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Autore: sugar92    24/09/2008    0 recensioni
E' giunto il giorno degli esami di ammissione all'Accademia Musicale dell'Ordine Oscuro, che raccoglie talenti da tutto il mondo per formare l'Orchestra degli Esorcisti, la più grande orchestra di tutti i tempi.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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8.11 … 8.12 … 8.13 … 8.14 … 8.1 tic.

Premette il pulsante della sveglia esattamente un istante prima che essa iniziasse a emettere quell’assordante suono, stile sirena dell’ambulanza, giusto per mettere di buon umore chi si doveva svegliare, suono che se non si faceva in tempo a fermare entro 10 secondi si trasmutava in uno stridio ai limiti dell’ultrasuono.
Non era il miglior modo di iniziare la mattina. Soprattutto il lunedì mattina. E soprattutto quel lunedì mattina.

La prima mattina è un momento troppo tranquillo per essere rovinato con quella tortura acustica, quasi l’unico momento tranquillo della giornata, se si abita nella città nella città più affollata del mondo.

Si girò nel letto, alla faraonica, gli occhi ancora chiusi, facendo emergere le pallide braccia dal futon per scrollarsi il sonno dagli occhi, dalla fronte liscia, dalle guance pulite, standosene lì per qualche minuto, come suo solito, a completare il risveglio mentalmente, senza sforzarsi di saltare fuori da quel caldo riparo con troppa, inutile, foga.
Odiava fare le cose di corsa.
Gli tornò in mente il sogno che aveva fatto quella notte.

Era in una stanza completamente bianca, dal soffitto alto, al pavimento ricoperto da piastrelle in marmo bianco, dalle pareti ricoperte per metà della loro notevole altezza di specchi, ai mobili  finemente intagliati, tutto rigorosamente in stile barocco-gotico, come il resto della villa.
Questo lo sapeva bene perché si trovava in quella che una volta era la sua stanza, nella sua prima casa, in Inghilterra.

Lui stava al centro della sua camera, seduto al suo pianoforte, un verticale vecchissimo, appartenuto all’inizio al suo defunto zio e poi passato in eredità a lui. Nonostante la vecchiaia il legno era completamente bianco, senza nessuna macchia o imperfezione, mentre i tasti erano l’opposto di quelli normali, quelli dei suoni puri erano neri come la pece, quelli dei suoni impuri erano bianchi come la neve, anche se non candidi. Amava quella tastiera, per lui rappresentava tutta la sua vita, se non l’unico ricordo che aveva della sua famiglia.

Va bene, era venuto il momento di alzarsi o non avrebbe mangiato la sua solita superabbondante colazione come si doveva!

Si alzò e subito si diresse alla finestra per spalancare le imposte, venendo inondato dai deboli e timidi raggi del sole d’inizio Settembre.

-wow! Raro vedere il sole in questo periodo. E’ un buon segno!-

Si girò verso l’interno della sua camera, verso il suo piano bianco.


In quel sogno c’era anche lui, e ciò cambiava tutto. Non era più un sogno, era un autentico incubo quella che aveva fatto.
Nel riflesso della parete accanto, era seduto parallelamente a lui, a un piano dai colori completamente opposti all’originale. Ma a quello c’era abituato.

La figura nel riflesso indossava un lungo e grosso cappotto chiaro, pieno di sporco di ogni tipo e toppe di ogni sorta, le gambe invisibili se non inesistenti, le mani ossute e scure, coperte anch’esse da sporcizia, ferite e sangue rappreso, i capelli ispidi e unti, neri e lunghi, raccolti in una lunga coda con un fiocco rosso, il volto avvolto nell’oscurità.

Suonava.

Suonava e suonava, mentre lui era immobile.

Canzoni che non riusciva a sentire, una dietro l’altra, alcune più veloci, altre più lente, lo capiva dal movimento delle mani che non sembravano neanche toccare i tasti, (che nonostante tutto quel sudiciume erano assolutamente candidi), ma scivolavano, accarezzando impercettibilmente la tastiera, ma nessun suono usciva dalla cassa di risonanza.

Poi, improvvisamente, smise di suonare, accortosi a quel punto della presenza dell’”altro” nella stanza dal riflesso nello specchio. Seduto dall’”altro lato”, presso l’”altro pianoforte”. Si voltò di scatto.

Quel movimento brusco lo fece rabbrividire, poteva sentire quella brutta sensazione anche in sogno, come sempre.

Quell’uomo non aveva volto, o almeno c’era stato ma era nascosto da una maschera di ustioni, ferite, cicatrici, ematomi, in cui i tondi occhi bianchi risaltavano come stelle nel cielo notturno d’inverno, ed erano completamente vuoti, privi di qualunque emozione, di qualunque cosa.

Il 14esimo appena lo vide specchiarsi nel vuoto dei suoi occhi, sorrise.


-Allen…-





Allen si strizzò di nuovo gli occhi, sbattendoli più volte.

“basta pensarci. Non oggi, è il giorno più importante della mia vita, non devo assolutamente pensarci!”

Rincuoratosi di nuova determinazione, andò alla sua scrivania lì accanto, sulla quale regnava il da lui definito “disordine creativo”. Spartiti scritti da lui ricoprivano un po’ tutto, i libri di solfeggio, i brani classici per pianoforte e clavicembalo, quelli moderni per tastiera, quelli religiosi per organo, il romanzo che stava leggendo e un paio di foto incorniciate.

Prese la più grande. Un ragazzo di 15 anni, magro, dalla pelle chiara e i capelli castani, teneva dolcemente in braccio un cucciolo di pastore tedesco; accanto stava suo padre, un uomo sui 35 anni, anch’egli con la stessa fisionomia del figlio, i capelli neri, corti dietro la nuca, un paio di sottili baffi a confermargli un tocco aristocratico, e la mano appoggiata affettuosamente alla spalla dell’adolescente.

Entrambi vestiti allo stesso modo, in abiti inglesi retrò, sorridevano raggianti, visibilmente felici di essere uno accanto all’altro davanti alla porta della villa di famiglia per quella foto ricordo. L’ultima che avrebbero più fatto insieme.
-eccomi qui, Mana. Sulla linea di partenza. Oggi inizierò a camminare come mi hai detto tu, fino al giorno in cui avrò la forza di vivere.-
  
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