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Autore: Kitty96    31/08/2014    1 recensioni
Christian e David sono due ragazzi di New York, che passano i loro pomeriggi a passeggiare per le strade della grande mela. Ed è proprio per le strade di Manhattan, che scopriranno di amarsi l'un l'altro, facendosi coccolare dal tepore della città che non dorme mai.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Big apple

Camminavamo su e giù per le strade di Manhattan, e non potevo fare a meno di sentirlo mio. Sentire che quelle labbra carnose e quella pelle lattea fossero solo mie, che quei capelli d'oro fossero solo miei. Ma non era così. Eppure, un semplice amico non ti guarda perforandoti da parte a parte, un semplice amico non ha quel sorriso sincero, e, a tratti, ancora infantile. Un amico non si sognerebbe mai di portarti a cena in un lussuoso ristorante sulla quinta strada. Eppure lui era solo un amico.
 Ricordo ancora le ultime parole di mio padre, prima di andarmene di casa...
"Mio figlio non è un finocchio! Non troverai mai un'altra checca come te! Sei il disgusto della razza umana!"
Non sapevo che avrei trovato un uomo da amare, e, camminando per Manhattan, mi resi conto che l'uomo che passeggiava al mio fianco, sarebbe stato l'ennesimo amore impossibile dell'ennesimo ragazzo omosessuale di New York.
C. - Ehi ma siamo un pochino pensierosi oggi eh!? -
Non risposi, regalando al sorriso di Christian, un altro sorriso. Quel pomeriggio autunnale di New York era piuttosto freddo, e lo notai rabbrividire sotto uno dei suoi maglioncini di cotone, che non sostituiva mai a nessun giaccone, per fare lo spavaldo.
D. - Che ne dici se andiamo a bere qualcosa di caldo? -
Annuì silenziosamente, portandosi le braccia al petto per riscaldarsi. Entrammo in una tavola calda, di quelle con poca gente e la musica in sottofondo.
D. - Due cioccolate, per favore. -
La cameriera, sbattendo le lunghe ciglia da cerbiatta, portò le ordinazioni in un istante, e andò via, ancheggiando sensualmente. D'altronde, Christian era un bel ragazzo, e la clientela femminile della città se lo mangiava con gli occhi. Quanto volevo poter avere il privilegio di imprimere la mia proprietà su quel ragazzo. Ero cotto marcio di lui. Guardai Christian nei suoi occhi color dell'oceano, e mi tuffai nel nero della cioccolata, per placare i miei "istinti amorosi". Lui, invece, ficcò immediatamente la testa nella sua, sporcandosi tutte le labbra, proprio come i bambini. Dio solo sapeva come avrei voluto baciargliele quelle labbra.
Mi fissò, iniziando a ridere: mi ero macchiato il naso con la cioccolata.
C. - Hey David, aspetta, hai una macchiolina proprio qui... -
Fece per avvicinarsi, sorridendo, e mi pulì il naso con l'indice, indugiando sul di esso. Ci fissammo intensamente, cosi che lui potette ammirare le mie iridi anonime, di quel marrone così scuro che si confonde con il nero della pupilla. Non avevano niente di speciale, i miei occhi, eppure, lui li fissò intensamente. Pochi attimi, e lui tolse il dito dal mio naso, visibilmente imbarazzato, e tornò a concentrarsi sulla sua cioccolata. Era ormai tardi, e lo riaccompagnai a casa, poiché abitava a due isolati da casa mia.
Ci salutammo più lentamente del solito, come se non volesse lasciarmi andare, indugiando sui particolari meteorologici del momento. Era da circa tre mesi che quel rituale si ripeteva, ogni settimana, per tre volte. E ogni incontro era più bello del precedente. Lui non sapeva della mia natura, e mai l'avrebbe saputo. Sarebbe solo servito a farlo fuggire. Lo vidi entrare in casa, nella sua villetta in una delle tante strade di New York e m’incamminai verso casa.
 
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*Immaginate una grande nave, di quelle da crociera. Immaginate se, una notte, tra Genova e New York, cadesse un quadro, senza motivo. Un quadro che è rimasto lì fermo per anni, cullato dalle onde dell'oceano.*
E' quello che accadde una sera, durante una delle passeggiate che facevo con Christian. Era silenzioso, quella sera, ed era strano. Generalmente, la nostra era una continua lotta fra me e il mio razionalismo più totale, con tutta la negatività che mi portavo dietro, e la sua sprizzante allegria da bambino, che ti contagia anche nei giorni bui. Nei mesi che avevamo trascorso assieme, mai era stato di cattivo umore, se non quella sera.
Non feci domande riguardo al suo stato d'animo, per non turbarlo, ma poi capii che aveva litigato con i suoi sentimenti. Parlammo poco, stemmo la maggior parte del tempo su una panchina del Central Park ad osservare le coppiette camminare mano nella mano, e i bambini giocare a rincorrersi. Cercai il suo sguardo, e lo trovai sempre. Mi fissava di nascosto, me ne accorsi, ma feci finta di nulla. Sarebbe stato inutile confessare, avrei turbato lui e me stesso. E poi, mancava la componente di coraggio necessaria a farmi fare il salto nel vuoto che volevo. Ci attardammo più del solito, e il freddo si fece pungente, ma
Christian non sentiva ragioni, e non voleva abbandonare i suoi maglioncini di cotone. Era un folle e un temerario, il mio completo opposto. Cominciò a piovere, ed io, aprii l'ombrello da cui non mi separavo nemmeno nei giorni di sole. Le nuvole a New York sono imprevedibili e un po’ lunatiche, proprio come gli abitanti di quella pazza città. Lo accompagnai a casa, come da rituale, e stemmo stretti sotto lo stesso ombrello, vicini come non mai. Aspettai pazientemente che aprisse la porta di casa, prima di andare via.
Quando ebbe girato la chiave nella toppa, ebbi un sussulto, e notai la stessa cosa in lui.
D. - Ciao Christian, ci sentiamo! -
Lui mi fissò con gli occhi più tristi che avessi mai visto. Poi entrò in casa. Prima che potesse chiudere la porta, mi girai per prendere la via di casa.
C. - Aspetta! -
Mi bloccai sulla soglia di casa sua, aspettando di conoscere il motivo di quella preghiera.
C. - Aspetta, ti prego... -
Mi voltai, e lo trovai in lacrime. Ad un tratto, mi prese il braccio e mi trascinò a sé, baciandomi a fior di labbra. Rimasi impietrito, quando vidi le lacrime scendere dalle sue guance. Si staccò da me, piangendo e fissandomi con quelle iridi azzurre, ed io, a mia volta, fissandolo con le mie iridi anonime. Ancora sulla soglia di casa, si girò di scatto ed entrò in casa, ma bloccai la porta prima che si potesse chiudere. Fu una reazione istintiva, che stupì Christian, ma soprattutto me stesso, mentre mi chiedevo da dove avessi tirato fuori tutta quell'audacia. Aprii di nuovo la porta e mi trovai di fronte un Christian in lacrime, stupito, quanto confuso. Entrai in casa, lasciandomi la porta alle spalle, chiudendola delicatamente, per non spezzare quel silenzio magico e confuso. Lui indietreggiò meccanicamente, per permettermi di entrare in casa, poi si fermò, e lo raggiunsi, arrestandomi ad un soffio da lui. Era più basso di me di qualche centimetro, ma ero più robusto di lui, grazie agli anni di palestra di cui andavo fiero, e questo bastava a farmi sembrare un gigante di fronte a lui. Ci fissammo al lungo. Quel breve contatto di prima, era stato solo un assaggio, ed io volevo assaporare tutta la dolcezza di quelle labbra tanto bramate. Lo strinsi a me,
facendogli poggiare il capo tra la spalla e il collo, circondandolo in un abbraccio. Lui esitò, ma poi mi cinse la schiena e sentii le sue mani stringere forte. Non volevo perderlo. Gli alzai il capo, e lo baciai, più intensamente di quanto avessi potuto immaginare. Era ancora scosso, lo sentivo quasi tremare tra le mie braccia, poi si lasciò andare a quel bacio, dischiudendo la bocca per permettere alle nostre lingue di danzare assieme. Accarezzavo le sue spalle, su e giù, e lui teneva le sue mani contro il mio petto. Ci staccammo dopo un'eternità e ci fissammo negli occhi. Lui sembrava appena uscito da una cartolina di Natale alternativa: aveva i suoi capelli ricci, leggermente arruffati, e gli occhi pieni di vita. Io, con i capelli scomposti e pettinati alla bell'e meglio. Si accoccolò sul mio petto.
C. - Grazie... -
D. - Per cosa? -
C. - Per avermi aspettato. -
Mi rivolse un candido sorriso, e rimanemmo lì, per ore, minuti, chi poteva dirlo. Io avevo trovato il chiodo che avrebbe rimesso a posto il quadro, ma, da quella volta, non sarebbe più caduto.

 
  
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