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Autore: bunnyguida    25/09/2008    11 recensioni
Io sono qui,noi siamo qui. E tu?
Genere: Triste, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forse esiste un destino al quale non possiamo opporci, forse si tratta soltanto di tristi circostanze che si verificano nell'esistenza delle persone.
Il mio nome è Bunny, ho ventisei anni, la mia vita era felice. Non mi sono resa conto di quanto care fossero le cose che mi circondavano finchè non le ho perse per sempre.
Ero sposata, avevamo una bambina che si chiamava Chibiusa, lei era capace di riempire di gioia le nostre vite con un semplice sorriso, lei era la cosa più preziosa che avessi. Penso a lei ogni ora, ogni attimo, non si può immaginare il male che sento dentro, un male che toglie la voglia di vivere e ti uccide.
L'ho perduta in un giorno di tarda estate, mi tortura il pensiero di quel giorno, è morta.
Stavamo tornando dalle vacanze, pioveva forte e Marzio,mio marito, perse il controllo dell'auto precipitando in una scarpata ai bordi della statale do Osaka.
Persero la vita entrambi, io non ricordo cosa successe, non ricordo cosa provocò l'incidente, persi i sensi e a causa del trauma entrai in coma.
Credo di essermi svegliata un mese dopo, forse due, non ero in ospedale quando ripresi conoscenza, devono avermi ricoverata per alcune settimane e poi avermi portata a casa sperando che potessi riprendermi, mi sento confusa pensandoci. Era una mattina fredda di novembre, mi sono trovata nel mio letto e non capivo cosa mi fosse successo. Non c'erano persone con cui potessi parlare, chi mi assisteva doveva essere uscito in quel momento, vidi una sedia di fianco al letto con alcuni abiti appoggiati sopra e li indossai.
Avevo perso la memoria e non ricordavo cosa mi fosse capitato, non ricordavo l'incidente e pensavo che mio marito e mia figlia fossero ancora vivi.
Dalle finestre al piano di sopra filtrava una luce grigia e malinconica, la fitta nebbia avvolgeva la nostra casa, vivevamo in una bella casetta accogliente e disordinata, come lo eravamo noi tutti. Piena di disegni,foto e peluches di ogni forma e dimensione..
Credevo che mio marito fosse uscito per portare Chibiusa a scuola, ma non era così. Quando scesi le scale e raggiunsi l'ingresso trovai alcune corone di fiori appassiti appoggiate alle pareti, c'erano piccoli mazzi di fiori secchi sparsi ovunque sul pavimento. L'essenza dei fiori seccati riempiva l'aria di casa, ai miei occhi non sembrava possibile quello che vedevo. Vidi un foglio di carta sul pavimento, di fianco a delle rose ormai appassite, lo presi e lessi. Era una dedica di una mia amica alla memoria di mio marito e di mia figlia, erano morti, io non ricordavo come li avevo perduti, ma compresi di essere rimasta sola al mondo.
Presi a piangere cadendo a terra, ricordo il freddo del marmo e il dolore insopportabile che mi trafisse mentre ero riversa sul pavimento nella mia disperazione. Quel giorno, in quell'attimo, la mia vita finì, respiravo e sentivo il cuore battere nel mio petto ma io non vivevo più. Rimasi lì avvolta nel mio dolore, passarono ore prima di trovare la forza di alzarmi, i capelli disfatti mi cadevano sul viso e le lacrime avevano bagnato la mia vestaglia di seta. Ero scalza, vagavo per la casa senza sapere dove andare,la mente era completamente vuota e persa, la mia intera esistenza era svanita quella mattina di novembre.
Li avevano seppelliti a pochi metri dalla nostra casa, sotto un albero secolare e triste nei suoi colori autunnali, due lapidi di pietra scura, non avevo nemmeno il coraggio di guardarle. Piangevo seduta sulle scale, guardavo dalle finestre il fiume che scorreva lento e grigio sotto i miei occhi, i rumori della città erano lontani e deboli, quasi impercettibili. La memoria lentamente cominciò a riaffiorare nella mia mente. La nebbia fitta e silenziosa sembrava aver divorato il cielo, la luce malinconica del giorno traspariva timida tra le tende dando alla nostra casa un'atmosfera plumbea e triste, mi sentivo sola, non avevo mai sentito una solitudine così insopportabile e crudele dentro me. Il senso della mia vita non esisteva più, nessuno mai dovrebbe rimanere solo come sono rimasta io.
Chiusi le porte e serrai il cancello del cortile, in quei giorni non ero capace di pensare razionalmente, ero preda della solitudine e del ricordo della mia famiglia, non volevo vedere nessuno. A volte la sera mi sedevo sul vecchio divano nel soggiorno, fissavo il vuoto pensando a mio marito Marzio, a quando l'avevo conosciuto tantissimi anni fa...
Trascorsi notti intere seduta in silenzio alla luce tremula di una candela, nel freddo di quell'autunno grigio e triste. Quando eravamo ancora insieme non pensavo che mi sarebbe mancato così tanto, alcune cose di lui le avevo quasi dimenticate, mi ritornarono in mente tanti ricordi di noi, prima che ci sposassimo.
E' strano come si ritorni indietro con la memoria solo in situazioni di estremo dolore, quando ormai rimangono solo i ricordi a farci compagnia. C'erano tante cose che non gli avevo mai detto, forse mi illudevo di avere il tempo per farlo ma mi sbagliavo. La notte se chiudevo gli occhi avevo la sensazione di sentire il suo calore accanto, qualche volta riuscivo a sussurrare delle parole nel buio lasciando la mia anima libera di esprimere le sue emozioni. Mi mancava da morire.
In soggiorno avevamo un vecchio pianoforte a coda, Marzio aveva imparato a suonarlo in America,al college quando partì per un anno dopo aver vinto una borsa di studio...mi ricordo che stava insegnando a Chibiusa qualche melodia, passavano interi pomeriggi seduti a suonare, era bello vederli insieme.
Lui era bravissimo a suonare e, anche se aveva studiato medicina, non abbandonò mai la passione per la musica classica e continuò a coltivarla anche dopo il nostro matrimonio.
Suonava Ludovico Einaudi con un sentimento che difficilmente può essere descritto, era bravissimo. A volte nemmeno leggeva gli spartiti, aveva la musica nell'anima e semplicemente la lasciava scorrere tra le sue mani. Ricordo che quando eravamo fidanzati lui mi teneva sulle sue gambe facendomi suonare, ma io non ero brava come lui, mi stringeva forte e trascorrevamo dei momenti splendidi senza dire nulla, solo sfiorandoci. Seduti a quel pianoforte mi chiese di sposarlo, e qualche mese più tardi suonando il pianoforte accanto a lui dissi che aspettavo Chibiusa.
Nelle notti successive al mio risveglio fissavo il pianoforte immerso nell'ombra, era rimasto come lui l'aveva lasciato, c'era uno spartito aperto sulla tastiera con i suoi appunti scritti a matita. Prima che partissimo per le vacanze stava componendo una musica, era un notturno, ma non riuscì a finirlo. Ricordavo la melodia di quel brano, lui la suonava con una passione indescrivibile, non so quanto abbia desiderato sentirlo suonare ancora in quelle notti tristi. Riposi con cura lo spartito in un cassetto dell'armadio a fianco al pianoforte, chiusi il cassetto a chiave. Mi faceva troppo male vedere lo spartito aperto sul pianoforte, mi ricordava Marzio.
I giorni si susseguivano silenziosi e grigi, la pioggia gelida cadeva incessante, le nuvole basse celavano la luce solare dando al cielo riflessi tristi e autunnali.
Non saprei dire quanto tempo fosse passato dal mio risveglio dal coma, avevo perso la percezione del tempo, dormivo poco sdraiandomi sul divano in soggiorno o su qualche poltrona della biblioteca, mi svegliavo avvolta dalla luce malinconica di quei giorni. La casa era gelida, non mi importava, le foglie avevano coperto il vialetto del cortile ma non avevo voglia di spazzarle via. C'erano ragnatele e polvere in ogni angolo della casa, io non avevo la minima intenzione di pulire, stavo seduta in silenzio a guardare fuori la pioggia e il fiume che scorreva lentamente.
Avevo addosso da giorni un vecchio maglione di lana, me l'aveva regalato Marzio il Natale di due anni prima, non volevo toglierlo. Quando passavo davanti a uno specchio mi vedevo riflessa con un viso invecchiato, dai lineamenti marcati e disfatti, i miei occhi erano lucidi di lacrime, credo di non aver mai pianto tanto in vita mia. Mi ricordo che quando andavo all'università avevo paura di essere brutta e cercavo di non piangere mai. Parlando con le mie amiche sentivo discorsi sugli uomini che mi scoraggiavano, credevo che non avrei mai trovato nessuno disposto ad amarmi per quella che ero.
Ogni giorno mi guardavo allo specchio e non riuscivo mai a vedermi bella, facevo le diete e mi vestivo alla moda, salvo poi attirare vecchi bavosi.
Ho perso tanti di quei giorni in sciocchezze senza significato. Uscivo con le amiche e andavamo in discoteca, ci atteggiavamo come delle attrici per attirare i ragazzi.
Eravamo così stupide a quei tempi, così superficiali, dopo la nascita di Chibiusa ho visto tante cose sotto prospettive differenti, la ragazza che ero stata non mi somigliava più.
Seduta accanto al nostro pianoforte, in quelle mattine grigie di novembre mi tornava in mente Marzio, quando l'avevo appena conosciuto. Lui non era il tipo di ragazzo che mi piaceva in quel periodo, non si dava atteggiamenti, era serio,distaccato e giocava a fare il grande,ma sembrava timido.
Poi dopo un po' di tempo mi chiedeva di uscire e io rifiutavo, mi mandava messaggi e dediche, mi scriveva delle lettere d'amore, mi sembravano così finte,e le buttavo via.
Un giorno di fine estate mentre uscivo dall'università si scatenò un temporale e io non avevo l'ombrello, stavo sotto i portici aspettando che la pioggia cessasse. Ricordo che tirava un vento fresco e io indossavo dei vestiti leggeri, lui mi venne a prendere in macchina pensando che mi sarei presa un raffreddore, io non mi aspettavo questo suo gesto. Mi portò in un ristorante in centro, era dolcissimo con i suoi discorsi e mi fece sentire bene come nessuno aveva mai fatto prima.
Mi resi conto di essere stata una stupida a non considerarlo nemmeno, io non mi innamoravo mai di nessuno ,avevo paura ...non stavo bene nemmeno con me stessa, e invece io volevo solo amarmi come volevo essere amata.
Lui era divertente, poi mi ascoltava in silenzio, a volte non diceva nulla e si limitava a guardarmi. Mi guardava in un modo che non dimenticherò mai, i suoi occhi erano profondi come l'oceano. Adesso nulla ha più importanza perchè io sono sola, Marzio e Chibiusa sono morti, mi resta soltanto questa vecchia casa silenziosa e malinconica. Della mia vita e di ciò che avevo costruito non rimangono che lacrime.
Mangiare, respirare, uscire di casa, quante cose hanno perso significato per me, sono viva e nemmeno me ne accorgo. Da quando sono vedova la gente mi evita, ho perso di vista tante persone care,un po' di amiche sono sparite.
E' strano come si tenda a fuggire di fronte al dolore di una persona vicina, loro non sanno cosa dirmi, non sanno come aiutarmi e credo per questi motivi se ne siano andate. Certi pomeriggi li trascorro da sola in silenzio, sono diventata pallida in viso. Non mi guardo allo specchio volentieri, sembro più vecchia, sembro così trascurata, non vado mai dalla parrucchiera, non mi importa, non ho nessun motivo per andarci. Ora posso permettermi di essere brutta, non c'è più nessuno a guardarmi.
L'altro mese sono successe strane cose in casa, cerco di non pensarci ma sento di doverne parlare per liberarmi. All'inizio non volevo dare troppa importanza a questi fatti, ma è difficile affrontare la vita con la consapevolezza di essere sola.
Ero in camera di mia figlia, seduta sul letto e guardavo alcuni suoi disegni appesi al muro, ero presa dai miei ricordi con lei, quando le leggevo un libro di fiabe la sera lei era così felice. Su un armadietto di legno le avevamo messo una piccola televisione con la play station collegata. Le avevamo comprato un videogioco con delle fate colorate e dei personaggi magici. Lei ci giocava quasi tutti i giorni, mi ricordo la musica del videogioco, mi era rimasta impressa nella mente perchè l'avevo sentita tante volte, quando lei era ancora viva.
Mentre ero seduta sul letto, quel giorno, ho sentito, a un tratto, la musica del videogioco. L'ho sentita distintamente, l'ho sentita improvvisamente venire dal televisore, era impossibile perchè era spento. Io non so dire quanto sia durata, ma l'ho sentita ed era proprio la musica del videogioco di mia figlia. Io non ho mai avuto allucinazioni o cose simili, ma credo che queste cose possano succedere a chi ha provato dolori tanto terribili come il mio. Mi convinsi di essere confusa, i ricordi erano così vividi da poter avermi indotta a sentire quel suono, infondo non era una cosa così strana, decisi di non pensarci più e passarci sopra. Quel singolo episodio a cui non avevo dato importanza sembrava solo una semplice allucinazione, ma era l'inizio di qualcosa.
Trascorsero un paio di giorni da quel fatto, una mattina appena alzata dal letto sono andata in cucina, al piano di sotto, per farmi una tazza di caffè. Ero scalza, il pavimento di marmo e i gradini delle scale erano gelidi, ricordo di aver mandato un'occhiata oltre il vetro della finestra e di essere rimasta colpita dalla nebbia fitta e grigia che avvolgeva la casa.
Mentre passavo per il salone ho notato un particolare del pianoforte. Sopra la tastiera c'era uno spartito aperto, era il notturno scritto da mio marito, lo riconobbi subito. Io mi ricordavo di averlo riposto con cura in un cassetto del mobile a fianco del pianoforte, ricordavo anche di aver chiuso il cassetto a chiave. Io quello spartito non l'avevo più spostato, non l'avevo toccato e non avevo aperto il cassetto.
La chiave la tenevo con me in camera da letto e sono sicura che nessuno l'abbia presa mentre dormivo. Non avevo nessuna idea su come fosse possibile che quella mattina lo spartito fosse aperto e poggiato sopra la tastiera del pianoforte. Dopo lo spavento iniziale decisi di riporre lo spartito al suo posto, i fogli erano ordinati e sembravano essere stati letti di recente. Lo spartito era incompleto, come lo aveva lasciato Marzio, notai che non erano state scritte delle aggiunte o delle correzioni.
La cosa che mi turbò profondamente fu accorgermi che il cassetto dove ero sicura di averlo lasciato diversi giorni prima, era ancora chiuso a chiave. Forse mi stavo sbagliando, forse avevo aperto il cassetto e spostato lo spartito durante il sonno, ma io non ho mai sofferto di nottambulismo. Il silenzio della casa e quella nebbia fitta e impenetrabile, che nascondeva il fiume, sembravano aver avvolto anche la mia mente.
Forse soffrivo di depressione, forse mi ero ingannata da sola, ma io ero e rimango sicura di non aver spostato quello spartito dal suo cassetto. Ero preoccupata perchè temevo di essermi dimenticata qualcosa, dovevo essere stata io a fare lo spostamento ma non me lo ricordavo. Misi lo spartito dentro il cassetto, mi tremavano le mani, e lo chiusi a chiave controllando bene la piccola serratura. All'inizio non vidi un nesso tra questo episodio e la strana percezione avvenuta in camera di mia figlia, non credevo che le due cose potessero essere in qualche modo correlate. Ora, dopo tanto tempo, mi rendo conto che quei primi segni erano solo dei moniti che all'epoca non ero in grado di capire.
La notte seguente successe qualcosa che mi turbò nel profondo dell'anima.
Andai a dormire, faceva molto freddo, in camera c'era un grande silenzio e la porta della stanza era aperta. Presi sonno dopo qualche ora, non mi sentivo molto bene. Mi addormentai facendo strani sogni, vedevo il fiume e la nostra casa in lontananza, io mi sentivo così sola sulla riva, scalza, fissando la nebbia bassa sull'acqua. A un tratto ho sentito il pianoforte suonare, era il notturno composto da Marzio.
Mi svegliai e continuai a sentire la musica di mio marito che veniva dal pianoforte in salone. Mi alzai dal letto e corsi giù per le scale, la musica continuava. Arrivai fino in salone e appena vidi il pianoforte la musica si fermò. Mi avvicinai, sopra la tastiera c'era lo spartito del notturno, aperto come se qualcuno lo stesse leggendo. Inizialmente non trovai il coraggio di toccarlo, ma ricordo di aver controllato se il cassetto fosse stato aperto. Era chiuso a chiave. Presi lo spartito e notai che non erano state scritte correzioni o parti nuove. Ancora una volta, sicura di non averlo messo io sul pianoforte, riposi lo spartito nel cassetto e chiusi bene a chiave la serratura.
Ero spaventata, pensai di chiamare qualcuno e di raccontare cosa stava succedendo dentro la nostra casa, ma riflettendo realizzai che mi avrebbero presa per pazza e mi avrebbero fatta ricoverare in qualche ospedale. Allora decisi di non pensarci più, probabilmente avevo avuto delle allucinazioni, sono cose che possono succedere a chi rimane solo per tanto tempo dopo un forte trauma emotivo. Speravo che sarebbe passato tutto ma ogni notte da quel giorno io sentii mio marito suonare il pianoforte in salone, sentivo la sua musica cessare in corrispondenza dell'interruzione del suo spartito. Il brano era incompleto, mancava il finale.
Ogni notte sentivo la musica e non avevo il coraggio di scendere le scale e di affrontare la mia paura e il mio dolore. Come in un rito, tutte le mattine trovavo lo spartito aperto sul pianoforte e il cassetto chiuso a chiave.
Andai avanti così per trentadue lunghe notti, finchè mi convinsi che non avevo nulla da temere da Marzio, forse lui voleva solo dirmi qualcosa o starmi vicino.
La trentatreesima notte, dopo aver atteso l'inizio della musica, mi alzai dal letto e a piccoli passi mi avvicinai alle scale. Rimasi in silenzio, immobile nel buio, ad ascoltare quelle note, l'interpretazione era proprio quella di Marzio, era lui al pianoforte, ne ero certa.
Attesi la conclusione del suo notturno, ma quella notte lui non si fermò dove si interrompeva lo spartito, riuscì a concludere il suo brano e a trovare un finale. Quando smise di suonare scesi le scale e lo chiamai, la mia voce echeggiò nel salone vuoto senza trovare risposta. Io lo sentivo vicino, sentivo la sua presenza nella camera, ero sicura che lui fosse lì.
Mi avvicinai al pianoforte vidi che lo spartito era aperto, c'erano delle note nuove scritte dalla mano di mio marito, riconoscevo il tratto. Feci scorrere i fogli fino a giungere all'ultima pagina dello spartito, dove si concludeva la musica. Vidi delle parole scritte, Marzio mi aveva lasciato un messaggio:

"Bunny ci manchi tanto amore mio, tu non lo sai ma non siamo lontani da te. Io e Chibiusa siamo rimasti con te tutto questo tempo, solo che non vuoi vederci. Non vuoi capire Bunny, non riesci a capire che tu sei morta. Sei morta Bunny, insieme a noi quel giorno. Vieni con noi amore".
  
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