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Autore: maka97    30/08/2014    4 recensioni
“Allora, presumo che tuo padre ti abbia già spiegato la situazione” iniziò il signor Taylor “ti stabilirai in questa casa, con noi, fino a quando non raggiungerai i 18 anni e al raggiungimento di tale età sposerai uno dei miei due figli… avrai a disposizione questi due anni per decidere quale, sperando che tu scelga in modo saggio e, in cambio, come promesso daremo fin da ora aiuti economici alla tua famiglia, fino a quando i nostri due imperi non si uniranno definitivamente…. Ma, in caso tu decida, in qualunque momento, di tirarti indietro, interromperemmo tali aiuti, riprendendoci soldi e interessi mandando in fallimento tuo padre e la sua azienda, e a te non rimarrà niente, neanche la dignità, che dovrai mettere da parte per elemosinare un pezzo di pane... tutto chiaro?” chiese il signor Taylor con voce tranquilla, ma allo stesso tempo dura e ferma e con un sorriso da brividi.
“Ne sono consapevole, non vi deluderò” risposi mascherando tutti i miei sentimenti.
“Perfetto, avevo capito che eri una ragazzina intelligente”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Prologo

‹‹Please, please, forgive me 
but I won't be home again. 
Maybe someday you'll look up 
and barely conscious you'll say to no one: 
"isn't something missing?" 

You won't cry for my absence, I know, 
you forgot me long ago. 
Am I that unimportant? 
Am I so insignificant? 
Isn't something missing? 
Isn't someone missing me? 

Even though I'm the sacrifice 
you won't try for me, not now. 
Though I'd die to know you loved me 
I'm all alone.›› 
(Missing; Evanescence)




 
“No, non voglio andarci, non puoi decidere cosi il mio futuro!” urlai quasi in lacrime
“Non fare la bambina, Jessica! Qui non si parla solo di te ma di tutta la famiglia, dell’azienda!” mi cercò di spiegare mio padre.
“No, si tratta di te, dei tuoi soldi, dei tuoi interessi! È sempre stato cosi e sempre lo sarà, ma ti svelo un segreto: non puoi considerare tutti come delle pedine da spostare e manipolare a tuo piacimento!”
“Come puoi essere tanto egocentrica? Io voglio darti, darci, solo un futuro stabile, migliore e nelle attuali condizioni non sono sicuro di potertelo assicurare… sono delle brave persone, vedrai, ti troverai bene, sarai felice”
“No, non sarò felice, non lo sarò mai con una vita costruita e stabilita a tavolino, una vita che non mi appartiene! Sono tua figlia, come puoi farmi questo? Come puoi preferire il successo a me?” dissi scoppiando a piangere “la mamma ha fatto bene a lasciarti, sei una persona orribile!”
Fece male. Il suo schiaffo fece davvero male, carico di tutto il suo disprezzo e di tutta la sua indifferenza nei miei confronti.
Avevo sempre sperato che nonostante tutto lui mi amasse, che ci tenesse a me. Ora però quello schiaffo era la verità contro cui ero andata a sbattere, che per tanto tempo era stata lì, lampante e io avevo finto di ignorare. Che stupida.
Corsi in camera mia e mi abbandonai sul letto piangendo, fino a quando, sfinita, mi addormentai.
E intanto tutte le cose erano già negli scatoloni e non li avrei svuotati. Mio padre avrebbe dovuto comportarsi come tale, chiamare, chiarire che non ero un oggetto, mandare all’aria l’accordo, ma non lo fece. Si limitò a sussurrare un “mi dispiace” in piedi fuori dalla mia stanza con la fronte appoggiata alla porta, senza avere il coraggio di entrare e facendomi capire quanto fosse grande il muro che ci divideva.
 
 
La mattina dopo lasciai quella casa.
Non venne a salutarmi, si limitò a guardarmi dalla finestra del suo studio, che si affacciava sul giardino, mentre l’autista caricava i bagagli, mentre salivo in macchina, mentre me ne andavo. Non mi voltai indietro e lui non scese. Non ebbe neanche il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi addio.
Ripensai a quando ero bambina, alle sue lunghe assenze e alle mie lunghe attese. Lo aspettavo la sera, spesso addormentandomi sul divano, fedele e speranzosa. Metà delle volte non tornava neanche a casa.
Ma io continuavo testarda e ingenua. E a volte venivo ricompensata, a volte tornava e mi ripagava con un freddo e meccanico bacio sulla guancia, con un buffetto sulla testa senza sentimenti, con un dovuto “vai a letto, piccola, è tardi”.
C’era stato un tempo, però, prima che la mamma se ne andasse, in cui, anche se tornava lo stesso raramente a casa, i miei ricordi con lui erano di allegri pomeriggi, di risate e lotte per gioco, di spinte sull’altalena e abbracci e baci veri.
 
 
Il viaggio durò circa venti minuti.
La casa dove avrei abitato si trovava in un ricco quartiere nella periferia nord della città, ma essa, nonostante il lusso contraddistinguesse l’intero isolato, non passava certo inosservata: aveva un giardino esteso più del doppio rispetto agli altri e curato al minimo dettaglio, mentre la villa era, probabilmente, una ristrutturazione di una più antica, ma era imponente e splendente come poche.
Non potevi non rimanerne incantato, mi sembrava di essere finita nel mondo delle fiabe, con quella componete di principesco e regale che caratterizzava quel luogo.
Quando la macchina si fermò davanti all’ingresso scesi e mi venne incontro un uomo sulla sessantina seguito da un paio di camerieri.
“Buongiorno signorina Gray, è un piacere averla qui, spero che abbia fatto un buon viaggio” mi sorrise e fece segno ai due dietro di lui che presero le mie valige dalla macchina “sono Adams, il maggiordomo, ora, se vuole seguirmi, i signori Taylor desiderano vederla”
La villa, se possibile, era ancora più bella dentro, arredata e costruita in un intreccio di vecchio e nuovo, eleganza e sobrietà, marmo e legno, dipinti e statue. Non feci altro che guardarmi intorno ammirata e, completamente presa dalla bellezza dell’edificio, non mi accorsi subito che Adams si era fermato davanti ad una porta di legno.
“Entri pure, i Signori arriveranno a momenti, io intanto provvederò affinché i suoi bagagli ed il resto dei suoi averi vengano sistemati nella sua camera” si congedò.
Entrai nella stanza: non era molto grande aveva due divani ed una poltrona intorno ad un tavolino ovale. Era arredata con molto gusto e tutto trasudava ricchezza e prestigio.
Mentre mi guardavo intorno sentii la porta aprirsi e fecero il suo ingresso un uomo sulla cinquantina, con capelli palesemente tinti, non troppo alto, ma in forma, e una donna leggermente più giovane ma incredibilmente più attraente e affabile.
“Jessica è un piacere conoscerti finalmente, sono Edmund Taylor” si presentò porgendomi educatamente la mano che io non strinsi “e lei è Clary, mia moglie”.
Abbassò la mano vedendo che non avevo intenzione di afferrarla e sorridendomi mi invitò a sedere in uno dei due divani, mentre loro prendevano posto nell’altro.
“Allora, presumo che tuo padre ti abbia già spiegato la situazione” iniziò “ti stabilirai in questa casa, con noi, fino a quando non raggiungerai 18 anni e al raggiungimento di tale età sposerai uno dei miei due figli… avrai a disposizione questi due anni per decidere quale, sperando che tu scelga in modo saggio e, in cambio, come promesso daremo fin da ora aiuti economici alla tua famiglia, fino a quando i nostri due imperi non si uniranno definitivamente…. Ma, in caso tu decida, in qualunque momento, di tirarti indietro, interromperemmo tali aiuti, riprendendoci soldi e interessi mandando in fallimento tuo padre e la sua azienda, e a te non rimarrà niente, neanche la dignità, che dovrai mettere da parte per elemosinare un pezzo di pane, tutto chiaro?” chiese il signor Taylor con voce tranquilla, ma allo stesso tempo dura e ferma e con un sorriso da brividi.
“Ne sono consapevole, non vi deluderò” risposi mascherando tutti i miei sentimenti.
“Perfetto, avevo capito che eri una ragazzina intelligente”
 
Uscii da quella maledetta stanza dopo un tempo che mi parve infinito e trovai ad attendermi fuori Adams che mi accompagnò alla mia camera. Fui così felice, entrando, di vedere le mie cose sistemate, i miei peluche nelle mensole, i miei libri sugli scaffali, i mei poster, le mie foto e i miei disegni appesi alle pareti, il mio stereo sopra un comodino e tutti i miei cd e vinili sistemati lì vicino.
Quella non era la mia camera, ero in un luogo sconosciuto, con persone sconosciute, ma per un attimo, tra la familiarità dei miei oggetti, riuscii ad illudermi di essere a casa.
 
Non mi accorsi neanche di essermi addormentata fino a quando, qualche ora dopo, venne a chiamarmi Adams, spiegandomi che il signor Taylor voleva che facessi conoscenza con i suoi figli.
Lo seguii fuori, in giardino, fino alla piscina, al bordo della quale si trovavano due sdraio occupate.
Ci avvicinammo e uno dei due ragazzi sentendoci arrivare si alzò sorridendomi.
Non so come riuscii a non svenirgli tra le braccia: era semplicemente stupendo! Era alto più di un metro e ottanta, cosa che mi costringeva a guardarlo dal basso all’alto, dato il mio metro e sessanta scarso, capelli biondi leggermente mossi, occhi verdi e un sorriso da infarto. Inoltre, cosa ancora più importante, era in costume, lasciando in bella vista un fisico decisamente perfetto.
“Lui è Chris, il maggiore” mi spiegò il maggiordomo.
Il mio sguardo cadde inevitabilmente, involontariamente, e inopportunamente sulla v subito sopra il costume, ma cercai di riprendere il prima possibile il controllo di me stessa costringendomi a guardarlo negli occhi, stringergli la mano che mi porgeva e non sbavare, fallendo miseramente, però, sul proposito di non arrossire.
“Piacere” dissi quasi balbettando.
Notai che, intanto, anche l’altro ragazzo si stava alzando e stava venendo nella mia direzione.
“Mentre lui è Austin” continuò le presentazioni Adams
I due anche se erano fratelli non potevano essere più diversi: Austin aveva i capelli lisci e mori, e occhi scuri, anche se il fisico non era da meno rispetto a Chris.
Non mi porse la mano, né disse nulla, iniziò a venirmi sempre più vicino, finché la distanza tra i nostri volti fu minima e io arretrai di riflesso col busto mentre lui appoggiava due dita sotto il mento.
“Chiudi la bocca, almeno, mentre lo guardi” esclamò con tono abbastanza alto da farsi sentire da tutti i presenti, per poi scoppiare a ridere e andarsene lasciandomi paralizzata e imbarazzatissima.
Ma chi cazzo si credeva di essere?

 
 
 
* ANGOLO AUTRICE *
CIAOOOOOOOOO A TUTTIIIIIIIII :3
Allora ho un po’ di cose da dire…. Innanzitutto vorrei ringraziarvi se siete arrivati a leggere fino a qui, voi anime coraggiose, spero di non avervi deluso o annoiato!!
Comunque può essere che a qualcuno questo capitolo suoni familiare e… no, non l’ho copiato, l’hanno scorso avevo già pubblicato quattro capitoli di questa storia, poi per vari motivi fra cui poca ispirazione, tempo e voglia di scrivere non ero più andata avanti… ho deciso però (sempre meglio tardi che mai^^) di riprenderla seriamente, ma volendo fare qualche modifica alla trama originale l’ho cancellata e ho iniziato a riscriverla dall’inizio. Detto questo se l’avevate già letta, vi consiglio di rileggerla comunque perché non sarà proprio uguale, uguale.
Vorrei cercare di aggiornare almeno una volta a settimana e se dovessi assentarmi per periodi troppo lunghi siete autorizzati a farmi da stalker :)
Passando al capitolo, questo essendo un prologo è più di introduzione che altro, serve per presentare i protagonisti e descrivere un attimo la situazione.
Ad agni modo spero con tutto il cuore in qualche recensione positiva o negativa che sia, mi farebbe davvero piacere, e ditemi pure che ne pensate dei vari personaggi
Sarà meglio che vada se no finisco per fare l’angolo autrice più lungo del capitolo xD
Maka


 
 
 
 
 
 
 
  
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