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Autore: Kazuha95    05/09/2014    5 recensioni
Prendete Heiji, aggiungete tanta stanchezza, un sogno strano, e un libro. Secondo voi cosa potrebbe saltare fuori?
Genere: Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando la mente gioca brutti scherzi…
 



Silenzio, troppo silenzio.
Ecco cosa si sentiva a casa Hattori. Solo un flebile suono: la tv. C’era solo Heiji intento a guardarla.
A dirla tutta, guardare è un termine poco adatto perché, in realtà, si limitava a fissarla senza porre molta attenzione alla trasmissione. La voce della conduttrice di quel quiz show, il primo programma capitato, arrivava flebile al suo orecchio come se fosse lontana anni luce. La sua testa era altrove.
Quello che gli premeva non era certo seguire lo spettacolo televisivo ma piuttosto tentare di rimanere immobile il più possibile per sentire meno gli effetti della calura estiva e la tv era soltanto un diversivo per ingannare il tempo. Però come distrazione serviva a poco perché lui davvero non riusciva a stare senza far niente. Aveva deciso di prendersi una pausa – non di sua spontanea volontà, sia chiaro - ma di certo non pensava di annoiarsi a tal punto…

Niente casi, nemmeno uno stupido gatto dei vicini da cercare. Neanche un omicidio nel raggio di kilometri. Per caso gli assassini risentivano anche loro della temperatura torrida?! Non che lui desiderasse la morte altrui, ovviamente. Gli sarebbe bastato anche indagare sulla scomparsa di qualcuno, un codice da decifrare, un oggetto da cercare, un qualcosa di semplice ma di casi di questo genere nemmeno l’ombra. Persino la polizia era rimasta con le mani in mano! Mai era accaduta una cosa simile.
Si era illuso, quindi, di poter approfittare di ciò per concedersi almeno una bella settimana di meritato relax tuttavia doveva fare i conti con la sua indole da detective stacanovista.
Non era assolutamente nella sua natura starsene a poltrire comodamente sdraiato sul divano. Aveva bisogno d’azione. Doveva assolutamente sgranchirsi le gambe, cambiare aria. Doveva fare qualcosa, accidenti! Per la sua sanità mentale doveva assolutamente uscire, tenersi occupato. E così aveva fatto poco dopo.

Errore madornale.  
Dopo appena cinque minuti fuori casa già aveva la sensazione di sciogliersi al sole che era ancora troppo caldo nonostante sarebbe tramontato tra qualche ora. L’aria era talmente umida da appiccicarsi sulla pelle, risultando opprimente, fino a mischiarsi con il sudore già abbondante. Respirava a fatica, quasi ansimava. Era una faticaccia persino camminare. E dire che era avvezzo alla fatica perché si sottoponeva ad allenamenti estenuanti pur di vincere un incontro di kendo! Superava qualsiasi altro ragazzo per resistenza fisica - e non solo - ma all’afa  non poteva sfuggire nemmeno lui.
Ignorava addirittura dove fosse. Le gambe si muovevano da sole e aveva posto poca attenzione a ciò che lo circondava. Gli risultava  difficile perfino a mettere a fuoco un oggetto distante anche solo pochi metri. Avrebbe potuto prendere in pieno un palo in quelle condizioni.
Stava giusto maledicendo il momento in cui aveva avuto la felice idea di uscire quando aveva visto una casa a lui familiare materializzarsi davanti ai suoi occhi. Era un miraggio? A giudicare dalla temperatura percepita poteva essere finito nel deserto senza volerlo.
In realtà quella non era un’oasi: era casa di Kazuha. Chissà, poi, come ci era arrivato…  Forse aveva percorso senza accorgersene la strada che faceva ogni giorno.
Ma la cosa che più lo infastidiva era il fatto di non essere padrone neanche del suo corpo dopo aver perso anche un po’ delle sue facoltà mentali. Non riusciva quasi più a controllarlo ed era molto frustrante per lui.  Persino la sua cura dei particolari, qualità molto importante per un detective, in quel momento era quasi scomparsa del tutto. Tutta colpa di quel caldo insopportabile!
Per lo meno la mancanza di misteri da svelare in questo momento era favorevole: infiacchito com’era dalla calura sarebbe stato difficile concentrarsi a dovere.
Stava giusto pensando di tornare a casa quando si era ricordato che a casa di Kazuha si stava bene anche d’estate - merito del climatizzatore - e così aveva deciso di suonare il campanello. Visto che si trovava lì poteva entrare e trovare un refrigerio altrimenti avrebbe potuto sciogliersi seriamente sul marciapiede.
Quando il padre della ragazza aveva aperto la porta, aveva percepito un’ondata estremamente piacevole di aria fresca. Sicuramente il condizionatore era acceso. Che fortuna!
Beh, dopotutto quella casa non era poi tanto diversa da un’oasi…
Sapeva già dove trovare la sua amica infatti si era diretto subito verso la sua camera.



Forse aveva scelto un momento sbagliato. Anzi, aveva decisamente scelto un momento sbagliatissimo. Quando aveva aperto la porta aveva visto la sua amica con la schiena rivolta verso la porta e con addosso solo un asciugamano poco coprente mentre era intenta a tamponarsi i capelli con un telo. Non ci voleva un genio per capire che era appena uscita dalla doccia. Per lo meno arrivava a questa piccola deduzione e questo gli assicurava di non aver perso completamente le facoltà intellettive.
Lei stava canticchiando a bassa voce e di certo non si era accorta di nulla. Se avesse avuto il sentore di non essere sola probabilmente si sarebbe voltata di scatto e lo avrebbe cacciato in malo modo. Forse si sarebbe persino beccato in testa un paio di oggetti, rigorosamente pesanti, lanciati nella rabbia.
Lui però era rimasto sulla soglia con ancora la mano appoggiata sulla maniglia della porta ormai aperta per metà. Era immobile, come se non gli importasse di essere scoperto.
Tutta la sua attenzione ai minimi dettagli era improvvisamente ritornata. Riusciva a notare le curve sinuose nascoste dall’asciugamano, il suo fisico decisamente tonico e le sue gambe lunghissime. Niente male, davvero.
Era riuscito perfino a distinguere una piccola goccia d’acqua scivolare dai capelli verso la sua scapola nonostante fosse difficile notarla a causa della grande distanza.
Poi Kazuha, sentendosi osservata, si era voltata e si era accorta della presenza dell’amico. Al contrario delle sue aspettative, la prima cosa che aveva fatto non era urlargli di uscire fuori ma stava cercando di coprirsi come meglio poteva. Per quanto cercasse disperatamente di avvolgersi meglio nell’asciugamano otteneva solo il risultato contrario. Era imbarazzata a morte e lo si vedeva.
Alla fine Heiji - chissà come - aveva avuto una prontezza di riflessi tale da indurlo a richiudere la porta per darle almeno il tempo di vestirsi.

Era stata lei stessa, ormai vestita, a riaprire la porta dopo poco tempo. Dalla sua espressione poteva notare che non era arrabbiata e questo lo faceva sentire sollevato e un po’ meno colpevole – anche se per niente dispiaciuto - per la sua improvvisa irruzione.
«S-scusa se sono piombato all’improvviso a casa tua. A-avrei dovuto avvisarti… Il fatto è che mi sono ritrovato per caso qui intorno e allora ho deciso di entrare».
In effetti era andata più o meno così. Tecnicamente non era una bugia perché si era ritrovato davvero per caso lì intorno però aveva deciso di tacere il particolare dell’aria condizionata se voleva evitare di irritarla sul serio…
«Non ti preoccupare. Avanti entra», gli aveva suggerito con un tono arrendevole ed esitante.
Lui aveva fatto come gli era stato chiesto chiudendo la porta dietro di sé ma adesso che se la ritrovava di fronte non sapeva cosa fare. Si erano seduti sul margine del letto ma nessuno dei due osava proferire parola. Erano ancora imbarazzati per “l’incidente” di prima, lei più di lui a dir la verità, ed evitavano di guardarsi.
Entrambi erano a corto di argomenti – cosa strana visto la loquacità dell’uno e dell’altra – e persino il pavimento era diventato un oggetto molto interessante da guardare. Poi però Heiji aveva voluto dare una veloce occhiata alla sua silenziosa compagnia nel tentativo di scoprire a cosa stava pensando ma a quel punto aveva intravisto altre goccioline d’acqua che scendevano dai capelli per percorrere la linea sinuosa del suo collo. Avrebbe tanto voluto essere una di quelle gocce per entrare a contatto con quella pelle così candida…
Subito si era reso conto di quel pensiero fugace, abbastanza insolito e decisamente inopportuno che aveva attraversato la sua mente e lo aveva immediatamente ricacciato nel posto da cui era venuto – sempre se quel pensiero sia stato elaborato davvero da lui… -.
Lei, quasi fosse stata chiamata dallo suo sguardo, aveva alzato la testa finendo col perdersi in quegli occhi azzurri che sembravano scrutarla con molto interesse. Seppure lo conoscesse da una vita, non sapeva proprio spiegarsi quell’espressione mai vista e si era ritrovata, suo malgrado, incapace di guardare altrove.
In quel silenzioso scambio di sguardi sembrava che ognuno attendesse che l’altro prendesse la parola.
Ma il silenzio persisteva.
Sembrava che nessuno dei due fosse disposto a rompere quella strana atmosfera creatasi tra di loro.
Ma in qualche modo riuscivano a comunicare anche così e forse non c’era bisogno delle parole.

 

Heiji poteva giurare che la mano si fosse mossa da sola quando si era ritrovato a raccogliere i capelli ancora bagnati della ragazza sulla spalla.
Da lì aveva iniziato a risalire seguendo il percorso contrario delle gocce ed era arrivato ad accarezzarle la guancia.


Il suo corpo era fuori controllo.
Ancora.


Aveva l’assurda sensazione che le sue membra sapessero esattamente cosa stavano facendo mentre il suo cervello si limitava a guardarle stupito ed incapace di opporsi. E poi, inspiegabilmente, si erano ritrovati sempre più vicini, la distanza tra i due si annullava pian piano e le loro mani si ritrovarono intrecciate. Aveva chiuso gli occhi non appena le sua labbra incontrarono quelle della ragazza ed era come se avesse compiuto questo gesto molte volte, gli era venuto quasi naturale.
Lei, invece, era rimasta in un primo momento immobile, indecisa e perplessa, poi però aveva iniziato a rispondere al bacio. Era accaduto tutto così in fretta che nessuno dei due si sarebbe ricordato come fossero arrivati a quel punto. Ma non importava.
Quello che contava ora erano loro e le meravigliose sensazioni sprigionate da un semplice tocco delle loro labbra. Era un bacio dolce, leggero ma allo stesso tempo molto intenso. Non era particolarmente passionale, anzi non lo era per niente. Era soltanto pieno di sentimento.

Se la mente di Heiji prima guardava il suo corpo non rispondere ai comandi ora si era presa decisamente una vacanza e quindi ora era libero di seguire l’istinto. Per lui ormai era praticamente impossibile togliere la mano dai suoi capelli bagnati, così morbidi e profumati. Si era staccato un attimo per poterla guardare e i suoi occhi erano così luminosi. Cos’era? Attesa? Speranza?
«Heiji…».
Mai la sua voce era stata così bella prima d’ora. L’aveva chiamato con rabbia, con curiosità, con rimprovero, con apprensione, con irritazione ma mai con una tale dolcezza.
E come era adorabile con quel rossore che le colorava le gote!
E quel sorriso?! Avrebbe steso chiunque.
Di sicuro non avrebbe mai dimenticato tanto facilmente quest’immagine…

 
 
 
 
 


Il suono della sveglia l’aveva riportato alla realtà.
E no, non aveva affatto dimenticato quell'immagine.
Aveva fatto quel sogno.
Di nuovo.
Ma perché?!
Ha iniziato a presentarsi tre giorni dopo la partenza di Kazuha e dei suoi genitori per Tokyo ed aveva continuato a visitarlo per tutta la settimana quando le sue difese, le sue barriere erano vulnerabili, nel sonno. Ma non si era accontentato di torturarlo solo durante la notte. In questo modo sarebbe stato troppo facile per lui ignorarlo. Infatti aveva preso possesso della sua mente anche durante la giornata. Un suono, un gesto ed ecco che ritornava. Era come se si divertisse a procurargli imbarazzo, a metterlo in difficoltà. Aveva un qualcosa di diabolico. Per Heiji era… frustrante, avvilente.
In tutto questo tempo lei lo aveva chiamato solo due volte: la prima per informarlo di essere arrivata a destinazione e la seconda per metterlo al corrente del suo arrivo. Poi, più niente.
Lui, invece, era stato impegnato tra scuola, kendo e alcuni casi e non era riuscito a trovare un momento per chiamarla. A fine giornata era sempre esausto e, a volte, finiva per addormentarsi sul divano.
A dire il vero aveva trovato questa comportamento alquanto strano perché era sicuro di ricevere molte più chiamate da lei. Già immaginava di venire interrotto dal suono del suo cellulare durante un’indagine importante, negli spogliatoi subito dopo gli allenamenti, durante la ricreazione, mentre schiacciava un pisolino ma stavolta si era sbagliato. Sperava solo non si fosse cacciata nei guai come al suo solito… Ma alla fine era sollevato di non essere stato tempestato di chiamate. Una scocciatrice in meno…

Si era ritrovato sveglio nella sua stanza mentre ancora stringeva il lenzuolo con la stessa mano con la quale avrebbe dovuto stringere quella dell’amica. Aveva lasciato la presa per dirigerla verso quella maledetta sveglia che gli stava trapanando il cervello con quel fastidiosissimo suono ed era riuscito ad azzittirla con un colpo secco. Si era seduto lentamente sul letto giusto il tempo di riuscire a svegliarsi del tutto e focalizzare meglio la stanza seppure fosse ancora assonnato. Non riusciva a riposare mai bene a causa di queste visioni notturne e aveva parecchio sonno arretrato. Dannata visione onirica!
Quando si era ripreso del tutto dal suo incubo – anche se non si può proprio definirlo tale – si era diretto in bagno e si era sciacquato ben bene la faccia nella speranza di poter racimolare velocemente tutta la lucidità e la sicurezza di cui era capace, infine era sceso in cucina a fare colazione cercando di avere il suo solito comportamento per non destare sospetti.
Nessuno doveva capire che qualcosa lo tormentava, soprattutto se qual qualcosa era un questione così banale, quasi al limite del ridicolo. Si era vestito svogliatamente e, dopo aver terminato la solita routine mattiniera ed aver preso la cartella, si era diretto, come tutti i giorni, a scuola.
Ora arrivava la parte più semplice.
Era facile sembrare tranquillo davanti ai suoi compagni di classe con i quali aveva un rapporto amichevole, certo, eppure nessuno poteva dire di conoscerlo a fondo quanto Kazuha. Forse solo Kudo riusciva a comprenderlo quasi totalmente. Con loro bastava scherzare un po’, sorridere e se notavano un po’ di irritazione in lui poteva sempre spiegare di essere semplicemente stanco, il che non era poi una bugia. Del resto tutti sapevano quanto ultimamente i suoi pomeriggi fossero “movimentati” quindi era facile credergli.
Diventava un po’ più complicato fingere di essere tranquillo quando si ritrovava davanti sua madre che lo conosceva più delle sue tasche e sembrava sapere sempre di che umore fosse.
Era ancora più difficile quando restava da solo con i suoi pensieri che inevitabilmente ritornavano a quell’ultima immagine che non voleva saperne di abbandonarlo finendo così per agitarsi più di prima.
In un certo senso era stato un bene essere stato tanto occupato in quei giorni, anche se gli costava molta fatica, perché ciò gli permetteva di restare molto lontano da casa – tanto che vi ritornava quasi solo per mangiare e dormire – e di tenere la mente occupata.


La campanella aveva annunciato la fine delle lezioni e con essa aveva posto termine ai sette giorni più duri della sua vita fino ad ora.
Dopo quella lunga, estenuante settimana era arrivato il fatidico sabato e con lui la fine dei suoi mille impegni – se non tutti almeno in parte - e poteva finalmente porre tutta la sua attenzione a ciò che lo irritava. Sperava solo di poter risolvere la faccenda in fretta prima dell’arrivo di quell’impicciona altrimenti…
Tornato a casa, si era subito diretto in camera sua e aveva posato la cartella sulla scrivania con fare svogliato. Non si era accorto che c’era anche qualcun altro in quella stanza semplicemente perché non si era guardato intorno ma si era limitato a riporre la cartella là dove sapeva di trovare un appoggio. Stava quasi per andarsene quando era stato colto da una specie di sensazione – sesto senso? – e, voltandosi, inaspettatamente si era ritrovato proprio Kazuha davanti alla finestra che lo guardava. Per poco non gli era venuto un infarto!
«Tu che ci fai qui?!?», chiese al quanto sorpreso e scocciato. Si, è vero: il giorno in cui sarebbe tornata era oggi ma non credeva di certo di ritrovarsela di colpo in camera sua. E che diamine!
«Sono venuta a salutare tua madre. È dovuta uscire e così sono rimasta qui ad aspettarti».
La ragazza, infatti, subito dopo essere tornata a casa aveva deciso di andare a casa di Heiji e visto che il ritorno dell’amico era imminente lo aveva aspettato lì girovagando per quella casa che conosceva a menadito ormai. Di certo non si aspettava un’accoglienza così fredda, distaccata.
No, lei lo conosceva: sembrava infastidito. Probabilmente era semplicemente di cattivo umore…
«Ah, capisco».
Il povero ragazzo si era reso subito conto di non poterla guardare negli occhi senza che il ricordo del sogno riaffiorasse. Quello sguardo così luminoso e quelle gote arrossate… Era uno spettacolo che si era ricordato nella realtà troppe volte ultimamente e ora l’oggetto del suo imbarazzo si trovava proprio di fronte a lui.

Tra loro era calato un silenzio imbarazzante. In qualche modo si era ripresentata la stessa situazione del sogno e non poteva di certo permettere che esso si avverasse. Aveva preso la parola nella speranza di rompere gli indugi e riuscire a comportarsi normalmente.
«Allora come è andata a Tokyo?». Non aveva trovato niente di più intelligente da chiederle ma era comunque meglio del silenzio, no?
«Benissimo. Sono stata veramente bene. Scommetto che per te, invece, questi giorni sono stati infernali. Tua madre mi ha detto che, grazie al tuo aiuto, tuo padre è riuscito a risolvere tre casi in una sola settimana nonostante tu fossi già pieno di impegni…».
«Si, è stato stancante ma sono riuscito a sopravvivere… Ma come mai non mi hai chiamato più spesso?». Si era ripromesso più volte di non chiederglielo ma stavolta la curiosità aveva avuto la meglio.
«Beh, sapevo che saresti stato impegnato e non volevo disturbarti… Perché me lo chiedi?».
«Mi è sembrato strano perché di solito sei un tormento e mi tempesti di chiamate…». Forse aveva parlato un po’ troppo… Maledetta boccaccia!
«Per caso ti da fastidio se ti chiamo spesso?».  
«Non ho detto questo. Solo… mi è sembrato strano, ecco. Tutto qui». Beh, forse avrebbe fatto meglio a stare zitto per una volta! Perché diamine il suo cervello ultimamente gli giocava questi brutti scherzi?!? Non era capace neanche di controllare cosa diceva adesso?!?
Non lo aveva telefonato. E allora? Chi se ne importa! Una rompiscatole in meno…
«Senti, io devo andare a casa. Mi aspettano». Lei aveva già capito di non essere gradita e quindi aveva deciso di levare le tende. Quando è così nervoso sapeva di doverlo lasciare da solo.
«Ok… Se vuoi ti accompagno». Una proposta di questo tipo era un palese tentativo di scusarsi per il suo comportamento un po’ brusco. Tipico di Heiji…
«No, non è necessario. Tu piuttosto riposati, mi raccomando. Immagino sarai molto stanco».
Per lo meno non se le era presa. Ormai dopo tutti gli anni passati in sua compagnia aveva imparato che non andava preso sul serio quando se ne usciva con certe frasi. E, nonostante tutto, riusciva sempre ad essere premurosa con lui.
«D’accordo», le rispose vedendola dirigersi verso la porta.
Almeno questo gli era servito per capire fino a quanto quel sogno potesse condizionare il suo comportamento e la risposta era preoccupante.
Lui, sempre sicuro di sé, odiava sentirsi così a disagio. Odiava non essere più in grado di avere il controllo su se stesso, odiava infastidirsi per delle schiocchezze e odiava non sapere cosa fare per sbrogliare la matassa. Dov’era finito il sangue freddo caratteristico dei detective?
Perché accadeva tutto ciò? Perché proprio a lui?

Il fatto più strano è che di solito dimenticava ogni cosa dopo essersi svegliato. Invece, questa volta era tutto nitido nella sua mente. Riusciva a ricordare ogni singolo particolare, suono, sensazione, odore, sapore, emozione. Era come se fosse accaduto realmente. Doveva assolutamente fare qualcosa e toglierselo dalla mente in qualche modo. E allora - non si sa né come né perché - gli era venuto in mente di recarsi in biblioteca in cerca di qualche libro utile.
Non aveva mai pensato di trovare delle risposte nei libri ma aveva pensato che, quando si brancola nel buio più totale, essi potevano essere fonti di idee. Era una trovata insulsa ma nessuno poteva affermare con certezza che sarebbe stato infruttuosa.
Era uscito subito dopo in tutta fretta. Di nuovo si era ritrovato davanti alla biblioteca senza sapere come fosse successo. Era entrato subito dentro senza cercare l’aiuto della bibliotecaria. D’altronde non aveva la più pallida idea di cosa stesse cercando e non aveva voglia di raccontare l’intera faccenda a qualcun altro rischiando di rendersi ridicolo, così decise di fare da sé in qualche modo. Aveva sbirciato tra gli enormi scaffali pieni di libri e polvere annessa, li aveva esaminati in modo scrupoloso per più di mezz’ora finché un libro in particolare aveva attirato la sua attenzione. Si intitolava “L’interpretazione dei sogni” scritto da Sigmund Freud. Non era convinto di poterne ricavare qualcosa di buono ma aveva deciso comunque di leggerlo e di certo non aveva intenzione di lasciare la biblioteca proprio ora che qualcosa lo aveva incuriosito. In questo libro aveva trovato alcuni estratti molto interessanti che, se possibile, lo avevano mandato ancora più in confusione.
“I sogni sono semplici e palesi realizzazioni di desideri.”
“Ogni sogno propriamente detto contiene accenni a moti di desiderio rimossi, i quali rendono possibile la sua formazione.”
“Nella costruzione del sogno si fa spesso uso di fantasie di desiderio già presenti tra i pensieri che giustamente chiamiamo «sogni a occhi aperti» che appartengono allo stato di veglia.”
“Se analizzassi il sogno troverei alla fine dei pensieri che mi sorprenderebbero, di cui ignoravo l’esistenza in me, che non solo mi sarebbero estranei ma anche sgradevoli e che vorrei rifiutare energicamente. C’è solo un modo per spiegare questo stato diffuso di cose, supponendo cioè che questi pensieri erano realmente presenti nella mia mente ma che si trovavano in una situazione psicologica tale per cui non potevano diventare coscienti. Chiamerò «rimozione» questa particolare condizione.” (*)
«C-cosaaaaa? M-ma… non… non è possibile… Q-questo tizio dev’essere fuori di testa!».
E non era di certo il primo ad averlo pensato, o meglio, urlato. Peccato che si trovasse in una biblioteca, luogo in cui è proibito anche solo parlare. Si era meritato subito le occhiate tra il curioso e il disappunto di tutti ma quello che più lo preoccupava era lo sguardo severo della bibliotecaria.
Rispettava tutti i canoni di una perfetta bibliotecaria: bruttina, sulla cinquantina, occhiali dalla montatura decisamente fuori moda, acida, zitella e perennemente nervosa. Già dalla sua espressione Heiji presagiva un’imminente sfuriata. Poteva vedere chiaramente la bile – già abbondante di suo - ribollirle in corpo come se fosse stato trasparente.
«Giovanotto! Questa è una biblioteca, non un mercato! Se deve gridare un'altra volta in quel modo la invito ad andarsene! Non tollero questo tipo di comportamento nella MIA biblioteca!», lo ammonì severamente.
Ebbene si, ora si era beccato pure una strigliata da quella vecchiaccia acida. Mamma mia che reazione esagerata! Al solo vedere la sua vena alla base del collo rigonfia per lo sforzo dovuto alle grida sembrava che stesse per avere un accidente da un momento all’altro. Per non parlare del suo viso che aveva assunto un colore rossastro tendente al cianotico. A questo punto era meglio filare via il più velocemente possibile prima di fare altri danni.
«Oh, m-mi scusi. M-me ne sto andando…», era scattato subito in piedi ma, nel farlo, la sedia inavvertitamente era caduta a terra provocando l’ilarità segreta dei presenti, e soprattutto l’aumento di bile  della donna che si stava preparando ad un ulteriore attacco.
Era uscito in fretta dalla biblioteca senza curarsi di chi lo guardava storto - la bibliotecaria ovviamente - o di chi sorrideva di nascosto – tutti coloro che avevano assistito alla scena diventata buffa - . Neanche un ladro avrebbe saputo essere più veloce di lui in quel momento.


Sarà che ultimamente le sue gambe facevano il proprio comodo ma quasi non si era reso conto di essere giunto a destinazione. Tutto nella norma, insomma.
Aveva risalito le scale quasi correndo e rischiando più volte di ruzzolare a terra. Stupidi gradini!
Accertatosi di essere solo, aveva iniziato a camminare nervosamente avanti e indietro nella sua stanza borbottando tra sé e sé quasi come se misurasse la grandezza della sua camera.
«Q-quel tizio afferma che i sogni sono realizzazioni di d-desideri, giusto? S-significa quindi che io voglia b-ba-baciare... Non riesco neanche a pronunciare la frase, figurati a concepirla! Possibile che sia una sorta di desiderio già presente nella mia mente ma rimosso?
Oddio, ma cosa diavolo sto dicendo?
Ok, devo esaminare la faccenda con più calma ed esaminare la cosa con distacco. Quel tizio è pur sempre un famoso neurologo e psicoanalista e dopo aver visitato molti pazienti deve  pur saperne qualcosa, no?».
Si era accasciato un momento sul letto e  si stava passando le mani sugli occhi. Poi, dopo essersi calmato un po’, aveva ricominciato a pensarci su.
«Supponiamo per assurdo che ciò che quel Freud o come diavolo si chiama lui abbia detto sia vero vuol dire… Oddio cosa può significare? Aspetta…
F-forse… c-che io sia… i-innamorato di lei?... Ma io e lei siamo amici sin dall’infanzia, siamo cresciuti insieme. Siamo come fratello e sorella… Naaaaah, impossibile. Assolutamente impossibile».
Sembrava essere vicino alla conclusione ormai ovvia per chiunque ma improvvisamente era scoppiato a ridere senza una ragione.
«Ahahahahah… M-ma… è semplicemente ridicolo! Ahahahah… Perché sto dando retta a un libro?!? Rettifico: perché sto dando retta ad un vecchio con qualche rotella fuori posto ormai morto e sepolto da un pezzo?!? Sarà dovuto alla stanchezza…».
Si era di colpo seduto come se una rivelazione lo avesse colto all’improvviso.
«Ma si, certo: la stanchezza! Perché non ci ho pensato prima?! La stanchezza!! Ecco la risposta. Allora basta solo riposare, no? Ho deciso: dormirò un po’ e domani tutto ritornerà alla normalità».

Vuoi la stanchezza fisica, vuoi quella mentale collassò in men che non si dica. Il sogno però si era volatilizzato nel nulla perciò Heiji aveva creduto di aver trovato la risposta giusta. Era soddisfatto di se stesso per essere ancora una volta riuscito a venire a capo di un “mistero”.
In realtà non aveva capito un bel niente di quello che era successo realmente.
Eppure la risposta era semplice: il sogno era dovuto semplicemente al fatto che sentiva la mancanza di Kazuha – anche la preoccupazione faceva la sua parte… - ed era logico, quindi, che il sogno fosse scomparso dopo il suo ritorno…
 
Amico mio, sai una cosa? In amore sei un pivello. (**)
 
Mai, mai sottovalutare la stupidità di Heiji Hattori in campo ”amoroso”…
 


 
 
Note:
 (*) Parti estrapolati parola per parola dal libro.
(**) L’avete riconosciuta, vero? È una frase detta da Shin… ehm… Conan nel caso l’illusionista. Non so a voi ma a me quella scena mi fa morire dal ridere!
 
 
 
Approfondimento: La mia interpretazione del sogno.
Heiji sentiva tanto la mancanza di Kazuha e perciò il suo “incoscio” ha creato questo sogno in cui lui poteva rivederla, toccarla (e ci è scappato anche qualche bacetto…) come avrebbe voluto . Il suo inconscio è molto più conscio di lui (scusate il gioco di parole ma era divertente da dire ^_^’).
Il caldo insopportabile rappresenta la stanchezza di Heiji (dovuto al troppo lavoro e ai troppi impegni scolastici e sportivi ovviamente) e la penuria di casi è dovuto al suo desiderio di riposo, ma che sa benissimo di non poter soddisfare, ergo non riesce a stare fermo.




Angolo dell'autrice:
Ehilà! ^_^
Sono tornata con un’altra stupida storia. L’avevo programmata già da molto tempo (credo fosse l’anno scorso più o meno…) ma la scuola in modo diretto o indiretto mi ha ostacolata. Poi, come se non bastasse, la mia chiavetta ha perso tutti i dati e quindi l’ho dovuta riscrivere d’accapo! ;(  Una faticaccia che non vi dico!
Forse era un segno mandato dal destino per dirmi di non pubblicarla ma questa idea mi tartassava il cervello e ho dovuto metterla per iscritto e, visto che non volevo che marcisse in un archivio abbandonato, l’ho pubblicata.
Non è un granché, vero? Non è colpa mia. Prendetevela con Freud che mi ha fatto venire quest’idea malsana mentre leggevo il suo libro (quello citato sopra appunto) ù.ù
A parte gli scherzi, vorrei sapere cosa ne pensate. Siete liberi anche di insultarmi se volete eheh.
Se il mio Heiji vi sembra un po’ stupido due possono essere i motivi: o è troppo stanco per connettere come si deve oppure è l’autrice che è troppo stanca per connettere come si deve ^_^’’’. Sorry, in questo momento sono particolarmente logorroica… Ringrazio Ella1412 per il suo supporto.
Ora vi lascio in pace perché vi ho rubato anche troppo tempo con le mie sciocchezze… *scompare nel nulla*
A presto!! 
   
 
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