CAPITOLO 17
- Che cazzo ci fai, tu, qui?!
Sbraitò Sara.
Michele era sdraiato sul letto della ragazza.
Aveva dormito lì, a casa sua, dopo aver ripulito per bene la sua stanza.
La sera prima, infatti, aperta la porta della camera da letto, l’aveva
trovata in soqquadro e, sapendo quanto Sara fosse maniaca dell’ordine, aveva
pensato di riordinarla.
- Te lo ripeto solo una volta. Che cazzo ci fai, tu,
qui?!
Il ragazzo si alzò dal letto e le si avvicinò.
Fece per abbracciarla, ma lei gli tirò uno schiaffo in piena guancia.
- Non ti azzardare a sfiorarmi, cretino!
Michele si allontanò da lei.
- Ieri sera...
- Non me ne frega, vattene!
- Posso spigare, almeno?
- Non m’importa! Vattene immediatamente o chiamo la polizia per
violazione di domicilio!
- Calmati, per favore.
- Io non mi calmerò finché tu sarai vicino a me.
Il moro sospirò, deluso.
Si mosse verso la porta, ma i singhiozzi sommessi di Sara, giunsero alle
sue orecchie e lui si voltò.
- Sara...dove sei stata?
- Non t’importa.
Continuava ad urlare, ma era meno offensiva. Le sua rabbia era stata
ingoiata dal pianto.
Lui si sedette sul letto, vicino alla ragazza e le prese una mano.
La strinse forte tra le sue e poi ne baciò le dita.
Lei lo lasciò fare, senza controbattere, ma il suo respiro si era fatto
irregolare e il battito era angosciato.
- Calmati.
Sussurrò lui, tranquillo, mentre le sfiorava una guancia.
- Perché sei qui?
Non urlava più. Sussurrava, quasi temesse di essere ascoltata da qualcun
altro.
- Perché pensavo ti avrebbe fatto piacere trovare qualcuno in casa,
quando saresti tornata.
- Sapevi che sarei tornata?
- Certo!
Allontanò il suo viso da quello di Sara, come se fosse indignato.
- Io ho sempre saputo che saresti tornata, ma la mia presenza non ha
sortito il risultato sperato.
Il ragazzo socchiuse gli occhi e sorrise. Un po’ per rasserenare la
ragazza, un po’ perché era veramente contento di
rivederla.
- Come...?
Iniziò a formulare una domanda, ma Michele la precedette e le rispose,
interrompendola.
- La signora delle pulizie non era ancora uscita, mi ha aperto lei.
Lei si alzò dal letto, pensierosa.
Raggiunse la finestra che dava sul giardino. Non c’erano fiori in quella
stagione. Fuori faceva molto freddo.
- Io odio l’inverno.
Michele si voltò, per osservare la sua schiena, ma rimase seduto sul
bordo del materasso.
- Lo so.
- Ovviamente.
Seguì qualche minuto di silenzio.
Sara stava piangendo.
Silenziosa, stava sfogando le sensazioni che aveva imprigionato dentro sé
stessa in quella terribile notte.
Il ragazzo sospirò di nuovo.
Delicato, si alzò e le sfiorò una spalla nuda.
Indossava un top grigio molto attillato e senza maniche, nonostante il
gelo che regnava fuori. Una gonna molto corta, nera e bianca, delle calze color
pelle e degli anfibi.
- Non hai freddo?
Le chiese, premuroso. Cercava di evitare l’argomento “Notte”, sapendo la
reazione che ne sarebbe scaturita.
Lei esitò, ma poi si voltò verso di lui.
Il trucco le era colato sulle guance e gli occhi erano rossi per il
pianto.
- Mi hanno violentata.
Michele s’irrigidì all’istante.
- E io ho acconsentito.
Il moro evitò il suo sguardo, sapendo di avere un’espressione tutt’altro
che pacata.
Inaspettatamente, lei gli si buttò tra le braccia.
Rimase impietrito.
Non mosse un dito, ma poi, percependo delle lacrime calde sulla pelle del
collo, ricambiò quell’abbraccio.
- Ti va di raccontare?
Sara scosse la testa.
Michele la strinse ancora più forte al suo petto e le sussurrò
dolce
- Ti proteggerò io.
Daniele scosse con veemenza la testa. Poi si diede uno schiaffo in
faccia.
- Idiota!
Urlò a squarciagola quella parola.
- Idiota!
Ripeté, con altrettanta forza.
- Idiota!
Una terza volta.
La madre si affacciò alla finestra.
- Tutto a posto, Dani?
- Vattene!
Sbraitò, senza neanche preoccuparsi di guardare chi
fosse.
Giulia gli aveva risposto.
GIULIA:
Mi fai stare male!
Perché non vuoi capire?
Perché ti ostini ad essere così egoista?
Anche io ti amavo, ma tu mi hai sbattuto in faccia la
realtà.
Perché, ora, dev'essere colpa mia?
Tieniti le tue scuse e le tue parole dolci.
E, fammi un favore,
almeno stavolta,
lasciami in pace!
Prese il cellulare tra le mani e lo sbatté violentemente contro la parete
a cui aveva appeso tutte le sue foto con Giulia.
Provava una rabbia incontenibile.
Odiava sé stesso per ciò che aveva fatto, quella mattina e la sera prima.
Dopo aver represso un grido, si avvicinò alla stessa parete e tirò un
pugno talmente forte da far staccare le puntine di alcune
foto.
Si strine il polso con l’altra mano.
Le nocche sanguinavano copiose, ma non gliene
importava.
Tirò un altro pugno, noncurante del dolore.
Aveva rovinato tutto.
Quelle minime possibilità che gli restavano di farsi perdonare da Giulia
erano andate in fumo nello stesso momento in cui aveva digitato la prima parola
del primo messaggio.
Prese lo zaino e uscì di casa senza neanche salutare la
madre.
Appena fu fuori dal condominio, si osservò le ferite che si era
procurato.
- Idiota!
Lo sussurrò a sé stesso.
- Che gli dico?
Giulia stava riflettendo su quello che avrebbe potuto scrivere a Lorenzo,
per spiegargli il motivo dell’improvviso rifiuto
dell’appuntamento.
Aveva appena mandato un messaggio a Daniele per mettere definitivamente
fine a quella dolorosa e muta conversazione.
Si erano parlati in silenzio.
Senza pronunciare una sola parola.
Lei non aveva visto le espressioni di Daniele mentre scriveva quelle
frasi dolci.
Non aveva potuto osservare i suoi occhi quando aveva detto “Ti
amo”.
E se avesse solo scherzato?
Se non avesse mai pensato neanche una di quelle parole tenere che lei
aveva letto?
O, peggio, se non fosse stato lui a
scriverle?
Il cuore le si strinse in una morsa.
Odiava Daniele.
Odiava quella situazione.
Odiava le persone che le avevano detto che tutto si sarebbe risolto in
fretta.
Ma, più di tutti, odiava sé stessa.
Come poteva volersi così male da pensare che lui provasse realmente
qualcosa per lei?
Che lui l’amava.
Odiava i ricordi che, piano, piano, riaffioravano alla sua mente stanca
di dover procurare tanta sofferenza.
Doveva allontanarsi definitivamente da lui.
Non doveva più pensarlo.
Lei meritava rispetto, da sé stessa prima di
tutti.
Era necessario che allontanasse dalla memoria tutti momenti belli, ma
anche e soprattutto, quelli brutti.
Ancora in pigiama, si tuffò sul letto
sfatto.
Sprofondò la testa nel cuscino per soffocare un urlo. I suoi occhi
lacrimarono.
- Perché? Perché sei così cattivo?
Urlava con la bocca premuta sulla morbida
spugna.
- Io ti amo.
Sussurrò piano. Se ne vergognava. Tantissimo. Ma era inutile mentire a sé
stessa.
Lo amava. Lo amava da sempre. Da quando, la prima volta, l’aveva guardata
negli occhi e le aveva chiesto se quel posto accanto a lei fosse
occupato.
- Scusa...quel posto è occupato, o posso sedermi a farti
compagnia?
Un ragazzo dagli occhi azzurri e dal sorriso contagioso aveva interrotto
i pensieri confusi di una moretta timida e rossa in viso per
l’imbarazzo.
Era la seconda settimana del liceo. Il primo giorno di
mensa.
Erano, ancora, tutti un po’ spaesati e senza un
amico.
- No...
- Ah...allora posso sedermi?
Sara, quel giorno, aveva deciso di marinare la scuola.
“Chissene frega...nessuno ti dice niente i primi giorni di scuola” aveva
detto prima di fuggire dagli sguardi curiosi dei ragazzi che aspettavano il
suono della campanella, fuori scuola.
- S-sì...
Daniele aveva preso posto, tranquillo e ancora sorridente, sulla sedia
davanti a lei.
- Calmati...non ti mangio mica...mi basta lo schifoso cibo della mensa
per saziarmi...
Lei aveva tentato di nascondere un sorriso, ma non c’era
riuscita.
Il ragazzo, visto che si era calmata le porse una
mano.
- Daniele...
Lei aveva alzato lo sguardo su di essa.
Poi aveva osservato lui e, infine, dopo molti tentennamenti, l’aveva
stretta, pronunciando fiera il suo nome.
Aveva, lentamente, preso coraggio, Daniele le infondeva calma e allegria,
distaccando i suoi pensieri dal resto della giornata e concentrandoli su ogni
sua singola parola.
- Come ti pare la scuola?
- Uno schifo...come tutte, credo...
Lui, che aveva appena addentato una forchettata di penne al sugo,
trattenne una risata.
- Giusto!
Aveva pronunciato, ancora a bocca piena.
La conversazione aveva preso un tono amichevole, niente di più, ma Giulia
sentiva, dentro di sé che lei non provava solo amicizia verso quel ragazzo.
Si era presa una cotta, ma non avrebbe mai pensato che si sarebbe evoluta
in un amore tanto sofferto.
Pensava, poi, che se un ragazzo si avvicina ad una ragazza, non desidera
solo un’amicizia.
- Però mi piacciono abbastanza i prof.
Aveva continuato, lei, mentre lui divorava tutto il primo
piatto.
Lo guardava incuriosita.
- Dicevi che ti faceva schifo il cibo delle mense, o
sbaglio?
- Lo so, ma è da ieri pomeriggio che non mangio niente...avevo una fame
che mi sarei mangiato...te!!
- Cretino!
Aveva esclamato lei, scherzosa.
- Idiota!
Urlò Giulia.
Era arrabbiata.
Perché continuava a ripensare a loro due?
Perché era così masochista?
Eppure lo amava.
Perché si complicava la vita?
Aveva sofferto troppo, per lui. Ecco perché si complicava la vita. Perché
il suo amore si era mescolato ad un eterno dolore.
Perché Daniele, ormai, rappresentava fonte di
male.
Sembrerà stupido, anche a lei pareva così, ma era la pura
verità.
Ed ogni ricordo era un nuovo addio.
Un nuovo passo verso il futuro.
Stava crescendo.
Piano e dolorosamente, come tutti.
Perché se non si soffre, la vita non acquista il valore che le
spetta.
E lei voleva vivere.
Per questo, timidamente, sorrise e sussurrò a fior di
labbra.
- Idiota!
Erano le cinque e mezzo del mattino.
Lorenzo doveva essere al bar entro le sette.
Non era per niente in ritardo, ma si sentiva agitato come se lo
fosse.
Si alzò dal letto, con apparente
tranquillità.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio sito di fronte al
letto.
Abitava in un piccolissimo appartamento.
Una cucina minuscola che fungeva anche da salotto e un bagno addossato
alla piccola camera da letto.
L’unica cosa che lo rendeva un appartamento piacevole, era un arioso
terrazzo, su cui lui curava numerosi vasi di fiori e piante
varie.
Ma era inverno, e non c’era nessun fiore d’annaffiare. Solo piante
rinsecchite e dalle foglie inesistenti, che necessitavano della loro dose
giornaliera d’acqua,
Con i soli boxer addosso, uscì all’aria aperta, per
bagnarle.
A quell’ora non rischiava di essere visto da molte
persone.
Nessuno, nel suo condominio, era tanto folle da alzarsi alle cinque del
mattino, senza un motivo.
Respirò una profonda boccata d’ossigeno e poi
sospirò.
- Chissà se verrà...
Si rivolse ad un nocciolo, in apparenza, privo di
vita.
- Magari annulla tutto all’ultimo momento...che ne
dici?
Osservò in attesa di una risposta l’alberello a cui aveva posto la
domanda.
- Sto diventando pazzo...mi metto pure a parlare con una pianta,
ora...
Un’alitata di vento mosse l’aria umida di
pioggia.
Lorenzo stava ancora guardando in direzione della pianta, i quali rami
erano stati mossi da quel soffio.
Sembrò, veramente, che stesse annuendo.
Almeno, a lui parve così.
- Sì, sto proprio impazzendo, mio caro
nocciolo!
Rientrò in casa, chiudendosi la porta-finestra alle
spalle.
“Figurati se rinuncia ad un appuntamento...è così
triste...”
Con quei pensieri in mente, raggiunse la cucina.
Mise del caffé macinato nella caffettiera arrugginita che aveva ereditato
dalla nonna.
Era morta undici anni prima, quando lui ne aveva solo
nove.
Mise l’oggetto sul fornello del cucinino, anch’esso, eredità della nonna,
e accese il fuoco.
“A pensarci...questa casa me l’ha “arredata” la
nonna...”
Sorrise e tornò nella camera da letto.
Con lentezza tale da poter far invidia ad un bradipo, prese i jeans che
aveva indossato la sera precedente, alla festa di compleanno di sua sorella, ed
estrasse una maglia pulita dal primo cassetto dell’unico mobile che arredava la
stanza altrimenti vuota, escludendo il letto.
Si allacciò con eccessiva tranquillità le Adidas bianche e andò in bagno
per lavarsi.
Di lavò la faccia e, mentre osservava allo specchio l’immagine del suo
viso bagnato, pensò di avere l’assoluto bisogno di un caffé.
- Cazzo, il caffé!!!
Corse nella piccolissima cucina.
Il caffé era uscito dal beccuccio e aveva sporcato tutto il
fornello.
- Cazzo!
Ripeté, seriamente irritato, mentre il caffé s’incrostava sulla
superficie del piano cottura.
Spense il fuoco e, senza utilizzare alcuna presina, afferrò il manico
della caffettiera.
Constatando il fatto che, essa, era bollente, si bruciò il palmo della
mano destra. Ma lui ci pensò dopo.
La poggiò velocemente sul tavolo e, con la mano sana, afferrò dalla
credenza una tazzina blu.
Vi versò dentro, velocemente, un po’ di quel liquido amaro e fumante e
poi si fiondò a mettere la mano sotto l’acqua corrente del rubinetto, ancora
aperto, del bagno.
Certamente, quella mattina non era cominciata con il piede
giusto.
Quando tornò in cucina, aveva riacquistato il suo solito
buonumore.
Bevve, lentamente, il caffè, poi prese a leggere l’articolo in prima
pagina del quotidiano del giorno prima.
Qualcuno di famoso, ricordò, aveva detto che “Se un giornale non si è
ancora letto, dice ancora delle novità”, o qualcosa del
genere.
Mentre si informava sui danni arrecati alle culture dal freddo invernale,
squillò il telefono.
Lo impugnò con estrema lentezza e lesse il nuovo
messaggio.
GIULIA:
Scusa, oggi non vengo...non posso spiegarti.
È un casino.
Tutto un enorme casino.
Mi dispiace.
Lorenzo alzò gli occhi verso il soffitto scrostato e poi rivolse uno
sguardo ammonitore alla pianta con cui aveva intrapreso una specie di
conversazione.
- Idiota!
Non si riferiva a sé stesso.
Parlava, ancora, con quello stupido nocciolo.
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Ragazzi, ragazze
Signori e signore
Uomini ed animali
Lettori e recensiotori
Sono tornata. Si, finalmente soo riuscita ad emergere da ogni sorta di problema pratico e sono tornata.
Devo molte scuse ad ognuno di voi. Ad ognuno di coloro che ha avuto la pazienza di aspettare e di leggere fino a qui.
Il primo scoglio contro cui mi sono scontrata è stata la mancanza del mio adoratissimo pc per una settimana, causa lavori in casa. Questi ultimi hanno procurato un ulteriore rintardo, in quanto i miei "dolci docli" genitori, mi hanno "dolcemente" spronata ad aiutare nell'imbiancatura -.-'
Ma non è finita qui...terminata la più parte dei lavori, ecco che posso andare in vacanza senza la minima possibilità di accedere ad internet o, anche solo, ad un pc.
Aspetto il ritorno a casa ed ecco ad attendermi i compiti delle vacanze e il termine dei lavori XD
Nel mentre, visto che tutto cià non basta, ecco che mi si cancella ogni dato dal pc ed io, ovviamente, devo ravanare in ogni angolo dell'altro pc per trovare la storia, travasarla nel nuovo (allelujah *_*) pc.
Arriva il faitidico momento in cui potrei scrivere e pubblicare e arriva l'inizio della scuola (glooom!!!)
Allora attendo ancora qualche giorno e, dopo tutte queste interminabili per me e per voi peripezie, eccomi a pubblicare!!
Non mi aspetto un applauso e nemmeno il "perdono".
Volevo solo essere chiara nello spiegare il motivo di un tale ritardo, in quanto, con molto rammarico e dispiacere, ho visto la mia storia perdere qualche preferenza.
Mi dispiace davvero moltissimo, in quanto sono molto affezionata a tutti voi lettori e recensitori.
Credo di essermi dilungata abbastanza.
Ringrazio di cuore coloro che hanno mantenuto le loro preferenze, coloro che aggiungeranno (forse) la mia storia tra i loro preferiti e, primi tra tutti, i ragazzi e le ragazze che hanno recensito l'ultimo capitolo.
Siete tutti davvero fantistici. Dedico questo capitolo ad ognuno di voi che l'ha letto tutto e che ha potuto leggere anche questa parte.
Spero vi sia piaciuto a me, sinceramente, moltissimo!
Vi lascio con la promessa di continuare presto con le pubblicazioni e con l'assicurazione di non caricarmi di un così madornale ritardo.
Un bacione a tutti voi
mi date la carica per scrivere, e ve ne sono grata.
Alla prossima,
vostra
Miss dark
*_*
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