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Autore: scrittrice in canna    31/08/2014    5 recensioni
“Dove mi trovo?”
“Al Washington General Hospital. Era caduto in coma dopo un’incidente d’auto.”
“Incidente d’auto? Non ricordo.”
“Agente DiNozzo, stia tranquillo, è perfettamente normale che…”
“Agente? Di chi sta parlando?”
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs, Un po' tutti, Ziva David
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tiva everywhere.'
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Era sera e Gibbs aveva preparato due bistecche al sangue per far cenare Tony, avevano finito di mangiare e il ragazzo era andato a mettersi un pigiama per dormire ma apparse sulla soglia qualche secondo dopo e non era in pigiama, teneva qualcosa tra le mani, cominciò a parlare: “Questo è di Ziva” disse indicando l’elastico per capelli che aveva in mano.
“Deve averlo dimenticato ieri.” Lo mise al polso, come se fosse stato un braccialetto. Si sedette accanto a Gibbs sul divano e continuò: “Sai cosa? Non capisco perché mi sono scusato o perché avrei dovuto scusarmi! Insomma, abbiamo solo dormito insieme a Parigi, non è mai successo nulla tra noi…”
“Ti ha raccontato di Parigi?” chiese Gibbs più stupito da quello che dal resto.
“No, credo… credo di essermene ricordato” rispose lui realizzando solo in quel momento di conoscere avvenimenti più recenti rispetto al Natale di trent’anni fa.
“E come credi di essertene ricordato?” lo spronò il capo.
“Credo sia successo… oggi” disse Tony pensando a quando, senza una ragione apparente, si era scusato stringendo la sua collega, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Cosa, esattamente ti ricordi?”
“Che eravamo in una stanza d’albergo dalla quale si vedeva la Toure Eiffel… mi aveva svegliato nel cuore della notte, aveva avuto un incubo… mi pare, poi si è addormentata sul mio petto” fece una pausa, sorridendo, riprese: “dopodiché è come se non mi fossi risvegliato in quella stanza, ma in ospedale, il giorno dopo.” Gibbs annuì e prese un sorso di birra decidendo se dirgli ciò che era successo un paio di giorni prima nel suo seminterrato o tenerselo per se.
“Non so esattamente perché, ma ho capito che io e lei… abbiamo una connessione, in un certo senso, solo… non riesco a capire di che tipo” spiegò Tony ripetendo ciò che aveva detto a Ziva in ospedale.
Gibbs sorrise e gli diede uno scappellotto prima di andare verso la cucina.
“E questo per cos’era?”
“Regola numero dodici.”
“Non me la ricordo” rispose Tony strofinandosi la nuca.
Gibbs sapeva che l’avrebbe ricordata, a suo tempo.


“Su, Anthony, la mamma vuole vederti” disse una giovane infermiera accompagnando il bambino fino ad una camera dalla porta chiusa.
“Non devi farlo per forza, Junior” spiegò il padre accarezzandogli la schiena.
“No, io voglio vedere la mia mamma” insisté il bambino.
“Okay, apra” acconsentì l’uomo riferendosi all’infermiera.
L’apertura di quella porta rivelò qualcosa di molto simile a un sogno o un incubo, Anthony non avrebbe saputo scegliere tra i due. Una donna magra e fragile giaceva in un letto bianco, i suoi capelli biondi erano sparsi sul cuscino e la flebile luce della prima luna serale filtrava dalla finestra semichiusa illuminandole il viso e conferendole un colorito ancora più bianco, in quel momento il bambino pensò che la madre fosse fatta di porcellana e non osò toccarla nemmeno con un dito, per paura di romperlo, il padre era dietro di lui, non aveva mai staccato la mano dalla sua schiena, nemmeno per un secondo. L’unico rumore nella stanza era il bip dello strumento per il battito cardiaco.
La donna si mosse quasi impercettibilmente, salutò il bambino con un sorriso che venne ricambiato, poi alzò gli occhi azzurri verso il piccolo televisore sul muro e disse: “Guarda Tony, fanno ‘Angeli con la faccia sporca’, mi piace quel film.”
“Anche a me, mamma” ammise il bambino.
qualche secondo dopo le macchine si zittirono e nessun’infermiere, nessun medico o specializzando accorse a salvare la donna, nessuna corsa frenetica, nessuno che lo allontanasse da lì, come nei film preferiti di Anthony. Padre e figlio restarono semplicemente a guardare la donna che amavano scivolare via lentamente.

Tony si svegliò di soprassalto, sudato e accaldato. Non voleva ricordare certe cose, avrebbe preferito continuare a domandarsi che fine avessero fatto i suoi due genitori felici dei ricordi Natalizi, ma non si può sfuggire dalla verità.
 
Il mattino dopo l’ufficio era frenetico e all’arrivo di Gibbs e Tony nessuno era alle scrivanie a salutarli, o a rimproverarli con lo sguardo per essere arrivati tardi.
“Siediti, DiNozzo.” Erano in ritardo, Gibbs non era mai in ritardo.
“Sì capo, è che… ho dormito male stanotte” si giustificò.
“Ti ho sentito” rispose l’altro.
“Certo.”
Poco dopo arrivò Abby che si rivolse a Jethro per comunicare i risultati di alcuni test sulla vittima del caso che stavano seguendo, la ragazza guardò la scrivani vuota dell’amica e chiese: “Ziva non è ancora arrivata?”
“No, è arrivata” disse Tony sospirando, in cambio ottenne un’occhiataccia.
“Sai dov’è, Gibbs? Non la vedo da ieri” domandò la ragazza.
“Abby, per favore…” cominciò il ragazzo esasperato da quel comportamento.
“Ah-ah. Ho chiesto a Gibbs” lo fermò Abby alzando il dito come a zittirlo.
“Non ne ho idea” disse Gibbs senza staccare gli occhi dal fascicolo che stava leggendo.
“Allora chiederò a McGee, grazie. Gibbs.” Si avviò verso il suo laboratorio, appena si allontanò abbastanza anche Gibbs si alzò per andare verso la sala autopsie e Tony rimase solo a guardare la scrivania vuota davanti a lui, aveva il telefono in mano aperto sul numero di Ziva, indeciso se chiamarla o no. Gli sembrò quasi di avere un déjà-vu, come se quella scena fosse già accaduta in passato, ma non riusciva a capire il perché. Fu interrotto dalla dottoressa Cranston che sostava accanto alla sua scrivania, pronta per cominciare una seduta in qualunque momento: “Agente DiNozzo, che ne dice se andiamo in sala relax? Avremo più calma” consigliò lei e Tony fu ben felice di accettare.


“Allora, come va? Ricorda qualcosa di particolare?” chiese la donna sorseggiando un caffè preso alla macchinetta, comodamente seduta d un tavolo, davanti a lei era seduto Tony.
“Solo… stralci della mia vita da bambino e qualcosa riguardante l’NCIS” spiegò vago.
“Temo che questo non basti… le dispiace essere più preciso?”
“Ricordo… i Natali con mia madre, ricordo la sua stanza d’ospedale e il film… ‘Angeli con la faccia sporca’, ricordo anche un caso… una testimone che doveva essere prelevata da Parigi.” La dottoressa annuì e disse: “Nient’altro? Casi particolari, persone che hanno lasciato un segno importante nella sua vita?”
“Del caso a Parigi ricordo la mia collega… aveva avuto un incubo la notte in cui siamo rimasti lì” raccontò senza scendere nei dettagli.
“Parla dell’agente David?”
“Sì.”
“Dov’è lei, ora?”
“Non lo so… non credo voglia parlarmi” ammise Tony sconsolato.
“Questo la disturba?”
“Più che altro mi ferisce” parlava a ruota libera, non aveva paura di dire qualcosa di sbagliato e sapeva di poter dar voce ai suoi pensieri.
“Lei e l’agente David avete sempre avuto una relazione… strana. Nemmeno io saprei come definirla.”
“Mi creda, nemmeno io so come definire il nostro rapporto” disse Tony ridendo amaramente.
“L’unica persona che può aiutarla a chiarire la sua confusione su questo è proprio lei” consigliò la dottoressa.
“Sì, credo… credo che dovrei parlarle, grazie” rispose Tony alzandosi dalla sedia.





 
scrittrice in canna's corner
Se esco fuori ora non mi uccidete, vero?
Riprenderò a scrivere, mi sono presa una pausa ma sono tornata e vi prometto che concluderò la storia prima dell'inizio della scuola.
Non sapevo se finire questo capitolo con un colpo di scena e, a dirla tutta, non sono nemmeno sicura di quello che ho scritto.
Vedrete come si evolverà la faccenda, siamo vicini alla fine!
Vostra,
scrittrice in canna.
   
 
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