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Autore: malecseal    29/08/2014    10 recensioni
Percy Jackson è il figlio di Poseidone, il pirata più temibile della generazione precedente, ed anche il capitano dell'Argo II, la nave che comanda i sette mari. Ritiene di poter fare legittimamente quello che ritiene giusto, non si fa mai troppi problemi. La sua sicurezza svanisce il giorno in cui sull'Argo II sale un prigioniero speciale... Una AU pazza, un esperimento che volevo assolutamente fare ^_^ PERNICO! Il titolo è preso da una canzone!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il mare era abbastanza calmo quel giorno.

Percy Jackson era appoggiato al parapetto a prua del suo veliero e guardava avanti, lo sguardo perso nella distesa d'acqua.
"Capitano!" Lo chiamò Jason Grace, il suo quartiermastro.

 "Non hai comunicato all'equipaggio la meta. Lo hai detto solo detto al timoniere. Possiamo sapere?"

 Percy sbuffò, chiaramente seccato per essere stato distolto dalle sua riflessioni.

"Non credo che la ciurma sarebbe d'accordo, Grace."

 "Loro hanno fame di gloria" commentò Jason. "Se non vuoi dirlo vuol dire che è una cosa di poco conto."

"Abbiamo quasi finito il ricavato dall'ultimo bottino. Abbiamo bisogno di soldi. Non c'è tempo per le imprese gloriose." Disse Percy, tornando a girarsi verso il mare.

 La cosa che in assoluto preferiva della navigazione era farsi scompigliare i capelli dal vento a prua quando la nave filava a più di venticinque nodi.

Solo Leo Valdez, il timoniere sudamericano un po’ pazzo, riusciva ad organizzare l'Argo II in modo che raggiungessero quella velocità.

"Andremo a razziare un paese qualunque" continuò, alzando la voce per farsi sentire controvento.

"Ci serve oro, ma soprattutto schiavi da vendere."

 Jason alzò le spalle "Come vuoi, capitano..." Disse, e si voltò per tornare sottocoperta dal resto dell'equipaggio.
"Giusto..." Mormorò Percy. "Come voglio io."

 Era lui il capitano della nave più temuta dei sette mari.

Era lui che decideva tutto, perfino come dovevano andare i commerci tra l'Inghilterra e l'America.

 Ed era giusto così.

 In diciotto anni di vita non si era mai sentito nel torto, lui aveva il potere e se l'era conquistato in modo legittimo.

 E non perché era il figlio di Poseidone, il più grande pirata della generazione precedente.

 Nessuno gli aveva concesso niente sulla fiducia.

A cinque anni aveva cominciato facendo il mozzo, poi negli anni, con il suo carisma e le sue abilità, si era fatto strada fino a reclutare un equipaggio niente male.

Ragazzi giovani ma non sprovveduti, coraggiosi, forti e molto avidi di fama e imprese.

Ma un bravo capitano doveva anche pensare all'oro per finanziare le spedizioni (Leo voleva solo i materiali più pregiati per le opere di manutenzione della nave), e le imprese non sempre pagavano la fatica che erano costate.

Dopo la missione per distruggere l'ammiraglia della marina inglese, era partito un forziere di monete d'argento solo per le riparazioni.

 Ogni tanto si poteva pure fare qualcosa di disonorevole per denaro, da bravi pirati. 
"Terra! Terra!" Gridò Will Solace, la vedetta dell'Argo II.
 
Tutto l'equipaggio uscì all'improvviso dal torpore del mare aperto, attivandosi per lo sbarco.
Percy delegò a Jason i comandi per attraccare, poi salì su un ponte rialzato per fare i tipici avvertimenti pre-azione.
 
"Amici!" Urlò. I pirati cominciarono ad agitarsi, mormorando tra loro scommesse su cosa avrebbero fatto.
"Sapete che il mare ci riserva grandi imprese, e i nostri nomi verranno ricordati in eterno.

Le grandi imprese saranno nelle ballate, mentre nessuno narrerà i saccheggi e tantomeno elogerà i predoni...

Ma grazie a questi noi cresciamo e diventiamo più potenti, rendendo possibili le cose per cui saremo famosi!"

La terra era ormai quasi raggiunta, dalla terraferma certamente avevano avvistato il veliero che si avvicinava.

"Cercate di non uccidere nessuno, ma rubate quanto più potete e portate a bordo un cospicuo numero di prigionieri!"

La ciurma annuì come un solo uomo.

 Percy diede ordine di nascondere la nave dietro un'enorme scoglio, mentre i compagni si affrettavano alle scialuppe per raggiungere la terraferma.


Percy tornò nella sua cabina stanco e sudato, sganciandosi dalla cintura la spada lorda di sangue.

 Non voleva trafiggere quella donna, pensò. Si era messa in mezzo.

Mai impedire a Percy Jackson di mettere le mani sul proprio bottino.

In quella casa aveva sentito altre urla, di una ragazza e di un ragazzo, gli era sembrato.

La ragazza era sicuramente morta o ferita gravemente: le leggi del mare proibivano a una donna di salire a bordo, anche solo per essere condotta come prigioniera da qualche parte.

Doveva per forza essere rimasta li, se non si era opposta troppo magari i suoi compagni l'avevano risparmiata.

Il ragazzo chissà... Comunque, non era sua abitudine rimuginare su cosa era successo alle sue vittime.
Considerava prova di grande umanità già preoccuparsi di dire alla ciurma di uccidere il meno possibile, se poi qualcuno si immischiava erano solo affari suoi.
 
Sentì bussare alla porta.
 
"Capitano?" Disse la voce di Travis Stoll, il cambusiere, dall'altra parte del legno.
"Entra" sbuffò Percy, mettendosi a sedere sul letto.
"Non abbiamo fatto un grande bottino" annunciò Travis entrando.
"Non era un villaggio ricchissimo. Ma abbiamo fatto un gran numero di prigionieri."
 
"Li esaminerò più tardi." Disse Percy in risposta.

"Sono tutte persone abili al lavoro, spero."

L'altro annuì.

"Sì, Eccetto uno più piccolo e smilzo degli altri. Poco più che un ragazzino, ma avevamo ucciso tutta la sua famiglia e continuava a opporre resistenza, abbiamo preferito metterlo in catene che ucciderlo.

 Qualcuno potrebbe comprarlo nella speranza che cresca."

"Massimo finirà in mare" dichiarò Percy, recuperando la spada. "Mi hai messo curiosità, fate salire i prigionieri sul ponte."

 

Nico di Angelo aveva sentito solo le urla per strada e la porta cedere.

Poi Maria aveva urlato e aveva detto a lui e Bianca di rifugiarsi in un’altra stanza e scappare dalla porta sul retro.

La sorella lo aveva afferrato per il colletto prima che lui potesse gettarsi sulla madre e lo aveva portato a fare un piccolo fagotto del minimo indispensabile, poi i pirati erano entrati e il mondo era finito.

Volevano raggiungerli, ma Maria si era messa in mezzo e un ragazzo alto con i capelli neri e i vestiti decisamente più preziosi dei compagni l’aveva colpita con una lama lucente, che portava con tanta naturalezza da farla sembrare un prolungamento del suo braccio.

Nico aveva urlato, e mentre il ragazzo alto neanche si era girato per guardarlo aveva afferrato una spada nerissima, che la mamma diceva sempre essere appartenuta al padre.

Ovviamente non sapeva usarla, e per questo Bianca lo tirava indietro con aria così impaurita mentre tre pirati venivano verso di loro.

Il ragazzino, rimproverando la sua stupidità, gli era corso contro urlando a Bianca di scappare, ma mentre lei era ferma quelli sembravano divertirsi con la piccola furia dai capelli neri, parando quasi per gioco tutti i suoi goffi colpi.

Poi Bianca aveva tirato un soprammobile che aveva preso sul labbro un ragazzone biondo, facendogli uscire un bel po’ di sangue, e i suoi compagni avevano perso la voglia di giocare.

Nico aveva solo sentito una pesante botta sulla testa e quello che aveva intorno era svanito lentamente tra le grida di Bianca.

 

 

Si era risvegliato in una stanza piccola con un forte odore di legno marcio.

Frastornato, tentò di levarsi un ciuffo di capelli corvini da davanti agli occhi, ma si  accorse di avere i polsi legati con una robusta corda di canapa.

Era quasi buio, ma guardandosi intorno riuscì, con un po’ di fatica, a distinguere delle sbarre a un metro da lui.

Mi hanno preso come un topo, pensò.

Lentamente i suoi sensi erano tornati acuti come al solito, quindi poté udire i lamenti di persone familiari non molto lontano da lui.

La poca luce che gli permetteva di vedere veniva da una candela poco fuori dalla cella, vicino alla quale era seduto un ragazzo basso e tozzo con una benda su un occhio.

Lo stomacò di Nico brontolò.

Da quanto non mangiava?

Cominciò a fare pensieri su come avrebbe dovuto catturare insetti e creature strane con la lingua per non morire di fame, poi notò un piatto scheggiato con dentro un pezzo di pane annacquato.

Meglio di uno scorpione arrosto, indubbiamente, ma c’era un piccolo problema.

“Ehi tu!” Urlò al ragazzo con la benda.

Quello non gli rispose, ma si girò verso di lui con aria interrogativa.

Almeno ho la sua attenzione.

“Io sto morendo di fame.”

Lui rimase nuovamente in silenzio, ma indicò con un cenno il piatto davanti a Nico.

“Siamo praticamente al buio, non ti sembra molto da idioti parlare per cenni?”

Quello sbuffò. “Si può sapere che vuoi?”
“Ho le mani legate, non posso mangiare.”

Come risposta ricevette un’alzata di spalle.

“Usa la bocca.” Disse dopo un po’ il ragazzo, evidentemente stanco di essere fissato.

“Non sono un cane!” Sbottò Nico.

“Sarebbe meglio per te se lo fossi” Disse l’altro. “In questo momento staresti ancora a scodinzolare nella tua cuccia.”

Poi si alzò portandosi via la candela, togliendo al prigioniero anche quella luce tremolante.

Dopo un po’, due ragazzi praticamente identici entrarono e lo afferrarono per le braccia.

Nico si ritrovò in una fila di uomini legati, diretti verso una scaletta e una porta aperta, da cui filtrava appena la luce del sole.

 

 

Percy uscì sul ponte della nave.

Duecentosessanta persone, aveva detto Stoll.

Praticamente le segrete dell’Argo II non erano mai state così piene.

Avrebbero venduto un buon numero di schiavi. Gli altri potevano anche finire in mare.

Vide la lunghissima fila di uomini e cominciò a camminargli davanti, scrutandoli uno ad uno.

Erano tutti abbastanza robusti, ma con gli occhi spenti che guardavano le assi di legno del pavimento.

Alcuni erano abbastanza in là con gli anni.

Poi arrivò davanti a lui.

Il ragazzo basso e magro, con capelli nerissimi aggrovigliati che ricadevano fino alle spalle.

Eppure l’incursione non c’era stata di mattina presto, pensò Percy, poteva anche pettinarsi dopo essersi alzato dal letto!

Si fermò davanti a lui, che alzò lo sguardo.

Gli occhi erano enormi, nerissimi  e profondi, con pesanti occhiaie che gli scurivano la pelle bianchissima.

Percy rimase un attimo paralizzato dai lampi che gli mandavano quegli occhi, ma non impiegò molto a ricomporsi.

“Come ti chiami?” Chiese con voce ferma.

“Tu hai ucciso mia madre.” Sibilò l’altro  a bassa voce.

“Non ho sentito il tuo nome.” Disse Percy infastidito, perché veramente non aveva sentito le sue parole.

Il ragazzo stava per urlargli di nuovo le stesse parole, quando una frusta si abbatté pesantemente su di lui, che non urlò.

Piuttosto strinse i denti e ingoiò un bel grumo di saliva.

“Nico” Mormorò. “Mi chiamo Nico.”

“Lascia stare Ethan” disse Percy al ragazzo con la benda, che stringeva ancora la frusta.

“Non penso che otterrai molto da lui con le cattive. Bene, Nico. Puoi ripetere cosa hai detto prima?”

“Che tu, maledetto…” cominciò Nico alzando la voce. “Tu hai ucciso mia madre davanti a me, e anche mia sorella è morta per colpa tua!”

In un attimo Percy ricollegò i pezzi del puzzle. Era lui il ragazzino in quella casa…

Quella donna era  sua madre.

Per un attimo rimase interdetto, quasi veramente dispiaciuto per le perdite di quel ragazzino.

Si preoccupò di essere diventato un pirata molto sentimentale.

Pensandoci non gli  era dispiaciuto così tanto, ma poi, vedendo quegli occhi pieni di tristezza e rancore… qualcosa era scattato.

“Come OSI!” Ruggì Chris, un altro carceriere, che alzava minaccioso la sua frusta verso Nico.

“Verrai buttato in mare per questa mancanza di rispetto!”

“Lascia stare.” Mormorò Percy.

“Mi dispiace, Nico.”

Il ragazzino abbandonò un attimo l’espressione imbronciata per lasciar spazio ad una decisamente sorpresa, e guardò il capitano negli occhi.

Percy ricambiò lo sguardo quasi con un sorriso, poi passò oltre.

“Rotta verso  casa!” Annunciò alla ciurma, continuando poi ad esaminare i prigionieri.

Nico rimase a guardarlo mentre si allontanava.

Per un attimo fu tentato di approfittare di quella strana simpatia dell’insolito pirata nei suoi confronti, e urlare che dovevano liberarlo immediatamente, ma poi si rese conto che se ci avesse provato lo avrebbero liberato in alto mare.

Giurò di avere l’impressione che le guance si colorassero d’imbarazzo mentre Percy si allontanava.

Eppure lui lo odiava. Per colpa sua erano morte Bianca e la mamma.

Ma quando aveva visto gli occhi verde smeraldo rilassarsi in un sorriso (anche se non sapeva quanto sincero), era stato costretto a mettere da parte il rancore.

 

 

Percy Jackson non era tanto sicuro di stare bene.

Dopo aver oltrepassato Nico si era sentito un po’  frastornato, e tanto per essere sicuro di non essere diventato una femminuccia aveva mandato due innocenti in mare, facendo finta di giudicarli non adatti a essere venduti come schiavi. Ora si sentiva un po’ in colpa.

Guardare quel ragazzino l’aveva fatto rammollire? Nessuno doveva dire una cosa simile!

Però adesso, sdraiato nella sua cabina, non riusciva a non pensare a lui.

Vedendolo, non avrebbe mai voluto farlo soffrire così.

E adesso non riusciva a pensarlo in quella cella buia. Per un attimo fu tentato di andarlo a far chiamare e farlo venire nella sua cabina.

Ricacciò quel pensiero girandosi verso la parete di legno.

Magari anche Nico aveva bisogno di riposare.

Per una notte meglio non far correre voci strane: avrebbero parlato il giorno dopo.

 

 

 

Angolo autrice: ormai avrete capito che sono una pazza. Questa è una AU, quindi i personaggi sono  in un contesto totalmente diverso dalla saga (più diverso di questo penso che non esiste xD). È un esperimento mio, quindi capisco benissimo che fa davvero schifo, ma volevo provare ed ecco qui xD Gli aggiornamenti saranno settimanali, e sebbene alcuni capitoli siano già scritti ne pubblico uno ogni venerdì. Aspetto le vostre recensioni per continuare! ^_^ Alla prossima ;)

  
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