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Autore: Willyskizzo    01/09/2014    1 recensioni
"Nell’amore non esistono regole. Possiamo tentare di seguire i manuali, di controllare il cuore, di avere una strategia di comportamento. Ma sono tutte cose insignificanti: decide il cuore. E quanto decide è ciò che conta. Lo abbiamo provato tutti nella vita. In qualche momento tutti abbiamo esclamato fra le lacrime: “sto soffrendo per una amore per cui non vale la pena”. Soffriamo perché pensiamo di dare più di quanto riceviamo. Soffriamo perché non riusciamo ad imporre le nostre regole. Soffriamo inutilmente, perché il seme della nostra crescita sta proprio nell’amore. Quanto più amiamo, tanto più siamo vicini all’esperienza spirituale. I veri illuminati erano pieni di gioia, perché chi ama riesce a vincere il mondo, non ha paura di perdere nulla. Il vero amore è una atto di totale abbandono."
-Paulo Coelho
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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PROLOGO




Palloncini.
Coriandoli.
Regali.
-AUGURIIII!!!- sentii urlare in lontananza.
Il chiasso e le risate provenivano dal piano inferiore accompagnate dalla musica assordante dell’impianto stereo di casa mia.
Diciott’anni, tanto amati, tanto desiderati ed eccoli:sarei dovuta essere felice, spensierata ed urlante tra i tantissimi invitati ballanti e brilli invece mi trovavo lì, al buio, sdraiata sul mio scomodo e vecchio letto in mille lacrime assaporando il gusto salato delle mie lacrime in solitudine.
-Auguri a me!- sibilai tra i singhiozzi che ormai da ore risuonavano ossessivamente nella mia mente;
-Guardati Joh- dissi alzandomi e rivolgendomi alla figura dipinta nello specchio posizionato di fronte a me: la luce della luna rifletteva in esso un’ immagine tutt’altro che piacevole. –Oggi è il tuo compleanno cazzo! E guarda come sei ridotta: capelli spettinati, trucco sbavato e cuore spezzato!-.
Questa è pazza.
Ecco cosa avrebbe potuto pensare una qualsiasi persona sana di mente che fosse entrata in quel preciso istante nella stanza.
-Ti sei fatta fregare da uno stronzo- continuai indicando lo specchio, - da un lurido bastardo che pensavi fosse quello giusto- pronunciai le ultime parole accompagnandole ad una stridula risata che risuonò macabra nel buio della mia stanza.
Manicomio.
Quello mi ci voleva, altro che festa a sorpresa ed invitati, il luogo migliore in cui sarei dovuta stare in quel momento era un istituto per psicopatici, sfiga vuole che li avessero chiusi una decina di anni prima. Incoscienti: mai lasciare adolescenti mestruate ed isteriche in libertà, eccone i risultati.
Un rumore mi distrasse dai miei pensieri insani e irragionevoli facendomi voltare lo sguardo in direzione della porta alle mie spalle: era semichiusa.
“Bella figura di merda” pensai notando la presenza di un viso maschile spuntare dalla parete di entrata osservandomi.
Maledetta serratura, era da una vita che tentavo di convincere mia mamma a darmi la chiave della stanza, ma senza esiti “ chissà che combini lì dentro, magari scappi dalla finestra e io poi che faccio?” bella considerazione che aveva di me eh?
Ed eccomi lì, con addosso in vestito nero sgualcito ed un espressione paragonabile ad un pesce lesso stampata in viso mentre uno sconosciuto (dannatamente carino) mi osservava sorridendo divertito.
“Come cavolo si permette di guardarmi in quel modo tremendamente sfacciato ed altrettanto sex…”
OK. BASTA. ORA. Ordinai alla parte più perversa e malata del mio cervello.
Pazza.
Manicomio.

-Tu. Da quanto sei lì.- Chiesi consapevole che la mia frase suonasse come un’affermazione e non come una domanda.
-Potresti apparire come una ragazza psicopatica agli sconosciuti, lo sai vero?- considerò lui.
-Oh bene. E tu lo sai vero che potresti apparire più problematico di me spiando una povera pazza?-
- E chi ti dice che io ti ritenga pazza?-, il suo sorriso si fece più deciso ed un luccichio di puro piacere prese spazio nei suoi occhi penetranti.
- Il fatto che tu sia uno sconosciuto?- chiesi fiera e sicura della mia risposta: uno dei miei pochi pregi era che in un dibattito a voce riuscivo sempre ad avere la meglio. Sfoggiai quindi un espressione soddisfatta che al ragazzo non passò inosservata.
-E da quando agli sconosciuti si da del “Tu”?- disse toccandosi con mano il mento in una finta espressione dubbiosa.
Bastardo. Il termine più azzeccato per quell’ “essere”.
Incassai il colpo preferendo il silenzio all’umiliazione.
- Piacere, Travis- , notando la mia tipica smorfia da delusione post-sconfitta decise di mettere fine alla discussione entrando nella mia camera e sedendosi con nonchalance sul letto scricchiolante.
Lanciai un’occhiata di puro odio verso lui ed il suo amico deretano che avevano osato toccare il mio sacro e fedele compagno di pianti e disperazioni senza chiedere alcun permesso.
Non notando o forse fingendo di non notare il mio disappunto, picchiettò con la mano sulla pesante trapunta invitandomi a sedere vicino a lui.
- E TU? TU come ti chiami?- calcò volutamente su due parole, le stesse che avevo involontariamente usato in precedenza riferendomi a lui.
-Perché sei qui?- chiesi evitando la sua domanda: quel suo tentativo di canzonarmi mi aveva innervosito e non ero intenzionata ad assecondarlo. Vedendo la sua espressione confusa continuai, -perché parli con una presunta malata mentale invece di goderti la favolosa- (ironica al massimo)- festa al piano di sotto?-. Lo guardai dritto negli occhi in segno di sfida.
- Odio i diciottesimi. Prevedono adolescenti esaltati che credono che un numero possa renderli imbattibili-.
La pensava esattamente come me, ma in quel contesto il tutto suonava incoerente, perché aveva deciso di…
-Amici, sono l’accompagnatore quindi purtroppo ho dovuto seguirli..- disse prima che potessi porgli la domanda.
-Conosci la festeggiata?- chiesi ignorando il fatto che la persona in questione fossi proprio io.
-No e di sotto non si trova, forse sarà scappata accompagnata da qualche ragazzo, troppo brilla per reggersi in piedi, a darci dentro dietro ad un albero- disse convinto della sua supposizione. Bella opinione che aveva di me!
Nonostante mi avesse appena definita una zoccola ubriaca non potei non sorridere a quelle affermazioni, il primo sorriso dopo giorni.
-Perché ridi?- chiese confuso.
-Piacere, Joh. Diciott’anni, fatti oggi- dissi porgendogli la mano.
Un’espressione di consapevolezza si fece largo sul suo viso.
Fregato.
-io.. non volevo..- tentò di giustificarsi imbarazzato.
-Tranquillo, non mi sono offesa, anzi preferirei essere dove e come mi hai descritto piuttosto che in queste condizioni.- risposi malinconica.
-Che ti è successo Joh? Chi ti ha ridotta così?- Il suo viso era serio, non voleva prendermi in giro, almeno così sembrava: le sue labbra erano prive della precedente spavalderia, gli occhi puntavano dritti ai miei bruciandomi dentro.
Non ero pronta a parlarne, soprattutto non con una persona di cui conoscevo solo il nome.
-Io non..- tentai di spiegare.
-Non sei pronta.- concluse lui cogliendomi alla sprovvista: quel ragazzo si improvvisava mentalista per caso?
-Esatto- risposi abbassando lo sguardo per nascondere il disagio che provavo per via della situazione.
-Aspettami qui- sussurrò alzandosi di scatto dal letto e provocando il forte cigolio della rete che reggeva il materasso a molle. –Torno subito-.
Occhi sbarrati, bocca spalancata ed un gigante e rosso punto di domanda che sovrastava la mia testa: ecco come probabilmente sarei potuta apparire in uno di quei tanti manga giapponesi che da sempre odiavo.
-Non scappo, tranquilla- concluse ammiccando con fare accattivante alla mia espressione sconcertata.
Uscì subito dopo dalla porta lasciandomi sola: Cosa gli era saltato in mente?
Dopo pochi minuti fece ritorno nella stanza con un braccio posizionato dietro all’addome cercando di nascondere qualcosa. Si piazzò di fronte alla mia figura e mi porse lentamente … –Una bottiglia di Vodka?- dissi non capendo le sue intenzioni.
-E’ il tuo compleanno cavolo! E lo stai passando piangendo e disperandoti in solitudine. Chiudi un occhio per una notte e trasformati nella ragazza che preferiresti essere-. Lo guardai pensando che stesse scherzando come suo solito – Una notte, una sola. Divertiti, cazzo! E’ il tuo giorno!- . Era serio ed io non sapevo che pensare, mi erano successe troppe cose nell’ ultimo periodo: prima il dolore e poi lui che mi chiedeva spudoratamente di ubriacarmi e di concedermi a.. a chi?
-Scusa, e secondo questo tuo folle piano, con chi dovrei…- non finii la frase capendo subito da sola: Voleva che andassi a letto con.. Lui?
- Sei una ragazza Joh, non ti manca nulla!-.
Gentile.
-Non rifiuto certo un approccio di questo tipo-.
Porco.
- Per caso a me manca qualcosa?- chiese notando la mia nota di disapprovazione nei suoi riguardi.
“Oh no, no hai fin troppo caro mio” ed ecco che la perversione prese nuovamente il sopravvento sulla ragione.
Volevo farlo? No. No assolutamente, non ero quel genere di persona, ma in quelle circostanze sentivo che dopo quella notte sarei cambiata, quindi perché non rischiare?
Presi la bottiglia dalle sue mani e ne svitai il tappo di acciaio iniziando subito dopo a berne il contenuto trasparente. Il liquido scivolò lentamente nella mia gola raggiungendo il collo dello stomaco e provocando un’esplosione di piacevole calore che pervase tutto il mio corpo. 
Necessitavo di una grande quantità di alcool per fare quello che da sobria non avrei mai pensato di riuscire a fare.
Dopo essermi scolata quasi metà boccia iniziai a sentire la mia testa girare, un brivido di eccitazione mi invase quando i miei occhi incontrarono i suoi.
-Facciamolo-.




 
  
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