Deus
ex Machina.
Anche
se scritta dopo, questa fanfiction non è altro che il
prequel di
Argus Apocraphex, spero di far regalo gradito a tutte le Rose che amano
il
nostro batterista dai bicipiti grossi e tatuati, la pancetta e pochi
capelli
sulla ormai lucida testolina…avete capito di chi si tratta?
^_^
Questa sera glielo leggo negli
occhi… sta soffrendo, soffre
in un ostinato silenzio distribuendo falsi sorrisi non solo alla gente,
là
fuori, ma anche a noi, è questo che mi ha fatto
più paura. Non ha mai finto con
noi, forse non lo sta nemmeno facendo di proposito ma è mio
fratello e l’ho
visto recitare milioni di volte.
Sta spacciando un immagine completamente sfalsata, è come
vedere un essere
intrappolato in una guaina che scalpita e scalcia…
no… forse l’immagine che più
si avvicina a Jared in questo momento è quella
dell’insetto invischiato nella
ragnatela, mentre guarda gli occhi sfaccettati del ragno.
Roteo fra le dita una bacchetta posando i piedi sul tavolino ingombro
di
lattine, alcune rotolano via… maledetto Tomo, se crede che
sparecchi io questo
casino allora vuol dire che non mi conosce, piuttosto lascio che la
spazzatura
si accumuli fino a soffocarmi.
”E’ una stanza o è un
porcile?” Jared raccoglie la latta ammaccata di birra da
sotto la poltroncina su cui troneggia una catasta di abiti sporchi e la
mette
in bilico sopra il cestino dei rifiuti ormai simile a una montagna.
”Non è colpa mia, Tomo è
disordinato…” brontolo iniziando a battere a ritmo
sui
barattoli con le bacchette, tempo tre secondi e senza dire una sola
parola
Jared me le strappa dalle mani infilandole nella tasca dei pantaloni.
”Va a cercare qualche sacco della spazzatura… non
lo sopporto più tutto questo
caos.”
Lo osservo di sottecchi, è pallido, più del
solito, sta iniziando di nuovo a
sembrare uno spaventapasseri con problemi
dell’alimentazione… quando va in
crisi la prima cosa che noto sono le mani, diventano ossute, come
quelle di un
vecchio, la pelle sugli zigomi è tirata. Sembra un uomo
fottutamente malato. Mi
sorprende a fissarlo, fa una smorfia e allarga le braccia.
“Che c’è?”
”Notavo che hai un aspetto particolarmente di merda,
oggi.”
“Grazie ora posso anche
rilassarmi, mi mancava qualcuno che
mi dicesse quanto faccio schifo oggi.” Scuote la testa,
arraffa una sporta e
inizia a riempirla… non me la dà a bere. Di
solito quando è infastidito si
incazza, grida, reagisce. Soprattutto non sistema il disordine altrui.
”Lascia perdere, faccio io. Perché non vai a
dormire? O a mangiare qualcosa,
prima che ti debba raccattare dal pavimento.”
”Figurati…”
”Come se non fosse mai successo!” sospiro,
arrendendomi al fatto che mi tocca
sistemare sul serio, Tomo me la paga cara.
“…c’è qualche problema
Jared?”
Mi metto di fronte a lui… ma non mi guarda in faccia,
sorride in tralice e si
gira, leccandosi le labbra, fa scattare gli occhi su tutto a parte me.
“Che
problemi dovrebbero esserci?”
“Mi sembri… depresso.” Stanco, svuotato, fragile. L’altra sera durante il concerto per un attimo ho visto la sua espressione mutare, trasformasi in un orrenda maschera afflitta, angosciata, come se un solo passo in più gli costasse uno sforzo tremendo. E’ stato un secondo, forse due… e poi è sparita. Mi ha spaventato tanto che per un attimo ho perso il ritmo.
“Andrà
tutto ok.”
Lo dice a voce troppo bassa… non ci credo io, non ci crede
nemmeno lui. Mentre
lo guardo uscire, le spalle appena incurvate, sento un brivido gelido
scendermi
nella schiena.
Tre giorni, ed è successo
di tutto.
Una sera eravamo tutti quanti al pub più rinomato di Londra
a bere e scherzare,
Tomo si era perfino fatto fotografare mentre fingeva di leccarmi il
collo,
Jared aveva improvvisato una teatrale e quanto meno esilarante scenata
di
gelosia annaffiandolo con un bicchiere d’acqua e un tentativo
di soffocamento…
due ore dopo quando io e Tomo avevamo varcato la porta della sua stanza
d’albergo l’avevamo trovata completamente sotto
sopra, un cassettone ribaltato,
uno specchio in frantumi, coperte lacere, i cassetti dei mobili
lanciati qua e
là, vestiti ovunque e lui raggomitolato fra
l’armadio e il frigo bar, con due
occhi enormi, tremante, catatonico. L’unica spiegazione che
aveva saputo darci,
dopo un intervento tempestivo di un medico e una somministrazione da
cavallo di
tranquillante era stata: “Ero arrabbiato. Non so
perché…”
Ieri notte lo stesso… mi ero svegliato
all’improvviso, dalla stanza di Jared
venivano rumori e schianti, fortunatamente gli avevamo proibito di
chiudersi
dentro. Aveva già devastato metà camera, il
contenuto delle valige
completamente rovinato. In tutta questa storia, sorpresa delle sorprese
era
stato Tim a mantenere un certo sangue freddo.
Era riuscito a tranquillizzarlo, tenendolo abbracciato, parlando
sottovoce per
quasi mezz’ora, lentamente Jared si era rilassato…
ci aveva guardato con aria
interrogativa prima di chiedere chi aveva messo in disordine la sua
camera.
Stavolta non ricordava di essere stato lui…
Infilo le mani in tasca prima di voltarmi a fissare l’enorme
parcheggio che si
sparge ai piedi del
Menzies Strathmore Luton, la voce non si è sparsa quindi nessuno per il momento ha sollevato remore… due camere distrutte in tre giorni sono un bel record anche se si sta parlando di una rock star. La somma che Jared ha sborsato per mettere a tacere la faccenda e pagare tutti i danni deve essere stata parecchio d’aiuto, suppongo.
Non capisco perché stia
succedendo tutto questo… è un
momento di fama e di gloria per i 30 seconds to Mars, è una
salita verso le
stelle, il mondo ci sta spalancando le gambe e noi siamo fottuti.
Sono relativamente preoccupato per la carriera… quello che
non mi fa chiudere
occhio è il terrore di perdere mio fratello. La nostra
è una famiglia sbilenca
di quelle che nessuno invidia, ma noi due non
siamo mai stati sbilenchi, mai. Noi siamo due fratelli di
quelli con
Non mi sento il fratello antagonista di Jared, come molti invece pensano, ammiro mio fratello e so cosa ha pagato per essere quello che è adesso. Gli ho visto devastare il suo corpo e la sua mente, l’ho visto diventare obeso, l’ho visto diventare calvo, anoressico, gay, l’ho visto morire, l’ho visto fare sesso… non mi manca nulla, io non farei mai quello che lui ha avuto il coraggio di fare.
“Non devi starmi a vegliare tutta la notte… oggi mi sento ok.”
Jared mi si mette di
fianco… sarà anche ok ma io sono in
maglietta a mezza manica e lui indossa un golfino a maniche lunghe che
gli sta
di almeno un paio di taglie troppo grande. Qualche mese fa invece se
non mi
ricordo male, era giusto. “Lo so… ma che vuoi
farci, sono il fratello maggiore,
mi sento responsabile.” Gli batto una spalla, e lui sorride.
”Sei più grande di cinque minuti e fai il fratello
vecchio e responsabile?”
”Ho anche meno capelli… questo fa di me un saggio
da ascoltare con rispetto.”
”I saggi da ascoltare non fanno delle X sulle tette delle
ragazze che vogliono
portarsi a letto, possibilmente due o tre alla volta
contemporaneamente.” Il
suo tono non è di rimprovero ma nemmeno troppo
accondiscendente… ah fuck, sarà
capitato due o tre volte una cosa del genere e lui se
l’è legata al dito.
“Sono un uomo di carne e di sangue, molto caldo e pieno di affetto da dare e da ricevere.”
“Sì, lo so.” Jared mi allunga un foglio che deve aver staccato dal suo quaderno per gli appunti, scritto a penna, è la sua grafia senza dubbio, ma sembra stranamente tremolante e sfuocata. “Magari può tornarci utile, nel prossimo album.”
E’ una canzone, una di
quelle che non capirò mai a fondo
probabilmente, la rileggo un paio di volte, finché non mi
rendo conto che
quello che stringo in mano sembra una dannata lettera di addio, tanto
che mi si
gelano le mani e iniziano a fischiarmi le orecchie. Parla di resa, di
sconfitta, parla di fantasmi, parla di come sia annegare nella propria
testa.
Chiudo gli occhi… sembra fatto apposta… inizio a
capire quello che Jared scrive
solo quando invece NON vorrei capirlo.
”… sei misterioso come al solito. Mi dirai mai
cosa volevi dire?”
”A me sembra che tu l’abbia capito molto
bene.” Lo sento scivolare via, dentro
la stanza. Stasera non sembra voler fare il matto, stasera sembra uno
che i
numeri non li ha mai dati in tutta la sua vita.
”Ehi Jared…che significa Deus ex
machina?” chiedo voltandomi appena… Jared non
accende nemmeno la luce, si side sul letto e inizia ad armeggiare con
il suo
Blackbarry.
”Soluzione.”
L’intervista per Weekly
Riff è una specie di tortura mirata
soprattutto a infastidire Jared che rimane
intontito e annichilito dalla valanga di domande e di auto
risposte a
cui Howard Stern lo sottopone con crescente disappunto quando lui non
reagisce.
Rimane seduto a gambe strettamente incrociate e mani aggrappate ai
bordi del
divano come per paura di piombare in avanti sul variopinto pavimento
sotto le
sue scarpe.
Tomo tenta diverse volte di catturare l’attenzione su di se
fallendo
miseramente e io nemmeno ci provo. Il tizio alla fine deduce che non
è giornata
e finalmente ci lascia suonare una fiacca ‘The
Kill’ che lascia le poche
Echelon presenti piuttosto interdette a guardarsi l’un
l’altra con occhi colmi
di una crescente preoccupazione.
Qualcosa alla fine è trapelato nella rete… si
mormora che Jared sia malato, che
sia in una di quelle sue fasi acute di crisi, il suo aspetto e la sua
debolezza
oggi le confermano sotto tutti gli aspetti. Dannazione e ancora
dannazione.
”Mi dispiace sono parecchio stanco in questo periodo, non mi
sono sentito
bene.” Jared si china su una Echelon dai capelli lunghissimi
che gli tende una
rosa e un pacchettino infiocchettato che lui si infila nella tasca del
giubbotto di pelle con un sorriso.
”Riprenditi presto.”
Le nostre compostissime Echelon non
ci
deludono mai, con i loro modi cortesi e pacati. Si animano e si
scatenano
soltanto quando lui dà loro il permesso, quasi si trattasse
sul serio di un
Dio.
Forse lo è diventato.
Sorrido scribacchiando qualche autografo ed elargendo vigorosi abbracci
e baci
almeno finché quello stronzo di Howard non ci richiama per i
saluti. E’ tempo
che altri ospiti si seggano su quelle poltroncine pacchiane e scomode a
farsi
trapanare la palle dalle sue assurdità… meglio
per noi, peggio per loro. Certe
volte è veramente difficile ingoiare tutta la merda che devi
ingoiare… se Jared
è stressato posso capirlo, essere il frontman in questo caso
significa ingoiare
più merda di tutti noi della band messi assieme,
è normale che gli stia sullo
stomaco.
Mi sto elargendo più giustificazioni di quanto
servono… sono stati di certo
casi isolati che non si ripeteranno, ne sono certo. Abbiamo affrontato
momenti
molto peggiori di questo, ne siamo usciti tutti quanti vincenti,
talvolta
ammaccati, ma sempre uniti e a testa alta.
”Tutto a posto fratello?” assesto una poderosa
manata sulla spalla di Jared che
sorride in tralice prima di annuire.
”Certe volte il silenzio è la migliore risposta.
Non avevo voglia di
discutere.” Sospira scostandosi una ciocca di capelli dalla
faccia. “Ho cantato
veramente da schifo.”
”Il fatto che anche il tuo aspetto faccia schifo ti
giustifica alla grande.”
Rispondo mezzo sicuro che non se la prenderà a male se
continuo ad insistere
sul suo aspetto
fisico ben al di sotto
del suo normale fascino.
“Almeno non devo allargare
di un altro buco la cintura.”
Risponde con una punta di irritazione del tutto costruita battendomi il
ventre
appena appena prominente.
”Qualche birra in meno e tutto tornerà piatto e
muscoloso. Comunque questa
pancetta fa impazzire le donne, è bello avere carne a cui
attaccarsi mentre…”
sogghigno passandomi la lingua in modo osceno sulle labbra girandomi
verso Tomo
che in tutta risposta fa una smorfia e alza il dito medio.
Inizio a sospettare che il suo modo scortese di reagire ai miei gesti
sexy è
colpa del fatto che non ne è del tutto immune.
“Hai voglia di succhiare
qualcosa di grosso Tomislav?”
”Va a farti fottere Shannon!” grida lui senza
voltarsi, provocandomi una
risatina.
”Voi due finirete per scoparvi.” Dice Jared alzando
gli occhi cielo e scuotendo
la testa con aria stanca.
”Non diciamo stronzate. Piuttosto… credi sia
meglio tornare subito indietro
oppure si va a bere da qualche parte? Ci divertiamo…
conosciamo qualche ragazza
volenterosa e magari anche tu…”
Dalla sua smorfia capisco che non è aria. “Voglio
buttarmi in un letto.”
Stavolta non faccio l’immane errore di lasciarlo da solo,
rinunciamo alla
bevuta e ci facciamo accompagnare direttamente sul nostro macchinone
fino
davanti all’Hotel. Ci sono un paio di giornalisti che come al
solito tentano di
intrufolarsi, sbattendo i microfoni sotto il viso esasperato di Jared
che si
difende alzando le mani, con aria contrita senza rispondere ad una sola
domanda.
Solita storia… non li
degno di uno sguardo, ma tanto loro
sono concentrati maggiormente su di lui, rimangono delusi e sconfitti
quando
riesce a sfuggirgli seguito dal resto di noi.
”Che rottura! Non potrebbero impegnarsi a tenerli un
po’ più lontani questi
avvoltoi? Non puoi fare un passo che ti sono
addosso…”
Mi si smorzano le parole in gola quando vedo Jared precipitarsi in
ascensore e
schiacciare convulsamente i tasti per far chiudere le porte. Spicco la
corsa ma
quando sono lì l’unica cosa che sento è
il ronzio dell’ascensore che sale.
”Che succede?” Tomo mi lancia un occhiata
intimorita e allarmata, ci siamo,
un'altra volta, ho idea. Non devo dire nulla, mi segue mentre a due due
salgo i
grandini fino al terzo piano e mi getto nel corridoio. La porta della
stanza di
Jared non è nemmeno chiusa, soltanto accostata. Qualcosa mi
spinge a inspirare
profondamente prima di entrare.
Sul pavimento ha gettato soltanto la giacca di pelle, la camera
è buia e
illuminata dalla lama di luce proveniente dalla porta del bagno.
”Chiamo Tim.” Dice mestamente Tomo prima di
scomparire giù per il corridoio.
Non sopporta certe cose, lo impressionano troppo, il fatto che in
questi
momenti lui sia impotente non gli dà colpa ma…
non voglio essere da solo.
”Jared? Tutto ok vero?” dico con voce rauca, il
cuore mi martella in gola
veloce… di questo passo mi verrà in infarto prima
dei cinquanta anni e non sono
ancora arrivato alla soglia delle 1000 donne. Ci devo arrivare.
La sua voce è debole, così sottile e piena di
paura che per un attimo non lo
riconosco. “Non sono io.”
Accendo la luce, tutto questo buio mi fa sentire braccato, mi avvicino
alla
porta e la spingo con i polpastrelli rimanendo con gambe rigide come il
legno
davanti al rettangolo della soglia del bagno. Jared è di
fronte alla specchio,
gli occhi sbarrati, le guance livide… sembra un fottutissimo
Zombie di uno di
quei vecchi film di Romero, che da ragazzini ce la facevano fare sotto
dalla
paura. “Non sono io.”
Gira la testa in un movimento lento, l’azzurro dei suoi occhi
è violento e
impossibile in contrasto con il grigio della sua faccia che sembra
quasi
scarnificata. La luce bianca e crudele peggiora di certo la sua
figura… è la
luce. Per forza. Solo i morti e i fantasmi appaiono così.
”…vieni a sederti, ti faccio portare qualcosa
da…”
”Non sono io.”
Mi rendo conto di quello che sta per fare soltanto quando è
troppo
infinitamente tardi. I suoi pugni chiusi si abbattono sul vetro dello
specchio,
una, due volte, innaffiandolo di una pioggia d’argento che si
trasforma subito
in una pioggia di sangue quando la carne delle sue mani e delle sue
dita si
squarcia con lo specchio.
Il rumore è come un esplosione nella mia testa, vedo
rosso… non so come faccio
a non impazzire in questo preciso istante.
Mi butto in avanti e gli afferro i polsi… il sangue gocciola
giù per le dita di
continuo senza fermarsi, il pavimento bianco rapidamente si colora,
bianco
rosso e argento. “Che cosa…hai fatto?
Jared.”
Quando alza gli occhi su di me sorride, dolcemente, in modo quasi
spensierato.
“Era un fottuto bugiardo… ma non ero io,
l’ho mandato via!” dice allegramente.
Il suo sangue caldo inizia a colare anche sulle mie mani…
“Come…non, che stai
dicendo?”
”Lo specchio si è rotto.” La sua voce
diventa improvvisamente triste, sospira.
“Porta sfortuna.”
Le successive tre ore al pronto soccorso sono le più lunghe
della mia vita.
Sono combattuto, quello NON è stato un incidente, ma non
posso di certo dire ai
medici che l’ha fatto apposta. Nei loro occhi vedo aleggiare
il dubbio, Jared
però dimostra completa
lucidità, in lui
non c’è nemmeno il ricordo di quegli occhi morti
che mi ha mostrato solo
qualche ora prima…ho perfino il dubbio di aver visto quello
che ho visto se non
fosse per le mani avvolte nelle bende candide.
”Sono solo tagli superficiali. Guariranno in pochi
giorni.”
Il medico mi lancia un ultima attenta occhiata. Il fatto che Jared sia
accidentalmente –caduto- su uno specchio appeso al muro non
è una gran scusa,
lo so, ma non ero pronto a dovermi inventare una bugia per una cosa del
genere.
”Niente da dichiarare?”
”Ho già detto tutto.” Rispondo prendendo
le nostre giacche dalle sedie e
aiutando Jared ad indossare la propria.
Il viaggio di rientro all’Hotel è
silenzioso… sento lo stomaco stretto in un
gelido senso di impotenza, è come guardare una candela
mentre si spegne. “…
niente più seghe per un po’!” dico tanto
per alleggerire un pochino
l’atmosfera. Jared sorride e poi ridacchia addirittura.
”Già… questa sarà difficile
da spiegare… userò i guanti.”
“Perché…
dicevi di non essere tu?” azzardo a chiedere in un
sussurro sbirciando il suo viso mentre osservo il traffico fuori dal
finestrino
scuro.
Jared rimane in silenzio. Con un dito disegna sul vetro appannato dal
suo
respiro un uomo stilizzato, poi con una mano lo cancella bruscamente.
“Era solo
un pensiero detto a voce alta.”
Sono in piedi nella stanza vuota. E’ da un ora che sono qui.
Jared se n’è
andato, sapevo che lo avrebbe fatto ma non me lo aspettavo in questo
modo,
senza avvisare nessuno, senza parlarne nemmeno a me.
Non ha portato con se nemmeno il Blackbarry, è stato quello
a convincermi che
era successo. Il telefono è posato accuratamente al centro
del letto, la luce
rossa lampeggia, devono essergli arrivati chissà quanti
messaggi, che purtroppo
non riceveranno la consueta veloce risposta.
L’unica cose che ho trovato è la canzone,
completa, gli accordi della
melodia scritti in
ordine su un altro
foglio di carta strappato, l’unica cosa che manca in effetti
è il suo quaderno.
Jared se n’è andato.
Tomo entra nella stanza di slancio e si blocca a fissare il letto
vuoto. “Dov’è
Jared?”
Una lacrima mi scivola sulla guancia, seguita da un'altra.
”Jared è andato a cercare quello che ha perso
e… non lo rivedremo finché non lo
avrà trovato.”