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Autore: Rebecca2211    30/08/2014    0 recensioni
Dal capitolo otto:
''-Io non ti voglio con me, Angela! Ciò che c'è stato tra noi è stato solo uno sbaglio, dimenticatelo!
Sbatté un pugno sul tavolo della cucina tanto forte da farmi sobbalzare. Non mi voleva. Dovevo dimenticarmi di quella notte. Dovevo farmene una ragione, non era più capace ad amare e dovevo accettarlo. E mentre le lacrime mi rigavano il volto, in silenzio mi infilai le scarpe, raccolsi le mie cose nella borsa e mi avviai alla porta. Mi girai un'ultima volta verso di lui che neanche mi guardava più.
-Ciao, Dave.
Mi richiusi la porta alle spalle e giurai a me stessa che mai più avrei fatto un errore simile.'
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                       CAPITOLO 1



Erano le sei e mezza e dovevo ancora alzarmi dal letto, appena un'ora dopo avevo il pullman che non potevo assolutamente perdere. Mio padre era venuto a chiamarmi già due volte, ma sembrava che il mio piumone mi avesse improgionato e legata al materasso. Forse avrei potuto dirgli così a mio padre e sarei rimasta a casa a dormire. Oppure avrebbe tirato fuori il suo sarcasmo, si sarebbe avvicinato e avrebbe detto 'Beh, tesoro, vediamo se provo a chiedergli geltilmente di liberarti? Sono sicuro che lo farà' mi avrebbe sorriso, preso il piumone e strattonato al fondo del letto seguito da 'Oh, hai visto che gentile? Ora giù dal letto!'. Quindi forse era meglio risparmiarmi tutta quella sceneggiata e liberarmi da sola dalla presa ferrea della mia coperta.
Aprii l'armadio e presi i primi jeans e la prima felpa che trovai, m'infilai le scarpe, raccolsi i miei lunghi e ribelli capelli biondi in una coda, presi lo zaino e uscii di casa. Cosa avevo dimenticato? Le chiavi, come sempre. Appena varcata nuovamente la soglia, inciampai su un giocattolo del mio fratellastro Thomas di appena 4 anni imprecai a bassa voce, ma quella peste si era avvicinata proprio in quell'istante, così corse subito per tutta la casa a urlare 'cazzo' a gran voce e ripetutamente.
-Angela, quante volte ti ho detto di non dire le parolacce davanti a tuo fratello?
Presi le chiavi da sopra il tavolo senza badare troppo al rimprovero di mio padre e uscii di casa urlando uno 'scusa' soffocato dal rumore della porta che sbatteva.
Arrivai a scuola con cinque minuti di ritardo e il professore di lingue mise l'ennesimo richiamo sul registro, quanto lo odiavo! Per cinque minuti, ogni scusa era buona per scrivere il mio nome sul registro. Presi posto affianco alla mia migliore amica in terza fila che subito mi sorrise con i suoi bei denti incorniciati da labbra dipinte di rosso indicandomi i suoi bellissimi capelli corvini, era andata il giorno prima a tagliarseli. Li aveva fatti a caschetto e si era fatta una sorta di frangetta alla francesina, poco più lunga, che con il suo viso fine gli stavano divinamente. Poteva sembrare una vampira uscita dal film di Twilight con la sua pelle pallida e la sua bellezza. Senza considerare che con i brillantini che si spargeva sul collo e sulle palpebre sembrava davvero realistica come supposizione!
-Ti devo dire una cosa Angy!
La vedevo particolarmente raggiante quella mattina, e quando faceva così voleva dire che stava per annunciarmi qualcosa di importante e che mai e poi mai avrei dovuto contraddire, che la notizia mi piacesse o meno.
-Mi sono messa con Tom!
Lei e Tom uscivano insieme da qualche mese e lei non aspettava altro che le chiedesse di stare insieme, era un ragazzo molto dolce ed era anche molto bello, aveva i capelli rossi e le lentiggini, era davvero adorabile. Passammo tutta la giornata a parlare di Tom, quando Charlotte era felice non faceva altro che parlare, e parlava così veloce che era persino difficile stargli dietro a volte, ma era così solare e dolce che non si poteva non volergli bene.
All'uscita ci fermammo con gli altri a chiacchierare, a parlare dell'euforia che avevamo tutti per gli esami di maturità che da lì a qualche mese avremmo dovuto affrontare, tra una sigaretta e l'altra. Quando il mio ex ragazzo, Jack, s'intromise in mezzo agli altri a spintoni per venire da me e sputare affianco alla mia scarpa.
-Coglione.
Mi mostrò rigorosamente il suo terzo dito e salì sulla sua moto, che usava anche per le corse clandestine, partendo a tutta velocità come sempre, per mettersi in mostra. L'avevo lasciato una settimana prima, dopo cinque mesi che stavamo insieme perché era troppo violento e possessivo, non ne potevo più. Ma non l'ha accettato e si divertiva a torturami con sorrisini e pacche sul culo se mi vedeva nei corridoi, o qualsiasi altro modo per dar fastidio.
-Angy, oggi a che ora finisci danza?
-Alle nove, ce la fai a passarmi a prendere?
-Certo!
Mi scoccò un bacio sulla guancia e partì sul suo amato scooter laccato di nero. Alle sei iniziavo le lezioni erano già le quattro e dovevo ancora aspettare il pullman, non riuscirò mai a capire perchè devo vivere una vita di fretta.
La mia scuola di danza si trovava in una delle zone non proprio gettonate della città, ma era molto professionale. Adoravo la mia ex maestra Rose, ora collega, aveva tantissimi certificati, lavorato con ballerini di altissimo livello, e aveva studiato in una delle scuole più costose di Londra, dove era nata. Andavo in quella scuola dall'età di sei anni, mi ci portò mia nonna. Ricordo che quando era in vita mi raccontava sempre della mia mamma e di quanto adorava danzare, mi parlava della sua migliore amica che si era aperta una sua scuola di danza e la mamma la aiutava, così un giorno le chiesi di portarmici. Mia nonna disse anche che non aveva smesso di insegnare neanche quando rimase incinta di me e che quando capì che il cancro la stava uccidendo e non sarebbe vissuta abbastanza per crescermi, le disse di parlarmi della danza ed io me ne sono innamorata.
Riprendomi dai miei ricordi, mi accesi una sigaretta e iniziai a fumare. Lo facevo sempre prima di entrare. Ma era un alibi per poter guardare lavorare un ragazzo che lavorava all'officina 'Da Jo' che stava proprio di fronte la mia scuola, era non tanto più grande di me e ricordo che anche quando ero piccola lo vedevo sempre che gironzolava intorno al proprietario, ora di una certa età, e che per rimanere a guardarlo facevo aspettare mio padre facendo finta che mi si era slacciata la scarpa, oppure dicevo di controllare nello zaino che avessi preso tutto, solo per poterci tirare ancora qualche occhiata. Ma lui non mi aveva mai notato, e per qualche anno non l'avevo più visto.
Ora erano un paio di anni che ci lavorava e ogni volta mi incantavo a guardarlo, con i suoi occhi verdi, i suoi capelli castani disordinati dal continuo movimento... La maglia sporca, il sudore sulla fronte, la sigaretta tra le labbra carnose... Ma lui non mi guardava mai.
Feci l'ultimo tiro, diedi un ultimo sguardo verso la sua direzione e avrei potuto giurare che per un istante, un istante solo, il verde dei suoi occhi e il grigio dei miei s'erano incrociati.
   
 
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