Genere: Triste, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Forse esiste un destino al quale non possiamo opporci, forse si tratta
soltanto di tristi circostanze che si verificano nell'esistenza delle
persone.
Il mio nome è Bunny, ho ventisei anni, la mia vita
era
felice. Non mi sono resa conto di quanto care fossero le cose che mi
circondavano finchè non le ho perse per sempre.
Ero sposata, avevamo una bambina che si chiamava Chibiusa, lei era
capace di riempire di gioia le nostre vite con un semplice sorriso, lei
era la cosa più preziosa che avessi. Penso a lei ogni ora,
ogni
attimo, non si può immaginare il male che sento dentro, un
male
che toglie la voglia di vivere e ti uccide.
L'ho perduta in un giorno di tarda estate, mi tortura il pensiero di
quel giorno, è morta.
Stavamo tornando dalle vacanze, pioveva forte e Marzio,mio marito,
perse il controllo dell'auto precipitando in una scarpata ai bordi
della statale do Osaka.
Persero la vita entrambi, io non ricordo cosa successe, non ricordo
cosa provocò l'incidente, persi i sensi e a causa del trauma
entrai in coma.
Credo di essermi svegliata un mese dopo, forse due, non ero in ospedale
quando ripresi conoscenza, devono avermi ricoverata per alcune
settimane e poi avermi portata a casa sperando che potessi riprendermi,
mi sento confusa pensandoci. Era una mattina fredda di novembre, mi
sono trovata nel mio letto e non capivo cosa mi fosse successo. Non
c'erano persone con cui potessi parlare, chi mi assisteva doveva essere
uscito in quel momento, vidi una sedia di fianco al letto con alcuni
abiti appoggiati sopra e li indossai.
Avevo perso la memoria e non ricordavo cosa mi fosse capitato, non
ricordavo l'incidente e pensavo che mio marito e mia figlia fossero
ancora vivi.
Dalle finestre al piano di sopra filtrava una luce grigia e
malinconica, la fitta nebbia avvolgeva la nostra casa, vivevamo in una
bella casetta accogliente e disordinata, come lo eravamo noi tutti.
Piena di disegni,foto e peluches di ogni forma e dimensione..
Credevo che mio marito fosse uscito per portare Chibiusa a scuola, ma
non era così. Quando scesi le scale e raggiunsi l'ingresso
trovai alcune corone di fiori appassiti appoggiate alle pareti, c'erano
piccoli mazzi di fiori secchi sparsi ovunque sul pavimento. L'essenza
dei fiori seccati riempiva l'aria di casa, ai miei occhi non sembrava
possibile quello che vedevo. Vidi un foglio di carta sul pavimento, di
fianco a delle rose ormai appassite, lo presi e lessi. Era una dedica
di una mia amica alla memoria di mio marito e di mia figlia, erano
morti, io non ricordavo come li avevo perduti, ma compresi di essere
rimasta sola al mondo.
Presi a piangere cadendo a terra, ricordo il freddo del marmo e il
dolore insopportabile che mi trafisse mentre ero riversa sul pavimento
nella mia disperazione. Quel giorno, in quell'attimo, la mia vita
finì, respiravo e sentivo il cuore battere nel mio petto ma
io
non vivevo più. Rimasi lì avvolta nel mio dolore,
passarono ore prima di trovare la forza di alzarmi, i capelli disfatti
mi cadevano sul viso e le lacrime avevano bagnato la mia vestaglia di
seta. Ero scalza, vagavo per la casa senza sapere dove andare,la mente
era completamente vuota e persa, la mia intera esistenza era svanita
quella mattina di novembre.
Li avevano seppelliti a pochi metri dalla nostra casa, sotto un albero
secolare e triste nei suoi colori autunnali, due lapidi di pietra
scura, non avevo nemmeno il coraggio di guardarle. Piangevo seduta
sulle scale, guardavo dalle finestre il fiume che scorreva lento e
grigio sotto i miei occhi, i rumori della città erano
lontani e
deboli, quasi impercettibili. La memoria lentamente cominciò
a
riaffiorare nella mia mente. La nebbia fitta e silenziosa sembrava aver
divorato il cielo, la luce malinconica del giorno traspariva timida tra
le tende dando alla nostra casa un'atmosfera plumbea e triste, mi
sentivo sola, non avevo mai sentito una solitudine così
insopportabile e crudele dentro me. Il senso della mia vita non
esisteva più, nessuno mai dovrebbe rimanere solo come sono
rimasta io.
Chiusi le porte e serrai il cancello del cortile, in quei giorni non
ero capace di pensare razionalmente, ero preda della solitudine e del
ricordo della mia famiglia, non volevo vedere nessuno. A volte la sera
mi sedevo sul vecchio divano nel soggiorno, fissavo il vuoto pensando a
mio marito Marzio, a quando l'avevo conosciuto tantissimi anni fa...
Trascorsi notti intere seduta in silenzio alla luce tremula di una
candela, nel freddo di quell'autunno grigio e triste. Quando eravamo
ancora insieme non pensavo che mi sarebbe mancato così
tanto,
alcune cose di lui le avevo quasi dimenticate, mi ritornarono in mente
tanti ricordi di noi, prima che ci sposassimo.
E' strano come si ritorni indietro con la memoria solo in situazioni di
estremo dolore, quando ormai rimangono solo i ricordi a farci
compagnia. C'erano tante cose che non gli avevo mai detto, forse mi
illudevo di avere il tempo per farlo ma mi sbagliavo. La notte se
chiudevo gli occhi avevo la sensazione di sentire il suo calore
accanto, qualche volta riuscivo a sussurrare delle parole nel buio
lasciando la mia anima libera di esprimere le sue emozioni. Mi mancava
da morire.
In soggiorno avevamo un vecchio pianoforte a coda,
Marzio aveva
imparato a suonarlo in America,al college quando partì per
un
anno dopo aver vinto una borsa di studio...mi ricordo che stava
insegnando a Chibiusa qualche melodia, passavano interi pomeriggi
seduti a suonare, era bello vederli insieme.
Lui era bravissimo a suonare e, anche se aveva studiato medicina, non
abbandonò mai la passione per la musica classica e
continuò a coltivarla anche dopo il nostro matrimonio.
Suonava Ludovico Einaudi con un sentimento che difficilmente
può
essere descritto, era bravissimo. A volte nemmeno leggeva gli spartiti,
aveva la musica nell'anima e semplicemente la lasciava scorrere tra le
sue mani. Ricordo che quando eravamo fidanzati lui mi teneva sulle sue
gambe facendomi suonare, ma io non ero brava come lui, mi stringeva
forte e trascorrevamo dei momenti splendidi senza dire nulla, solo
sfiorandoci. Seduti a quel pianoforte mi chiese di sposarlo, e qualche
mese più tardi suonando il pianoforte accanto a lui dissi
che
aspettavo Chibiusa.
Nelle notti successive al mio risveglio fissavo il pianoforte immerso
nell'ombra, era rimasto come lui l'aveva lasciato, c'era uno spartito
aperto sulla tastiera con i suoi appunti scritti a matita. Prima che
partissimo per le vacanze stava componendo una musica, era un notturno,
ma non riuscì a finirlo. Ricordavo la melodia di quel brano,
lui
la suonava con una passione indescrivibile, non so quanto abbia
desiderato sentirlo suonare ancora in quelle notti tristi. Riposi con
cura lo spartito in un cassetto dell'armadio a fianco al pianoforte,
chiusi il cassetto a chiave. Mi faceva troppo male vedere lo spartito
aperto sul pianoforte, mi ricordava Marzio.
I giorni si susseguivano silenziosi e grigi, la pioggia gelida cadeva
incessante, le nuvole basse celavano la luce solare dando al cielo
riflessi tristi e autunnali.
Non saprei dire quanto tempo fosse passato dal mio risveglio dal coma,
avevo perso la percezione del tempo, dormivo poco sdraiandomi sul
divano in soggiorno o su qualche poltrona della biblioteca, mi
svegliavo avvolta dalla luce malinconica di quei giorni. La casa era
gelida, non mi importava, le foglie avevano coperto il vialetto del
cortile ma non avevo voglia di spazzarle via. C'erano ragnatele e
polvere in ogni angolo della casa, io non avevo la minima intenzione di
pulire, stavo seduta in silenzio a guardare fuori la pioggia e il fiume
che scorreva lentamente.
Avevo addosso da giorni un vecchio maglione di lana, me l'aveva
regalato Marzio il Natale di due anni prima, non volevo toglierlo.
Quando passavo davanti a uno specchio mi vedevo riflessa con un viso
invecchiato, dai lineamenti marcati e disfatti, i miei occhi erano
lucidi di lacrime, credo di non aver mai pianto tanto in vita mia. Mi
ricordo che quando andavo all'università avevo paura di
essere
brutta e cercavo di non piangere mai. Parlando con le mie amiche
sentivo discorsi sugli uomini che mi scoraggiavano, credevo che non
avrei mai trovato nessuno disposto ad amarmi per quella che ero.
Ogni giorno mi guardavo allo specchio e non riuscivo mai a vedermi
bella, facevo le diete e mi vestivo alla moda, salvo poi attirare
vecchi bavosi.
Ho perso tanti di quei giorni in sciocchezze senza significato. Uscivo
con le amiche e andavamo in discoteca, ci atteggiavamo come delle
attrici per attirare i ragazzi.
Eravamo così stupide a quei tempi, così
superficiali,
dopo la nascita di Chibiusa ho visto tante cose sotto prospettive
differenti, la ragazza che ero stata non mi somigliava più.
Seduta accanto al nostro pianoforte, in quelle mattine grigie di
novembre mi tornava in mente Marzio, quando l'avevo appena conosciuto.
Lui non era il tipo di ragazzo che mi piaceva in quel periodo, non si
dava atteggiamenti, era serio,distaccato e giocava a fare il grande,ma
sembrava timido.
Poi dopo un po' di tempo mi chiedeva di uscire e io rifiutavo, mi
mandava messaggi e dediche, mi scriveva delle lettere d'amore, mi
sembravano così finte,e le buttavo via.
Un giorno di fine estate mentre uscivo dall'università si
scatenò un temporale e io non avevo l'ombrello, stavo sotto
i
portici aspettando che la pioggia cessasse. Ricordo che tirava un vento
fresco e io indossavo dei vestiti leggeri, lui mi venne a prendere in
macchina pensando che mi sarei presa un raffreddore, io non mi
aspettavo questo suo gesto. Mi portò in un ristorante in
centro,
era dolcissimo con i suoi discorsi e mi fece sentire bene come nessuno
aveva mai fatto prima.
Mi resi conto di essere stata una stupida a non considerarlo nemmeno,
io non mi innamoravo mai di nessuno ,avevo paura ...non stavo bene
nemmeno con me stessa, e invece io volevo solo amarmi come volevo
essere amata.
Lui era divertente, poi mi ascoltava in silenzio, a volte non diceva
nulla e si limitava a guardarmi. Mi guardava in un modo che non
dimenticherò mai, i suoi occhi erano profondi come l'oceano.
Adesso nulla ha più importanza perchè io sono
sola,
Marzio e Chibiusa sono morti, mi resta soltanto questa vecchia casa
silenziosa e malinconica. Della mia vita e di ciò che avevo
costruito non rimangono che lacrime.
Mangiare, respirare, uscire di casa, quante cose hanno perso
significato per me, sono viva e nemmeno me ne accorgo. Da quando sono
vedova la gente mi evita, ho perso di vista tante persone care,un po'
di amiche sono sparite.
E' strano come si tenda a fuggire di fronte al dolore di una persona
vicina, loro non sanno cosa dirmi, non sanno come aiutarmi e credo per
questi motivi se ne siano andate. Certi pomeriggi li trascorro da sola
in silenzio, sono diventata pallida in viso. Non mi guardo
allo
specchio volentieri, sembro più vecchia, sembro
così
trascurata, non vado mai dalla parrucchiera, non mi importa, non ho
nessun motivo per andarci. Ora posso permettermi di essere brutta, non
c'è più nessuno a guardarmi.
L'altro mese sono successe strane cose in casa, cerco di non pensarci
ma sento di doverne parlare per liberarmi. All'inizio non volevo dare
troppa importanza a questi fatti, ma è difficile affrontare
la
vita con la consapevolezza di essere sola.
Ero in camera di mia figlia, seduta sul letto e guardavo alcuni suoi
disegni appesi al muro, ero presa dai miei ricordi con lei, quando le
leggevo un libro di fiabe la sera lei era così felice. Su un
armadietto di legno le avevamo messo una piccola televisione con la
play station collegata. Le avevamo comprato un videogioco con delle
fate colorate e dei personaggi magici. Lei ci giocava quasi tutti i
giorni, mi ricordo la musica del videogioco, mi era rimasta impressa
nella mente perchè l'avevo sentita tante volte, quando lei
era
ancora viva.
Mentre ero seduta sul letto, quel giorno, ho sentito, a un tratto, la
musica del videogioco. L'ho sentita distintamente, l'ho sentita
improvvisamente venire dal televisore, era impossibile
perchè
era spento. Io non so dire quanto sia durata, ma l'ho sentita ed era
proprio la musica del videogioco di mia figlia. Io non ho mai avuto
allucinazioni o cose simili, ma credo che queste cose possano succedere
a chi ha provato dolori tanto terribili come il mio. Mi convinsi di
essere confusa, i ricordi erano così vividi da poter avermi
indotta a sentire quel suono, infondo non era una cosa così
strana, decisi di non pensarci più e passarci sopra. Quel
singolo episodio a cui non avevo dato importanza sembrava solo una
semplice allucinazione, ma era l'inizio di qualcosa.
Trascorsero un paio di giorni da quel fatto, una mattina appena alzata
dal letto sono andata in cucina, al piano di sotto, per farmi una tazza
di caffè. Ero scalza, il pavimento di marmo e i gradini
delle
scale erano gelidi, ricordo di aver mandato un'occhiata oltre il vetro
della finestra e di essere rimasta colpita dalla nebbia fitta e grigia
che avvolgeva la casa.
Mentre passavo per il salone ho notato un particolare del pianoforte.
Sopra la tastiera c'era uno spartito aperto, era il notturno scritto da
mio marito, lo riconobbi subito. Io mi ricordavo di averlo riposto con
cura in un cassetto del mobile a fianco del pianoforte, ricordavo anche
di aver chiuso il cassetto a chiave. Io quello spartito non l'avevo
più spostato, non l'avevo toccato e non avevo aperto il
cassetto.
La chiave la tenevo con me in camera da letto e sono sicura che nessuno
l'abbia presa mentre dormivo. Non avevo nessuna idea su come fosse
possibile che quella mattina lo spartito fosse aperto e poggiato sopra
la tastiera del pianoforte. Dopo lo spavento iniziale decisi di riporre
lo spartito al suo posto, i fogli erano ordinati e sembravano essere
stati letti di recente. Lo spartito era incompleto, come lo aveva
lasciato Marzio, notai che non erano state scritte delle aggiunte o
delle correzioni.
La cosa che mi turbò profondamente fu accorgermi che il
cassetto
dove ero sicura di averlo lasciato diversi giorni prima, era ancora
chiuso a chiave. Forse mi stavo sbagliando, forse avevo aperto il
cassetto e spostato lo spartito durante il sonno, ma io non ho mai
sofferto di nottambulismo. Il silenzio della casa e quella nebbia fitta
e impenetrabile, che nascondeva il fiume, sembravano aver avvolto anche
la mia mente.
Forse soffrivo di depressione, forse mi ero ingannata da sola, ma io
ero e rimango sicura di non aver spostato quello spartito dal suo
cassetto. Ero preoccupata perchè temevo di essermi
dimenticata
qualcosa, dovevo essere stata io a fare lo spostamento ma non me lo
ricordavo. Misi lo spartito dentro il cassetto, mi tremavano le mani, e
lo chiusi a chiave controllando bene la piccola serratura. All'inizio
non vidi un nesso tra questo episodio e la strana percezione avvenuta
in camera di mia figlia, non credevo che le due cose potessero essere
in qualche modo correlate. Ora, dopo tanto tempo, mi rendo conto che
quei primi segni erano solo dei moniti che all'epoca non ero in grado
di capire.
La notte seguente successe qualcosa che mi turbò nel
profondo dell'anima.
Andai a dormire, faceva molto freddo, in camera c'era un grande
silenzio e la porta della stanza era aperta. Presi sonno dopo qualche
ora, non mi sentivo molto bene. Mi addormentai facendo strani sogni,
vedevo il fiume e la nostra casa in lontananza, io mi sentivo
così sola sulla riva, scalza, fissando la nebbia bassa
sull'acqua. A un tratto ho sentito il pianoforte suonare, era il
notturno composto da Marzio.
Mi svegliai e continuai a sentire la musica di mio marito che veniva
dal pianoforte in salone. Mi alzai dal letto e corsi giù per
le
scale, la musica continuava. Arrivai fino in salone e appena vidi il
pianoforte la musica si fermò. Mi avvicinai, sopra la
tastiera
c'era lo spartito del notturno, aperto come se qualcuno lo stesse
leggendo. Inizialmente non trovai il coraggio di toccarlo, ma ricordo
di aver controllato se il cassetto fosse stato aperto. Era chiuso a
chiave. Presi lo spartito e notai che non erano state scritte
correzioni o parti nuove. Ancora una volta, sicura di non averlo messo
io sul pianoforte, riposi lo spartito nel cassetto e chiusi bene a
chiave la serratura.
Ero spaventata, pensai di chiamare qualcuno e di raccontare cosa stava
succedendo dentro la nostra casa, ma riflettendo realizzai che mi
avrebbero presa per pazza e mi avrebbero fatta ricoverare in qualche
ospedale. Allora decisi di non pensarci più, probabilmente
avevo
avuto delle allucinazioni, sono cose che possono succedere a chi rimane
solo per tanto tempo dopo un forte trauma emotivo. Speravo che sarebbe
passato tutto ma ogni notte da quel giorno io sentii mio marito suonare
il pianoforte in salone, sentivo la sua musica cessare in
corrispondenza dell'interruzione del suo spartito. Il brano era
incompleto, mancava il finale.
Ogni notte sentivo la musica e non avevo il coraggio di scendere le
scale e di affrontare la mia paura e il mio dolore. Come in un rito,
tutte le mattine trovavo lo spartito aperto sul pianoforte e il
cassetto chiuso a chiave.
Andai avanti così per trentadue lunghe notti,
finchè mi
convinsi che non avevo nulla da temere da Marzio, forse lui voleva solo
dirmi qualcosa o starmi vicino.
La trentatreesima notte, dopo aver atteso l'inizio della musica, mi
alzai dal letto e a piccoli passi mi avvicinai alle scale. Rimasi in
silenzio, immobile nel buio, ad ascoltare quelle note,
l'interpretazione era proprio quella di Marzio, era lui al pianoforte,
ne ero certa.
Attesi la conclusione del suo notturno, ma quella notte lui non si
fermò dove si interrompeva lo spartito, riuscì a
concludere il suo brano e a trovare un finale. Quando smise di suonare
scesi le scale e lo chiamai, la mia voce echeggiò nel salone
vuoto senza trovare risposta. Io lo sentivo vicino, sentivo la sua
presenza nella camera, ero sicura che lui fosse lì.
Mi avvicinai al pianoforte vidi che lo spartito era aperto, c'erano
delle note nuove scritte dalla mano di mio marito, riconoscevo il
tratto. Feci scorrere i fogli fino a giungere all'ultima pagina dello
spartito, dove si concludeva la musica. Vidi delle parole scritte,
Marzio mi aveva lasciato un messaggio:
"Bunny ci manchi tanto amore mio, tu non lo sai ma non siamo lontani da
te. Io e Chibiusa siamo rimasti con te tutto questo tempo, solo che non
vuoi vederci. Non vuoi capire Bunny, non riesci a capire che tu sei
morta. Sei morta Bunny, insieme a noi quel giorno. Vieni con noi amore".