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Autore: ale93    02/09/2014    1 recensioni
L’acqua è viva. Accarezza, riscalda, abbraccia. Ingloba.
L’acqua, a volte, trattiene.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Five inches (a thousand lightyears)




L’acqua è viva. Si muove, respira, scorre. Comprende.
L’acqua offre accettazione.
L’acqua aiuta.

Una patina d’umidità vela lo specchio come un fiato pesante e colloso, il tappeto ai piedi del lavandino è bagnato e scivoloso. Haruka si sistema nella vasca da bagno, l’acqua trabocca dai bordi di ceramica e s’ infrange sul pavimento con uno scroscio.
Un raggio di sole filtra dalla tenda azzurra della finestra e si frantuma sulla superficie della vasca in una miriade di riflessi luminosi.
Haruka allunga un dito e sfiora il delfino di plastica che galleggia a pochi centimetri dal suo ginocchio. La testa finisce sott’acqua, sembra che il giocattolo debba ribaltarsi verso il fondo.
Traballa.
È instabile.
La piccola pinna superiore appare e scompare tra le bolle di sapone.
Poi, finalmente, il muso azzurro riemerge.
Haruka si lascia scivolare sulla schiena. Lentamente l’acqua gli sfiora il petto, le spalle, le guance, il naso. La fronte.
Lì, sotto la superficie, c’è qualcosa. C’è sempre qualcosa.
Una piccola luce che Haruka vorrebbe poter mettere a fuoco. Trattiene il fiato e attende di poter capire, finalmente.

L’acqua è viva. Accarezza, riscalda, abbraccia. Ingloba.
L’acqua, a volte, trattiene.

Stringe gli occhi e, improvvisamente, un’immagine dai contorni sbiaditi appare proprio lì, sul fondo della sua vasca da bagno. È un bagliore verde… due bagliori. Occhi, sono occhi.
Haruka annaspa, una bolla di fiato sfugge alle sue labbra. Sente il battito accelerare come impazzito, ma poi quegli occhi brillano ancora e ancora e ancora.
Una strana tranquillità si riversa nel suo petto. Haruka resta a fissare quelle che gli sembrano iridi vivide e aspetta.
…Aspetta. 

Andare a Tokyo era stata un’idea di Nagisa, «sarà una sorpresa di compleanno con i  fiocchi! Mako-chan sarà così felice!» aveva strillato, battendo le mani.
Haruka era d’accordo, Makoto era sempre stato particolarmente emotivo e trovarli tutti a Tokyo gli avrebbe fatto di certo piacere. Così aveva annuito, lasciando che Rei si occupasse dei dettagli per il viaggio.
Arrivati in stazione, Nagisa si era messo in cerca di uno snackbar perché stava “morendo di fame” e Rei si era stretto nelle spalle e lo aveva seguito.
«Torniamo subito, Haruka-senpai. Potresti chiamare Makoto, intanto, non sappiamo dove andare» sospirò, massaggiandosi il collo con imbarazzo.
Haruka guardò Rei e Nagisa sparire nel flusso di gente che andava e veniva dai binari, prima di afferrare il telefono. Haruka ascoltò cinque avvisi acustici, prima che Makoto rispondesse.
«Haru-ch… Haru! Ciao!»
«Makoto. Dove sei?»
Ci fu un fruscio, qualche secondo di silenzio.
«Sto per andare a lezione, Haru, ma sono felice che tu mi abbia chiamato! Cosa stai facendo?»
“Sto aspettando di vederti”, pensò Haruka. «Sono in stazione. Qui a Tokyo. Per il tuo compleanno» disse invece. Riuscì ad avvertire il respiro solitamente tranquillo e calmo di Makoto incrinarsi all’istante, preda di una felicità cieca e improvvisa. «Ci sono anche Nagisa e Rei» concluse con un sospiro.
«A-allora corro a prendervi! Aspettami, non sono molto distante».
Haruka non rispose. Sentì il respiro di Makoto farsi più profondo. «Grazie, Haru-chan».

«Togli-» Makoto aveva già riattaccato «…il –chan».
Si guardò intorno in cerca dei suoi amici, ma non distinse nessuna immagine familiare in quella fiumana di volti e corpi e bagagli. Era come trovarsi a risalire un ruscello, ma quella corrente non era accogliente e rassicurante come l’acqua.
Abbassò lo sguardo verso le punte delle sue scarpe e si affrettò verso l’uscita. Cercò di giungere alle porte automatiche, lasciandosi spintonare e trascinare a tratti dalla calca. Un grosso orologio che pendeva dal soffitto segnava le undici e quarantadue minuti.

Haruka registrò distrattamente l’orario mentre attraversava la soglia della stazione, investito dall’aria secca e fredda delle strade di Tokyo.
Ci vollero settantacinque secondi, prima che le teste di Nagisa e Rei spuntassero proprio al di là delle porte a vetri.
Ottantasette, prima che un grosso taxi svoltasse l’angolo e il suo cuore cominciasse a pulsare in modo irregolare, come se saltasse arrivando alla sua gola, per poi affondare giù, giù, giù nel suo stomaco.
Arrivò a contare centoventinove secondi, poi il taxi rallentò dall’altra parte della strada. Lo sportello destro si spalancò e Makoto ne uscì scompigliato e affannato, come se non fosse stato seduto sul sedile di un auto ma avesse corso fin lì. Le sue labbra si strinsero per il freddo, poi quasi immediatamente si spalancarono in un sorriso allegro e incredulo.
Haruka sollevò le dita, sfiorandosi il petto. Sentiva un tonfo proprio sotto il suo tocco.
Makoto si allontanò dall’auto. Agitò un braccio nell’aria salutandolo, mentre si affrettava per attraversare la strada. Haruka lasciò che la sua mano si staccasse dal petto per ricambiare il saluto.
Il viso di Makoto compariva e scompariva alla sua vista ad intermittenza, mentre automobili, autobus e taxi sfrecciavano su e giù per la strada larga e trafficata.
Makoto gli era mancato, non avrebbe mai potuto dire il contrario, ma non avrebbe neppure saputo come spiegarlo.
Colse un luccichio nei suoi occhi. Adesso riusciva a vederli bene, erano vicini, erano a pochi passi.
Anche Makoto aveva sentito la sua mancanza.

-

Un’altra bolla d’aria si libera dalla bocca di Haruka. Nelle orecchie sente solo l’eco, forte e distinto, del suo stesso battito.
L’acqua attorno a lui adesso è statica. Immobile.

 -

Haruka avvertì il calore dell’espressione di Makoto prima ancora che affiorasse sul suo viso. Sentì le labbra stirarsi con un po’ di resistenza in un sorriso.
Schiuse la bocca e…
«MAKOTO, ATTENTO!».
La voce di Nagisa si cristallizzò e rimase come sospesa nell’aria gelida. Al di sopra dello stridio di freni, del tonfo sordo di un impatto violento, al di sopra delle urla. 
Vide una donna portare una mano alla bocca e l’altra sugli occhi di un bimbo al suo fianco. Vide un auto ferma trasversalmente al centro della strada, il traffico improvvisamente addensato dinnanzi alla stazione.

Vide un corpo. Immobile.

-

Haruka guarda verso l’alto. E’ appena al di sotto della superficie dell’acqua, solo qualche centimetro. Dal basso riesce a guardare il soffitto, il lampadario, i lembi della tenda azzurra che si spostano al soffio leggero della brezza.
Torna a concentrarsi sui bagliori verdi in fondo alla sua vasca e finalmente riesce e vederli chiaramente- sono gli occhi di Makoto. Dolci, pieni di luce. Pieni di vita.
Il riflesso del sole balugina sul bordo della vasca, Haruka batte le palpebre per non farsi accecare e quegli occhi verdi sono sempre lì, sul fondo.
Ma, adesso, sono irrimediabilmente vuoti.

«Mako-chan! MAKO-CHAN, RISPONDI» singhiozzò Nagisa, inginocchiato sull’asfalto.
Rei lo strinse per le spalle con foga «Nagisa, per favore…lascia… lascialo».

Tutt’intorno a loro Haruka notò una macchia scura e viscosa che sporcava la strada e i capelli sempre così chiari di Makoto.
“Sembra fango. È fango”, pensò Haruka, ma sapeva che era una sciocchezza.
Si chinò anche lui sull’asfalto, accanto alla spalla di Makoto. Allungò la mano sino a sfiorargli uno zigomo livido e ferito. Procedette con la punta delle dita fino alla sua bocca.
Makoto era freddo.
Makoto era statico.
Makoto era immobile.

-

È una bella giornata, il vento s’è placato e il sole è quasi caldo. Le nuvole al di là della finestra sono sporadiche e inoffensive, ma Haruka non le guarda, perché c’è qualcosa che lo avviluppa, lo trattiene. Perché sul fondo della vasca balugina il ricordo –l’ultimo- degli occhi di Makoto.
Una voce riaffiora nella sua testa, leggera e impalpabile come in sogno. 
Aspettami, non sono distante


Haruka è appena al di sotto della superficie dell’acqua, solo qualche centimetro, eppure si sente già così lontano.

   
 
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