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Autore: _brancamenta    04/09/2014    3 recensioni
| Partecipante al Contest With flowers and words |
Olivier è un uomo che ama l'idea dell'amore e che recita con dedizione, confondendo realtà e finzione.
È un giovane ragazzo che si innamora di uno sconosciuto senza volto, né nome; si innamora di Edmond, un anonimo spettatore che esterna il suo interesse a parole e camelie rosse, e che gli dedica il suo cuore avvolto nel mistero, svelandosi soltanto alla fine.
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-DAL TESTO-
Olivier non disse nulla. Attendeva quel momento dall’attimo stesso in cui i suoi occhi chiari avevano incrociato quelli scuri di Edmond. Lo guardò avvicinarsi, a poco a poco, invadendo il suo campo visivo e poi serrò le palpebre, lasciò che le loro labbra si scontrassero con delicatezza e senza alcuna pretesa.
Fu uno strusciarsi di due piume, uno sfiorarsi leggero tra petali di camelia rossa. Fu qualcosa di incredibilmente intenso, ma totalmente casto, un condividere lo stesso respiro. Le loro labbra si incastrarono l’una sull’altra, prima di farlo ancora, e un’altra volta, per poi cambiare angolazione e incrociarsi una quarta volta prima di convincersi che era la cosa più bella e giusta che potessero fare.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Dedicata agli amanti.

 

 

 

Splendeur

 




 

 

Non si vede nulla all’esterno
di questo fuoco che mi brucia il cuore?

(Victor Hugo)

 

 

La-Roche-sur-Yon, Francia. Gennaio 1851

Erano anni rosei, epoca di innovazioni e rivoluzioni. Era il 1851, un periodo che intercorreva tra Notre-Dame de Paris e Les Misérables, opere destinate a durare nel tempo e ad essere studiate ripetutamente come una eco chiara e suadente. Era l’era del café-concert, del rossetto “Terra di Parigi” per le nobili d’alto rango e della sensualità controllata, repressa, ma ugualmente praticata celatamente fuori e dentro le mura domestiche.

Era un mondo moralista, con valori falsi fatti di parole lasciate al vento.

Si poteva odorare il profumo dei fiori, però, che sembrava rendere tutto più pulito e dolce, oltre che più colorato. Il grigiore di Parigi e delle altre città sembrava dissiparsi quando giungeva la primavera, con i suoi sgargianti gialli e blu che decoravano i giardini. Ma quando giungeva il periodo delle camelie rosse, una fiamma sempre accesa e ardente nei cuori degli amanti e degli amati sembrava scoppiettare con prepotenza. Chi camminava con disinvoltura lungo i viali acciottolati – un uomo con un bastone da passeggio in mano, una donna con un ventaglio – spesso percorreva la solita strada nel chiarore del meriggio. Ogni due isolati c’era sempre un negozio di fiori che vendeva i migliori boccioli di rosa e le genziane più graziose. I signori solevano soffermarsi ad annusare le camelie che con il loro rossore acceso attiravano gli sguardi, poi sceglievano la più profumata e la compravano per appuntarla alla giacca dal taglio meticolosamente curato e liscio. Le signore, invece, osservavano soltanto quei fiori meravigliosi di cui avevano letto storie e racconti, ma compravano delle margherite per la propria tavola, sperando che il loro marito acquistasse un mazzo di sole camelie per dichiarare il loro amore e la loro dedizione.

Ma per Olivier Dupont era diverso. Lui guardava le camelie rosse, toccava i petali per sentirne la morbidezza sui polpastrelli bianchi come la sua pelle e non le comprava mai; come una dama innamorata dell’amore passionale, lui osservava quei fiori con un sorriso sulle labbra piene, nella speranza che un giorno un uomo bello e avvenente comprasse per lui un mazzo di quelle meraviglie per dichiararsi suo.

 

 

Olivier era un ragazzo ventitreenne senza più una famiglia. Era scappato di casa quando aveva solo quindici anni, figlio di un padre egoista e una madre cortigiana. Aveva trovato la sua fortuna unendosi alla compagnia di un certo Dominic Blanc. Da allora recitava in un teatro di seconda mano in uno dei quartieri di La-Roche-sur-Yon. Era un luogo conosciuto, e anche lui – che vestiva i ruoli del protagonista nella maggior parte degli spettacoli – era famoso in alcune delle frazioni di quella città che non contava più di cinquantamila abitanti.

Nonostante in quel periodo l’omosessualità fosse disconosciuta, assolutamente proibita e nota come sodomia o pederastia – ma non totalmente vietata se accuratamente celata agli sguardi indiscreti – lui indossava una linea leggera di rossetto e annusava ad occhi serrati le camelie quando passeggiava nel vialetto acciottolato a un isolato dal teatro. Camminava, si fermava dal fioraio e si soffermava a osservare con i suoi occhi celesti le camelie con il loro sgargiante colore, prima di comprare le genziane, e magari anche qualche margherita.

Non appuntava mai una camelia rossa al taschino, preferiva di gran lunga un fazzoletto bianco e una malvarosa, un fiore ambizioso tanto quanto lo era lui, che viveva tra spettacoli e case d’asta.

 

 

Quel giorno di gennaio faceva freddo. Il sole soffiava impertinente nelle mura del teatro.

Olivier aveva appena terminato il suo spettacolo, sorridendo al pubblico che lo applaudiva con il sorriso stampato sulle labbra. Indossava i soliti abiti di scena, e quella sera a fasciargli il busto c’era un gilè ocra e dei pantaloni di tela ruvidi, mentre un cappello da corsaro copriva i suoi morbidi ricci castani. Quando il sipario in velluto si chiuse e gli attori sciamarono giù dal palco con un brusio fastidioso, Oliver se ne andò in silenzio e in solitudine, sentendosi solo in quello spazio quasi totalmente suo per qualche ora o poco più la sera. Recitava spesso e amava farlo solamente perché poteva fingersi qualcun altro; era un motivo sbagliato per fare l’attore, ma allo stesso tempo sembrava il più giusto e il più sensato. Era ambizioso e voleva essere il migliore, e lo era perché si immedesimava e rendeva il personaggio più vero di quanto lo era lui stesso.

Quando il personaggio gioiva, Oliver gioiva. Quando il personaggio soffriva, Oliver soffriva.

Aveva appena finito, quando si diresse in camerino. Lo fece con la solita naturalezza, a testa alta, il naso appuntito e importante rivolto verso gli angoli del soffitto; sembrava un uomo altezzoso, vanitoso e per nulla in grado di amare. Sembrava un signore altolocato malgradi l’età e i suoi sogni romantici. In realtà lui era solo un ragazzo di ventitrè anni con un desiderio d’amore bruciante e un bisogno invadente di sentire la passione scorrergli nelle vene.

Quella sera, quando entrò nella sua stanza con l’enorme specchio e gli abiti di scena, notò subito cosa c’era di diverso. Lo notò perché era l’unica cosa che colorava la monotonia di quel posto, dandogli una luce nuova.

Un mazzo di camelie rosso fuoco era riposto in un vaso di creta marrone. Olivier non aveva mai visto nulla di più bello e spettacolare; i suoi occhi parvero vibrare nelle orbite alla vista di quel fuoco sorretto da dieci gambi verdi come la macchia mediterranea. Il suo cuore prese a battere forte, si avvicinò al suo tavolo per il trucco e si sedette sulla sedia, prendendo il vaso con entrambe le mani e avvicinandolo a sé. Toccò i petali di quei fiori e notò con estremo piacere erano morbidi. Si avvicinò ad annusarli e li trovò profumati, buoni, dolci. Vide un foglietto bianco tra i steli verdi e le foglie meravigliose. Lo prese in mano e lo annusò, sentendo una fragranza artificiosa, ma buona e pungente, certamente appartenuta ad un uomo.

Aprì la busta e vide il bigliettino rettangolare. La calligrafia era leggibile, nera scritta con penna fina in un corsivo grazioso, ma tutt’altro che femminile e tondeggiante; era una calligrafia stretta, accurata, e ogni “d”, “b” e “t” sembravano fili d’erba nera inclinati dal vento.

“A te questi fiori rossi nati dalle fiamme, per tue labbra piene di baci mai dati. Sorridi al tuo pubblico e sorriderai a me e ti amerò più di quanto ti ho amato oggi”

Il tuo ammiratore segreto

Il suo cuore cacciò un urlo.

Ripose il bigliettino trai steli dei fiori e ne accarezzò un’ultima volta i petali, prima di alzarsi. Li guardava in quel vaso mentre si svestiva e rivestiva dei suoi veri panni. Erano le camelie più rosse che avesse mai visto, e sembravano un fuoco scoppiettante, proprio come le fiamme da cui l’autore del biglietto – e del regalo – aveva scritto che erano nate. Erano morbidi petali, aggraziati e delicati. Olivier non aveva mai annusato camelie più inebrianti, e sentiva di essersi innamorato di un volto che non conosceva.

Oliver sentiva di essersi innamorato dell’ignoto.

 

 

Lo spettacolo successivo, fu teatro di una scena medesima a quella. Stesso camerino, un vaso diverso – di porcellana, con qualche disegno irregolare nero –, ma le solite camelie. Una frase nuova, sempre più pretenziosa.

“Petali delicati come la pelle dei tuoi fianchi, dolci e suadenti incantatori per i miei occhi scuri. Ti amerò ancor più domani, e pregusto il momento in cui vedrò di nuovo il cielo del tuo viso.”

Il tuo ammiratore segreto

Nuovamente Oliver si cambiò fissando quei fiori caldi che parevano infiammarlo. La camelia era il fiore dell’ammirazione e della passione ardente, e lui si sentiva acceso per le attenzioni, si sentiva lusingato, eccitato all’idea che una persona lo amasse in segreto con quella forza d’animo e quell’intensità che non aveva mai provato.

Quelle parole erano poesia dentro al suo corpo; facevano vibrare le corde dentro di lui, come un’arpa nelle mani di uno sconosciuto senza volto, ma che nelle sue fantasie era un meraviglioso uomo alto e mascherato che apprezzava il rossore delle sue guance e la goccia di rossetto “Terra di Parigi” sulla sua bocca piena.

 

 

Al terzo spettacolo, Oliver entrò nel camerino con la certezza di trovarvi un mazzo di camelie in un vaso diverso. Fu felice di non rimanere deluso quando varcata la soglia vide il solito mazzo di dieci camelie rosse, di un colore ancor più vivace che pareva splendere e illuminare la stanza.

Un altro bigliettino, un’altra frase d’amore.

“Silenziosamente, piedi e gambe si muovono sul legno duro del pavimento di un teatro. Quale corpo può essere così aggraziato, amor mio, se non il tuo? Ti sogno di notte e di giorno, con le caviglie nude e i polsi scoperti per me.”

Il tuo ammiratore segreto

Oliver sorrise, il cuore stretto in una morsa poderosa e gli occhi umidi d’emozione. Si era lasciato conquistare con pochi fiori e frasi di una bellezza estasiante e l’unica cosa che in quel momento desiderava era sentirsi stringere al petto di qualcuno.

Accarezzò i suoi ricci castani, dopodichè tornò alla routine. Lasciò che il pastrano cadesse atterra insieme al suo berretto, mentre con gli occhi chiari fissava come al solito i steli lunghi e affusolati delle camelie infilate accuratamente in un vaso di terra cotta.

 

 

La sera della rappresentazione teatrale de “Il re si diverte”, Oliver corse in camerino prima del solito. Lo fece volutamente, nella speranza di poter vedere il volto dell’uomo che gli portava sempre i fiori in quei favolosi vasi che collezionava gelosamente e che riponeva con ordine nei ripiani di casa sua. Superò il gruppo di attori che come al solito si mossero in gruppo chiacchierando del più e del meno, un sorriso falso nel viso – più che altro per cortesia che per reale interesse.

Olivier pensò per un momento che forse, per la prima volta, la sua felicità e il suo sguardo sereno fosse il più sincero in quel luogo, dove tutti recitavano anche nella vita reale.

Quando aprì la porta della sua stanza, vide un signore di sessant’anni riporre accuratamente i fiori vicino allo specchio, nello stesso identico posto – tra la lastra incolore e la cipria. Per un momento Olivier rimase sconcertato. Fissò l’uomo che si rimetteva con la schiena dritta e chinava il capo coperto di capelli candidi, qualche macchiolina violacea sul cuoio capelluto a mostrare il suo avanzamento d’età.

Con voce tremante e insicura, il castano chiese «È lei il mio ammiratore?» sistemandosi nervosamente la giacca che indossava.

«No, signor Dupont. Io sono soltanto Sébatien Morel, il messo dell’uomo che le regala le camelie ad ogni spettacolo.» disse semplicemente, un sorriso gentile a rendere vivace quel viso segnato dal tempo, reticolato da rughe che sembravano crepare quella pelle bianca.

Dentro di sé, Oliver scoppiava di gioia. «Signor Morel, la prego. Potrò mai incontrarlo?»

Sébastien parve pensarci, prima di annuire, avvicinandosi passo dopo passo alla porta. «Informerò il signor Galliard e domani, quando porterò le camelie, mi preoccuperò di farle avere un’ora e un luogo in cui potrete incontrarvi.»

 

 

Il pomeriggio seguente, Olivier fece esattamente tutto come ogni giorno.

Prima di uscire di casa, si sistemò la giacca sopra a una camicia di flanella e lisciò accuratamente la passamaneria vicino ai bottoni. Si passò una mano tra i capelli ricci davanti allo specchio e guardò il suo riflesso imitare i movimenti del suo corpo mentre prendeva il rossetto e con la punta del dito si sporcava di “Terra di Parigi”, prima di passare il polpastrello sulle labbra.

Quando varcò la soglia, fece esattamente la stessa strada con il suo solito passo cadenzato e lento, i dorsi dietro la schiena e la punta del naso rivolta verso il cielo. Erano le tre del pomeriggio e passò davanti al fioraio per annusare le camelie, sorridendo a se stesso per gli avvenimenti di quella settimana. La consapevolezza che avrebbe visto l’uomo che lo stava silenziosamente amando tra le file di poltrone del pubblico gli faceva sentire le farfalle nello stomaco. Era pronto a sentire la pelle di un altro uomo tra le dita, si sentiva le braccia pronte a stringere un corpo che non fosse il suo.

Era pronto ad amare come non lo era mai stato prima di allora.

Perciò, annusò un’ultima volta il profumo dei fiori per poi lasciare le camelie nel loro vaso e prendere una margherita e un crisantemo rosso da appuntare sulla giacca. Scelse un crisantemo  - invece della malvarosa – perché lui quel giorno era pronto a donare il suo amore. Era pronto a farlo per davvero.

Riprese il suo cammino guardandosi i piedi di tanto in tanto prima di tornare a fissare il cielo, ignorando i passanti che lo fissavano e parlavano a bassa voce di lui, il giovane ventitreenne con un passato triste sulle spalle e una doppia vita, scapolo per un motivo ben preciso che nessuno si azzardava a dire ad alta voce.

Arrivato al teatro fece esattamente ciò che faceva ogni volta: si sedette sullo sgabello e guardò nuovamente il riflesso del suo volto scarno e asciutto. Aveva le guance rosee, un colorito naturale e sano, gli zigomi in evidenza, un sorriso bianco e sereno come non lo era mai stato fino a quel momento. Fu la brillantezza dei suoi occhi, però, a lasciarlo senza fiato. Possibile che l’amore sortisse quell’effetto? Possibile che le quella sensazione di stretta allo stomaco, di ansia e impazienza, gli regalasse un viso così felice? Più Olivier si guardava, più stentava a riconoscersi. Non si era mai sentito così bene e così se stesso come in quel momento. Si fissava e nuovamente si sentì preparato a quel momento.

Vestendosi con la solita accuratezza, continuava a pensare che era giunto quel giorno voluto da Dio, dove lui avrebbe amato e sarebbe stato amato. Mentre apriva la porta, immaginava un uomo sconosciuto aprirla per lui. Quando salì sul palco, guardò la folla di persone davanti a lui e sorrise con dolcezza.

Il suo ammiratore era lì per vederlo, e lui rivolse al pubblico il suo sguardo migliore.

 

 

A fine spettacolo, corse verso il suo camerino e come il giorno precedente incontrò Sébastien. Stava accuratamente mettendo il vaso tra la cipria e lo specchio, con gli occhi chiusi per sentire bene il profumo delle camelie che quel giorno non erano più dieci, ma venti. Il vaso era ancora più grande e faticava quasi a contenerle tutte.

Olivier rivolse ai fiori uno sguardo fugace prima di chiedere «Signor Morel, la prego, mi dica che ha accettato.»

Sentiva l’agitazione crescere sin dalle viscere. Era scosso dal cuore che batteva come un pazzo nella sua cassa toracica, e i suoi occhi erano inumiditi dalle lacrime d’emozione che quando si condensavano sulle sue ciglia inferiori lo annebbiavano. Era in preda a un impeto di sentimenti che sembravano essersi ammassati infondo alla sua gola. Era riuscito a parlare, ma la sua voce tremava e lasciava che trasparissero le sue mille sensazioni incomprensibili e diverse.

Perché era effettivamente incomprensibile e irrazionale innamorarsi di un uomo che non conosceva. Ma era forse perché era un uomo che confessava il suo desiderio apertamente a spingerlo a comportarsi e a sentire tutto quell’amore irrazionale. Un amore che non pretendeva di essere compreso, perché nato dalla spontaneità di quei gesti che giorno dopo giorno lo avevano fatto sentire apprezzato e ammirato. Quelle camelie e quelle frasi non avevano fatto altro che parlare da sole; non c’era stato bisogno di un volto, era bastata l’ombra di esso – quella interiore – che traspariva da quei gesti fondamentalmente puri e semplici.

Quando Morel non parlò, quasi si sentì affranto.

Poi vide il sorriso sulle labbra dell’uomo e guardò le sue dita prendere il bigliettino che giaceva come al solito tra gli steli delle camelie e glielo porse senza dire nulla, andandosene proprio com’era venuto: silenziosamente.

Olivier aprì la busta con il cuore a mille. Vi trovò un biglietto piegato a metà, un messaggio più lungo dei precedenti.

“Nel bar qui di fronte ci guarderemo negli occhi. A casa mia assaporerò le tue labbra. Ti aspetto da troppo tempo, ma sono disposto ad attenderti ancora. Attenderò a finchè il tuo cuore capisca che ciò che cerchi è il mio amore e nient’altro.
Olivier, amor mio, mia gioia, dolcezza per i miei occhi stanchi. Ho bisogno di te e dei tuoi occhi; ho bisogno di vederti mentre mi guardi.
Indosso un cappello a cilindro nero, lo riporrò in un lato vuoto del tavolo in tua attesa. Lo indosso in memoria delle tue più meravigliose interpretazioni. Mi riconoscerai da quello. Giungi alle mie spalle e toccami la spalla, così saprò che sei tu.

Non vedo l’ora di sentirti dire il mio nome con un bicchiere divino in mano e la luce della luna a illuminare il tuo bel viso."

Il tuo ammiratore segreto, Edmond Galliard

Nuovamente, come aveva fatto la prima volta, Olivier portò il bigliettino alle labbra e annusò il profumo di uomo impregnato su quel rettangolo di carta bianca. Avrebbe potuto riconoscere quel profumo ovunque e avrebbe potuto riconoscere il suo ammiratore anche se fosse stato cieco; e nonostante la fragranza delle camelie sul cartoncino, era perfettamente distinguibile l’odore di uomo e d’inchiostro. Avrebbe potuto capire chi fosse il suo amato soltanto avvicinandosi al suo corpo. Ma i suoi occhi lo avrebbero visto, e fu quella consapevolezza a spingerlo a muovere i passi verso il guardaroba e a spogliarsi dei suoi abiti da attore per indossare quelli di Olivier, che apparentemente sembravano non andargli più stretti.

Uscì dal teatro in pochi minuti. Non era mai stato tanto veloce a spogliarsi e prepararsi, ma era pronto a vedere l’uomo senza volto, che però finalmente aveva un nome meraviglioso che ispirava a lui poesia e passione.

Edmond lo stava aspettando nel caffè di fronte.

Attraversò la strada acciottolata e guardò la facciata color panna, con quelle finestre in legno scuro, contornate d’oro. Sbirciò attraverso il vetro e vide un uomo vestito di nero tra le altre coppie di uomini e donne che sedevano nei tavoli; era l’unico solo, senza compagnia, ed era chino sul tavolo, probabilmente per leggere. Poi lo notò: il cappello a cilindro alla sua sinistra. Perciò prese coraggio e si avvicinò alla porta, sospirando un’ultima volta prima di aprirla.

Il caldo di quella stanza intaccò la sua pelle. Era gennaio, fuori era freddo, ma lì dentro sembrava esserci un clima estivo per il fuoco che scoppiettava nel camino.

Mosse qualche passo, facendo scricchiolare il legno sotto ai suoi piedi. C’era un brusio forte per le chiacchiere degli altri clienti, perciò Edmond non lo sentì quando Oliver gli fu vicino e gli posò una mano sulla spalla coperta da un pastrano nero. Il ragazzo notò un piccolo libriccino sul ripiano del tavolo.

Quando Edmond voltò il capo verso il riccio, quest’ultimo parve sentire le ultime difese crollare. La profondità delle iridi del suo ammiratore era qualcosa che Olivier non avrebbe potuto descrivere con altra parola se non “meravigliose”; c’era qualcosa in quello sguardo che riusciva a trasmettere una sensazione di elettricità quasi disarmante, tanto da farlo sentire spogliato delle sue poche sicurezze, ma riempito da un desiderio bruciante di poter vivere con quegli occhi a osservarlo per l’eternità. Edmond non poteva avere più di trentasette anni, il suo viso era morbido e paffuto, con solo qualche piccola ruga a segnargli le guance e gli angoli degli occhi, mentre le labbra erano fine, ma pronunciate e delineate come boccioli di rosa, a forma di cuore. Sotto al naso piccolo e alla francese c’era un ciocca ispida di baffi biondo ramati, proprio come i capelli lisci e pettinati accuratamente con una riga a destra sul suo capo.

Non appena vide Olivier, Edmond si alzò in piedi come un cavaliere e gli prese una mano, senza però che la gente potesse vederli in atteggiamenti così intimi. La strinse con calore e tenerezza, facendo si che le loro pelli si sfiorassero teneramente. Fu il loro primo contatto fisico e ne sentirono l’intensità. «Felice di poterla vedere, signor Dupont.» disse, ma sentendosi estremamente a disagio. Perciò si avvicinò un altro po’ al viso di quel ragazzo giovane e di appena ventitrè anni, e sussurrò «Felice di vederti, Olivier.»

Il riccio non riusciva a sorridere. Era incantato dall’espressione felice e serena dell’uomo che aveva davanti, un sorriso che si rivelò essere un gioiello in quel viso, e che svelò una fossetta nella guancia sinistra dell’uomo dove avrebbe voluto lasciarci un bacio leggero. «Edmond.» gemette, e quando le loro mani sciolsero quella presa, si mosse verso il posto vicino al maggiore senza mai distogliere lo sguardo dalle sue splendide e suggestive iridi scure.

«Sei meraviglioso come sempre, Olivier.» confessò Edmond, con la sua solita nonchalance. Dall’interno del suo pastrano nero prese un fiore e glielo porse. «Una camelia rossa per la tua giacca, al posto di quel crisantemo.»

Seduto al suo posto, Olivier guardò il crisantemo appassito e si morse il labbro cremisi. Lo tolse e lo sostituì con la camelia rossa e per la prima volta si sentiva bruciare il petto con la consapevolezza di quel regalo e quel fiore che mai aveva messo lì, in quel posticino in cui abitudinariamente appuntava malvarose o margherite.

Calò un silenzio totale.

Olivier, si guardava le dita, gli occhi bassi e il cuore a farsi sentire nel suo petto con insistenza. Aveva visto il bicchiere davanti a lui, ma lo aveva ignorato, temendo che non fosse per lui. Si dedicò alle pareti della stanza. C’erano quadri e riproduzioni d’opere d’arte, statuette e foto in bianco e nero. Quando però Edmond parlò, con il suo tono lento e armonico, suadente, elegante, Oliver smise di prestare attenzione alle pareti e tornò su quel viso gentile. Era bellissimo. Era terribilmente bello. «Mi sono permesso di ordinarti del vino bianco. Sono certo che in questo momento tu sia stanco, quindi ho pensato che questo potesse essere l’ideale.» disse, quasi per spiegargli perché avesse deciso di offrirgli un po’ di vino e non un normale caffè. Quando non ottenne nessuna risposta, aggiunse prontamente «Immagino che in questo momento preferiresti essere a casa invece di rimanere qui con me.»

«No, Edmond. Sono felice di essere qui.» rispose prontamente, avvolgendo con le dita lunghe il bicchiere di vetro e portandolo alle labbra, divenute secche dopo la pausa e il silenzio. Malvasia, pensò distrattamente, prima di abbozzare un sorriso flebile, ma sincero. «È solo timidezza la mia, e stupore perché non mi aspettavo un uomo così bello.»

«Mi lusinghi, Olivier.»

Chiacchierarono con disinvoltura, imparando qualcosa l’uno dell’altro. Edmond era un uomo senza moglie e figli, viveva in periferia e adorava Parigi come un’amante dispettoso, ma sincero. Lavorava per il giornale locale, ma era un bravo pubblicitario ed era un ex socio di una rivista che aveva fatto scalpore dieci anni prima per articoli contro l’antisemitismo e la sodomia. Si era dichiarato un poeta a tempo perso e gli aveva raccontato il suo primo giorno a teatro, quando vide per la prima volta Olivier recitare “Il re si diverte”. «Avevi addosso un adorabile berretto. Eri perfetto. Eri delizioso.» aveva detto, mentre il giovane sorrideva imbarazzato.

Olivier aveva narrato di sé tutto quello che a Edmond sarebbe potuto interessare. Il suo passato, il suo presente, il suo futuro, i suoi sogni, le speranze, le sfortune. Non aveva intenzione di lasciar spazio ai segreti quella notte, e tantomeno all’esitazione. Era amore puro il loro, sbocciato fuori dall’ipocrisia e dalla fisicità, cresciuto in quel mistero e concretizzato in quel momento importante per entrambi.

Più lo guardava, più Olivier si rendeva conto quanto il corpo di Edmond fosse fluido e abitudinario. Aveva notato che arricciava spesso il naso quando si annoiava, che probabilmente era miope perché stringeva gli occhi quando guardava fuori dalla finestra o verso il bancone del bar. In più aveva il vizio di toccarsi spesso la nuca o i capelli quando temeva di dire qualcosa di sbagliato o si vergognava. Ogni tanto, quando pensava invece, arricciava le labbra prima di distendere il un sorriso bianco, e in fine abbassava lo sguardo scuotendo il capo. Più Olivier beveva, più quegli aspetti di Edmond gli sembravano meravigliosamente delicati e piacevoli da vedere; era tutto amplificato, compreso quell’amore irrazionale era notevolmente amplificato.

In un momento di silenzio – tutt’altro che imbarazzato – Edmond sussurrò, avvicinando la sedia al tavolo, «Sei radioso stasera. Più che sul palco.»

«E tu sei più di quanto io mi sarei mai aspettato.» rispose prontamente Olivier, senza più vergogna. Il vino e l’atmosfera molto più confidenziale lo aveva fatto divenire intraprendente, più sicuro di sé e finalmente consapevole di quanto fosse fortunato ad essere lì, con un uomo maturo e deliziosamente romantico, pronto ad aprirsi a lui.

Edmond sorrise, sorpreso. Avrebbe voluto allungare la mano e accarezzare quella del più giovane che giaceva poco lontana dalla sua, sopra alla tavola di legno. «Se non fossimo qui, Olivier, probabilmente mi sarei già alzato da questa sedia per baciarti le labbra.» ammise, facendo cadere lo sguardo scuro sulla bocca del castano. «Sono così rosse, Olivier. Così rosse. Come le camelie che ti ho regalato. Rosse con lo stesso ardore e la stessa ostinata passione.»

«E io mi sarei lasciato baciare.» disse con naturalezza Olivier. «Ti aspettato talmente a lungo qualcuno come te che non voglio più attendere oltre.»

E allora, con fluidità, Edmond si alzò dalla sedia e sistemò fugacemente il pastrano. Mosse un passo verso Olivier, che ancora sedeva al suo posto con un’espressione confusa sul viso. Lo guardò con intensità, prima di sussurrare «Sistemati il cappotto, amore mio. Fuori si gela.» resistendo all’impulso di toccare nuovamente quella pelle, di mettere una mano tra il collo e la spalla di Olivier.

Così fece. Il giovane si alzò a sua volta e sistemò accuratamente giacca e lisciando la passamaneria della camicia, prima di affiancare il suo uomo e giungere all’esterno di quel caffè. L’aria si era fatta avvizzita e c’era una strana tensione ad aleggiare attorno a loro.

E poi, Olivier capì cos’era.

Il bisogno di toccarsi. Il bisogno di sentirsi. Il bisogno di sfiorarsi. Il bisogno di baciarsi.

Era il bisogno, la necessità che con impudenza si faceva largo nelle loro pance, facendosi sentire nella bocca dello stomaco di entrambi. A Olivier prudevano le mani che affondavano nelle tasche della sua giacca, chiuse in due pugni stretti. Non poteva toccare Edmond nel bel mezzo della strada, la gente punisce coloro che si mostrano deboli e carnali nei confronti di persone con cui avere un rapporto è illecito. Non poteva baciare Edmond, o avrebbero giudicato entrambi sodomiti e sporchi.

Camminando in un viale che non conosceva bene, Olivier pensò a dove stavano andando. Cercò di memorizzare la strada, ricordando particolari come alberi dalle forme inquietanti, case con terrazzini e ringhiere in legno, o metallo. Cercò di ricordarsi qualche particolare del paesaggio. Poi giunse davanti a una casa e non ebbe bisogno di non ricordare più: gli sarebbe bastata quell’immagine.

Era una villa graziosa e accuratamente tinteggiata di bianco. Camminarono lungo una stradina, in un giardino curato e la cosa che lo fece ancor più stupire fu la presenza di una serra, distante da loro, dove era certo che Edmond coltivasse le sue genziane e le camelie.

Proseguirono, però, perché il bisogno di toccarsi ardeva nei loro corpi.

Edmond aprì la porta e lo fece accomodare. Il corridoio era ampio e di un colore caldo come il bordeaux e il marrone scuro. Era bello e accogliente, i quadri ai muri erano suggestivi, e c’era un enorme orologio, un pendolo di rame oscillava al centro di esso, sotto alle lancette e al disco con segnate le ore.

Non ebbe il tempo di vedere oltre, perché il maggiore si mise davanti a lui e lo guardò. Lo fece con una passione inconfessabile che gli faceva brillare gli occhi e che gli colorava gli zigomi di rosso. Era bello, ecco cosa pensava Olivier, mentre a poco a poco avvicinava una mano alla guancia dell’uomo, poco più alto di lui. Era bello, come non lo era nessun’altro. Ai suoi occhi, era bello come un sole in estate.

Le sue dita sfiorarono la guancia morbida di Edmond e la trovò vellutata nonostante le rughe. Era morbida e fredda, nonostante i pomelli cremisi nei suoi zigomi. Poi, con il pollice, decise di osare di più passando il polpastrello sulle labbra fine e rosee. Il cuore del più giovane batteva con tale prepotenza da fargli lacrimare gli occhi per l’emozione. Era così bello e surreale essere lì, vicino a lui, a toccarlo. Non aveva immaginato un uomo così bello nemmeno nei suoi sogni, e nei suoi sogni, soprattutto, non c’era mai quella densità di sensazioni che sembrava volerlo schiacciare al suolo. Era tutto intenso il doppio di quanto avrebbe mai potuto immaginare e quello lo rendeva piccolo e insignificante davanti alla meravigliosa concessione di Dio: la possibilità di amare ed essere amati, di provare quello e molto di più, con ingordigia e mai sazi di passione.

I palmi di Edmond si posarono sui fianchi di Olivier, modellandosi su di essi. La pelle sotto gli abiti divenne ruvida per la tensione e per i brividi che si diramarono su tutto il suo busto.

Quando parlò, la voce di Edmond era roca e calda. «Sto per baciarti, Olivier. E forse sarà la cosa più sbagliata di questo mondo, ma forse anche la più giusta.»

Olivier non disse nulla. Attendeva quel momento dall’attimo stesso in cui i suoi occhi chiari avevano incrociato quelli scuri di Edmond. Lo guardò avvicinarsi, a poco a poco, invadendo il suo campo visivo e poi serrò le palpebre, lasciò che le loro labbra si scontrassero con delicatezza e senza alcuna pretesa.

Fu uno strusciarsi di due piume, uno sfiorarsi leggero tra petali di camelia rossa. Fu qualcosa di incredibilmente intenso, ma totalmente casto, un condividere lo stesso respiro. Le loro labbra si incastrarono l’una sull’altra, prima di farlo ancora, e un’altra volta, per poi cambiare angolazione e incrociarsi una quarta volta prima di convincersi che era la cosa più bella e giusta che potessero fare. Le braccia di Olivier si intrecciarono dietro al collo del maggiore e questo convinse entrambi del passo successivo. Dischiusero le bocche nel medesimo momento, lasciando che le loro lingue si accarezzassero lascive e toccassero l’una i denti e i palato dell’altro, scoprendosi con curiosità e imparando cosa era piacevole e cosa no. Quando si dividevano – con uno schiocco sordo fastidioso per entrambi – subito dopo tornavano a baciarsi con la medesima intensità, amandosi con veritiera passione e desiderio.

Fu un accumulo di emozioni che fecero sentire il petto di Olivier più pesante, ma allo stesso tempo leggero. Era come se dentro di lui avvenisse un’esplosione ogni due secondi.

Fu quando il minore sentì una mano di Edmond aggirare la giacca e iniziare a sfilare la camicia dai pantaloni che il suo petto, però, decise di aumentare il ritmo. Il palmo del maggiore si posò sul costato di Olivier, che gemette sulle labbra di Edmond, stringendo una mano sui capelli della nuca. Un indice sfiorò le sue costole, per poi risalire sul suo petto e accarezzargli lo sterno con dolcezza. Fu una sensazione impagabile per Olivier, che non era mai stato toccato in quel modo. Nuovamente, il giovane gemette sentendo tre dita percorrere la sua pancia, fino all’ombelico e ai lacci dei suoi pantaloni.

Lì Edmond si fermò, per poi abbassarsi a prendere Olivier per le cosce. Lo aveva tra le braccia e il minore si stringeva a lui come se fosse l’unico a cui poteva affidare la sua vita.

E forse era vero. Forse era davvero l’unico per lui, nonostante fosse tutto precoce e avventato. Chi aveva, Oliver, in quel momento? Chi lo sosteneva ogni giorno? Chi lo amava e gli porgeva un fiore per farlo sentire apprezzato? Chi aveva, se non l’ammiratore delle camelie rosse, l’uomo che si era dichiarato innamorato di lui, e che gli stava donando tutto?

Perciò, aggrappato a quel corpo, si sentiva al sicuro. Sentiva come se darsi fosse l’unica cosa giusta da fare in quel momento. Baciava quella bocca che pareva una susina, la stessa che sapeva di fiori e di un piacere che avrebbe scoperto presto. Si lasciò distendere su un letto e svestire di quei pochi abiti che soleva indossare prima di uscire di casa. Come una nenia, Edmond gli sussurrava che lo amava. Lo faceva con il labbro inferiore tremulo e una manciata di lacrime incastrate nelle ciglia, indecise se scendere a rigargli le guance o rimanere lì, in bilico Olivier si lasciò osservare con gli occhi dell’amore da quell’uomo meraviglioso. Con lo sguardo parve chiedergli un permesso, mentre  giaceva inginocchiato tra le sue gambe magre.

Olivier, come segno di assenso, si alzò sui gomiti e gli bacio il collo. Lo fece con una dolcezza che procurò a Edmond brividi prepotenti alla base della schiena. Quest’ultimo si sentì libero di spogliarsi a sua volta, calando i calzoni e togliendo la camicia, stendendosi sul corpo giovane dell’uomo di cui era innamorato.

Fecero l’amore con gli ansiti a fare da dolce musica in quella stanza. «Ti amo.» sussurrava tra una spinta e l’altra Edmond, mentre si faceva largo nel corpo caldo di Olivier, che tra le lacrime e i gemiti rispondeva con un bacio. «Sei bellissimo. Ti amo.»

Nella pancia di Oliver le emozioni non si potevano contare nemmeno sulle dita di venti mani. Era come sentirsi trascinare in un burrone e cadere in una nuvola di piume. Ad un passo dall’edonè, strinse le dita sulla schiena del maggiore, prima di serrare le palpebre e lasciar cadere la testa sul materasso.

«Ti amo.» sussurrò nuovamente a Olivier, mentre questo si sentì avvolgere dal freddo di quella stanza. Sentiva dolore al basso ventre e alle gambe, ma il turbinio di sensazioni che ruotavano ancora nella bocca del suo stomaco sembravano attenuare l’intorpidimento. Stava bene e si sentiva felice, nonostante non muovesse un muscolo per spostarsi. Edmond si era spostato dal suo petto per potersi ripulire, ma Olivier rimase steso ed esposto per minuti interi, temendo di distruggere quella magia che si era creata fuori e dentro di lui.

Pianse una lacrima di gioia – ma forse anche un po’ amara – , che scese morbida lungo il suo zigomo. Ora cosa sarebbe successo? Edmond lo amava davvero?

L’unica cosa di cui era certo Olivier era che in quel momento era sicuro del suo, di amore. Era certo che essersi donato a quell’uomo fosse stata una scelta una decisione impulsiva e irragionevole, ma vera come non lo era mai stato nient’altro. Aveva sentito il calore, aveva percepito l’amore sincero e aveva provato dolore e passione, a un passo dal cadere e poi dal volare.

Fu quando il maggiore gli si fece nuovamente vicino, che Olivier decise di mettersi a sedere. Si lasciò guardare con quegli occhi scuri che parevano volerlo scrutare dentro, e poi Edmond sorrise, portando una mano sul viso del minore per poterlo accarezzare. «Dormi con me stanotte.» gli chiese, la voce suadente e delicata. «Voglio poterti stringere gelosamente a me, nessuno potrà portarti via.»

E Oliver assentì, perché lo voleva a sua volta.

Si infilò sotto alle coperte in quel letto a baldacchino, guardando Edmond camminare nella sua stanza e prendere una delle sue camelie riposte in un vaso vicino alla porta. Non le aveva notate, Oliver, se non in quello stesso momento. Erano rigogliose e fresche, di una bellezza sana, di un rosso sgargiante e scoppiettante come un fuoco appena acceso.

«Conosci il significato delle camelie, Olivier?» chiese, sedendosi sul bordo del materasso, osservando il fiore che sembrava una fiammella in un gambe verde acceso. «Spesso alla camelia è attribuito il significato di stima e ammirazione. Sarà per la sua meravigliosa forma, così complessa e aperta agli occhi di chiunque. Si mostra bellissima a tutti coloro che la guardano.» disse, guardando Olivier di sfuggita e sorridendogli appena. Era così bello quando parlava che il castano avrebbe potuto guardare quella susina muoversi per ore, senza mai perdere il suo desiderio di morderla. «Doni una camelia a un amico per dimostrargli la tua stima, la doni ad un amante per dichiarare la fiamma che ti brucia da dentro. La doni a te stesso per dimostrarti disponibile ad amare. Ma la camelia è molto di più, Olivier.» e quest’ultimo si sentì prendere una mano. Edmond vi mise la camelia e gli chiuse le dita in un pugno, così che Olivier stringesse quello stelo lungo e morbido. «La camelia rossa indica impegno, dedizione, una promessa di fedeltà e sacrificio. Ti regalo camelie ogni giorno perché tu capisca che io sono disposto a battermi per te e che ti amo come non ho mai amato nessuno. Sono disposto a tutto pur di sentirti mio, Olivier.»

E nel batticuore delle sue emozioni, nell’impeto di sensazioni che parvero assalirlo in quella confessione sincera, l’unica cosa che Olivier riuscì a dire fu «Eccomi, sono tuo.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note d’utore.

Ecco a voi quest’OS ambientata in un periodo storico. Non sono particolarmente soddisfatta del mio lavoro, ma non me ne vergogno neppure visto questo periodo in cui ho difficoltà a scrivere più del solito.

Spero la apprezzerete e che vi piacerà!

Gradirei avere qualche opinione riguardo a questa storia.

Un bacio, e se vi va seguitemi su twitter, sono @ila3b

A presto J Buona fortuna ai partecipanti al concorso!

  
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