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Autore: hapworth    30/08/2014    0 recensioni
Raccolta di shot brevi che raccontano di Haruka e Makoto da bambini.
"Amicizia" | "Di quando Haruka..." | "Grandezze" | "Primo bacio" ~ Scritte in occasione delle Notti Bianche indette da No, ma Free lo guardo per la trama, eh
"Sotto il letto" | "Prova di coraggio" | "Tremore" | "Rottura accidentale" ~ Queste storie partecipano al “Writober” a cura di Fanwriter.it!
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU, Kidfic, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa è l'ultima shot pronta della raccolta, da questo momento in poi non so quando l'aggiornerò, quindi siete avvisati. In ogni caso, con questa, torniamo all'infanzia "canon" tra Haruka e Makoto.
Non ho utilizzato alcun prompt di alcuna Notte Bianca, né l'ho scritta per essa.
I personaggi non mi appartengono e io non scrivo a fini di lucro, come sempre.
Ringrazio chi ha seguito - e che continuerà a seguire anche prossimamente - la storia. Buona lettura a tutti voi ^-^

By athenachan


La semplicità di uno sguardo

Non poteva fare altro che guardarsi allo specchio e trovare qualcosa di terribilmente sbagliato, in quello che vedeva.
Quando sua madre, qualche giorno prima, lo aveva avvisato che sarebbero dovuti andare a controllargli la vista, come ogni anno, Makoto non si era preoccupato più di tanto: era da quando si ricordava che, una volta ogni dodici mesi, più o meno, andava a farsi vedere come tutti gli altri bambini. Eppure, quel giorno, qualcosa doveva essere andato storto.
Ricordava la faccia preoccupata dell'uomo con i capelli bianchi che gli aveva messo uno strano aggeggio sugli occhi, cambiandogli di volta in volta delle lenti trasparenti sulla strana montatura che aveva posto sul suo naso. C'erano voluti tre cambi da una parte e uno dall'altra, per fargli vedere tutte le lettere scritte sul tabellone, anche quelle che, prima, non riusciva a vedere bene. Non ci aveva dato peso, non subito, ma quando erano entrati in un negozio e sua madre gli aveva chiesto di scegliere un paio di occhiali, allora si era ammutolito: doveva mettersi quei cosi? Li avrebbe dovuti portare per sempre?
Haru-chan lo avrebbe riconosciuto? Non aveva potuto fare a meno di chiederselo, per un istante, uno soltanto: sarebbe diventato diverso, agli occhi degli altri? Sarebbe apparso strano? Forse lo avrebbero preso in giro o magari Nagisa non lo avrebbe più salutato saltellandogli intorno come una ranocchia.
Chiuse gli occhi, solo per non vedere ulteriormente la sua immagine riflessa.
«Makoto-chan dai, che fai tardi per la scuola!» sua madre non riusciva a capire il suo turbamento. A lei sembrava tutto così normale, così semplice... Ma per lui non lo era affatto.
L'ultimo sospiro, l'ultimo sguardo al bambino con una montatura verde scuro calata sul naso, prima di uscire dal bagno e farsi accompagnare a scuola.
Appena entrato in classe si era sentito tutti gli sguardi addosso ed era irrimediabilmente arrossito fino alle orecchie, cercando di tenere gli occhi bassi per raggiungere il suo posto.
«Ma-chan, che ti è successo? Ti sei fatto male?» aveva chiesto una bambina, avvicinandosi al suo banco, posando le mani leggermente paffute sul legno, indicandogli la faccia. «Sei buffo! Come la maestra!»
E la paura di Makoto, in quell'istante, era diventata reale, perché gli altri bambini si erano messi tutti a ridere. Sapeva che non lo facevano per cattiveria, sapeva che non lo stavano prendendo in giro davvero, che erano bravi, che era lui quello strano in quel momento; ma non poteva fare a meno di sentirsi male. Il petto stringeva e gli occhi pizzicavano, mentre teneva la testa bassa e le mani strette sui pantaloni della divisa della scuola elementare.
Proprio in quell'istante, mentre sentiva le lacrime agli occhi, una voce conosciuta gli arrivò alle orecchie. «Non è buffo, è Makoto. E quelli servono per fargli vedere bene.»
«Haru-chan!» la voce era appena incrinata, mentre sollevava il capo e lo sguardo sull'amico dai capelli neri, prima di saltargli letteralmente al collo e stringerlo contro di sé, singhiozzando.
Haruka, dal canto proprio, gli pose una mano sul capo – erano alti più o meno uguali – e gli accarezzò i capelli castani, mentre l'altro si calmava, staccandosi da lui.
Il moro lo guardò, scettico. «Hai bagnato gli occhiali. Come faremo a pulirli ora?»
«N-non importa! Non mi servono!» aveva detto Makoto, togliendosi la sua preoccupazione e posandola sul proprio banco: ci vedeva benissimo anche senza, perché doveva metterli? Non voleva far ridere gli altri bambini, né sembrare strano ad Haru-chan.
«Sì, invece.» aveva detto l'altro bambino, prendendo nuovamente gli occhiali e, con un lembo della maglia, aveva pulito le lenti trasparenti, prima di allungarsi e sistemare nuovamente la montatura di plastica dura sul naso di Makoto. «Pensa piuttosto a come farai a nuotare se non ci vedi bene. Oggi dobbiamo andare in piscina.»
Ed era bastato quello, per dissipare tutte le paure e i dubbi del bambino. Uno sguardo pensieroso e due occhi blu che guardavano lui e oltre, qualcosa che forse non sarebbe neppure mai riuscito a capire veramente, neppure da grande.


Fine
   
 
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