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Autore: Vive_tra_le_stelle    30/08/2014    4 recensioni
Non sarei sopravvissuta questa volta nell’arena, ecco quello che riuscivo a partorire tutte le volte che la nebbia nel mio cervello si diramava abbastanza. Avevo vinto gli Hunger Games una volta, ma allora ero giovane, abbastanza carina e carismatica da attirare un mucchio di sponsor.
Genere: Avventura, Azione, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair, Katniss Everdeen, Morfaminomani, Peeta Mellark, Vincitori Edizioni Passate
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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LA MORFAMINOMANE

 

Sento la mancanza della morfamina come se fosse quella di una gamba, o di un braccio. Il momento peggiore erano le crisi d’astinenza. Venivo scossa da spasmi, violenti, distruttivi. I brividi freddi partivano dalle spalle e si diramavano dappertutto, quando alla fine il mio corpo era un unico grande fremito il freddo diventava caldo asfissiante. La disidratazione aggravava la sensazione di soffocamento, la gola era secca, la lingua gonfia. Così come era arrivata, la crisi svaniva, come lavata via da un rivolo d’acqua. Il resto del tempo la mente era meno lucida, il dolore in un certo senso acutizzava le mie percezioni, mi schiariva le idee. Non sarei sopravvissuta questa volta nell’arena, ecco quello che riuscivo a partorire tutte le volte che la nebbia nel mio cervello si diramava abbastanza. Avevo vinto gli Hunger Games una volta, ma allora ero giovane, abbastanza carina e carismatica da attirare un mucchio di sponsor. Venivo dal distretto 6 che si occupava dei trasporti, ma io ero stata un’artista. Come tale, vedevo il mondo con occhi diversi, mi soffermavo maggiormente sulla visione che sulla comprensione, forse anche per questo gli incubi che mi assillavano sembravano così reali. Avevo passato un’ intera settimana, dopo i giochi che avevo vinto, senza dormire. Tutte le volte che mi addormentavo, il rosso vermiglio del sangue mi bruciava negli occhi. Ero sopravvissuta grazie alle mie doti di camuffamento. Da un punto di vista era stata una cosa positiva, dall’altra terribile, perché avevo visto ventitré persone uccidersi a vicenda per riuscire a salvarsi, senza riuscirci. Quando l’ultimo era morto a causa delle infezioni, mi avevano portato in una clinica a farmi curare, poi esibita come un trofeo in giro per i Distretti durante il Tour della Vittoria. In seguito, dopo aver visto lo sfarzo in cui vivevano i capitolini, gli incubi peggiorarono, fino a rendermi impossibile dormire, ma soprattutto vivere. L’unico modo per calmare i pensieri di giorno e i brutti sogni di notte era la morfamina. Peccato che fosse una droga, utile certo, ma pur sempre pericolosa. Ne ero diventata dipendente quasi subito, appena arrivava un momento di lucidità, aumentavo la dose. Dopo il mio sorteggio per i 75° giochi, Plutarch mi aveva convocata per aggiornarmi sul suo piano. Riuscire a tenere in vita i due tributi del 12, la Ghiandaia Imitatrice e il Ragazzo del Pane. Solo il fatto che lo stratega si fosse premurato di informarmi e invitarmi ad aiutarlo, mi fece decidere di accettare, finalmente per qualcuno valevo qualcosa, non ero solo una drogata troppo stupida per capire. All’improvviso dei colpi di cannone mi risvegliano dai miei ricordi, non riesco a contarli, i numeri mi si confondono in mente, potrebbero essere sette o dieci, non saprei. Subito un fortissimo vento inizia a spirare, sembra provenire dal centro dell’arena, mi scivola addosso e, finchè non aumenta ancora di più, è perfino piacevole. È fresco, quasi freddo, e finalmente un po’ dell’ opprimente umidità sprigionata dagli alberi viene spazzata via. Poi mi accorgo che la velocità aumenta, fino a rendere ogni movimento contrario faticoso e lentissimo. Il mio istinto mi dice che sulla spiaggia sarei al sicuro, ma il vento mi manda verso l’esterno dell’arena, verso la barriera elettrificata, lì non avrei avuto più scampo. Dovevo aggrapparmi a  qualcosa, afferro un ramo con tutte le mie forze, ma questo si sgretola sotto le mie esili dita. Vengo alzata dal turbine e sbattuta più volte contro un albero, quando sto per perdere conoscenza mi accorgo che i rami sono così intricati da bloccare il vento, almeno quel che basta per non volare via. Sorrido, e poi il nulla. Mi risveglio che è giorno inoltrato e l’uragano che mi aveva sorpresa ormai solo un ricordo. Sono svenuta in posizione scomoda e ora l’unica cosa che voglio fare è camminare. Percorro tutta l’arena, fino alla spiaggia che contiene il lago con la cornucopia. Mi tengo appena un passo dietro il limitare della giungla e percorro tutta la circonferenza. Ad un certo punto sento delle urla, troppo acute per essere umane, e mi dirigo verso la zona da cui le sento provenire. Sbircio da dietro un albero, sono la ragazza e il ragazzo del dodici con in più Finnick, il giocattolino di Capitol City, mi fa davvero pena quel ragazzo, forse perché anche io all’inizio, prima della morfamina, ero destinata a fare la sua fine. Sono attaccati da una moltitudine di scimmie, non semplici babbuini, ma enormi ibridi zannuti. Katniss è impegnata con una scimmia e Finnick con un’altra, Peeta cerca di sfilarsi la faretra, la mano armata piegata e inutilizzabile. È indifeso. Ce ne accorgiamo contemporaneamente la scimmia al suo fianco e io, dopo un istante anche la ragazza capisce. Faccio appena in tempo a vedere la sua faccia terrorizzata e le sue gambe tese pronte a scattare, anche se troppo in ritardo per riuscire a salvarlo, che mi trovo già tra la scimmia e Peeta. Insanguinata, sfinita e indolenzita sono una preda facile, sento qualcuno che urla, probabilmente sono io. Sento una fitta al petto e vedo il ragazzo che ho salvato pugnalare l’ibrido fino a costringerlo ad aprire le fauci e lasciarmi andare, poi urla qualcosa che non capisco perché tutto mi arriva ovattato, mi prende in braccio e mi porta sulla spiaggia. Katniss mi apre il tessuto che mi copre il petto e dalla faccia che fa capisco che non sono messa bene. Sto morendo, lo capisco, sento già che non posso più muovere alcuni muscoli, la mia bocca è ancora spalancata per l’urlo di prima. Non sono triste, sarei morta comunque, ma almeno sono servita a qualcosa, io, che sono sempre stata ritenuta inutile, ho salvato Peeta e con lui Katniss, l’idea di Plutarch e la rivoluzione che ormai è imminente. Il ragazzo mi accarezza i capelli e inizia a parlare, mi parla di quando dipinge a casa e penso che morire così, tra le braccia di un artista come me, non sia affatto male. Mi parla degli arcobaleni e di come siano bellissimi, ma poco duraturi, forse anche io sono un po’ come loro. Con le ultime forze di cui dispongo, alzo una mano insanguinata, verdastra per la mancanza di cibo e morfamina, e gli disegno un fiore sulla guancia. Un “buona fortuna”, un “grazie” e un “tengo per voi” tutto nello stesso gesto. Mi ringrazia e cerco di fare quello che più si avvicina ad un sorriso, poi il buio mi assale, vorrei urlare perché mi sento portare via e non voglio, ma probabilmente esce solo un debole squittio. Cerco di aspirare aria, ma non ce la faccio, lotto con tutte le mie forze per farne entrare almeno un po’. Quando pian piano il dolore scema, capisco che sarebbe il momento più adatto per dire addio alle persone che amo se ne avessi ancora.








Spazio dell'autrice:
Oookey, ciao a tutti! Io sono Vive_tra_le_stelle! Questo è il mio primo racconto, qualcuno potrebbe averlo già letto perchè avevo partecipato un po' di tempo fa con questa storia ad un concorso di scrittura su Facebook. Non ho vinto e proprio per questo vorrei sapere cosa voi ne pensate, vi prego di recensire commentare o quello che volete, accetto anche critiche! Grazie a te che stai leggendo e... Alla prossima!

   
 
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