di
rifugiarsi in un’altra stanza e scappare dalla porta sul retro.
La sorella lo aveva afferrato per il colletto prima che lui
potesse gettarsi sulla madre e lo aveva portato a fare un piccolo fagotto del
minimo indispensabile, poi i pirati erano entrati e il mondo era finito.
Volevano raggiungerli, ma Maria si era messa in mezzo e un
ragazzo alto con i capelli neri e i vestiti decisamente più preziosi dei
compagni l’aveva colpita con una lama lucente, che portava con tanta
naturalezza da farla sembrare un prolungamento del suo braccio.
Nico aveva urlato, e mentre il ragazzo alto neanche si era
girato per guardarlo aveva afferrato una spada nerissima, che la mamma diceva
sempre essere appartenuta al padre.
Ovviamente non sapeva usarla, e per questo Bianca lo tirava
indietro con aria così impaurita mentre tre pirati venivano verso di loro.
Il ragazzino, rimproverando la sua stupidità, gli era corso
contro urlando a Bianca di scappare, ma mentre lei era ferma quelli sembravano
divertirsi con la piccola furia dai capelli neri, parando quasi per gioco tutti
i suoi goffi colpi.
Poi Bianca aveva tirato un soprammobile che aveva preso sul
labbro un ragazzone biondo, facendogli uscire un bel po’ di sangue, e i suoi
compagni avevano perso la voglia di giocare.
Nico aveva solo sentito una pesante
botta sulla testa e quello che aveva intorno era svanito lentamente tra le
grida di Bianca.
Si era risvegliato in una stanza piccola con un forte odore
di legno marcio.
Frastornato, tentò di levarsi un ciuffo di capelli corvini da
davanti agli occhi, ma si accorse di
avere i polsi legati con una robusta corda di canapa.
Era quasi buio, ma guardandosi intorno riuscì, con un po’ di
fatica, a distinguere delle sbarre a un metro da lui.
Mi hanno preso
come un topo, pensò.
Lentamente i suoi sensi erano tornati acuti come al solito,
quindi poté udire i lamenti di persone familiari non molto lontano da lui.
La poca luce che gli permetteva di vedere veniva da una
candela poco fuori dalla cella, vicino alla quale era seduto un ragazzo basso e
tozzo con una benda su un occhio.
Lo stomacò di Nico brontolò.
Da quanto non mangiava?
Cominciò a fare pensieri su come avrebbe dovuto catturare
insetti e creature strane con la lingua per non morire di fame, poi notò un
piatto scheggiato con dentro un pezzo di pane annacquato.
Meglio di uno scorpione arrosto, indubbiamente, ma c’era un
piccolo problema.
“Ehi tu!” Urlò al ragazzo con la benda.
Quello non gli rispose, ma si girò verso di lui con aria
interrogativa.
Almeno ho la sua
attenzione.
“Io sto morendo di fame.”
Lui rimase nuovamente in silenzio, ma indicò con un cenno il
piatto davanti a Nico.
“Siamo praticamente al buio, non ti sembra molto da idioti
parlare per cenni?”
Quello sbuffò. “Si può sapere che vuoi?”
“Ho le mani legate, non posso mangiare.”
Come risposta ricevette un’alzata di spalle.
“Usa la bocca.” Disse dopo un po’ il ragazzo, evidentemente
stanco di essere fissato.
“Non sono un cane!” Sbottò Nico.
“Sarebbe meglio per te se lo fossi” Disse l’altro. “In questo
momento staresti ancora a scodinzolare nella tua cuccia.”
Poi si alzò portandosi via la candela, togliendo al
prigioniero anche quella luce tremolante.
Dopo un po’, due ragazzi praticamente identici entrarono e lo
afferrarono per le braccia.
Nico si ritrovò in una fila di uomini
legati, diretti verso una scaletta e una porta aperta, da cui filtrava appena
la luce del sole.
Percy uscì sul ponte della nave.
Duecentosessanta persone, aveva detto Stoll.
Praticamente le segrete dell’Argo II non erano mai state così
piene.
Avrebbero venduto un buon numero di schiavi. Gli altri
potevano anche finire in mare.
Vide la lunghissima fila di uomini e cominciò a camminargli
davanti, scrutandoli uno ad uno.
Erano tutti abbastanza robusti, ma con gli occhi spenti che
guardavano le assi di legno del pavimento.
Alcuni erano abbastanza in là con gli anni.
Poi arrivò davanti a lui.
Il ragazzo basso e magro, con capelli nerissimi aggrovigliati
che ricadevano fino alle spalle.
Eppure l’incursione non c’era stata di mattina presto, pensò Percy, poteva anche pettinarsi dopo essersi alzato dal
letto!
Si fermò davanti a lui, che alzò lo sguardo.
Gli occhi erano enormi, nerissimi e profondi, con pesanti occhiaie che gli
scurivano la pelle bianchissima.
Percy rimase un attimo paralizzato dai
lampi che gli mandavano quegli occhi, ma non impiegò molto a ricomporsi.
“Come ti chiami?” Chiese con voce ferma.
“Tu hai ucciso mia madre.” Sibilò l’altro a bassa voce.
“Non ho sentito il tuo nome.” Disse Percy
infastidito, perché veramente non aveva sentito le sue parole.
Il ragazzo stava per urlargli di nuovo le stesse parole,
quando una frusta si abbatté pesantemente su di lui, che non urlò.
Piuttosto strinse i denti e ingoiò un bel grumo di saliva.
“Nico” Mormorò. “Mi chiamo Nico.”
“Lascia stare Ethan” disse Percy al
ragazzo con la benda, che stringeva ancora la frusta.
“Non penso che otterrai molto da lui con le cattive. Bene,
Nico. Puoi ripetere cosa hai detto prima?”
“Che tu, maledetto…” cominciò Nico
alzando la voce. “Tu hai ucciso mia madre davanti a me, e anche mia sorella è
morta per colpa tua!”
In un attimo Percy ricollegò i
pezzi del puzzle. Era lui il ragazzino in quella casa…
Quella donna era sua
madre.
Per un attimo rimase interdetto, quasi veramente dispiaciuto per le perdite di quel
ragazzino.
Si preoccupò di essere diventato un pirata molto
sentimentale.
Pensandoci non gli era
dispiaciuto così tanto, ma poi, vedendo quegli occhi pieni di tristezza e rancore… qualcosa era scattato.
“Come OSI!” Ruggì Chris, un altro carceriere, che alzava
minaccioso la sua frusta verso Nico.
“Verrai buttato in mare per questa mancanza di rispetto!”
“Lascia stare.” Mormorò Percy.
“Mi dispiace, Nico.”
Il ragazzino abbandonò un attimo l’espressione imbronciata
per lasciar spazio ad una decisamente sorpresa, e guardò il capitano negli
occhi.
Percy ricambiò lo sguardo quasi con un
sorriso, poi passò oltre.
“Rotta verso casa!”
Annunciò alla ciurma, continuando poi ad esaminare i prigionieri.
Nico rimase a guardarlo mentre si allontanava.
Per un attimo fu tentato di approfittare di quella strana simpatia
dell’insolito pirata nei suoi confronti, e urlare che dovevano liberarlo
immediatamente, ma poi si rese conto che se ci avesse provato lo avrebbero
liberato in alto mare.
Giurò di avere l’impressione che le guance si colorassero
d’imbarazzo mentre Percy si allontanava.
Eppure lui lo odiava. Per colpa sua erano morte Bianca e la
mamma.
Ma quando aveva visto gli occhi verde
smeraldo rilassarsi in un sorriso (anche se non sapeva quanto sincero), era
stato costretto a mettere da parte il rancore.
Percy Jackson non era tanto sicuro di
stare bene.
Dopo aver oltrepassato Nico si era sentito un po’ frastornato, e tanto per essere sicuro di non
essere diventato una femminuccia aveva mandato due innocenti in mare, facendo
finta di giudicarli non adatti a essere venduti come schiavi. Ora si sentiva un
po’ in colpa.
Guardare quel ragazzino l’aveva fatto rammollire? Nessuno
doveva dire una cosa simile!
Però adesso, sdraiato nella sua cabina, non riusciva a non
pensare a lui.
Vedendolo, non avrebbe mai voluto farlo soffrire così.
E adesso non riusciva a pensarlo in quella cella buia. Per un
attimo fu tentato di andarlo a far chiamare e farlo venire nella sua cabina.
Ricacciò quel pensiero girandosi verso la parete di legno.
Magari anche Nico aveva bisogno di riposare.
Per una notte meglio non far correre voci strane: avrebbero
parlato il giorno dopo.
Angolo autrice:
ormai avrete capito che sono una pazza. Questa è una AU, quindi i personaggi
sono in un contesto totalmente diverso
dalla saga (più diverso di questo penso che non esiste xD).
È un esperimento mio, quindi capisco benissimo che fa davvero schifo, ma volevo
provare ed ecco qui xD Gli aggiornamenti saranno
settimanali, e sebbene alcuni capitoli siano già scritti ne pubblico uno ogni
venerdì. Aspetto le vostre recensioni per continuare! ^_^ Alla prossima ;)